Ciao a tutti! Bene,
questa storia in realtà è piuttosto vecchiotta, e non posto da
settembre o ottobre. Ok, ero
andata in crisi di ispirazione, ma sono contenta di
poter dire che sia passata, visto che ho appena finito di scrivere due capitoli
e ho già un terzo in testa (e sono bloccata a casa dal raffreddore,
quindi penso che lo scriverò stasera stessa ;) ). Cerco di farmi
perdonare postando due capitoli, il secondo questa sera. Ai vecchi lettori
SCUSATE, ma proprio non riuscivo a scrivere, e ci tengo troppo alla storia per
inserire dei capitoli che alla fine non piacciono nemmeno a me! Vi prego
perdono! L Ai nuovi lettori, se ce ne fossero: ok, ci sono un sacco di capitoli indietro, però non
sarebbe male se deste un occhiatina…magari
potete leggerla pian pianino se non avete niente di meglio da fare (però
occhio che ci sono trilioni di cose migliori da fare piuttosto che starsene ore
davanti a un computer, io lo faccio solo in casi di estrema necessità
tipo super raffreddore), e dirmi come vi sembra nel complesso. Scusate ancora, spero di non aver postato davvero troppo
tardi!
Un bacio e buon
anno a tutti!
Giuls
PS: non ho scritto
le risposte ai commenti perché devo andare a fare l’aerosol -.-. però
mi ricordo che Sily85 a suo tempo mi aveva chiesto i link
per i personaggi, quindi li metto:
Benjamin: http://static.open.salon.com/files/james_dean1244780699.jpg (ok, è un po’ anni
cinquanta e l’espressione è trash ma ci
sta un sacco, e poi voglio dire è James Dean), oppure questo, che è un po’ meno super figo ma se ci si mettesse sarebbe da volare via …no
scusate non lo trovo. Vaaaabe alla prossima! XD
Renesmee: non è rossa, ma è bellissima
comunque, e per i lineamenti, le movenze, mi immagino
lei http://filmblog.girlpower.it/wp-content/uploads/2008/01/marion.jpg
, la bellissima e bravissima Marion Cotillard
(cioè: http://www.themediaphiles.com/wp-content/uploads/2009/04/marion_cotillard.jpg,
una più di così…).
Fatemi sapere cosa
ne pensate!!
Mi addormentai
in macchina poco prima di arrivare a casa, riuscii a riposarmi solo per
una mezz’oretta. Ero assolutamente determinata a non perdermi un secondo
della strana atmosfera perfetta che si era creata in macchina, in quell’intenso silenzio che avevamo creato. Quando mi risvegliai, l’oscurità della notte
stava per lasciare posto al grigio pesante del giorno. Ero ancora stanchissima,
e sentivo la paura lungo la schiena. Puro terrore. Mi veniva da battere i
denti. Non avevo idea di cosa diavolo dovessi fare. non riuscivo a pensare coerentemente alla prospettiva vivida
e reale di dovermi dividere in due entità distanti e indipendenti. Da
una parte lui, dall’altra tutto il resto. O meglio, da
una parte noi, dall’altra gli altri. Pensavo di non poter pensare
agli altri come una minaccia, o come dei nemici, ma dal
momento che era così che doveva andare, non ci misi molto ad
abituarmi all’idea. Nel farlo, più che mai mi sentivo una vampira.
-Hai paura?-. Mi riscosse dai
miei pensieri con le note basse della sua voce. Era pura poesia.
-Sì. Ma è normale, no?-
-Penso di sì-
-Hai idea di cosa gli dirai?-
-Forse dovresti essere tu, a
parlare. Sarò con te-. Mi scrutava di sottecchi, curioso. Cercava di
capire se aveva esagerato o no.
-Lo so. Non essere
irragionevole, Benjamin-
-Farò
del mio meglio-, si voltò.
Il suo sorriso incerto mi rassicurò oltre ogni aspettativa.
Pensavo e ripensavo alle
parole esatte che avrei detto dì li a una
decina di minuti, e a ciò a cui avrei dovuto pensare non appena mio
padre avrebbe potuto leggere i miei pensieri. Ma anche se continuavo a pensare,
l’idea era sempre quella: dire la verità.
In un secondo. In ogni caso le mie azioni avrebbero riflesso le mie reali intenzioni.
Amo Benjamin più di
quanto possa amare tutti voi.
Non ci sarebbe stato altro da
aggiungere, e speravo davvero che mi avrebbero capita.
Non sapevo cosa mi riservava il futuro, e non ero tanto ingenua da credere che
i Volturi non avrebbero più cercato qualcosa da
noi. Ma per ora, la mia priorità assoluta era riuscire
a tradire la mia famiglia, perché sapevo che sarebbe stato così
che si sarebbero sentiti. Benjamin non era dei nostri, non potevano fidarsi. E
soprattutto, tradire Jacob. Quello mi avrebbe fatto male veramente. Non dovevo dimenticarmi che
senza Benjamin non erano niente di più e
niente di meno che una ragazzina viziata e troppo egocentrica, e la perdita di Jacob, del mio Jacob, mi avrebbe sconvolta. Avrebbe scombinato tutto il mio equilibrio. Forse
non sarei stata più la stessa, e non esageravo
a pensarlo. Jacob era sempre stato
più di un fratello, e più di un amico, aveva assunto un
ruolo indescrivibile, e con il tempo sempre più complesso. A lui, che
aveva dedicato la sua vita a me, cosa potevo dire? La verità era troppo
crudele. Non riuscivo nemmeno a formularla in una frase dal senso compiuto.
Mi ricordai di averlo
baciato, le mie labbra bruciarono come se le avessi appena
cosparse di veleno. D’un tratto la
possibilità di rimanere accanto a Benjamin, il
mio desiderio, divenne una necessità oggettiva. La presenza di Benjamin mi permetteva inspiegabilmente di
essere più ragionevole, più chiara. Non c’era spazio
per dubbi e trepidazioni, se lui era lì con me: potevo essere me stessa
senza nessuna colpa o paura, senza l’obbligo costante di dovermi chiedere
chi fossi.
Jacob, senza Benjamin
non sono capace di essere me stessa.
Forse non avrebbe capito
subito che era solo un modo come un altro per dire che
senza lui non vivevo. Non come avrei voluto. Ma quando lo avesse capito, allora lo avrei sentito eccome.
Avrei sentito una fitta da qualche parte, vicino al cuore. Ma
sarebbe stata la mia giusta punizione.
-Benjamin, pensavo che la tragedia è
ovunque. E per quanto cerchiamo di evitarla, di qualsiasi forma o specie noi
siamo, lei è sempre lì-
-Non pensi mai che sia giusto
sia così?-. rispose al mio impulso come se
già da prima avesse saputo dove i miei pensieri mi avrebbero portata. Mi
osservava con attenzione, degnando solo di qualche occhiata distratta la strada
davanti a noi. Era semi deserta.
-Certo. È
rassicurante, no? Intendo, la nostra possibilità di soffrire-. Mi
ritrovai a gesticolare velocemente con le mani, foggiando
i miei pensieri nell’aria tiepida dell’abitacolo. Sorrise
mestamente.
-Devo farti conoscere un mio
amico, prima o poi. Si chiama Thomas.
Credo che avreste di che discutere-
-Perché?-. Cercai di immaginarmi un amico per Benjamin, e sebbene mi riuscisse difficile, mi
affascinò l’idea che qualcuno oltre me
potesse trovarlo abbastanza piacevole da ricercare volontariamente la sua
compagnia. Stavolta rise sonoramente, al pensiero di chissà quale
aneddoto, forse.
-Penso che abbiate visioni
molto…distanti. Il suo pensiero fisso nella vita è evitare il
dolore. Come la peste, non so se mi intendi. È
l’occupazione della sua vita-
-E ci riesce?-
-Oh sì. Ma a spesa di
molte vite innocenti-
Capii l’allusione al
volo. Forse la chiave era davvero quella, l’unico modo per essere
veramente indistruttibili, dentro e fuori. Ma era
anche l’unico modo per morire veramente, e ci tenevo troppo alla vita per
volermi perdermi nella visceralità dei miei
istinti annacquati. Capì che il pensiero del vampiro mi aveva inquietata, forse quando mi vide fissare dal finestrino il
paesaggio fuori.
-Non è cattivo Nessie. Ha una filosofia tutta sua, ma nemmeno tanto pazzesca-
-Può anche essere-
-Tu pensi che soffrire sia
giusto-. Non era una domanda, ovviamente, come sempre.
-C’è chi me lo ha insegnato- Sorrisi, e pensai a mio padre. Come eravamo
simili. Sperai che potesse essere orgoglioso di me, un giorno.
-Anche io lo credo. Ma mi ricordo sempre che non
c’è mai giustizia, nella sofferenza-
-Che vuoi
dire?-. Fui io ad osservarlo
incuriosito, mentre aggrottava le sopracciglia e contraeva leggermente la linea
precisa e morbida delle sue labbra, alla ricerca delle parole giuste. Non
capivo ancora fino a che punto potesse essere
perfezionista.
-C’è sempre chi soffre troppo, Renesmee,
e chi non soffre abbastanza. È un sistema
geniale ma imperfetto, e non ci possiamo fare niente-
-Jacob soffre troppo, vero?-
Posò su di me quei
suoi splendidi occhi profondi come la notte, e non seppi
cosa vide, ma prese la mia mano nella sua. E senza un sorriso, seppi che per
quanto potesse, soffriva per noi. Soffriva per me,
aveva orrore di ciò che sarebbe successo a Jacob.
La sua innocenza infantile gli impediva di macchiarsi di alcuna
colpa, in quel momento.
-Vorrei poter fare qualcosa-
-Se ci credi davvero, sono
felice lo stesso-
Il discorso aleggiava ancora
tra noi come un gas tossico ma inodore. Per quanto potesse essere comprensivo,
ci sarebbe sempre stato un muro invalicabile tra Benjamin
e Jake. Ero infantile nella speranza che potessero
vivere nello stesso mondo. Fui colta dall’improvvisa consapevolezza che dal momento che Benjamin fosse
entrato a far parte della mia vita, Jacob se ne
sarebbe andato, e non sarebbe mai più tornato.
Ero sicura che non si sarebbe
mai più trasformato. E tutta la storia sarebbe finita esattamente come era iniziata, e il cerchio si sarebbe chiuso. Non
sarebbe tornato a
Cercai di non piangere e ci
riuscii, perché la prospettiva di poter essere un umano, un ragazzo come
tutti, era la migliore che gli potessi augurare.
Sarebbe stata la migliore anche per tutti noi. Mia madre sarebbe stata una
donna bellissima, se avesse potuto diventarlo. Mio
padre un uomo brillante e intenso. Forse anche io sarei stata migliore.
Ma non Benjamin. Quello che
toccavo era il suo vero corpo, non quello dell’umano che era morto per
una raffica di mitra nel tentativo di far saltare un ponte, probabilmente
ancora mezzo ubriaco. Quella che sentivo era la sua vera e unica voce, quelli
che vedevo i suoi veri occhi. Inspiegabilmente, non poteva
essere altro che un vampiro. E il mio destino mi
sembrava un po’ meno ingiusto.
Percorremmo il viale di
vecchi alberi che ci riportava a casa a
velocità moderata, ciascuno immerso nei suoi pensieri artefatti. Nessuno
si aspettava che tornassi con Benjamin, ma speravo comunque che in casa ci fossero tutti. Volevo parlare una
volta sola, e volevo essere ben chiara con tutti.
Parcheggiò l’auto alla fine del viale, in mezzo alla strada. La
cosa mi ricordava una fuga, m non era un problema
nemmeno quello. Respirò profondamente, provai
il bisogno irrazionale di rassicurarlo, di cauterizzare dolcemente tutte le sue
ferite. Posai le mie labbra sulla cicatrice sul suo collo che mi sembrava
essere più evidente, e le allontanai con lentezza. Fu scosso da un lieve
sussulto. Non mi importava molto che mio padre potesse
leggere i nostri pensieri, perché dovevo occuparmi anche di lui, e non
solo di me.
-Andiamo-. Mi rivolse un
ampio sorriso, quasi luminoso, e scese dell’automobile. Aprii la portiera, scendendo mi porse la mano. Camminammo
per il vialetto che serpeggiava lungo il giardino, costeggiato da cespugli
rigogliosi di camelie, mano nella mano. Tremavo un
po’, anche se avevo la ferma convinzione che il mio dovere era prendermi
cura di entrambi, adempiere ai miei doveri.
La porta di casa si
aprì prima che potessi bussare. Alice ci fissava, seria e pensierosa,
quasi con fare accusatorio. Ma potevo anche capirla.
Non le piaceva essere tagliata fuori per così tanto
tempo, e probabilmente si era fatta venire un gran mal di testa nel tentativo
di capirci qualcosa, almeno cercando Benjamin.
-Ah. Siete arrivati, allora-.
Era impaziente: non ci aveva visti, ma aveva comunque
saputo anticipare le mie mosse. Decenni di veggenza le avevano donato una notevole conoscenza delle azioni degli uomini. La
seguimmo dentro casa, e come speravo c’erano tutti. I miei genitori, mio
padre che strngeva a sé mia madre, agitati,
seduti sul grande divano del salotto. Carlisle ed Esme stavano ancora
scendendo le scale, lentamente. Emmett e Rosalie alla
finestra, assieme, si erano voltati verso di noi. Jasper seduto al tavolo di mogano
scuro, accanto a sé la sedia smossa su cui forse fino a poco prima era
seduta Alice. La porta fu chiusa alle mie spalle, e cominciai a cercare
dentro di me tutta la sicurezza che avevo sentito. Quasi non
mi resi conto che tutti erano ammutoliti, nel vedermi rientrare con Benjamin. Lui aveva di nuovo assunto quella sua
strana aria arrogante e taciturna che assumeva con coloro di cui non si fidava
abbastanza.
-Renesmee! Sei andata fuori di testa?
Non mi hai più risposto! Giuro che se non fosse
successo qualcosa entro quindici minuti sarei venuta cercarti-, riuscì a sputare fuori
mia madre. Era abbastanza arrabbiata e preoccupata da riuscire a fregarsene
della presenza di Benjamin. Le sorrisi, ignorandola.
Cercavo di prendere coscienza di una cosa sola: la sua presenza, alle mie spalle. Inspirai, mi
preparai al tuffo.
-Edward vi ha già parlato, vero?- Qualche cenno di assenso, altri che si limitavano a fissarmi immobili. -Credo
che dobbiate conoscere la mia decisione- Erano tutti
incredibilmente immobili. Mia madre però si torceva le mani, ansiosa,
mio padre mi osservava con attenzione, teso. Cercai le parole dentro di me, e
quando le trovai, dopo alcuni secondi di assoluto
silenzio, ebbi il coraggio di dirle. Ero orgogliosa di me.
-Io e Benjamin
ci amiamo. Credo che staremo insieme-
Ci fu un lungo attimo di
silenzio, cercai di capire la reazione dei miei genitori, ma non la capivo
bene. Mio padre fece una smorfia, come se non potesse crederci.
-Ma lui è…-
-Lo so. Mi fido-. Non lo
lasciai finire, sapevo cosa stava per dire: che era un Volturo. Ma non mi
piaceva che si parlasse di lui come se non fosse
lì con noi, e soprattutto come se fosse un criminale. –E mi farebbe molto, moltissimo piacere se vuoi riusciste a
smetterla con questa storia del pericolo. Se volessero farci
fuori ci riuscirebbero benissimo, anche senza di lui-
C’era
troppo silenzio attorno a me, andava oltre l’irreale. Era
totalmente fuori dal tempo, come tutti loro. O meglio come tutti noi, se consideravo i miei ultimi sviluppi.
Mi mordicchiavo il labbro inferiore, cercavo un
qualsiasi appiglio. Mi sentivo molto sola, e sentivo
il mio sangue pulsare ancora nelle vene solo perché ero fermamente
convinta della sua presenza alle mie spalle. Mia madre mi sorrise, negli occhi
una strana espressione tagliente.
-Allora è proprio
amore, è così?- Annuii, anche se forse avrei
dovuto incazzarmi. Ma
era mia madre, e c’era molto silenzio attorno a noi. -Sono
felice che tu te ne sia accorta in tre giorni soltanto-. Mi pietrificai.
Sentii qualcosa di amaro, una sensazione sgradevole,
nella mia gola.
-Non c’è niente
da obiettare-
-Naturale. Perché voi vi amate-. Mia
madre sputava veleno, era l’unica espressione che riuscisse
ad esprimere ciò che vedevo di fronte a me. Faceva paura, davvero. Lei, che aveva sempre controllato la sua natura, che era rimasta
così umana, disciplinata, civile. Le pupille leggermente dilatate, la voce leggermente rauca, stringeva i pugni in
quella che sembrava una sorta di posizione di attacco. Una parte di me
reagì alla paura facendo due passi avanti, schierandomi a difesa di lui.
Come se ne avesse avuto bisogno. Non avevo mai visto
mia madre come un’avversaria, non avevo mai sofferto di
alcun tipo di complesso. Ma avevo già
capito che cosa era successo quel giorno.
Non ero più parte di
quel gruppo.
Non ero più legata a
quella famiglia. Ogni legame era spezzato, davanti a me, un avversario. Non
volevo litigare, ma davanti a me non trovavo un’altra prospettiva.
-Chiaro-
-Certo, certo. Ti ama
talmente tanto da fare un resoconto dettagliato su di te a Demetri
ogni due giorni. Vuoi raccontarle quello che hai fatto
ieri sera, Benjamin?-
-So tutto-
-Ovviamente. Il vostro
rapporto è nato all’insegna della sincerità, come potresti
non conoscere tutti i dettagli della vita di questo sconosciuto-
-Come se
potessi capire dal tempo-
-Giusto! Dopotutto, avete
bruciato le tappe, non è vero? Insomma, vuol dire
che sapete molto di voi-
-Esattamente-
-Sì, posso immaginare.
Sai, il sesso aiuta la conoscenza reciproca, sicuramente-
-Ci hai preso di nuovo-
-Non lascerò che tu
faccia questo-
-Piantala mamma-. Mi pulsava
la testa, potevo sentire il ritmo del sangue che scorreva nelle mie vene come
un fiume in piena. Forse mia madre non era per niente minacciosa, forse stava
solo supplicando sua figlia, ma il mio sangue ormai pulsava e scorreva, e non avrei potuto fermarmi. Mi raccolsi ancor più come se
stessi per attaccare, mio padre sospirò.
-Renesmee, ti prego. Vai se credi, ma non lasciarci
così, come se ci volessi ammazzare-
Mi rilassai, la testa smise
di pulsare., ricominciai a vedere, uscii dal vortice.
Mi lasciai cadere e trovai due mani che conoscevo bene ad afferrarmi, per
tenermi in piedi. Lasciai ciondolare la testa.
-Tua madre vuole solo questo-
Guardai mia madre e incontrai
i suoi occhi pieni di angoscia, e mi vergognai per
quello che avevo pensato, mi vergognai per tutto. Dovevo
scappare, così nessuno avrebbe mai più potuto ascoltare, o
intuire, i miei pensieri orribili. Le mani che mi sorreggevano erano
così fresche che un brivido leggero corse lungo la mia schiena.
-Sono mortificata-. Non mi
accorsi nemmeno di usare la parola che mi faceva sempre usare mio padre, non me
ne importava molto.
-Teniamo troppo a te per tenerti qui. Anche la mamma lo
pensa-
-Lo pensiamo tutti- Rosalie si voltò verso di me, e mi sorrise triste.
La luce della grande vetrata la illuminava, sembrava
una madonna. Mi risultò quanto mai strano che
una creatura come lei potesse sembrare una santa di tanti secoli fa.
-Non mi era sembrato-
-Scusaci-
Tutto era molto confuso, e mi
sembrava che la luce tenue dell’alba che entrava dalla finestra fosse
troppo forte. Tutti nella stanza iniziarono a brillare, tranne me. Percepii il
bagliore emanato da Benjamin alle mie spalle. Sentivo
il suo fiato seguire il ritmo del mio.
-Posso andare?-. Dentro di me
sentii nascere una risata. Era stupido chiedere qualcosa adesso, ma non potevo
dimenticarmi di essere una bambina.
-Se sei convinta, tutto ciò che vuoi-. Parlava mio
padre, ero più che sicura che mia madre non ce
l’avrebbe mai fatta. Mi osservava da sotto quelle folte ciglia
scure che le avevo sempre invidiato, con i miei stessi
occhi, o almeno con quelli che erano stati i miei occhi. Chissà
cosa si provava ad avere di fronte a sé qualcosa che era stato tuo,
tanto, o forse poco, tempo fa. Non lo avrei mai scoperto. Non riuscivo a
capire come potessero lasciarmi andare. Ero troppo cieca, e sorda, e distante,
per capire che era solamente l’ennesima prova di quanto mi amassero. Quando davvero si ama non c’è spazio per
l’egoismo. Era chiaro dagli occhi tristi e profondi di mia madre che mi
salutavano come e più di un caldo abbraccio, non perché non ci
saremmo più riviste, ma perché aveva già capito che era
appena successo qualcosa di inderogabile. Mi sentii
colpevole, ma alla fine libera. Dovevo ancora pagare il prezzo della mia
libertà.
Tra noi stagnava un silenzio
pesante e irreale. Capitava spesso che la casa fosse piena di silenzio, ma mai
così profondo e cupo. Mi ricordava i momenti della mia prima infanzia,
in cui tutti facevano bene attenzione a quel che dicevano, o a volte anche
pensavano. Gli unici momenti che avevo passato senza Alice e Jasper. Avrei voluto fare qualcosa, ma non mi veniva in mente altro che guardarmi le mani. Per un secondo
temetti che Benjamin potesse rimanere deluso dal mio
comportamento. Poi mi sincronizzai di nuovo con il suo respiro, e non ci pensai
più.
-Jacob sta per tornare- Una mano fresca si
posò sui miei fianchi, chiusi gli occhi. –Dovrete parlare-
Aprii gli
occhi, mi chiesi come gli eventi
avessero potuto spingermi fino a quel punto. Mi sentivo annegare, sommersa da
acque che non potevo combattere.
Ero così giovane.
Sperai che Benjamin lo avesse già capito,
già calcolato.
Non riuscivo a piangere. Dovevo
fare qualcosa o sarei impazzita, mi sarebbe scoppiato
il cervello.
Mi guardai attorno, vidi il
vaso di cristallo del tavolino all’ingresso, lo buttai a terra. Il suono
della lastra che si frantumava, delle schegge che fendevano l’aria, mi
tranquillizzò. Trovai una statuetta di porcellana, un orrendo prendi-polvere di chissà quanti anni fa, la
gettai a terra. La fine ceramica si squassò a terra
con un suono lieve e delicato, non mi soddisfò. Percorsi le scale
di corsa, senza fare attenzione agli altri, entrai
nella mia camera e mi chiusi la porta alle spalle, a chiave.
Ero totalmente fuori di testa. Andai in bagno e mi lavai la faccia, ma
l’acqua non era abbastanza fresca, e la testa era ancora troppo calda.
Decisi di bagnarmi la base del collo, ma avevo ancora più caldo,
perché la testa mi scottava. Avevo l’impressione di produrre
vapore, come le patate lessate. Misi tutta la testa sotto al
rubinetto e mi rilassai, l’acqua sembrava più fredda. Poi
diventò troppo fredda, e ritirai la testa,
quando sentii di avere i brividi. Come potevo non essermi accorta che era
gelata? Era assurdo. Poi mi sentii sporca, tutta sporca,
anche i vestiti. Aprii la doccia cinque secondi, facendo scorrere l’acqua
per farla scaldare per bene, mi ci buttai sotto con i
vestiti. Piano piano mi tolsi
tutto, mi pulivo bene perché mi sentivo sporca. Avevo
l’impressione di non riuscire a pulirmi, ci rinunciai e mi misi un
accappatoio addosso. Era un accappatoio molto morbido e profumato e mi
dispiaceva che dovessi toccarlo con la mia pelle sporca.
Poi cominciai a mettere in
pratica la mia idea, sperando che nessuno si accorgesse di quanto ero sporca.
Tirai fuori
dalla cabina armadio un paio di valigie, di quelle enormi, che si usano
per andare in quei posti in cui si ha la certezza di non poter trovare niente
di quello di cui uno ha bisogno. Le aprii entrambe, in mezzo alla camera da
letto, e aprii gli armadi. Cominciai
a riempire, senza un vero ordine logico, mettevo un po’ di tutto. Shorts, giubbotti, bianche canottiere di lino, guantini di camoscio, sandali, sciarpe. Non sapevo ancora
cosa sarebbe stato giusto portare.
Bussarono
alla porta, andai ad aprire. Avevo
quasi finito, potevo anche avere pubblico, dopotutto. Mi trovai di fronte mio
padre e mia madre, affiancati da Carlisle.
Mi suonò un campanello nella testa: l’asso nella manica Carlisle si usava solo in casi disperati, come per esempio
attacchi da parte dei Volturi, o evidente schizofrenia di un membro della
famiglia. Sospirai. Trovai lo sguardo di Benjamin,
acquattato alle spalle dei miei famigliari, curioso e indecifrabile come al solito. Gli sorrisi. Avevo proprio bisogno di mettere la
testa sotto l’acqua.
Ignorai il trio e ritornai
alle mie valigie. Infilavo e schiacciavo tutto, infilavo
e schiacciavo, mentre gli altri mormoravano. Trovai un altro paio di mani ad
infilare e a schiacciare, e mi chiesi come facesse a capire sempre tutto. O
forse semplicemente accettava i miei ridicoli sbalzi d’umore, cosa che
non avrei mai fatto, fossi stata in lui. A volte le
nostre mani si sfioravano, mentre preparavo la mia fuga. Presi una grossa
borsa, la mia Fendi preferita: sul momento non ci feci
nemmeno caso. Ci infilai dentro una bottiglia
d’acqua, il telefono, il laptop e il passaporto. Presi dei vestiti
dall’armadio, infilai anche un cardigan in borsa, non sapevo ancora quale
fosse la mia meta. Andai in bagno e mi vestii
velocemente, districai i capelli ancora fradici, non feci
caso agli occhi gonfi. Durante tutto quel lungo rito, non avevo mai
smesso di piangere. Mi sentivo secca, prosciugata. Quando
tornai nella stanza, Benjamin aveva già chiuso
le valige, e se ne stava seduto sul letto, a guardare negli occhi mia madre e
mio padre.
Non capivo come potesse
salvarmi anche solo restando in silenzio, immobile.
Ero ferma in mezzo alla
stanza.
-Sta per arrivare?-
-Sento i
suoi pensieri- Mio padre mi rispose
cercando di decifrare i miei pensieri. Non ci riuscivo nemmeno io, non ce l’avrebbe fatta nemmeno stavolta. Inspirai.
-Glielo dirò. Ma voi dovete aiutarmi. Non lasciatelo
solo, vi prego. Un giorno vorrò rivederlo, e vorrò vederlo
vivo, e senza di me, e senza quel suo stra maledettissimo
bisogno di me. Non lasciatelo solo-
-Non lo faremo. Dove te ne stai andando?-. Mamma aveva la voce più
dolce di tutti noi.
-Non lo so-
Mi abbracciò. Si fece
avanti e mi strinse forte e mi cullò un pochino.
-Ha solo
bisogno di più tempo- La voce triste di Benjamin
aleggiava nell’aria.
-Ha tutto il tempo che vuole-
Papà prese il posto di mia madre
nell’abbraccio, lo strinsi forte, sperando che capisse.
Benjamin e mia madre parlavano di
cose pratiche, spezzoni di discorso che non capivo a fondo. Si chiedevano se
sarei riuscita a guidare, se era meglio che lui andasse all’aeroporto
prima, se forse qualcuno doveva accompagnarmi, se lui aveva una diavolo
di idea di dove me ne potessi andare, e che il suo amico Thomas
ci avrebbe sicuramente dato una mano, ci avrebbe prestato una delle sue case,
ma doveva fare qualche telefonata, e poi c’erano i Volturi, ma non
c’era problema, Tatiana avrebbe saputo cosa fare, si sarebbe inventata
qualcosa, potevo lasciare il Paese senza problemi, almeno per ora.
-Renesmee, ricordati che qui c’è casa tua, no hai bisogno di scappare via. Ma
lo accettiamo, e ti aspettiamo-
Mi chiesi perché cazzo dicessero sempre le cose
giuste, quelle migliori, quelle che io non facevo mai.
-E’ solo che ci sforziamo di fare il meglio. Ma magari quello diciamo
è diverso da quello che pensiamo- rise nervosamente, anche io afferrai
l’ironia- puoi credermi-. Annuii, mi allontanai
dall’abbraccio.
Benjamin era lì, che spiegava a mia madre che cosa
avremmo fatto. Sapevo che avrebbe potuto sembrare
impassibile, ma sapevo decifrarlo, nel suo codice tutto particolare. E non per
me non era di certo un problema capire che era nervoso,e
preoccupato, e forse anche intimamente felice della piega che la cosa aveva
preso. Chissà se lo sapeva, che io capivo tutto.
-Vai all’aeroporto,
prendi le valige, ti raggiungerò subito-
Strinse leggermente gli occhi
scuri, si soffermò sul mio volto con singolare attenzione, ma non
trovò nulla di cui preoccuparsi. Ovviamente i nostri oscuri movimenti
gli altri non li potevano nemmeno avvertire. Mi sorrise,
forse la prima volta in cui gli altri lo vedevano sorridere.
-Ti
aspetto-
Non era esattamente un
commiato romantico, vederlo uscire dalla porta di camera mia con due enormi
valige da viaggio transoceanico, senza nemmeno un abbraccio, un bacio, qualche
bella frase. Ma non era proprio un problema. Mi
sedetti sul letto, esattamente di fianco dove fino a poco prima
c’era stato lui.
-Vuoi che diciamo a Jacob di salire?-. Non mi ero accorta che in camera era
rimasta solamente mia madre. Feci un cenno di assenso.
Mi ero persa a guardarmi attorno, a cercare di capire la mia camera. Avrei
voluto spogliarla del tutto, dormire sul pavimento e contemplare un muro
bianco. Non riuscivo più a capire tutta quella profusione di cose, oggetti,
accessori, colori, tessuti. Erano così pesanti: mi toglievano il
respiro.
-Mamma, ti prenderai cura di Jacob?-
-Ci proverò. Non devi
sentirti in colpa-
-Non dirlo se non lo pensi-
Non mi rispose.
-Cos’è che ti lega a lui?-. Forse volevo parlare con
rabbia, ma riuscii solo a simulare una stanca curiosità. Lei si morse un labbro, allontanò lo sguardo.
-E’ una storia così vecchia che non ha nemmeno
senso ricordarla-
-Quanto vecchia?-
-Una vita fa-. Certi
riferimenti non erano mai casuali, non potevano esserlo
in quella casa. Aggrottai le sopracciglia, disorientata.
-Qualcosa come quindici anni
fa, o giù di lì?-. Silenzio, mentre mia madre mi fissava,
eloquente e chiara nei suoi occhi dorati ed eterei. Rabbrividii: non era
possibile credere a quello che avevo appena capito.
Ma era del tutto inutile negare, e sebbene stentai
a trovare la voce, non potei non chiederglielo. –Mamma, eravate
insieme?-. Fece una smorfia, si guardò attorno.
-Non insieme-
-Ti piaceva?-
-Era il mio
migliore amico, e forse sì, un po’ lo amavo. Ma io non volevo-
Ovviamente perché lui voleva.
Ero disgustata dalla
malvagità della sorte.
Come diavolo era possibile
che succedesse due volte? Perché qualcosa,
qualche cazzo di forza pervertita, poteva fare questo
a lui? Alla stessa persona.
Mi incazzai molto con il destino, con la storia di tutti, in
quella mattina d’autunno color grigio chiaro, con la pioggia fine che
entrava un po’ dalla finestra semi aperta., e le foglie appiccicate alla
terra umida e mia madre che mi raccontava la storia sconosciuta di due ragazzi
normali, o quasi, che si innamorano ma si trovano ad affrontare forze molto
più grandi di loro. Sapevo bene che non me la potevo prendere con un
semplice giro di destino, di quelli che con un soffio ci sbattono proprio dove
non avremmo mai immaginato, m era sempre molto più semplice di
prendermela con me stessa o con Benjamin.
C’è sempre chi
rovina tutto, ma non era colpa mia se ero nata
così, e non potevo farci proprio niente. Forse anche Jacob
se la sarebbe presa col destino. Ci stavo ancora pensando
quando entrò, e io alzai gli occhi, e la mia gola era secca, e il
mio cuore batteva piano, un ritmo lento e silenzioso, come se si volesse
nascondere. Sospirai e incredibilmente gli sorrisi. Ma non era di certo il
sorriso che gli avevo sempre riservato: era quello di Benjamin, il suo sorriso triste di chi capisce
perfettamente il tuo dolore.
Ormai era parte di me, per un
semplice giro di destino.