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Autore: Aurora Barone    04/01/2010    1 recensioni
Ripropongo una storia che avevo scritto all' età di 14 anni, si può dire che è stata la mia prima storia, anche se prima ne esisteva un'altra versione, comunque questa è la versione che sto revisionando. Un crimanale e una ragazzina che subisce molestie dal padre adottivo si incontrano per caso in sgradevoli circostanze.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Yoko:
Partenza per Okinawa ore 23:30” disse l' annunciatrice delle partenze.
Mentre noi insolita comitiva di viaggiatori attendevamo l' arrivo di quel treno, dico “Insolita” perché io ero una minorenne scappata di casa, due delinquenti e l' altro non avevo ancora capito con chiarezza chi fosse e perché fosse venuto con noi.
Sapevo che lavorava per quel politico, quel fastidioso uomo che aveva cercato in tutti i modi di comprare la mia simpatia e non mi spiegavo neppure la ragione di quel comportamento.
Ma oltre a questa domanda, me ne ponevo altre, del tipo perché improvvisamente Kyo aveva deciso di partire, avrei tanto voluto chiederglielo, ma non volevo che si sentisse assillato, dato che quella domanda glie l' avessi già posta e lui in merito era stato piuttosto vago.
Poi pensandoci quel viaggio non mi dispiaceva, non mi ero mai mossa da Tokyo, l'unico viaggio che avevo fatto erano state le banali gite scolastiche dove visitavi qualche prefettura di Tokyo o qualche posto che non era neppure tanto lontano da Tokyo e non mi ero neppure mai divertita.
Inoltre andare via da Tokyo per me significava essere molto più lontana da Keitawa e questo poteva soltanto essere un bene, poi in questo modo avrebbe riscontrato più difficoltà a trovarmi, poiché in Giappone c'erano tante città e non poteva subito arrivare a capire che mi trovassi ad Okinawa.
Questa era una delle cose che mi aveva detto Kyo, aveva usato una spiegazione di questo tipo per giustificare il nostro viaggio, ma avevo come l' impressione che ci fosse qualche altra cosa sotto, glie lo si leggeva dritto in faccia che non stesse dicendo del tutto la verità, ma dalla sua espressione sembrava che ciò che mi stesse tacendo non fosse poi tante grave.
Ormai avevo imparato a conoscerlo e sapevo che quando mi nascondeva qualcosa di brutto, dai suoi occhi non traspariva buon umore, ma una forte amarezza e senso di colpa quindi potevo stare tranquilla, non era nulla di così grave.
Incominciai a pensare ad altro, ovvero a come potesse essere Okinawa, ne avevo sentito parlare bene, sapevo tutta su quella città perché mi capitava spesso di leggere le guide turistiche, era un modo per evadere dalla realtà che mi circondava e sopratutto da Keitawa.
Sognavo spesso di fuggire oppure di svegliarmi una mattina e ritrovarmi in un altro luogo che non fosse Tokyo o che almeno non fosse casa Keitawa, ma tutte le volte che mi svegliavo rivedevo quelle pareti color avorio e quel letto insudiciato del suo sudore la notte precedente e allora piangevo disperatamente ributtandomi nel letto con la sola speranza di non svegliarmi mai più.
La mia matrigna quando mi vedeva così, mi chiedeva cosa avessi io rispondevo che era soltanto stress da studio, lei allora smetteva di pormi domande, io avrei tanto voluto dirgli la verità, ma mi mancava il coraggio, così a volte tentai persino di lasciare che se ne accorgesse, indossando delle magliette a maniche corte per mostrare con chiarezza quei lividi e graffi, poi però quando mi chiedeva come me li ero fatti, finiva per mancarmi il coraggio.
Avrei tanto voluto dire “è stato suo marito”, avrei voluto gridarlo al mondo intero che il mio patrigno, l'uomo che tutti rispettavano non era neppure degno di essere chiamato uomo per quello che mi aveva fatto, ma avevo paura di lui e di essere compatita dagli altri.
Tutti avrebbero detto “poverina” e le solite frasi di circostanza, poi mi avrebbero mandato da uno psicologo, un estraneo che neppure mi conosceva ma che doveva emettere sentenze su di me e sui traumi che dovevo aver subito, lui cosa ne poteva mai sapere? Era stato lui ad esser violentato o io?
NO, non volevo andare da uno strizzacervelli e non volevo neppure il compatimento degli altri, ne facevo volentieri a meno, però rimanendo in silenzio le violenze proseguivano incessanti, ma dopotutto se ne avessi mai parlato a qualcuno o se lo avessi denunciato sarebbe di sicuro cambiato qualcosa? Lui era un politico ricco,potente e rispettabilissimo ed io una piccola e inutile ragazzina, a chi avrebbero dato mai ascolto a me o a lui?
Basta, non dovevo più pensarci! Adesso si presentava un nuovo presente dinanzi a me, quindi che senso poteva mai avere rivangare il passato.
Così i miei pensieri si concentrarono su quel solo e preciso argomento “Okinawa”, in quel momento era il paradiso per me, la scappatoia che avevo sempre immaginato e sognato tra quelle guide turistiche.
Guardai i miei compagni di viaggio, sembravano anche loro eccitati anche se non lo comunicavano espressamente, lo capiva dalle loro espressioni e anche dal loro silenzio, ero certa che stavano meditando riguardo al viaggio che stavamo intraprendendo.
Avrei tanto voluto che condividessero con me quei pensieri e quelle aspettative, ma forse era chiedere troppo, così incominciai a dire qualcosa io per invogliarli a comunicare.
Li informai che lì c'era una stazione termale chiamata Beppu, l' unico che mi diede ascolto era il tirapiedi di Nageshi che si era messo tra me e Kyo, ebbi come l'impressione che per qualche ragione ci volesse allontanare l'uno dall'altra.
Rispose con un espressione pacata e naturale che avremmo potuto andarci, senza neppure il minimo di entusiasmo, sembrava che stesse lì più per un affare di lavoro che per piacere.
Guardai il suo volto incartapecorita, doveva essere super giù un quarantenne, la sua espressione era sempre contratta e rigida come un buttafuori che sta sempre all' erta e che non si scompone mai dal posto in cui è, anche lui era così.
Anche se nessuno mi avesse sollecitato a continuare a parlare di Okinawa, io lo feci lo stesso perché sapevo che anche se non parlavano mi stavano ascoltando o almeno Kyo lo stava facendo, ascoltava ogni cosa con attenzione e annuiva lasciando intendere che già fosse al corrente di tutto.
“Non ha senso che ti dica le cose se già le sai” affermai sbuffando scocciata.
Il fratello che fino ad ora sembrava essersi fatto i fatti suoi, senza mostrare alcun cenno d'interesse per quello che stavo dicendo, disse sorridendomi “Io non le sapevo”
Lo guardai ricambiando il sorriso forzatamente, poiché da quando mi aveva baciato cacciando a forza la sua lingua nella mia bocca, che io in tutta risposta gli morsi, non sapevo più come comportarmi con lui.
Mi aveva pure dato un risonante schiaffo dicendo che non ero altro che una pessima copia di Mayko, le sue parole erano rimaste impresse nella mia mente, così mi voltai di scatto non appena i suoi occhi castani incrociarono i miei.
Pensai che avesse una gran bella faccia tosta a guardarmi in quel modo dopotutto quello che mi avesse fatto, ma avrei comunque giocato al suo gioco, facendo come se nulla fosse successo perché non volevo che tra Kyo e lui si creassero asti a causa mia, così mostrai sempre un sorriso ad ogni cosa che diceva, come faceva lui del resto.
Quando il treno partii, Kyo seduto accanto a me rimaneva immobile e in silenzio con lo sguardo fisso verso un punto imprecisato del treno,gli chiesi se avesse la nausea, ma lui disse di no col capo, non aveva neppure voglia di esprimersi a parole.
Il fratello ricominciava a guardarmi, a sorridermi e ad attaccare bottone come se fossimo due grandi amici, io feci lo stesso, anche se in verità non avevo alcuna voglia di intrattenermi in quell' inutile conversazione.
Parlavamo del tempo e dei fatti di cronaca che erano successi di recente in Giappone,insomma delle solite cose che si usano come pretesto per parlare con qualcuno che non si conosce, ma come ogni conversazione tra due estranei, dopo tanto parlare fino all' esaurimento di quegli sciocchi argomenti, si rimane senza altro da dire e calò un imbarazzante silenzio.
Io osservai il finestrino del treno per osservare il paesaggio e per evitare gli sguardi insistenti di Toshio che sembravano quasi supplichevoli, come se volessero incoraggiarmi a dire qualcosa per irrompere quel silenzio, guardando i suoi occhi speranzosi finivo anche per sentirmi in colpa perché non avevo né la voglia né l' interesse di parlare con lui, inoltre non volevo che Kyo si facesse delle idee sbagliate fra me e suo fratello.
Dopo un po' mi addormentai appoggiando la testa sulla morbida spalla di Kyo, non era pelle ossa come le schiena di Rei che era talmente gracile da non riuscire a vederlo, sopratutto perché io non ero una ragazzetta magra, aveva un fisico imperfetto e paffuto, non ero di certo una silhouette, però non ero neppure una balena, ma in confronto a lui sembravo un vero e proprio buttafuori e non era una gran bella cosa, insomma eravamo una coppia piuttosto comica. Invece la spalla di Kyo era grassottella al punto giusto e le sue braccia mostravano quel po' di muscoli che Rei si sarebbe solo e soltanto sognato poiché era tutto ossa, poi quando eravamo insieme più che un buttafuori mi sentivo bassa quanto un hobbit.
Mi accoccolai su quel morbido torpore, che rimaneva stabile come un vero e proprio cuscino, allietando quelle ore che avevamo ancora da passare in treno e in tal modo sfuggii agli sguardi di Toshio, anche se ero certa che mi stesse ancora guardando, persino mentre dormivo avevo l'impressione che i suoi occhi fossero puntati verso di me. Imbarazzata pensai a quell' espressione potessi avere con gli occhi chiusi e cercai di non sbavare come al solito, come facevo sempre quando dormivo sopratutto per non rischiare di bagnare la spalla di Kyo, di sicuro non avrei fatto una gran bella figura.
Dopo un po' sentii una mano fredda sfiorarmi il viso, causandomi i brividi lungo la schiena, ero certa che era la mano di Kyo, l' avrei riconosciuta fra mille.
Aprii gli occhi che ancora non abituati alla luce mi si chiudevano da soli, dopo un po' mi stiracchiai e mugugnai “Siamo già arrivati?”, Kyo non fiatò neppure, si limitò ad annuire con il capo, avrei tanto voluto chiedergli cosa diamine avesse e se avessi fatto qualcosa che lo avesse infastidito, ma quello non mi parve il momento più opportuno.
Toshio e quella sottospecie di buttafuori si erano già alzati dai loro posti, l'uomo portò la valigia di Toshio e si mostrò stranamente gentile con lui, gli sorrise calorosamente, mentre a me e a Kyo ci guardava sempre con quelle occhiate rigide e rimaneva sulle sue,, mentre con Toshio assumeva un atteggiamento ben diverso, ma Kyo non sembrò prestarci molta attenzione, sembrava più impegnato a prendere la sua valigia.
Usciti dalla stazione ferroviaria, era come trovarsi in un altro mondo, strade monumenti sconosciuti e graziose casette basse mai viste prima d'ora, anche se era buio e quindi non si riusciva ad ammirare tutto alla perfezione, riuscivo vedere bene solo le insegne luminose che c'erano anche a Tokyo ma che erano più colorate e ben diverse dal luogo in cui ero cresciuta, avevano quel tocco più originale e grazioso.
Dopo un po' incominciai a sentire freddo, del resto avevo soltanto quella divisa scolastica che portavo da giorni e che mi teneva le gambe scoperte, così incominciai a tremare per il gelo.
Kyo sembrò accorgersene e quando il buttafuori tirò fuori la cartina, fece una domanda insolita che inizialmente non compresi, chiese se c'era un centro commerciale aperto a quest'ora in quei paraggi, poi quando il buttafuori chiese la ragione disse “Bè non lo vedi che sta morendo di freddo!” e in pochi secondi lo vidi togliersi la giacca e porgermela per farmela mettere.
Lo guardai con un espressione emozionata e incerta per il gesto chiedendogli “Ma così non sentirai freddo tu?”
Lui dopo un po' con una voce impostata e quasi teatrale disse “Io? Freddo? Noi uomini siamo più forti del freddo!” anche i suoi gesti erano tutti ben studiati come la scena di un qualche film.
Scoppiai a ridere senza neppure riuscire a trattenermi, la sua espressione così seria e convinta di quel che stesse dicendo era troppo comica, Toshio rise pure, ma non sembrò ridere perché l' espressione e il tono di Kyo lo facesse per davvero ridere, ma sembrava che lo avesse fatto per conformarsi alla mia risata, mentre il buttafuori rimaneva rigido e impalato come un lampione, si scompose lievemente solo quando vide Toshio ridere.
Dopo chiesi a Kyo il significato di quella frase e lui mi rispose facendo un'aspra critica ai film romantici: “In tutti i film che si rispettino c'è sempre un'idiota che dà la giacca alla Mary Sue della situazione e gli dice parole di questo tipo no?”
“ Sei l' anti romanticismo in persona!” lo punzecchiai divertita.
“Se la pensi così allora restituiscimi la giacca!” affermò divertito.
“Non ci penso per sogno!” esclamai tirando fuori una vocetta infantile quasi stridula.
“Tra voi due non so chi sia il più bambino...se tu o lei...” affermò Toshio seccato, sembrava infastidito dal nostro rapporto, ma dopo un po' mi chiesi qual'era il nostro rapporto?
Ci eravamo dati un solo bacio, non era certa che potevamo dire di star insieme, ma forse era sciocco pure chiederselo, era scontato oppure no?
Così incominciavo a chiedermi se fosse giusto chiederglielo o no, forse mi avrebbe preso per stupida o per una sciocca bambina perché queste cose non bisognava chiederle bisognava viverle e basta e poi con il tempo si stabilivano, ma vivere con quell'incertezza addosso non mi piaceva affatto.
Giunti al centro commerciale, ci separammo, ognuno vedeva il reparto che più gli aggradava, dopo un po' Kyo comparse all'improvviso dicendomi che potevo comprare tutto quel che volessi, io storsi il naso contrariata, ma lui non sembrò farci caso.
Sapevo di essere senza vestiti e che avrei dovuto comprarli, però non avevo neppure uno yen in tasca, così mi maledii per non essermi portata neppure il portafogli quel giorno che ero scappata di casa, ma pensandoci ero giustificata, non lo avevo portato perché inizialmente non avevo progettato la fuga, ma il suicidio,quindi nell'aldilà i soldi a che cosa mi potevano mai servire? A corrompere San Pietro per darmi la chiave che aprisse le porte del paradiso e non quelle dell'inferno? Eh si anche in quel caso, i soldi mi sarebbero stati utili, quindi non ero tanto giustificata, magari San Pietro non sarei riuscita a corromperlo, ma qualche angelo corruttibile si trova sempre.
Incominciai a guardarmi intorno c'erano dei bei vestiti, ma tutti quelli che mi piacevano costavano troppo, soltanto quegli orribili vestiti dai colori smorti e che sembravano per donne di mezza età, costavano poco ed erano anche messi in saldo, sicuramente perché non li comperava nessuno dato che fossero così orrendi, molto probabilmente neppure le anziane signore avrebbero avuto il coraggio di comperarli.
Rassegnata presi una maglietta a casaccio curandomi soltanto del prezzo, era sempre su quel genere, ma fortunatamente trovai almeno dei jeans semplici ed economici.
Kyo mi fece notare che la maglietta non l' avevo neppure provata e secondo lui neppure guardata, forse perché notò anche lui che era davvero oscena sia per il modello che per il colore, sembrava una maglietta di forza color vomito.
“Non devi crearti dei problemi, compra quel che ti pare abbiamo soldi a sufficienza!” affermò sorridendomi.
“Ma non mi va che spendi soldi inutili per i miei capricci...” esclamai imbarazzata.
“Non ti preoccupare!” disse rassicurante.
Ma nonostante mi avesse rassicurato, non mi andava di fargli spendere tanti soldi per un mio piacere personale e in men che non si dica, posai tutto ciò che mi piaceva, non appena vedevo quei prezzi da capogiro, ma mentre stavo posando un vestito, Kyo sbucò all'improvviso togliendomelo dalle mani e osservandolo, io cercai di fare la vaga tentando di non fargli capire che mi piacesse.
“E' carino, potresti provartelo...” affermò Kyo.
“No, non mi piace..” mentii, ma non era brava a dire le bugie e mi si leggeva chiaramente in faccia che quel vestito mi piacesse.
“Non ti piace per il prezzo!” esclamò beffardamente.

Insistette fino a che non ridusse a niente ogni mia volontà di obbiettare, lasciandomi promettere che se lo avessi provato non era certo che gli avrei permesso di comprarmelo, ma lui lo comprò senza neppure darmi ascolto.
Non ebbi neppure la forza di arrabbiarmi, in fondo era premuroso da parte sua, solo che questa situazione mi metteva terribilmente a disagio perché non avrei potuto ricambiare ed io del resto odiavo la regola che paga l'uomo, non condividevo affatto quella politica femminista o maschilista, non sapevo dire se fosse femminista perché andasse a sfavore dell'uomo, oppure maschilista ritenendo che la donna non fosse capace di procurarsi i soldi e quindi la dovesse gestire l'uomo che era ritenuto il più forte tra i due.
Kyo dopo un po' andò verso suo fratello per chiedergli se potevamo andare, poi li osservai non sapevo bene cosa stessero facendo poi guardai verso la direzione che osservavano con tanta insistenza.
Era una ragazza dai capelli cotonati con un espressione troppo docile, quasi stucchevole , anche la sua bellezza mi parve esagerata, ma notai spiacevolmente che per quei due non fosse così, ma i loro occhi miravano a qualcos'altro di sicuro non al viso.
Quella mi parve una risposta abbastanza chiara, non stavamo insieme altrimenti non si sarebbe messa a guardare il primo sedere che gli capitasse sotto occhio o forse si, chi poteva mai dirlo del resto sono uomini!Ah, adesso mi mettevo anche a giustificarlo,poi guardai il sedere di quella tizia, non c'era che dire “perfetto”,perciò come non biasimarlo e inoltre con quella minigonna non era poi così strano che attirasse l' attenzione, osservai la mia divisa e il vestito che avevo comprato, era troppo lungo e per nulla attraente.
“La prossima volta compro una minigonna” mi dicevo tra me e me, dopo un po' mi avvicinai a quei due non potendone più degli sguardi persi che rivolgevano a quella tizia, più che altro non ne potevo più di vedere Kyo che ammirasse quel posteriore.
“Kyo?” lo chiamai ingenuamente avvicinandomi a lui.
Lui si voltò di scatto come se fosse stato scoperto mentre rubava qualcosa e mi osservò con un espressione del tipo “Io non ho fatto nulla di male” anche se gli si leggeva dritto in faccia la colpevolezza e nonostante avessi visto con i miei occhi il reato, lui con quell'espressione innocente sperava di farla franca.
“Che facevate?” chiesi curiosa
“Niente...” affermò facendo una risata isterica e sempre con quell'espressione da vittima sospettata ingiustamente.
Per questa volta, glie la faccio passare liscia, ma alla prossima non sarò poi tanto clemente pensai tra me e me, poi però meditai “Certo non sapendo se stiamo insieme non posso neppure permettermi le sfuriate di gelosia” e poi ritenni che forse era un po' infantile arrabbiarmi per una cosa come quella, del resto aveva un bel posteriore come non dargli torti.
Quindi ritenni che forse era meglio comportarmi da “persona matura”, forse una ragazza ventiduenne avrebbe sopportato una cosa del genere . Nello stesso attimo in cui me lo chiesi vidi una ragazza all'incirca dell' età di Kyo, arrabbiarsi con il fidanzato perché aveva guardato anche lui il sedere di una ragazza o si trattava della stessa ragazza di cui cadevano vittima tutti gli uomini del negozio oppure era una strana e bizzarra coincidenza.
Uscimmo dal centro commerciale per recarci in hotel, era un albergo molto lussuoso, lo osservai scioccata, da quando in qua, Kyo aveva tutti i soldi per permettersi una cosa del genere, forse da quando aveva rapinato quella banca pensai.
Non è che mi andasse molto a genio, che mi avesse comprato dei vestiti e che soggiornassimo in un hotel lussuoso usando soldi rubati, però non ci diedi molto peso, dopotutto i soldi con il quale viveva Keitawa non era più puliti di quelli anzi tanto peggio, c'erano morte pure persone dietro a quel denaro che gli giungeva fra le mani.
Arrivati lì tirammo fuori i nostri documenti, lessi per la prima volta il mio nome, incrociai le dita sperando che non fosse uno di quei nomi odiosi e scontati tipo “Sakura” oppure ancora peggio qualcosa come “Sadako”,di certo chiamarsi come il celebre personaggio di un film horror, non mi sembrava un buon inizio, inoltre i miei compagni in passato deridendomi avevano detto che gli somigliassi dato che avessi i capelli molto lunghi e neri come la protagonista, quindi ricevendo quel nome sarei stata condannata a vita.
“Akiyama Hime” feci un sospiro di sollievo.
Buffo, da piccola avevo sempre sognato essere una principessa e adesso ricevevo quel nome, che strana coincidenza pensai, mentre rammentavo quel vecchio diario che tenevo da bambina dove avevo scritto tante cretinate del tipo “Voglio essere una principessa”, più che altro questo avvenne quando Shizuka incominciò a farmi i dispetti, dicendo che mi trattava così perché io non ero una principessa come lei, dato che non era figlia vera di suo padre.
Ci rimasi malissimo perché volevo molto bene a Shizuka, lei era sempre stata la mia compagna di giochi, ma suo padre non vedeva di buon occhio il nostro rapporto e primo o poi riuscii a mettermela contro e così ogni giorno pregavo dicendo di voler diventare una principessa come Shizuka, di poter essere alla sua altezza e lo scrivevo sperando che un giorno si avverasse, persino nelle lettere che scrivevo a natale indirizzate a Babbo natale scrivevo di voler diventare una principessa, ma nessuno soddisfò mai la mia richiesta, soltanto dopo capii che la mia richiesta era impossibile da soddisfare. Chissà che fine aveva fatto quel diario, non lo avevo più trovato in casa!
“Akiyama Kuso” affermò Kyo leggendo il suo nome.
Stupita e al contempo divertita lo guardai sussurrandogli che sicuramente doveva aver sbagliato a leggere gli ideogrammi, “Ma tu guarda a 22 anni neppure sa leggere” pensai.
“Ma no che non ho sbagliato a leggerli!” mormorò.
Poi tirò fuori anche suo fratello il suo documento e disse “Akiyama Tako” (Tako significa pervertito)
Kyo scoppiò a a ridere ed il fratello gli rispose a tono:“Guarda che tu sei combinato peggio di me, Kuso!”
Anch 'io scoppiai a ridere, mentre l' uomo della reception si stava indispettendo:
“Signori vi state prendendo gioco del nostro hotel?”
Io incominciai a leggere il mio nome davanti a tutti, volevo mostrare soddisfatta la mia fortuna:“ Akiyama Hime” (principessa) poi si mise a leggere l' energumeno: “ Kaichiwa Saito”
Kyo e suo fratello tentarono di chiarire con l'uomo della reception spiegandogli che non lo stavano prendendo in giro, così si inventarono sul momento che i loro genitori erano punk e quindi gli avevano dato quei nomi così particolari.
Peccato che solo loro due avessero quei nomi, mentre io possedevo davvero un bel nome rispetto a loro e da quel cognome si intuiva che appartenessimo alla stessa famiglia, ma l' uomo non ci prestò attenzione.
“Ma è legale dare dei nomi come quelli a dei bambini, come minimo li dovreste denunciare!” affermò l'uomo sconcertato.
“Stavamo pensando di farlo” affermò lanciando un 'occhiata divertita al fratello, io mi intromisi ritenendo esagerata la reazione dell'uomo, del resto oggnuno è libero di chiamare i figli come vuole anche se quei nomi in effetti non erano il massimo, però sempre meglio di quei stramaledetti nomi usatissimi che tanto odiavo.
“Uhm bè almeno non sono nomi scontati come Takashi e Sakura, in Giappone si chiamano tutti così, sono così stucchevoli...” affermai goffamente
“Io mi chiamo Takashi” affermò fulminandomi con lo sguardo.
“Ecco vede tutti si chiamano Takashi anche lei!” affermai ingenuamente con la mia critica, non avendo affatto notato l' espressione infuriata dell'uomo, poi osservandolo capìì che avevo fatto un bel guaio l' avevo irritato fortemente.
“ Non intendeva dire che Takashi sia un brutto nome, ma poiché è così bello finisce per essere troppo usato” disse Kyo prendendo le mie difese.
“La mia salvezza” pensavo tra me con un espressione trasognante e beata.
Toshio nel frattempo conversava allegramente con l'energumeno, quei due sembravano andare stranamente d'accordo, ma in un modo strano, avvertivo una strana complicità, ma non è che mi importasse un granchè.
Non appena ci venne consegnata la chiave, arrivammo nella nostra camera era molto bella e accogliente, ma i miei pensieri erano indirizzati da tutta altra parte del tipo “Io e Kyo stavamo insieme?” e mi potevo concedere una ramanzina per aver guardato il sedere di un'altra ragazza,diciamo che la domanda era sempre la stessa nonostante cambiasse il modo in cui la formulassi.
Così entrai nella sua stanza decisa più che mai a chiederglielo, fregandomene se potesse sembrare stupida o infantile, mi importava soltanto sciogliermi quel dubbio che mi faceva stare in ansia.
Non bussai neppure, se avessi perso tempo per bussare di sicuro in quel lasso di tempo ci avrei ripensato e non avrei più trovato il coraggio di dirglielo.
“Che c'è?” mi chiese, io lo osservai con le parole che non riuscivano ad uscirmi di bocca.
“Kuso” dissi ridendo, senza sapere cos'altro dire.
“Ah, ti ci metti pure tu!” affermò sbuffando.
Dopo un po' il mio sguardo si spostò verso la sua valigia mezza aperta, non ero un tipo molto ordinato, i vestiti erano stati messi a casaccio ed erano tutti piegati male e cacciati a forza lì dentro,se me lo avesse chiesto glie l' avrei fatta io, pur di non vedere quel macello.
Fra i vestiti e tutte le altre cianfrusaglie, vidi il libro di Mayko da cui avevo letto una storia,molto fiabesca e abbastanza scontata, avrei voluto leggerne altre ma dopo quella storia banale, preferii evitare.
“Ci tieni molto a quel libro, per questo te lo sei portato?”gli chiesi, mentre incominciai pensare che non ero più in competizione con una ragazza viva e vegeta, ma questa volta con un cadavere.
Ma che cosa andavo pensando, non potevo essere gelosa di una ragazza che era morta, era sciocco e sbagliato, ma per quanto non volessi sembrava inevitabile perché ero certa che lei vivesse nei suoi pensieri.
Annuii con il capo e poi mi disse che se volevo potevo anche leggerlo, affermai incerta poiché non volevo offendere la sua adorata Mayko e le sue capacità di scrittrice, perché comunque la storia era scritta bene, era la trama che lasciava a desiderare, più che altro il genere che seguiva non mi piaceva affatto:
“ In verità avevo letto di nascosto una storia di quel libro a casa tua... però non sembra essere il mio genere...”
“Come mai?”
“ Non vorrei offendere..quindi preferisco limitarmi col dire che non è il mio genere...”
“Neanche il mio se è per questo, sono troppo scontate e semplici e c'è sempre quel maledetto lieto fine”
“Era proprio questo che intendevo, però non volevo dirtelo, perché non volevo che ti offendessi o che ti arrabbiassi, visto che ci tieni molto a quel libro dato che è stato scritto dalla tua ex”
“Ci tengo molto a questo libro, perché è l' unica cosa carina che io sia riuscito a fare per lei...”
“Cioè?”
“Glie l' ho sottratto di nascosto per pubblicarlo, perché lei non me lo avrebbe fatto fare, dato che non si riteneva molto brava e temeva le critiche degli altri, ma quando venne pubblicato divenne il libro più in voga tra le ragazzine, forse quella è stata l'unica volta che sono riuscito a renderla felice”
“Non credo che quella sia stata la sola volta che tu l' abbia resa felice” affermai con un espressione benevola sul viso, anche se avvertivo ancora quel fastidio e quella morsa al cuore, mentre avevo ascoltato in silenzio le sue parole, però in fondo ero contenta perché ne aveva parlato con me, del resto non mi aveva mai parlato espressamente di lei e del loro rapporto.
Non appena si avvicinò a me gli dissi:“Rimanere da soli e così vicini, mi fa stare in ansia, scusami!” non avrei voluto allontanandomi da lui,ma non appena me lo trovai davanti e così vicino, tutti i ricordi mi tornarono in mente, Keitawa che mi tirava brutalmente capelli, i miei vestiti strappati, io che mi dimenavo e piangevo senza aver alcun modo di liberarmi e poi quegli occhi, gli stessi occhi color carbone di Kyo che adesso mi guardavano amorevoli, ma che in passato mi avevano fatto tanto soffrire. Sapevo che non erano la stessa persona e me lo ripetevo continuamente nella testa per farmi coraggio, ma era come se le loro figure si sovrapponessero fino a che non ne rimanesse soltanto una, quella di Keitawa.
“E allora non dovevi neppure entrare!” affermò irritato.
Ecco lo avevo fatto arrabbiare, del resto aveva tutte le ragioni del mondo per arrabbiarsi, non potevo colpevolizzarlo di quello che mi aveva fatto qualcun' altro, però non era facile sopratutto sapendo che fossero padre e figlio, se non lo avessi mai saputo forse non avrei mai notato tutta quella palese somiglianza.
“Già, hai ragione...” affermai ferita dalle sue parole.
Uscii alla svelta dalla stanza, prima che scoppiassi a piangere davanti a lui, non mi andava di fargli vedere che quella situazione mi facesse tanto male, speravo soltanto che domani tutto sarebbe andato come al solito, noi che scherzavamo mettendo una pietra sopra a quell' accaduto.
Ma purtroppo non sarebbe stato così ne ero certa perché ogni qualvolta sarei rimasta sola con lui e che avrei sentito il peso del suo sguardo così vicino al mio, avrei ricordato quelle mani che mi laceravano la pelle e che mi strattonavano, facendomi sbattere da una parte all'altra della stanza fino a che non giungessi contro quel letto.
Ricevevo i colpi trattenendo a stento le lacrime perché non ero libera neppure di piangere, di esprimere il mio dolore, perché si inferociva ancor di più e con uno sguardo maligno rideva intimandomi di non azzardarmi a farlo, altrimenti avrebbe fatto di peggio. Me lo aveva già fatto conoscere il peggio ed erano le sigarette che ustionavano la mia pelle causandomi un dilaniante bruciore.
In quel caso mi sarebbe stato impossibile ne smettere di piangere e ne trattenere le urla per l' incessante ustione che avrei sentito inondarmi su tutta la pelle, poi avrei sentito l'odore della mia pelle bruciata, mentre lui rilassato avrebbe continuato come se stesse bruciando la carne di un'animale e non quella di una persona,poi mi avrebbe anche tirato calci e messo una benda o qualcosa alla bocca per fermare le mie urla o mi avrebbe mollato qualche altro calcio o qualche schiaffo per farmi zittire.
Per evitare che accadesse, quando mi faceva quella minaccia, trattenevo le lacrime e mi mettevo una mano sulla bocca per non fargli sentire i miei singhiozzi scusandomi come mi ordinava di fare, non avevo altra scelta se non ubbidirgli facendo tutto ciò che mi chiedeva di fare senza potermi dibattere, altrimenti sapevo quale sarebbe stata la punizione.
Ricordando queste situazioni non avrei potuto avvicinarmi a Kyo tranquillamente, avrei sempre avuto paura sia di lui in quanto uomo e sia in quanto figlio di Keitawa, non sapevo neppure se la colpa fosse da attribuire alla sua somiglianza o fosse da attribuire soltanto ai traumi che avessi subito.
Mi addormentai con le lacrime agli occhi, tentando di pensare a qualcosa che potesse distrarmi dai cattivi pensieri, ma per quanto ci provassi era tutto inutile, avrei continuato per tutta la notte a rigirarmi nel letto e non appena avrei chiuso gli occhi, non avrei fatto che vedere il volto di Keitawa, che rideva dicendo che primo o poi mi avrebbe trovata e me l' avrebbe fatta pagare cara con i metodi violenti che usava sempre.
D'improvviso quel viaggio non mi parve più una gran bella esperienza, ma qualcosa che primo o poi era destinata a svanire come tutte le cose belle, mentre i lividi, le ustioni e i graffi quelli rimanevano sia nella mia pelle e sopratutto INDELEBILI nella mia mente.
I primi tempi ebbi persino paura dei ragazzi: scuola dicevo di non voler stare con il banco né dietro e ne accanto a dei ragazzi, ma il professore non mi ascoltava neppure, mi diceva di piantarla di fare la difficile e anche quando organizzavano le attività di gruppo mi rifiutavo sempre di stare accanto a qualche ragazzo. Il professore invece di accogliere la mia richiesta come avrebbe dovuto, anzi finiva per mettermi in un gruppo di soli ragazzi come se lo facesse di proposito, dicendo che ne aveva parlato a mio padre di questa faccenda, che non volessi stare a stretto contatto con i ragazzi. Lui si era inventato delle scusanti adeguate per giustificare il mio comportamento, dicendo che ero sempre state in scuole puramente femminili e che disconoscevo i ragazzi e per tale ragione ne avessi tanta paura.
Ma in fondo non tutto il male vien per nuocere!Infatti stando a stretto a contatto con tutti quei ragazzi e sapendo che non avrei mai potuto evitarlo, perché il professore lo faceva di proposito,alla fine prendendomi di coraggio , riuscii a superare la mia paura, scoprendo che non tutti i ragazzi fossero violenti e pericolosi, però stavo sempre ben attenta a non rimanere sola con ragazzi che non conoscessi bene. Mi spaventavo persino degli uomini che chiedessero informazioni per strada , quante volte avevo fatto delle pessime figure scappando via, dovevano avermi preso per una mentecatta, ma non riuscivo a far a meno di temere il peggio.

   
 
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