La luna in
compagnia di qualche tremulo astro tingeva di candide luminescenze
l’oscuro cielo notturno di Città del Messico.
Ancora quello sguardo infuocato, ancora quella voce raccapricciante,
ancora quel viscido rettile sibilante, ancora una volta il sonno di
King fu bruscamente interrotto da quelle terrificanti immagini. Si
risvegliò sbarrando gli occhi e ansimando, ma attorno a lui
tutto taceva. Distesi i nervi, tese il braccio, sporgendosi lievemente,
sollevò dal piano del comodino una bottiglia di Tequila e ne
ingollò alcuni sorsi. Quella notte King aveva trovato riparo
nella camera trasandata di un fatiscente motel periferico, costatagli
pochi spiccioli, ma contenente tutto ciò di cui sentiva il
bisogno, ossia una branda arrugginita, un materasso e qualche coperta
sgualcita. I soldi guadagnati attraverso i combattimenti clandestini
finivano in massima parte in liquori e strip-club di bassa lega, per
cui quella misera stanza era il meglio che potesse permettersi, ma la
cosa non sembrava importargli. In realtà nulla pareva ormai
avere un qualche valore per lui. La sua vita era vuota e trascinata a
stento verso una via priva di meta, una simile situazione poteva
soltanto peggiorare. King si alzò ed afferrò
l’impermeabile con l’intenzione di indossarlo, ma
mentre lo sollevava qualcosa cadde da una tasca interna e
finì sul pavimento. L’uomo si chinò,
raccolse l’oggetto e si riadagiò sul letto per
esaminarlo. Si trattava di una vecchia fotografia che lo ritraeva
attorniato dai bambini dell’orfanotrofio. Fu scattata al suo
ritorno dal Giappone, dopo la fine del primo torneo del Pugno di Ferro.
Ricordava perfettamente quel giorno di festa, in cui tutti i piccoli
inneggiavano alle sue gesta di lottatore. King si commosse riportando
alla mente quei piacevoli attimi del suo passato, la
nostalgia di quel luogo e dei suoi abitanti non lo aveva mai
abbandonato. Dopo una lunga riflessione, decise che vi avrebbe fatto
visita quella stessa mattina e non mancava ormai molto al sorgere del
sole. King tentò di riprendere sonno, ma inutilmente,
finché l’alba fece il suo raggiante ingresso in
camera, attraverso i vetri infranti della piccola finestra. Il wrestler
uscì dal motel di buonora e si avviò con il cuore
colmo d’emozione verso l’amato orfanotrofio,
tuttavia non appena esso gli si parò innanzi in fondo alla
strada, egli sentì mancargli il respiro ed un avvolgente
brivido pervadergli la schiena. King fu colto da un improvviso
ripensamento ed avendo sentito qualcuno in procinto di uscire
dall’edificio, di istinto si nascose dietro le siepi che
circondavano la staccionata di cinta. Troppo tardi si era reso conto
che nessuno sarebbe stato lieto di rivederlo dopo tutto quel tempo in
cui era svanito nel nulla, senza dare notizia alcuna di sé,
senza uno straccio di addio, e soprattutto ridotto a quel modo pietoso.
Sarebbe stato di certo terribile per i bambini venire a sapere che il
loro idolo era divenuto un poco di buono, schiavo dell’alcol.
King si scorse lievemente dai rami per dare un ultimo sguardo al luogo
a cui aveva dedicato gli anni più soddisfacenti della sua
vita: nel cortile un gruppo di orfani stava giocando allegramente
assieme al loro tutore. Un amaro sorriso si distese sul volto di King,
che si rimise in piedi e si apprestò a tornare sui propri
passi, sennonché qualcuno strattonò un lembo del
suo impermeabile. Il Messicano si voltò, trovandosi di
fronte uno dei bambini, il quale inaspettatamente domandò:
“Noi ci conosciamo per caso, signore?”.
L’interpellato rimase pietrificato e non ebbe la forza di
rispondere, ma proprio in quel momento il tutore chiamò a
sé il fanciullo, invitandolo a non rivolgere più
la parola agli sconosciuti. King provò un bruciante senso di
vergogna, che lo gettò in uno stato di frustrazione. Fece
qualche passo per andarsene dal quel posto pieno di ricordi, ma si
fermò per qualche istante prima di proseguire.
Infilò una mano in tasca, da cui tirò fuori la
sua maschera maculata, la strinse forte nel suo pugno, poi con gesto
violento la scagliò tra le siepi, abbandonandola come
simbolo del suo distacco definitivo dal passato, infine riprese il
cammino, senza mai voltarsi indietro.
Ben presto la condizione di King precipitò. Diveniva sempre più difficile incontrarlo sobrio, i suoi scatti d’ira dovuti all’abuso di alcol diventarono progressivamente più frequenti, così come le sue visioni; il suo aspetto era trasandato, il suo carattere ingestibile ed i suoi movimenti rallentati ed impacciati, tanto che nessuno era più disposto a scommettere un centesimo sui suoi incontri e perciò anche la sua unica fonte di sostentamento si era ormai esaurita. Il grande lottatore dall’enigmatico volto di giaguaro si era squallidamente trasformato in un pezzente alcolizzato, costretto a mendicare per sopravvivere. Cominciò a dormire per strada, sotto una qualche copertura che potesse proteggerlo dalla pioggia, essendo per lui diventato troppo oneroso persino il peggiore degli sgabuzzini diroccati del motel. Tormentato dai fantasmi del passato e dai suoi incubi, King viveva ogni giorno sperando che finisse in fretta, costantemente perseguitato da quella voce incomprensibile che si insinuava sempre più spesso nella sua testa, per indebolirlo nel profondo e farlo impazzire.
Ben presto la condizione di King precipitò. Diveniva sempre più difficile incontrarlo sobrio, i suoi scatti d’ira dovuti all’abuso di alcol diventarono progressivamente più frequenti, così come le sue visioni; il suo aspetto era trasandato, il suo carattere ingestibile ed i suoi movimenti rallentati ed impacciati, tanto che nessuno era più disposto a scommettere un centesimo sui suoi incontri e perciò anche la sua unica fonte di sostentamento si era ormai esaurita. Il grande lottatore dall’enigmatico volto di giaguaro si era squallidamente trasformato in un pezzente alcolizzato, costretto a mendicare per sopravvivere. Cominciò a dormire per strada, sotto una qualche copertura che potesse proteggerlo dalla pioggia, essendo per lui diventato troppo oneroso persino il peggiore degli sgabuzzini diroccati del motel. Tormentato dai fantasmi del passato e dai suoi incubi, King viveva ogni giorno sperando che finisse in fretta, costantemente perseguitato da quella voce incomprensibile che si insinuava sempre più spesso nella sua testa, per indebolirlo nel profondo e farlo impazzire.