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Autore: suinogiallo    05/01/2010    2 recensioni
- E' morto! - dissi.
- Innegabilmente! - sentenziò il professor Homes guardando il cadavere con il suo occhio attento.
- Questo lo sapevo anche io! - storse la bocca in un ghigno lo sceriffo Simmons guardando il professore e me con occhio torvo.
Un omicidio, un caso che solo apparentemente sembra semplice, una buona occasione per vedere in azione la brillante mente del professor Homes...
(questa storia ha partecipato al contest "Arsenico e vecchi merletti" del sito Phantastes)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dal taccuino di R.A.
Il caso di Two Miles Road

by: suinogiallo


    - E' morto! - dissi.
- Innegabilmente! - sentenziò il professor Homes guardando il cadavere con il suo occhio attento.
- Questo lo sapevo anche io! - storse la bocca in un ghigno lo sceriffo Simmons guardando il professore e me con occhio torvo. Tra lo sceriffo e il professore non correva buon sangue,
Non che fossero nemici, ma non si poteva dire neanche che fossero amici. Si sopportavano.
O meglio, lo sceriffo sopportava il professore. Lui, invece, si limitava ad ignorarlo.
- Quando è stato trovato? - domandò poi iniziando a camminare dentro la stanza osservando il mobilio, le pareti, le finestre e quant'altro cadeva sotto il suo sguardo attento.  Nei modi e nei movimenti tendeva a ricalcare il suo quasi omonimo londinese. Tale Sherlock Holmes. Anche lui un investigatore privato con il pallino della deduzione logica1.
- Alle ore dieci e quarantadue di questa mattina! - gli rispose lo sceriffo. Se il professor Homes interpretava la parte di Sherlock Holmes lo sceriffo Simmons era decisamente ben calato in quella dell'ispettore Lestrade di Scotland Yard. I due messi insieme raffiguravano un quadretto decisamente ben assortito e, a volte, assai divertente.
- E chi lo ha trovato? - continuò con le domande assicurandosi che io stessi riportando quanto lo sceriffo diceva. Non che gli servisse. Aveva una memoria formidabile e praticamente non era mai accaduto che mi chiedesse di fargli rivedere gli appunti che avevo preso. Tuttavia insisteva che scrivessi ogni cosa che lo sceriffo e le altre persone che interrogava dicevano.
Credo che quegli appunti fossero per una specie di libro di memorie che più di una volta mi aveva detto aveva intenzione di scrivere. Ma erano ormai due anni che lavoravo con lui in qualità di apprendista investigatore privato e di quel fantomatico libro di memorie non ne avevo visto neanche una pagina. Anche per questo sto scrivendo io queste memorie. Per fare in modo che le gesta della mirabile arte investigativa del professor Homes rimanga almeno impressa su carta.
- L'agente Perkins! - rispose lo sceriffo osservandolo con occhio attento - E' stato chiamato alle dieci e ventidue dalla signora Matilde, la governante del defunto dottor Hopkins, preoccupata che il suo datore di lavoro non rispondesse alle sue chiamate! -
- Posso interrogare la signora? - domandò poi il professore.
- Adesso è nello studio al piano terra, non si è sentita bene e le ho fatto dare un cordiale! - rispose - Ma penso che possa rispondere a qualche domanda! -
- Bene! - sorrise leggermente finendo di esaminare il corpo - Robert - si rivolse a me - cosa mi dice di questo cadavere? -
- Si tratta di un uomo, bianco, dell'età di sessantadue anni - iniziai a dire sfogliando rapidamente il mio taccuino - apparentemente in  buona salute, almeno fino a questa mattina! -
- E' stato trovato morto alle dieci e quarantadue di oggi - continuai - sdraiato a terra, pancia sotto e testa girata verso est. L'arma del delitto è probabilmente un coltello tipo Bowie2 di cui si vede spuntare solo l'impugnatura dalla schiena del cadavere -
- Il braccio destro è lungo il fianco - aggiunsi poi - mentre il sinistro è sotto il corpo -
- E della stanza cosa mi dice? - mi domandò poi.
- Si tratta dello studio privato del defunto dottor Hopkins - risposi - si trova al primo piano dell'abitazione del dottore ed ha una sola porta di ingresso. C'è uno scrittoio, due grosse librerie, una lampada tipo... -
- L'arredamento lo salti! - mi bloccò - Nota qualcosa di particolare? Carte sparse sul pavimento, oggetti spostati, qualcosa di rotto? -
- No - mi diedi una rapida guardata intorno soffermando lo sguardo sugli oggetti più fragili  presenti nello studio - non ci sono segni di lotta o che lo studio sia stato perquisito. Non c'è nulla fuori posto e nulla di rotto - mi soffermai poi a guardare una delicata tazza di porcellana, con  dentro un residuo di liquido, che era in bilico sull'orlo della scrivania - Se ci fosse stata una lotta, probabilmente questa tazza sarebbe finita sicuramente per terra! -
- Andiamo a parlare con la signora Matilde! - decise infine il professore voltandosi verso la porta.
Poco prima di uscire, però si fermò all'improvviso pronunciando la frase che era diventata ormai la sua firma al pari dell'elementare Watson che ripeteva sempre, a quando si diceva, Sherlock Holmes.
- Ma si! - esclamò fermandosi per alcuni secondi accanto alla porta. Poi, tranquillamente, riprese a camminare scendendo al piano terra.

    Il professore era stato chiamato alle undici e trentadue di quella mattina dallo sceriffo Simmons che lo pregava di raggiungerlo al centovendidue di Two Miles Road, la strada che tagliava in due il quartiere residenziale più importante della città.
Io ero dedito, come spesso capitava di mattina, alla lettura dei giornali e all'archiviazione delle notizie che, secondo il professore, erano meritevoli di essere conservate. Di solito, infatti, lui leggeva i giornali intorno alle sei di mattina e me li lasciava poi nello studio con dei segni rossi intorno agli articoli che reputava importanti. Il mio compito era quello di leggere a mia volta i giornali e poi ritagliare gli articoli che aveva segnato. Di tanto in tanto ritagliavo anche qualche articolo che, secondo me, era meritorio di finire nel suo archivio personale.
Dicevo, io ero intento a questo compito quando qualcuno suonò il campanello dell'abitazione del professore, al numero dodici di Stratford Avenue.
Si trattava di un giovane agente dell'ufficio dello sceriffo che, trafelato per la corsa ci informò che il professore era desiderato nel luogo di un crimine.
Capitava sovente che lo sceriffo richiedesse l'intervento del professor Homes come consulente sulla scena di qualche crimine. Sebbene non lo potesse sopportare non negava la sua preparazione in quel particolare campo che è la criminologia applicata e più di una volta le intuizioni geniali del mio mentore avevano contribuito a risolvere delitti che, altrimenti, sarebbero rimasti impuniti.
Cosi, dopo esserci preparati e coperti adeguatamente, pur essendo marzo inoltrato le temperature in quei giorni erano alquanto fredde, uscimmo dall'abitazione e, tranquillamente raggiungemmo l'indirizzo che il giovane agente ci aveva indicato.
Durante il tragitto domandai al professore per quale motivo non avessimo preso una carrozza per raggiungere il luogo. Dalla nostra abitazione a Two Miles Road la distanza non era poca e, anche camminando a passo svelto, ci avremmo impiegato almeno una quarantina di minuti per raggiungerlo dato che si trovava in una zona estremamente periferica della città. Soldi e voglia di riservatezza spesso si uniscono e danno vita a quartieri come Two Miles. Non c'era cittadino in vista della città, banchiere, professore universitario che non avesse una casa li. I giardini cinti da alte mura di lauroceraso, i cancelli in ferro battuto e dalle punte aguzze. Tutto in quel quartiere diceva che chi ci abitava teneva alla sua privacy.
Il professore non mi rispose. Tuttavia quel suo silenzio mi confermò ciò che pensavo.
Voleva semplicemente farsi attendere dallo sceriffo. Forse una sua piccola vendetta personale per essere stato chiamato a quell'ora.
Già.
Il professore aveva infatti degli orari alquanto strani e bizzarri.
La mattina si alzava sempre molto presto. Alle cinque era già in piedi e pronto per la sua passeggiata mattutina dalla quale tornava sempre, alle sei, con un carico di giornali. Fino alle sette, poi, si dedicava alla lettura degli stessi e alla cernita degli articoli da ritagliare. Alle nove, infine, dopo aver fatto colazione si rimetteva a letto dove, solitamente, poltriva leggendo un libro, fino all'ora di pranzo.
Nel pomeriggio, invece, diventava infaticabile. Se c'era un caso su cui indagare vi si dedicava anima e corpo, altrimenti si dedicava a lunghe passeggiate lungo il fiume o per i boschi che circondavano la città. E tutto questo fino all'ora di cena.
A mezzanotte, poi, si metteva a dormire.
Quella mattina, invece, lo sceriffo lo aveva strappato da quelle sue abitudini e quell'andare piano, a piedi, doveva essere una specie di vendetta nei suoi confronti.
Sapeva che lo sceriffo non se ne sarebbe andato e quindi, probabilmente, tanto valeva farlo aspettare.

    - Signora Matilde! - introdusse lo sceriffo Simmons entrando nello studio al piano terra. A giudicare dal lettino da visita, uno scheletro probabilmente finto, e altre attrezzature mediche doveva essere lo studio in cui il dottor Hopkins riceveva i suoi pazienti. Da un lato, poi, un armadio con le porte in vetro chiuse a chiave lasciava intravedere parecchi flaconi con nomi strani scritti sulle etichette. Doveva trattarsi dell'armadio dei farmaci.
Non potei fare a meno di notare, però, che c'era molta polvere sugli scaffali interni e sui flaconi. Segno che o erano li solo per far scena o che il dottore non esercitava più la pratica medica da parecchio tempo.
- Si! - la donna alzò il capo guardando verso di noi. Doveva avere all'incirca la stessa età del defunto dottore e i capelli racchiusi in una crocchia severa dietro la testa e il portamento eretto che aveva denotavano una certa arcignità di carattere.
- Il signor Homes vorrebbe farle qualche domanda - disse poi lo sceriffo.
- Lei vive qui? - domandò subito, senza attendere alcun permesso, il professore.
- No! - rispose prontamente - Vivo nella city, a Black Holes road! -
- E a che ora è arrivata qui, questa mattina? - incalzò il professore.
- Alle dieci! - rispose - Come tutte le mattine. Quando il campanile della chiesa di St. Greek suona per la messa delle dieci io sono sempre qui! -
Notai che sebbene lo sceriffo ci avesse detto che la signora avesse avuto un malore in quel momento mi sembrava stesse decisamente bene. Il colorito roseo, le mani ferme, lo sguardo acuto e penetrante che fissava il professore. Nulla lasciava trasparire lo choc per la morte del suo datore di lavoro e per aver visto un cadavere. Rapidamente decisi di appuntarmi questa cosa e, insieme alle risposte che la signora Matilde dava al professore scrissi anche che, secondo me, la signora era tranquilla come se nulla fosse accaduto.
- Mi racconti cosa è successo? - le domandò poi il professore.
- Alle dieci sono arrivata qui - iniziò il suo racconto - Ho raccolto la posta e l'ho sistemata su di un mobiletto all'ingresso, poi sono andata in cucina e come prima cosa ho lavato i piatti della cena di ieri sera, poi ho controllato la dispensa ed ho fatto la lista della spesa. Infine sono salita al piano di sopra per chiedere al dottore se voleva che comprassi qualcosa di particolare, ma quando sono arrivata di fronte alla porta del suo studio l'ho trovata chiusa a chiave -
- Il dottor Hopkins era solito chiudersi a chiave? - chiese il professore.
- No, per niente - gli rispose - anzi, non si chiudeva a chiave neanche quando andava in bagno! Era terrorizzato dall'idea che gli potesse accadere qualcosa in una stanza chiusa a chiave e con i soccorritori che perdono tempo a cercare di aprire la porta! - rapidamente, poi, portò la mano al bicchiere di cordiale che aveva vicino e dopo averne bevuto un sorso riprese a parlare - Ho provato a chiamarlo, e dopo non aver ricevuto nessuna risposta ho provato ad aprire la porta con la seconda chiave, ma non ci sono riuscita! -
- Una seconda chiave? - domandai. Il professore mi scoccò uno sguardo accigliato. Io ero il suo allievo e non dovevo intervenire. Tuttavia la domanda mi era sorta cosi spontanea che non ero riuscito a trattenerla.
- Si - mi rispose - ogni chiave di questa casa ha un suo doppione che si trova in una bacheca grande in cucina. Ho preso quindi il doppione della chiave della porta dello studio ed ho cercato di aprirla, ma non ci sono riuscita! -
- La porta era chiusa dall'interno e la chiave era nella toppa! - spiegò lo sceriffo.
- Cosi sono uscita di corsa ed ho cercato un agente! - terminò la signora Matilde.
- Immagino che adesso vorrà sentire l'agente Perkins? - chiese lo sceriffo.
- Dopo! - lo zittì con un gesto della mano tornando a rivolgersi alla signora Matilde - Mi dica signora, avete un coltello tipo Bowie in casa? Il dottore ne aveva uno? -
- Coltelli? - lo guardò pensierosa - Abbiamo i coltelli che si trovano in tutte le case per bene, coltelli da cucina, da formaggio, da carne. Il dottore aveva poi parecchi bisturi, ma un coltello, come lo ha chiamato lei, non mi risulta! -
- Ed il dottore aveva qualche nemico? - il professore continuò con le sue domande.
- Sicuramente tra la plebaglia dei quartieri poveri! - rispose prontamente - Il dottor Hopkins era un bravo medico, molto stimato, e non aveva di certo tempo da perdere a visitare chi non poteva permettersi la sua parcella! Giù, nei bassifondi, qualcuno ogni tanto dice che un coltello nella schiena sarebbe il giusto per gente come il dottor Hopkins. Se volete trovare l'assassino indagate li! Sicuramente troverete il vostro uomo! -
- Non si preoccupi signora - intervenne lo sceriffo - noi troviamo sempre il nostro uomo! -
- Specie se il professor Homes vi aiuta! - fui tentato di dire ma fortunatamente riuscii a tenermi per me quello che pensavo.
Questo sia perché il professore, sebbene fosse concorde con me su questo punto, non avrebbe gradito quella mia esternazione, e sia perché c'era una dolce fanciulla con la quale amavo conversare che non mi avrebbe mai perdonato una uscita del genere. La figlia dello sceriffo Simmons.
Mah, non ho mai capito perché le donne debbano prendersela sempre cosi tanto quando si fa una critica al loro genitore.
Ma non è questo il luogo per cotante disquisizioni e chiedo perdono a voi lettori per questa piccola parentesi personale.
Terminato di interrogare la signora Matilde, che alla fine della chiacchierata si fece versare un'altra abbondate dose di cordiale, uscimmo dalla studio al piano terra ed uscimmo fuori dall'abitazione per incontrarci con l'agente Perkins. L'agente che la signora Matilde aveva incontrato lungo la strada e al quale aveva chiesto aiuto.
Prima di uscire dallo studio, però, il professore si fermò di scatto voltandosi verso la donna e domandandole a che ora aveva visto vivo il dottor Hopkins l'ultima volta.
Anche in quel caso la signora Matilde non sobbalzò e non mostrò alcun segno di irrequietezza e rispose tranquillamente che l'ultima volta era stata la sera prima, quando lo aveva salutato dopo avergli finito di preparare la cena. Alle sette e dodici.
Come potevano essere certi, tutti quanti, dell'ora era un vero mistero per me, ma senza farmi domande appuntai anche quella risposta nel mio taccuino e rapidamente seguii il professore e lo sceriffo fuori dall'abitazione.

    L'agente Perkins era un ragazzone di probabili origini irlandesi. Alto oltre il metro e ottanta, carnagione chiara con ancora i segni dell'acne giovanile ed i capelli rossi.
Lo sceriffo Simmons ci presentò a lui dicendogli che il professore aveva qualche domanda da rivolgergli.
- Aye! - rispose subito fermandosi sull'attenti. Ad occhio e croce non doveva essere più anziano di me, forse sui vent'anni e a giudicare dal nervosismo che si poteva percepire dai segni del suo corpo quella doveva essere la prima volta che si trovava in una situazione del genere.
- A che ora è stato chiamato dalla signora Matilde? - gli domandò il professore.
- Erano circa le dieci e venti! - rispose - Stavo terminando il mio giro di ronda lungo Two Miles Road quando ho vista la signora Matilde venirmi incontro di corsa. Mi ha detto che il suo datore di lavoro, il dottor Hopkins, non rispondeva alle sue chiamate e che non riusciva ad aprire la porta dello studio al primo piano! -
- L'ho seguita fino in casa e poi fino di fronte alla porta dello studio al primo piano! - continuò - Ho provato anche io a chiamare il dottor Hopkins e quando non mi è giunta nessuna risposta ho provato ad aprire la porta! Poi ho deciso di buttarla giù con una spallata e una volta dentro... -
Qui si interruppe ingoiando un grosso bolo di saliva.
- Ho visto il corpo del dottor Hopkins sdraiato a terra con il manico di un pugnale che gli usciva dalla schiena - concluse - a quel punto ho dato l'allarme ed ho fatto avvisare l'ufficio dello sceriffo! -
- Ha toccato qualcosa nello studio? - gli chiese poi il professore accertandosi che io stessi scrivendo ogni singola parola - Ha mosso il cadavere? Ha permesso a qualcuno di entrare? -
- No signore! - disse prontamente - Mi sono avvicinato quanto bastava al corpo per accertarmi che fosse morto, gli ho messo due dita sulla carotide e non ho sentito pulsazioni! Poi mi sono messo sulla soglia della porta ed ho atteso che arrivasse lo sceriffo! -
- Era freddo? - domandò il professore - Il cadavere intendo? Quando lo ha toccato era freddo? -
- Aye! - disse di nuovo - Gelido! -
- Le finestre erano aperte o chiuse? - lo incalzò.
- Aperte - rispose.
- La signora Matilde, mentre lei buttava giù la porta e poi entrava dov'era? - continuò con le domande.
- E' rimasta di fuori tutto il tempo - mormorò facendo delle smorfie per cercare di ricordare con precisione ogni minima cosa - mi ha accompagnato fin di fronte alla porta dello studio e poi è rimasta in disparte! -
- E quando è sceso per cercare qualcuno per avvisare lo sceriffo, la signora Matilde è scesa con lei? - lo incalzò.
- Quasi non si reggeva in piedi! - mormorò - Povera donna, lo choc deve essere stato molto forte. Si era seduta su di una sedia e li l'ho ritrovata quando sono risalito! -
- Ha provato ad aprire la porta con la chiave? - chiese infine il professore.
- No signore! - disse - La signora Matilde mi aveva detto che aveva provato anche lei ma che la porta era chiusa a chiave dall'interno e che la chiave era dentro la toppa! -
- E la porta ha fatto molta resistenza prima di aprirsi? - domandò il professor Homes lanciandomi uno sguardo che doveva significare fai molta attenzione a questa risposta.
- No signore! - sorrise - Sa, al college facevo parte della squadra di rugby -
Stava forse per aggiungere qualcosa quando venne interrotto dall'arrivo di un altro agente, questa volta decisamente più anziano, che incurante dell'interrogatorio che stava avvenendo disse a gran voce allo sceriffo che c'era un testimone.
- Un uomo è stato visto allontanarsi questa mattina intorno alle cinque dall'abitazione del dottor Hopkins! - riferì quasi con orgoglio - E quest'uomo è stato anche riconosciuto! E' Lery Merlot, un poco di buono che abita nei bassifondi e che nei giorni precedenti era stato visto litigare con il dottor Hopkins! -
- Merlot! - esclamò lo sceriffo - Lo conosco! Lo avrò arrestato almeno una mezza dozzina di volte! - poi rivolgendosi verso il professore - Credo che questa volta dovremo fare a meno delle sue brillanti deduzioni! Il caso è praticamente risolto! -
- Mio caro sceriffo - sorrise guardandolo - risolto come il caso di Chesterfield Manor? O come quello di Little Bitch road? -
Si trattava di due casi, tra i tanti, che secondo lo sceriffo avevano una soluzione semplice e che invece si erano dimostrati dei veri ossi duri. Ricordarglieli era una vera cattiveria dato che alla fine la vecchia frase la polizia brancola nel buio in quei due casi era quanto mai azzeccata. Ma il professore era solito uscirsene in quella maniera.
- Non questa volta! - sbuffò.
- E' stato un piacere vederla! - aggiunse poi vedendo il coroner che con il suo solito passo strascicato e stanco avanzava verso la casa del dottor Hopkins - Le farò avere il rapporto del coroner e quando avrò messo le mani su Merlot la inviterò per l'interrogatorio! -
- Signor Autore - si rivolse a me prima di seguire il coroner dentro la casa - mia moglie e mia figlia sarebbero liete di averla a cena da noi questa sera. Alle sette! - e senza dire altro scomparì dalla nostra vista.
- Direi che siamo in orario per un pranzo alla Lunchette! - sorrise invece il professore sbirciando il grosso orologio da taschino - E per una salutare passeggiata, quest'oggi direi che il sentiero dei Frati Neri possa andar bene! -
E con il suo solito passo tranquillo e compassato iniziò ad incamminarsi subito seguito dal sottoscritto.

    Solo adesso mi rendo conto di una grossa maleducazione da parte mia.
Vi ho presentato gli attori principali di questa storia, il professor Homes, lo sceriffo Simmons e il defunto dottor Hopkins, ma non vi ho detto nulla di me. Il vostro umile narratore.
Accanto a simili figure, comunque, non è che io brilli in maniera eccelsa ma credo che qualche rigo di questo scartafaccio io possa anche usarlo per dirvi qualcosa di me.
Il mio nome è Robert Autore e se qualcuno di voi, graziosi lettori, penserà che questo è un nome che ha già sentito da qualche parte dirò subito che è lo stesso nome di mio nonno. Lui sicuramente molto più conosciuto di me. Ed è stato anche il nome del primo figlio di Roberto Autore, il navigatore romano che nel 1500 scoprì questo continente. Da allora chiamare qualcuno della famiglia Robert, o Roberto, è stata una tradizione della nostra famiglia.
Ho conosciuto il professor Homes circa due anni fà, quando all'età di diciassette anni mi trasferii a Doyle City per diventare suo allievo.
Non si trattò di una mia scelta però.
Come molti giovani della mia età, verso la fine del diciannovesimo secolo, ero attratto dai racconti del dottor Watson, il biografo del brillante investigatore londinese Sherlock Holmes e sognavo di emulare le gesta del grande detective risolvendo casi difficilissimi e salendo agli onori della cronaca per aver scoperto spie e machievelliche cospirazioni ai danni della mia nazione.
Purtroppo però, pur impegnandomi molto, non avevo quelle doti che un brillante investigatore adepto della deduzione scientifica doveva possedere e più di una volta mi misi nei guai.
Ed alla fine i miei genitori, che pur avevano cercato di assecondare insieme a mia sorella gemella le mie velleità, decisero che se volevo continuare a coltivare quella mia passione dovevo seguire gli insegnamenti di qualcuno.
E fu allora che vennero a sapere del professor Homes, un investigatore privato che seguiva il metodo della deduzione scientifica del grande Holmes. Lo contattarono e gli chiesero se sarebbe stato disposto a prendere un allievo con se. Dietro pagamento di un compenso naturalmente.
Lui rinunciò al compenso ma accettò di prendermi come allievo e qualche giorno dopo arrivai alla stazione di Doyle City con una valigia piena di romanzi del dottor Watson ed una piccola borsa con un solo ricambio di abiti.
Ed è tutto qui.
In questi due anni in cui sono stato al fianco del professor Homes l'ho visto risolvere casi complicati come quello di Little Bitch e casi molto più facili, come quello della scomparsa della signora Crawford.
E nel frattempo ho incontrato la creatura più soave e dolce che possa esistere sulla faccia della terra. Ma queste mie piccole divagazione personali non credo possano interessare a voi lettori e quindi me ne asterrò. O quantomeno cercherò di ridurle.

    Dopo aver consumato un rapido pranzo alla Lunchette, un piccolo e grazioso ristorante sul fiume, con il professore ci trasferimmo nella veranda per sorseggiare un bicchiere di Porto.
Il professore amava particolarmente quel vino e a fine pasto non perdeva mai occasione per sorseggiarne un bicchiere. In quel caso si trattava di un Porto vintage invecchiato quindici anni.
I suoi gusti erano innegabilmente sofisticati e costosi. I suoi abiti, tanto per dirne una, non erano mai più vecchi di sei mesi ed erano di sartoria. Fatti su misura.
Tuttavia dove prendesse il denaro per soddisfare quei suoi gusti era per me un mistero dato che se dall'ufficio dello sceriffo prendeva un minimo rimborso spese per le sue consulenze, dai clienti privati non prendeva nulla. E nonostante tutto mai una volta lo vidi risparmiare su qualche spesa.
Comunque, terminato il nostro Porto ci alzammo da tavola ed iniziammo ad incamminarci verso il sentiero dei Frati Neri. Una viottola nei boschi che si inerpicava sulla montagna fino ad arrivare ad un vecchio monastero abbandonato detto, per l'appunto, dei Frati Neri.
Come vi ho accennato al professore piaceva fare di queste camminate. Per avendo già superato i quaranta e più anni era ancora molto attivo ed il suo fisico asciutto lo aiutava. Un po' di meno, invece, queste camminate piacevano a me.
Pur non essendo mai stato un tipo sedentario, l'esercizio fisico non era una cosa che ricercavo come il pane. Anzi, se potevo lo evitavo con cura.
Tuttavia quelle camminate erano anche l'occasione per discutere di casi in corso o di vecchi casi che aveva risolto e per me era sempre un piacere starlo ad ascoltare. In fondo ero li per imparare ed ascoltare i suoi aneddoti o discutere sui casi in corso era sicuramente un buon modo.
- Cosa pensa di questo caso? - mi domandò improvvisamente. Quella era la prima volta che mi chiedeva di fargli sapere che idea mi ero fatto e rimasi, per questo, leggermente basito.
- Robert, lei è qui per imparare a fare l'investigatore privato - aggiunse poi vedendomi interdetto e anche un po' preso alla sprovvista - ed anche se non so quanto tutto questo le servirà nella sua vita futura, in questi due anni qualcosa avrà imparato! -
Secco e diretto come sempre.
- La vittima è il dottor Hopkins! - tirai fuori il taccuino con i miei appunti iniziando a sfogliarlo velocemente mentre cercavo di tenere il suo passo - E' stato ucciso con un colpo di coltello alla schiena tra le ore sette e dodici e le ore dieci e ventidue del giorno dopo! -
- Il coltello - mi fermò il professore - lei ha notato che tipo di coltello era. Per quale motivo? -
- Difficile non notarlo! - risposi - Si tratta di un Bowie Knife, il coltello del colonnello Jim Bowie, uno degli eroi di Alamo! -
- E cosa ha tanto di particolare da renderlo subito cosi riconoscibile? - mi domandò poi.
Devo essere sincero, in un primo momento quelle domande mi parvero un po' strane. Il professore, e di questo ero certo, aveva una conoscenza molto approfondita di una moltitudine di armi. Da quelle da fuoco alle armi bianche senza menzionare, poi, armi decisamente meno comuni come le bolas o le cerbottane utilizzate da diversi popoli come armi, come alcuni popoli indios che usavano intingere le punte dei loro dardi nel curaro per rendere ancor più mortale la loro arma o come i ninja che usavano i loro fukidake per lanciare delle polveri accecanti.
- Non passa di certo inosservato - risposi comunque - è un grosso coltello, lungo oltre venti centimetri e abbastanza pesante da non poter essere nascosto dentro una tasca di una giacca o di un pastrano senza farlo notare! - poi aggiunsi che era anche un coltello abbastanza costoso dato che doveva essere fatto arrivare direttamente dagli Stati Uniti e che al costo, già di per se alto, del coltello loccorreva aggiungere il costo della spedizione.
- E questo non le fa venire nulla in mente? - mi diede una stoccata continuando a camminare come se niente fosse.
In quel momento mi sentii un idiota.
Ma certo!
Un coltello del genere non era comune e sarebbe bastato fare qualche domanda per scoprire a chi apparteneva. Lasciarlo sulla scena del delitto era stata una leggerezza incredibile da parte dell'omicida che, in un certo senso, aveva lasciato la sua firma.
Rapidamente glielo dissi sicuro di vederlo sorridere e complimentarsi con me.
Ed invece mi ripeté di nuovo se tutto quello non mi facesse scattare una molla.
- Non si fermi solo al primo strato! - mi disse - Continui a scavare! Se grattata la terra trova qualcosa non si accontenti, continui a scavare! Può darsi che sotto ci sia qualcosa di decisamente più importante! -
In quel momento però non mi veniva in mente nulla di più di quanto gli avevo già detto e dopo qualche minuto di silenziosa camminata fu il professore a cambiare discorso chiedendomi cosa avevo notato della stanza dell'omicidio.
- Era chiusa a chiave da dentro! - dissi subito - E le finestre erano aperte. Forse l'assassino è entrato dalla porta, l'ha chiusa, ha accoltellato il dottor Hopkins e poi è scappato dalla finestra! -
Qui ero sicuro di avere un coup de theatre. Mentre andavamo via dall'abitazione del defunto mi ero guardato intorno molto attentamente ed avevo notato che accanto alle finestre dello studio al primo piano c'erano delle grate di legno per far arrampicare l'edera che decorava quasi tutta la parete dell'abitazione. Sarebbe stato facile scendere da li.
- L'ho notate anche io! - mi smontò anche quell'ipotesi - Ma non è da li che chi ha ucciso il dottor Hopkins è fuggito! Sempre ammesso che sia fuggito davvero! -
Quella frase cosi sibillina gettata cosi, quasi come se niente fosse, mi paralizzò la mente.
Possibile che il professore avesse già scoperto il colpevole?
- Per oggi basta cosi! - decise improvvisamente voltandosi ed iniziando a fare il percorso inverso a quello che avevamo fatto per arrivare fin li - Non vorrei farla arrivare troppo stanco alla cena con la sua amata! Ma prima di andare dal nostro caro sceriffo potrebbe farmi la cortesia di spedire dei telegrammi? -

    Quella sera a cena non fui per niente di compagnia e Clarisse, la figlia dello sceriffo, lo notò quasi subito.
Di solito ero un brillante conversatore e la mia preparazione su molteplici aspetti del sapere tendeva sempre a venire fuori. Grazie alle mie varie passioni e alle possibilità economiche che mi avevano permesso di leggere svariati libri potevo definirmi ferrato su decine di cose diverse.
Dalle ultime ricerche di Edison sulla luce elettrica agli studi sulle muffe di Vincenzo Tiberio non trascurando argomenti meno scientifici come la cucina o il gioco delle bocce.
Cionondimeno quella sera fui un conversatore quasi assente limitandomi solo a rispondere, il più delle volte, con qualche monosillabo.
Ciò che aveva detto il professore ancora mi risuonava nella testa.
Il coltello era una traccia importante. Questo lo avevo capito anche io. Ma secondo il professore la traccia non era quella che avevo ipotizzato io.
Cosi come la finestra.
Perché secondo il professore l'assassino non era scappato dalla finestra?
E poi si erano aggiunti i telegrammi.
Erano tutti e tre indirizzati alla stessa casella di posta. Doveva trattarsi di un qualche informatore privilegiato del professore dato che spesso, durante i casi più complessi, spediva a quell'indirizzo uno o più telegrammi con delle semplici richieste.
A volte era solo un nome, a volte un indirizzo.
Ed invariabilmente da li a poco riceveva delle lettere consegnate a mano oppure la visita di qualche misterioso personaggio con il volto celato da una maschera veneziana.
Quella volta sui tre telegrammi c'erano scritti solo dei nomi. In uno signora Matilde, nel secondo dottor Hopkins e nell'ultimo signor Merlot. Segno evidente che voleva raccogliere quante più informazioni possibili su questi tre personaggi.
- Robert? - mi chiamò Clarisse.
- Si? - mi voltai verso di lei riscuotendomi da quell'apatia che mi era calata addosso.
- Mio padre ti sta chiedendo se vuoi andare con lui a fumare un sigaro in biblioteca - mi disse guardandomi incuriosita.
- Si, certo! - risposi prontamente. Non che fossi cosi entusiasta di quell'invito. Il sigaro non era tra i vizi che preferivo e al fumo di quei pestilenziali cosi preferivo di gran lunga quello delle sigarette. Tuttavia dire di no sarebbe stato scortese, soprattutto considerando il fatto che lo sceriffo Simmons era il padre di quella perla di ragazza di nome Clarisse.
Per questo, e per migliorare le mie quotazioni presso di lui, ogni qualvolta mi capitava di andare da loro mi premunivo di portarmi dietro alcuni Hoyo de Monterrey, e furono proprio due di questi sigari che, pochi minuti dopo tagliammo ed accendemmo nella biblioteca della villetta dello sceriffo.
- Del brandy? - mi domandò dopo alcuni minuti lo sceriffo. Per lui fumare il sigaro era una specie di rito e fintanto che il braciere non fosse perfettamente acceso non proferiva parola.
- Grazie sceriffo - risposi sedendomi su una delle poltrone vicino al camino in cui stava allegramente bruciando un grosso ceppo.
- Quando siamo a casa chiamami Simms3 - mi ricordò versando due abbondanti dosi di brandy italiano in dei bicchieri ad uovo tronco - il professore ha qualche pista da seguire per il caso del dottor Hopkins? -
- No - risposi prendendo poi uno dei due bicchieri ed iniziando a scaldarlo con le mani - avete arrestato il signor Merlot? -
- Ancora no! - si sedette anche lui sbuffando una grossa nuvola di fumo - Si è reso irreperibile, e questo conferma ancora di più la mia tesi! E' lui il colpevole! -
- Ma non parliamo di questo - sviò improvvisamente il discorso - a dir la verità la decisione di invitarti questa sera a cena non è stata di mia moglie o di Clarisse, bensì mia! - poi diede un paio di tirate violente al sigaro come era solito fare solo quando era nervoso - E' più di un anno ormai che frequenti questa casa e l'interesse che mia figlia ha per te e tu per lei è palese! -
- A giugno terminerà gli studi - continuò - e a settembre entrerà all'università di Autore, lettere -
Già sapevo tutte quelle cose, compreso il fatto che Clarisse aveva più volte manifestato al padre l'intenzione di non iscriversi all'università di Autore ma a quella, molto più vicina a Doyle, di Allan.
Non capivo, però, per quale motivo lo sceriffo Simmons stesse accennandomi quelle cose.
- Io e mia moglie ne abbiamo parlato a lungo - continuò poi lo sceriffo continuando a tirare boccate di fumo e a sbuffarle fuori come una locomotiva in salita - e conveniamo che ufficializzare il vostro fidanzamento tra i mesi di giugno e settembre sarebbe la cosa migliore! -

    La mattina dopo mi svegliai con un mal di testa tremendo. Cosa normale dopo un paio di sigari e i tre bicchieri di brandy della sera prima.
Dopo l'annuncio dello sceriffo Simmons della sua volontà di ufficializzare il fidanzamento tra me e Clarisse, ed il volto felice della ragazza che non doveva essere all'oscuro di quella cosa, ero tornato a casa quasi volteggiando sulle punte e non ero riuscito a prendere sonno fin quasi all'alba.
Quando la governante del professore mi venne a svegliare avvisandomi che la colazione era pronta mi sentivo uno straccio. Felice ma ridotto quasi da buttar via.
Ciononostante mi alzai e mi dedicai subito alle prime attività del giorno. Fare colazione e leggere i giornali che il professor Homes mi aveva lasciato sul tavolo della sala da pranzo.
Come al solito aveva segnato in rosso gli articoli che più gli interessavano e tra questi, notai, ce ne erano anche alcuni che riguardavano il caso che stavamo seguendo, ovvero l'omicidio del dottor Hopkins.
Tra questi uno attirò la mia attenzione. Il professore lo aveva segnato ripetutamente aggiungendo poi un suo appunto personale. Leggilo attentamente!
E per rafforzare questa sua richiesta aveva fatto seguire il suo appunto da ben tre punti esclamativi.
Ed ovviamente fu il primo articolo a cui mi dedicai mentre sbocconcellavo le tre fette di bacon che madame Hics, la governante, aveva preparato.

    Orribile omicidio ieri mattina a Two Miles Road. Ucciso il dottor Hopkins, stimato medico della nostra città.
A seguire, sotto al titolo, veniva la descrizione minuziosa di come era stato ritrovato il corpo, della stanza in cui era avvenuto l'omicidio, del modus operandi del crimine e, a conclusione dell'articolo, una breve biografia del defunto dottore.
Contrariamente a quanto credevo il dottor Hopkins non veniva da una famiglia agiata e non era figlio di medici. Le sue origini erano umili e se aveva potuto studiare era stato solo grazie alle generose donazioni di un misterioso patrocinatore che aveva pagato tutte le sue spese scolastiche. Grazie a delle fortunate coincidenze era, poi, diventato un medico molto conosciuto e si era arricchito grazie a facoltosi pazienti che lo avevano eletto a loro medico di fiducia.
Da una storia del genere sembrava naturale che il dottor Hopkins dedicasse parte del suo tempo e della sua professione a curare i malati del bassifondi. In fondo proveniva da li e sarebbe stato naturale che non rinnegasse le sue origini.
Invece, terminava l'articolo, il dottor Hopkins aveva dimenticato del tutto le sue umili origini e, l'articolista riportava, rifiutava sdegnosamente di curare qualunque paziente non potesse permettersi la sua parcella.

    Terminato di fare colazione salii di nuovo in camera mia e dopo essermi dato una lavata mi vestii e scesi di nuovo al piano dabbasso recuperando i giornali dalla sala da pranzo e portandomeli nello studio del professore dove, armato di forbici, avrei ritagliato gli articoli segnati per poi sistemarli secondo un preciso ordine dentro delle cartelline.
Come al solito, notai, mentre iniziavo a ritagliare, c'erano articoli diversi per genere e tipo.
Oltre quelli relativi all'omicidio del dottor Hopkins ce ne erano alcuni relativi alla situazione mondiale, qualcuno che riguardava piccoli pettegolezzi locali. In una delle pagine interne di un quotidiano della capitale, poi, aveva segnato la pubblicità di un importatore di armi che declamava l'economicità dei suoi coltelli. a seguire c'erano alcuni esempi di prezzi tra cui, notai, quello di un Bowie Knife che era indicato come super economico.
Mi venne quasi da ridere vedendo il prezzo.
Economico per chi?
Per qualche riccone.
Il prezzo era cosi astrusamente alto, e reale aggiungo, che ben poche persone se lo sarebbero potuto permettere.
Dopo aver scavato e aver trovato qualcosa sotto la superficie continua a scavare.
Ecco cosa voleva dire!
Come faceva il signor Merlot a possedere un coltello del genere?
Neanche lavorando tutta una vita avrebbe potuto permetterselo! Ed anche se lo avesse avuto, sarebbe stato cosi sciocco da lasciarlo poi piantato nel cadavere?
A parte che un coltello del genere non sarebbe mai passato inosservato e qualcuno sicuramente prima o poi lo avrebbe associato ad un volto, ma un coltello cosi costoso non lo si lascia cosi, in giro.
E sicuramente non lo aveva trovato nello studio del dottore. La signora Matilde, scorsi velocemente le pagine del mio taccuino, aveva affermato che dentro casa coltelli di quel genere non c'erano mai stati.
Dal caso semplice che mi era parso all'inizio, devo ammettere che l'ipotesi dello sceriffo era parsa anche a me quella più realistica, stava diventando decisamente complicato.
Comunque, terminai rapidamente il mio lavoro di ritaglio e, al termine, visto che mancava ancora un'ora prima che il professore si alzasse da letto decisi di andarmene a fare un giro per Doyle.
Pur essendo solo due anni che vivevo in quella cittadina mi ero ben integrato e mi piaceva scambiare quattro chiacchiere con i cittadini durante le mie rare passeggiate in solitaria.
Ma quella mattina era destino che non potessi permettermi di uscire.
Infatti, ero già sulla porta quando un fattorino dell'ufficio dello sceriffo mi recapitò un plico per il professore.
Si trattava del referto del coroner che aveva esaminato il corpo del defunto. Lo sceriffo era stato di parola.
Senza neanche aprirlo lo misi su di un mobiletto all'ingresso e mi accinsi di nuovo ad uscire. Questa volta il fattorino che mi bloccò era decisamente male in arnese. Vecchio, sdentato e con una gamba che muoveva con un movimento falciforme.
Portava con se un plico accuratamente chiuso e sigillato con un cerchio di ceralacca verde. Non era la prima volta che vedevo quel sigillo. Il misterioso informatore del professore usava sigillare i suoi plichi con quel tipo particolare di ceralacca sulla quale poi apponeva una specie di codice che il professore non aveva mai accettato di spiegarmi. Ogni volta che gli chiedevo qualcosa si limitava a dirmi che non era ancora ora e che sapere troppe cose poteva non essere saggio.
Di solito era molto felice di spiegare e raccontare decine di cose, ma su quel particolare sigillo, invece, era molto restio a parlarne e l'unica cosa che mi aveva detto al riguardo era la parola chiave per ricevere i plichi sigillati in quel modo.
E solo dopo aver detto quella parola il vecchio sdentato mi passò il plico voltandosi poi rapidamente e, con quella sua strana andatura, si allontanò.
A quel punto la speranza di potermi dedicare ad un a mia passeggiata solitaria era sfumata. Se il rapporto del coroner poteva anche attendere lo stesso non si poteva dire per le informazioni racchiuse dentro quel secondo plico.
E cosi, dopo essermi tolto il soprabito ed il cappello, mi diressi nella camera da letto del professore per portargli il plico.

    - Molto interessante! - esclamò leggendo i fogli contenuti all'interno del plico.
- Ho riflettuto sul coltello! - gli disse improvvisamente durante una pausa della lettura - Ed in effetti è strano che uno spiantato, uno dei bassifondi come il signor Merlot possegga un Bowie Knife! -
- Può scavare di più! - si limitò a dirmi rituffandosi nella lettura dei fogli - Ha capito una cosa molto importante, ma quel coltello può ancora dirci molto! -
- Ha già letto il referto del coroner? - mi domandò poi alzando lo sguardo dai fogli.
- Non ancora! - feci di no con la testa. Il mal di testa che mi era da poco passato mi stava tornando. Ero stato felice come una pasqua quando avevo scoperto quella cosa sul coltello ed ecco che il professore mi aveva di nuovo buttato giù.
Cosa poteva ancora dirmi quel coltello?
Il nome dell'assassino?
- Lo legga e poi me lo riassuma! - mi ordinò - Non ho tempo per leggere le sconsideratezze che il vecchio dottor Gibson scrive! Andando avanti con gli anni diventa sempre più logorroico! -
Ed in effetti, vidi, il referto era lungo quasi cinque fogli e scritto nella grafia minuscola e ben poco leggibile del dottor Gibson, medico, coroner e anatomo patologo della cittadina di Doyle.
Rapidamente lessi il rapporto appuntandomi mentalmente alcuni dei passaggi più importati e dopo una buona mezz'ora iniziai a riassumerlo al professore.
- La causa della morte è stata la pugnalata - riassunsi - è stata sferrata alla schiena, all'altezza dei reni ed ha tranciato l'aorta. La morte è, presumibilmente, giunta tra il minuto e i due minuti successivi per shock emorragico. L'ora della morte non è determinabile con sicurezza dato che le finestre erano aperte e la temperatura esterna era abbastanza bassa da falsare l'abbassamento della temperatura del cadavere. -
Cinque pagine per dire quelle due cose. Il dottor Gibson stava davvero diventando sempre più logorroico.
- C'è un appunto del dottor Gibson alla fine - aggiunsi poi - secondo lui la pugnalata è stata sferrata con il corpo del dottor Hopkins già a terra e l'assassino doveva essere una persona molto forte dato che il coltello, che ha una lama di circa venticinque centimetri, si è scheggiato in punta uscendo dall'addome e cozzando violentemente contro il pavimento! -
- E perché il dottor Hopkins doveva essere già a terra? - mi domandò il professore - C'erano altre ferite? Traumi al capo? Segni che sia stato stordito? -
- Secondo il dottor Gibson no! - gli risposi - L'unica ferita che ha rilevato è stata quella del coltello -
- Penso che una nuova visita alla casa della vittima si renda necessaria - decise improvvisamente alzandosi da letto - dica a madame di prepararci dei sandwich ed una bottiglia di Brunello di Montalcino, quest'oggi pranzeremo al sacco! -
- D'accordo! - annui.
Stavo facendo per uscire quando la governante bussò alla porta entrando subito dopo ed annunciando che lo sceriffo Simmons desiderava parlare con il professore.
- Ci sono sviluppi! - previde il professore indossando una veste da camera sopra al pigiama che indossava - Madame, vuole essere cosi cortese da farlo accomodare nel mio studio, io e il signor Robert lo raggiungeremo tra qualche minuto! -

    Quando entrammo nello studio trovammo lo sceriffo intento a guardare un piccolo mappamondo in vetro sulla mensola del camino. Al nostro ingresso si voltò e ci salutò amichevolmente. La sua faccia irradiava una giovialità che ben poche volte gli avevo visto dipinta sopra. Le indagini dovevano aver fatto un passo in avanti molto importante.
- Abbiamo trovato il signor Merlot! - esordì subito - E non ci sono dubbi che sia lui il colpevole! -
- Lo avete interrogato? - domandai.
- Purtroppo no! - si rabbuiò per un istante tornando poi a essere raggiante - Ma non ci possono essere più dubbi ormai! Avete letto il rapporto del coroner? L'assassino doveva essere un uomo con una certa prestanza fisica ed il signor Merlot lo era! -
- Lo era? - gli chiese il professore.
- Purtroppo si! - allargò le braccia - Questa mattina i miei uomini lo hanno trovato che stava tentando di prendere un treno al volo poco al di fuori della stazione, quando gli hanno intimato di fermarsi lui è scappato ed il fato ha voluto che finisse sui binari proprio mentre il diretto delle nobve e tre quarti transitava di la. E' stato travolto ed è morto sul colpo! -
- Comunque, la testimonianza dell'uomo che lo ha visto allontanarsi di corsa dall'abitazione del defunto dottor Hopkins, il referto del dottor Gibson, ed il fatto che ha tentato di sottrarsi all'arresto sono meglio di una confessione! - sorrise - Il caso è chiuso! -
- Non direi! - sorrise a sua volta il professore - Ci sono ancora delle cose da chiarire! Il movente, ad esempio, e poi come abbia convinto il dottot Hopkins a sdraiarsi a terra? -
- Ah, ecco cosa dimenticavo! - gli rispose lo sceriffo - Il movente! Circa un anno fa il signor Merlot portò la sua unica figlia dal dottor Hopkins in quanto aveva la febbre alta. Non so per quale motivo la portò proprio da lui visto che era risaputo che non visitava pazienti che non potessero pagare la sua parcella. Comunque la piccola morì pochi giorni dopo ed il signor Merlot giurò vendetta nei confronti del dottore che, a sua detta, non aveva fatto tutto il possibile per salvare la bambina! -
- E se adesso vuole scusarmi - si accomiatò da noi dirigendosi verso il portone di ingresso - il giudice mi attende per definire come chiuso questo caso! - e, salutandoci calorosamente uscì dall'abitazione salendo poi su una carrozza che lo attendeva di fuori.
- Pallone gonfiato! - lo apostrofò con un ghigno il professore - Robert, si prepari, abbiamo molto da fare e poco tempo per farlo! -
- Ma... - cercai di dire - ...il caso sembra davvero essere risolto! -
Mi dispiaceva per il professore. Sapevo che, a dispetto del suo mantenersi calmo e compassato, dentro era un turbine. La sconfitta non faceva parte del suo stile di vita, arrivare secondo non gli interessava. Per lui l'importante era vincere, il partecipare era solo un mezzo per vincere.
Ma quella volta, ebbi davvero il dubbio che fosse lo sceriffo il vincitore di quella sfida. Ed io ero nel mezzo, contrastato tra l'essere dispiaciuto per il professore e l'essere felice per lo sceriffo che da li a pochi mesi sarebbe diventato mio suocero.
- Madame! - gridò improvvisamente il professore - Ci prepari un pranzo al sacco, tramezzini al prosciutto e una bottiglia di Brunello! -

    La nostra prima sosta fu l'abitazione del defunto dottor Hopkins.
Rispetto all'animazione del giorno precedente quella mattina c'era una calma quasi irreale.
Velocemente il professore si diresse nel giardino e poi sul lato dal quale si affacciavano le finestre dello studio.
Il giorno prima non avevo potuto guardare bene la grata e l'edera che vi si avvinghiava addosso salendo fino oltre le finestre del primo piano per cui approfittai di quella seconda visita per osservarla con più cura.
Alcune foglie era schiacciate a distanze quasi regolari e, notai, c'erano anche delle macchie di terra sulla grata. Probabilmente era dove l'assassino aveva messo i piedi per salire e poi scendere.
Tuttavia qualcosa non quadrava con l'idea che mi ero fatto, ovvero che l'assassino aveva usato quella via per entrare e poi uscire dallo studio.
I segni della scalata salivano fino ad un certo punto per poi scomparire.
- Ha visto abbastanza? - mi domandò - Entriamo dentro! - e senza attendere una mia risposta si voltò raggiungendo poi, a passo lungo e svelto, il portone di ingresso.
- Sembra non ci sia nessuno! - dissi dopo che ebbi suonano il campanello per alcune volte senza ricevere nessuna risposta.
- Meglio! - sorrise tirando fuori da una tasca interna del soprabito un grimaldello con il quale ermeggiò per alcuni secondi con la serratura delle porta.
- Ma questa è una effrazione! - cercai di fermarlo. Se qualcuno ci avesse visto sarebbero stati dei guai. Violazione di domicilio.
- Non si preoccupi per la signorina Clarisse! - sorrise aprendo la porta - Nel caso le spiegherò che sono stato io a trascinarla in questa piccola effrazione! - poi, velocemente entrò dentro la casa invitandomi a fare altrettanto.
In silenzio ci dirigemmo nello studio del piano terra, dove avevamo interrogato la governante.
- Una cosa che ha notato è che l'armadio dei farmaci appare come se non fosse stato usato da molto tempo! - mi disse dirigendosi proprio verso quell'armadio - Ed in effetti, c'è tanta di quella polvere da far pensare che l'ultima volta che sia stato aperto lei doveva portare ancora i calzoni corti! -
- Mai portati! - mi trovai a pensare. Cosa voleva farmi capire?
- Eppure sappiamo per certo che il dottor Hopkins ancora esercitava la professione medica! - aggiunse poi - E secondo il mio informatore proprio il giorno prima di essere ucciso aveva ricevuto non meno di tre pazienti! E ad almeno uno aveva dato un farmaco! -
- Quindi deve esserci un altro armadio! - ipotizzai - Ma questo cosa c'entra? -
- Ancora non lo so! - ammise con un leggero sorriso - Ma una volta che lo avremo trovato sarà tutto più chiaro! -

    Trovare il secondo armadio dei medicinali fu più facile di quanto pensavo. Non era nello studio al piano terra bensi in quello del secondo piano. Dove era stato ucciso. Ed era un armadio anonimo, con le ante di legno e senza alcuna scritta.
Tuttavia una volta aperto ci trovammo di fronte a decine di flaconi contenenti alcuni dei liquidi e altri delle pillole.
Rapidamente scorsi le etichette dei flaconi e accanto a nomi decisamente noti come la digitale o il laudano trovai anche alcuni nomi che ben poco mi dicevano. Verso il fondo di uno degli scaffali interni, poi, vidi alcuni flaconi che riportavano solo la formula chimica. La maggior parte mi era del tutto sconosciuta ma almeno una attirò la mia attenzione più delle altre.
Un anello aromatico, benzenico, ed uno diazepinico.
Avevo visto quella stessa struttura in un lavoro che era stato presentato pochi mesi prima sulla rivista scientifica Scientific Journal of Medicine in cui si ipotizzava che farmaci con quella struttura potevano avere effetti sulle crisi epilettiche e sull'insonnia4.
Eppure non mi sembrava che il nome del dottor Hopkins comparisse tra gli estensori di quell'articolo.
Un'altra cosa però mi attirò di quel flacone. Era mezzo vuoto.
Tutti gli altri erano pieni e con una fascetta a sigillarli mentre quello era pieno solo per metà e la fascetta era stata rimossa.
Lo feci presente al professore che, sorridendo, ripeté la sua solita frase, quella che diceva quando qualcosa andava ad incastrarsi al posto giusto.
- Ma si! - esclamò - Adesso possiamo andare a pranzo! -
Nel mentre uscivamo dallo studio dove avevano trovato il cadavere una cosa attirò la mia attenzione.
Lo stipite della porta.
Quando eravamo stati li la prima volta, il giorno prima, avevo guardato la porta ma non lo stipite.
Mi era sembrata una cosa quasi inutile. C'erano le dichiarazioni dei testimoni che la porta era chiusa a chiave, c'era la serratura della porta con ancora la chiave inserita nella parte interna e il chiavistello fuori di qualche centimetro.
Ma quel giorno uscendo dallo studio l'occhio mi cadde sullo stipite della porta.
Come per l'edera sulla grata anche in quel caso qualcosa mi disturbò con il suo non quadrare nello scenario che mi ero dipinto.
L'agente Perkins butta giù la porta con una spallata, è stato giocatore di rugby al college ed anche se non massiccio ha un fisico muscoloso.
Sullo stipite della porta avrei dovuto vedere i segni di quella apertura forzata.
E difatti, notai, c'erano nella parte superiore. Quella dove si andava ad inserire il chiavistello collegato alla maniglia.
Ma non c'era nulla nella parte inferiore. Quella dove, se la porta fosse stata effettivamente chiusa a chiave ci sarebbe dovuto essere il chiavistello della serratura.
Un nuovo scenario iniziò a farsi strada nella mia mente mentre il professore, accortosi che mi ero fermato a fissare quasi imbambolato lo stipite della porta si fermò a sua volta guardandomi con un sorriso.
- Cosa ne pensa? - mi domandò improvvisamente.
- Che la porta non era chiusa a chiave! - gli risposi.
Tuttavia questa mia ipotesi non reggeva di fronte alla dichiarazione dell'agente Perkins che affermava di aver provato ad aprire la porta ma di averla trovata chiusa.
- Ma se l'agente Perkins ha provato ad aprirla, come ha fatto a non riuscirci? - gli domandai.
- Continui ad osservare! - mi spronò ad osservare con ancora più cura la stanza e la porta.
Devo ammettere, però, che oltre a quanto avevo già visto non ci fu nulla che mi fece scattare quel campanello come era accaduto con l'edera e lo stipite della porta.
Tuttavia, mormorai tra me giocando con un cuneo di legno che avevo trovato nello studio, doveva esserci qualcosa. Il professore doveva averla vista e non era possibile che io non riuscissi a vederla.
Fui però costretto ad arrendermi e lasciata cadere a terra il cuneo mi rivolsi al professore per chiedergli di darmi la risposta a quel quesito.
- A suo tempo! - mormorò - Forse c'è ancora modo perché lei ci arrivi per suo conto! -
E detto questo uscimmo dall'abitazione lasciandocela rapidamente alle spalle mentre ci dirigevamo verso il parco dove avremmo pranzato.

    Terminato il pranzo ci dirigemmo verso la città e, fermata una carrozza, il professore disse al vetturino di portarci all’ufficio dello sceriffo.
- Mi manca un ultimo tassello! – mi disse mentre la carrozza si dirigeva rapidamente verso il centro di Doyle.
- Ha scoperto l’assassino? – gli domandai incuriosito. Gli ultimi elementi che avevamo scoperto mettevano in dubbio l’ipotesi che ad uccidere il dottor Hopkins fosse stato il signor Merlot, tuttavia, nel quadro di indizi che avevamo raccolto ancora non riuscivo a vedere un insieme che potesse darmi almeno una qualche indicazione valida.
A meno che, pensai, nelle informazioni che il professore aveva ottenuto non ci fosse qualcosa di cui non ero ancora a conoscenza. E con in mente questa cosa gli chiesi cosa ci fosse scritto in quei fogli.
- La chiave del mistero! – mi rispose sibillinamente.
Devo dire che quel suo mantenere un riserbo quasi totale su quelle informazioni mi irritò leggermente. Ma era nel suo carattere. Al termine delle indagini mi avrebbe fatto leggere tutte le carte ma prima, ed era già accaduto in passato, per me quei dati erano del tutto segreti.
Ero quasi indeciso se provare ad insistere. In fondo erano due anni che ero con lui ed ormai doveva aver capito che si poteva fidare di me. Ma non ne ebbi l’occasione.
Infatti, proprio mentre stavo per aprir bocca e dire ciò che pensavo la carrozza si fermò ed il vetturino ci disse che eravamo giunti a destinazione.
Mi appuntai rapidamente in mente di cercare di riprendere quel discorso più tardi, a casa, e velocemente scesi in strada seguendolo, poi, dentro l’ufficio dello sceriffo.

    - Mio caro Homes! – lo salutò giovialmente lo sceriffo vedendolo entrare nel suo ufficio. Era certo di aver posto la parola fine a quel caso, ed in un tempo estremamente ridotto tra l’altro, e quindi riteneva di aver tutti i motivi per essere contento ed amichevole. Finanche con il suo nemico – E’ sempre un piacere vederla! – poi si voltò verso di me – Cosa ne dice di venire a trovarmi un giorno di questi? Mi farebbe molto piacere parlare di nuovo con lei mentre ci si gode il fumo di un buon sigaro! –
- Certamente! – sorrisi facendo buon viso a cattivo gioco. La sola idea di rimanere per ore chiuso dentro la biblioteca della casa dello sceriffo, immerso nel fumo pestilenziale dei suoi sigari, mi deprimeva. Ma non era davvero il caso di dirlo. In fondo era pur sempre il padre della mia amata Clarisse.
- Avrei un favore da chiederle – disse invece il professor Homes – il coltello con cui è stato assassinato il dottor Hopkins! Vorrei vederlo se fosse possibile! –
- Ma certo! – esclamò – Rudy! – chiamò uno degli agenti – Scendi nel magazzino delle prove dei casi conclusi e porta su la scatola del caso Hopkins! – poi tornò a rivolgersi a noi – il giudice ancora non ha chiuso il caso, ma è questione di poco ormai e mi sono portato avanti facendo già archiviare le prove! –
- E’ quindi sicuro che sia stato il signor Merlot! – gli disse il professore.
- Aveva un movente, era sul luogo del delitto, ha tentato la fuga – sorrise – non può confessare perché ormai è ridotto a tanti pezzetti dentro una scatola nello studio del coroner, ma quanto abbiamo ci basta ed avanza! –
- Ed il fatto che abbia usato un coltello da oltre trecento dollari americani che nessuno gli ha mai visto, e che abbia poi lasciato un coltello cosi costoso sulla scena del crimine – lo fulminò con una delle sue occhiate il professore – il fatto che nessuno sia mai entrato o uscito dalla finestra dello studio, tantomeno il defunto signor Merlot, queste cose come le considera nelle sue geniali deduzioni? –
La faccia dello sceriffo passò dalla giovialità ad una espressione più tetra di disappunto.
- Queste sono quisquilie! – cercò di riprendersi – C’è più di una persona che è disposta a giurare di aver visto il signor Merlot discutere animatamente con il defunto dottore! Aveva un movente, la vendetta per la sua povera figlioletta morta. Il coltello può averlo rubato, ed il fatto che lo abbia lasciato sulla scena del crimine può solo dimostrare che magari è stato un gesto di impulso. Ha accoltellato alla schiena il dottore e poi, vinto dal rimorso è scappato precipitosamente senza pensare ad altro! –
- E come mi spiega che il dottore fosse già sdraiato a terra quando è stato accoltellato? – lo incalzò il professore – Glielo avrebbe chiesto, gentilmente, il suo assassino e lui avrebbe acconsentito senza fiatare, senza provare a difendersi? –
- Nello studio ci sono molti oggetti fragili ed in precario equilibrio! – continuò facendo diventare sempre più tetra la faccia dello sceriffo – Eppure non c’è nulla in disordine. Tutto è perfettamente al suo posto! –
- E se lo avesse fatto sdraiare, e se il dottore avesse acconsentito senza nessuna protesta a questa richiesta – continuò poi – questo non quadrerebbe con l’ipotesi di un delitto di impeto e, quindi, l’assassino sarebbe stato folle a lasciare un oggetto cosi particolare come è l’arma del delitto! –
- Il mondo è pieno di folli! – esclamò lo sceriffo lanciando una occhiata di traverso al professore quasi a voler sottolineare quello che stava dicendo e a voler sottendere che, di folle, in quel momento ne aveva uno proprio dinanzi.
Per fortuna a mettere fine a quella piccola diatriba verbale giunse l’agente Rudy con una scatola in legno dentro la quale erano conservati alcuni oggetti che lo sceriffo aveva prelevato sulla scena del crimine. Tra cui il famoso coltello.
- Bene! – ruggì lo sceriffo quasi strappando dalle mani dell’agente la scatola – Qui c’è il suo coltello, lo esamini per tutto il tempo che vuole e poi mi faccia la cortesia di andarsene! Qui dobbiamo lavorare e non giocare a fare il detective! –
Non era raro assistere a simili scontri tra loro due. In due anni che ero li mi era già capitato e tutte le volte temevo per le coronarie dello sceriffo. Infatti, mentre il professore tendeva a rimanere calmo ed impassibile, lo sceriffo Simmons si infervorava. Le vene del collo gli si inturgidivano ed il volto assumeva un colorito rubizzo. Più di una volta temetti che sarebbero venuti anche alle mani ma questo non accadde mai.
La cosa stupefacente era, però, quando il caso veniva definitivamente chiuso. Praticamente sempre con la vittoria del professore ed il malvivente assicurato alla giustizia.
Chiuso il caso i due alleati/nemici si ritrovavano a casa del professore, seduti su di un divano a bere qualcosa e a chiacchierare amabilmente come due carissimi amici.
Sarebbe andata cosi anche quella volta, ma per il momento i due continuavano a guardarsi in cagnesco.
- Grazie! – sogghignò poi il professore prendendo il coltello e osservandone il manico per alcuni secondi passando il dito su una piccola scalfittura nel pomello, poi prese dalla scatola anche un orologio da taschino con la cassa posteriore bucata e, dopo averlo osservato per meno di un attimo ripose anche quello – Può riportarlo giù! – poi, voltandosi per andarsene – Le sarei grato se domani, per le quattro pomeridiane, potesse raggiungermi nella mia umile dimora per la risoluzione del caso e per assicurare alla giustizia l’assassino! Sarebbe opportuno che si facesse accompagnare anche dall’agente Perkins! –
E, lasciando lo sceriffo a terminare di sbollire la rabbia, uscimmo dall’ufficio dirigendoci, poi, verso il fiume per la camminata post prandiale che quel giorno avevamo leggermente posticipato.

    - Mio caro Robert – si fermò ad osservare alcune piccole imbarcazioni che solcavano il fiume – immagino che si starà chiedendo chi sia l’assassino e quali siano gli indizi che mi hanno portato alla sua identificazione! –
- In effetti! – mormorai tirando su il bavero del soprabito per proteggermi il collo dal vento che stava iniziando a farsi gelido.
- Rifletta – mi disse poi – su cosa possiamo essere sicuri? –
- Sul fatto che la porta non era chiusa a chiave – iniziai ad elencare – che il colpo di coltello è stato sferrato con molta forza, e che l’assassino non è uscito dalla finestra ma, a questo punto, dalla porta! –
- Quindi, l’assassino è stato fatto entrare nella casa – aggiunsi poi cercando di concatenare tutti gli elementi in mio possesso – la porta di ingresso non presenta segni di effrazione. Lei, oggi, per aprirla ha lasciato dei piccoli segni con il grimaldello, segni che non erano presenti prima. Forse era qualcuno di cui il dottore si fidava! –
- Vedo che lentamente ci sta arrivando – sorrise.
- Già, ma lo stesso non riesco a capire chi possa essere! – mormorai – Di primo acchito mi verrebbe in mente l’agente Perkins. Lui potrebbe avere la forza necessaria per piantare un coltello nella schiena di una persona sdraiata a terra fino a scheggiarne la punta sul pavimento. Poi si sarebbe fatto trovare fuori dalla casa giusto in tempo per ricevere la chiamata di soccorso della signora Matilde e buttare giù la porta per avvalorare la tesi che fosse chiusa a chiave e della finestra come unica via di fuga! – poi mi fermai alcuni secondi per riordinare le idee – Ma perché la signora Matilde ha trovato la porta chiusa? Se era solo accostata perché non è riuscita ad aprirla? –
- A meno che… - la risposta mi giunse quasi da sola - …a meno che la signora Matilde e l’agente Perkins non fossero in combutta tra di loro! Allora tutto quadrerebbe! –
Devo dirvelo. In quel momento mi sentii quasi di poter competere con il professore. Quella mia analisi era cosi geniale che mi sentii inorgoglito di averla fatta.
Gli unici due testimoni in combutta tra di loro. Quale miglior modo per cercare di farla franca?
- Farebbe condannare un innocente! – mi smontò, invece, il professore facendomi tornare con i piedi per terra – Ma sta migliorando! Solo qualche mese fa avrebbe preso per buona la tesi dello sceriffo senza neanche pensare di metterla in discussione. Ma deve ancora imparare a scavare! –
- Madame dovrebbe aver quasi messo la cena in tavola – chiuse li il discorso riprendendo a camminare e, fischiettando l’aria di un’opera lui, mestamente io, ci incamminammo verso casa.

    La mattina successiva la trascorsi come al solito. Alle nove madame Hics venne a chiamarmi per la colazione e dopo la lettura dei giornali e l’opera di archiviazione me ne andai nello studio per mettere ordine nei miei appunti e copiarli in un quaderno insieme agli altri.
Il caso stata per essere risolto e quindi era giunto il momento di tirare le somme e prepararsi ad archiviarlo insieme agli altri casi che in quei due anni il professore aveva risolto.
Nel mentre ero intento a fare questo iniziai anche a tirare le somme di cosa avevo fatto io in quei due anni. E la risultanza era pressoché zero.
Salvo prendere appunti, ritagliare articoli dai giornali e seguire il professore non avevo contribuito alla risoluzione di neanche un caso. Mi ero limitato a fare da spettatore e forse, riflettei, era giunto il momento di decidere cosa fare della mia vita.
Ero giunto li pieno di belle speranze. Allievo di uno degli investigatori privati più conosciuti del continente. Ero convinto che nel giro di pochi mesi sarei stato in grado di camminare con le mie gambe ed invece, eccomi li, a ricopiare in bella qualche appunto e a chiedermi se non fosse ora di tornarmene a casa e, per dirla con le parole di mia sorella, iniziare a pensare cosa volevo fare da grande.
Certo, mi dissi alzandomi dalla scrivania e sbirciando fuori dalla finestra che dava su Stratford Avenue, c’era qualcosa che mi tratteneva ancora a Doyle. Una dolce ed amabile ragazza con la quale amavo chiacchierare e che tra pochi mesi sarebbe diventata la mia fidanzata.
Ma, riflettei, che futuro potevo darle?
Lavorando come investigatore privato, con le mie scarse capacità, avrei potuto forse a malapena sfamare me. Figuriamoci mantenere una famiglia.
Suo padre avrebbe potuto farmi assumere come detective nel suo ufficio e la paga sarebbe stata migliore. Me ne aveva parlato.
Ma io volevo camminare con le mie gambe. E forse la direzione in cui dovevo camminare non era quella.
Davvero, tornare a casa e dedicarmi finalmente a quello che sarebbe stato il mio futuro era la scelta migliore.
Ma sarebbe stato come ammettere la mia sconfitta e, sapete, su questa cosa io, lo sceriffo ed il professore ci somigliamo.
A nessuno di noi tre piace ammettere di essere stati sconfitti.
E con quella idea in mente mi rimisi a copiare i miei appunti cercando, intanto, di capire anche dove avevo sbagliato

    La prima ad arrivare fu la signora Matilde.
Il professore mi aveva informato che aveva invitato anche lei e pertanto la feci accomodare nello studio dove, con l’aiuto di madame Hics la misi a suo agio servendole del the e dei pasticcini che il professore aveva ordinato ad una piccola pasticceria di Stradford Avenue.
Come quando l’avevamo interrogata appariva piuttosto tesa. Il volto era una maschera di pietra. Nessuna espressione traspariva dai suoi lineamenti e tranne un piccolo sorso di the non accettò altro, lamentandosi, nel frattempo, di essere stata convocata li senza nessuna spiegazione.
Per comprovarmelo mi mostrò poi il telegramma che il professore le aveva spedito e che recitava solo la sua presenza è richiesta al numero dodici di Stradford Avenue alle ore quattro pomeridiane. Un messaggio decisamente laconico e che se fosse stato ricevuto da me sarebbe finito nel cestino della carta straccia in meno di un minuto.
Alle quattro in punto arrivò lo sceriffo. Come richiesto dal professore si era fatto accompagnare dall’agente Perkins.
Feci accomodare tutti e due nello studio e anche con loro ripetei l’offerta del the con i pasticcini che, questa volta, venne ben accolta. Alla richiesta dello sceriffo di poter fumare il sigaro fui, però, costretto a dire di no. Il professore non fumava ed era tassativamente vietato accendere anche una piccola sigaretta nel suo studio.
E finalmente giunse anche il professore che, quasi immediatamente venne accolto dalle vibrate proteste della signora Matilde che, per buona aggiunta, lo minacciò anche di azioni legali per quella che, a suo dire, era una grandissima perdita di tempo dato che l’assassino del suo datore di lavoro era stato già trovato dalla giustizia terrena e che stava già scontando la sua pena all’inferno.
Cosa volesse ancora da lei, aggiunse infine, era un mistero e quell’accanirsi sarebbe stato certamente sanzionato da qualcuno più in alto di tutti loro.
- Non dubito che espierò le mie colpe quando sarà il momento – le sorrise amabilmente mentre si andava a sedere dietro la sua scrivania. Io mi sistemai da una parte, con il mio taccuino in mano, e mi preparai ad assistere.
Lo sceriffo, invece, si era accomodato sulla sua poltrona preferita. Non era a suo agio. Più tardi mi disse che aveva riflettuto sulle parole del professore e che, seppur minimo, un fondamento di verità l’avevano.
L’agente Perkins sembrava quello più calmo di tutti. Si era seduto su di una poltroncina damascata e si stava guardando intorno con un O di meraviglia stampato sul volto.
Quel posto, per lui, doveva essere simile ad una stanza dei tesori o a qualcosa di favoloso.
- Vi ho fatto venire qui, oggi, per assicurare alla giustizia un assassino! – disse improvvisamente – O meglio, una assassina! –
Tutti gli sguardi caddero sulla signora Matilde che, perdendo per un attimo la sua espressione di pietra si mosse a disagio sulla poltrona.
Durò solo per un attimo perché un secondo dopo aveva di nuovo lo sguardo impassibile.
- Sceriffo – disse poi – lei mi è testimone, quest’uomo sta accusandomi! Le chiedo di porre fine a questa farsa e di raccogliere la mia denuncia! –
- Non dubiti signora! – annuì senza battere ciglio – Ma ascoltiamo prima cosa ha da dire! –

    - Iniziamo dal chiedere per quale motivo il signor Merlot ha portato la sua figlioletta dal dottor Hopkins – iniziò a parlare il professore – pur sapendo, ed era cosa risaputa, che il dottore non visitava alcun paziente che non potesse pagare la sua parcella! – poi prese un foglio da una cartelletta e lo passò allo sceriffo – Ho qui la testimonianza firmata di una persona che afferma che la signora Matilde era stata la balia della madre della bambina e che era rimasta sempre in buoni rapporti con lei, anche dopo il matrimonio di questa donna con il signor Merlot. Matrimonio che lei osteggiava! –
- Era un poco di buono! – disse improvvisamente la signora Matilde – Ed ero certa che avrebbe fatto soffrire la mia piccola! –
- Per questo motivo quando la loro figlioletta si ammalò di difterite la portarono dal dottor Hopkins! – continuò il professore – Grazie alla signora Matilde, che nel frattempo era diventata la governante e segretaria del dottore, la piccola ricevette tutte le cure del caso ma, nonostante questo venne a perire ugualmente! –
Una piccola crepa si aprì nel volto granitico della signora Matilde.
- Il signor Merlot minacciò più volte il dottore – continuò – a suo dire le cure non erano state adeguate. E forse il giorno in cui il dottore è stato ucciso il signor Merlot era li per minacciarlo di nuovo. O forse per ucciderlo. Fatto sta che quando è scappato dall'abitazione del  dottor Hopkins l'omicidio ancora non era stato commesso! Il testimone che lo ha visto fuggire è sicuro dell’ora in cui lo ha visto, le cinque di mattina. Ma a quell’ora il delitto non era stato ancora compiuto. Infatti, il dottor Hopkins è stato accoltellato alle cinque e quindici,  l’ora in cui l’orologio da taschino del dottor Hopkins si è fermato a causa del coltello che lo ha colpito prima di andare a fermarsi contro il pavimento! Ed il cadavere era già molto freddo quando l'agente Perkins lo ha toccato perché la temperatura quella mattina era gelida e con le finestre aperte il cadavere è sceso di temperatura più rapidamente! –
- Probabilmente ha anche visto l’assassino ed è per questo che ha deciso di scappare! – aggiunse – Sapeva che sarebbe stato interrogato e voleva evitare di dover scegliere tra il non parlare e il denunciare una persona che aveva comunque provato a fare molto per la sua bambina! -
- Signora Matilde - si rivolse poi alla governante che iniziava a far trasparire i primi segni di nervosimo - lei ci ha detto che l'ultima volta che ha visto vivo il dottor Hopkins è stata la sera prima dell'omicidio, alle sette e venti, e che non dormiva nella casa del dottore! - poi, volgendo lo sguardo verso lo sceriffo - Ma come sarà facile per lo sceriffo confermare, nella sua casa alla City non ci sono segni della sua permanenza da oltre tre anni. Ho fatto chiedere e i suoi vicini sono concordi nell'affermare che lei non dorme nella sua casa da molto tempo ormai. Cosi come sarà facile rilevare nella casa del dottore che c'e una stanza adibita a sua camera da letto! -
- Infatti, il dottor Hopkins non aveva solo la fobia di rimanere chiuso a chiave dentro una stanza - disse poi rivolgendo, questa volta, a tutti - ma aveva anche paura di rimanere da solo di notte, e per questo che lei si era trasferita nella sua abitazione -
- Signora Matilde! - disse lo sceriffo alzandosi e rivolgendosi alla governante - E' vero quanto il professor Homes sta dichiarando? -
- Si! - ammise a bassa voce. Si stava torcendo le mani dal nervosismo e la maschera granitica che fino a poco prima era il suo volto stava cadendo a pezzi sempre più rapidamente.
- Ma come può aver ucciso il dottore? - chiese poi lo sceriffo rivolgendosi a Homes - Il colpo di pugnale è stato cosi violento da spezzarne la punta sul pavimento! E poi la porta chiusa a chiave dall'interno! Non può di certo pensare che la signora Matilde possa essersi calata dalla finestra! -
- Ogni cosa a suo tempo! - sorrise - Prima sveliamo il mistero dietro alla posizione sdraiata del dottore quando è stato accoltellato! -
- Sicuramente è difficile credere che una persona che si vede minacciare con un coltello di quelle dimensioni se ne stia tranquilla e accetti passivamente di venir fatto sdraiare a terra - iniziò la sua spiegazione - anche se debole farà comunque una certa resistenza, magari proverà a scappare, a difendersi. Ma nello studio era tutto in ordine. Non c'era un solo oggetto, per quanto fragile che fosse rotto. E questo ci fa pensare che il dottore potesse essere stato stordito in qualche modo. -
Il flacone con la soluzione sedativa che abbiamo trovato nell'armadio dei farmaci, me ne uscii.
- Esatto Robert - si voltò verso di me - si tratta di una soluzione sedativa che è ancora in fase sperimentale, sconosciuta ai più. La signora Matilde, però, la conosceva dato che era lei a tenere i contatti per conto del dottore con vari scienziati sparsi in tutto il mondo. E quella sera, quando il dottor Hopkins le chiese una camomilla lei gliela corresse con parte della soluzione contenuta nel flacone. Probabilmente non aveva alcun problema ad accedere all'armadio dei farmaci e non vista aveva già provveduto ad impadronirsi del potente sedativo! -
- Dopo aver bevuto la camomilla il dottore ha iniziato a sentirsi assonnato e quando non è riuscito più a reggersi in piedi lei lo ha accompagnato a terra avendo cura di non farlo sbattere da nessuna parte - continuò - Aveva già in mente tutto il piano e doveva aver cura di non far rimanere altri segni sul corpo del dottore -
- Basta cosi! Per favore! - urlò improvvisamente la signora Matilde scattando in piedi - Si, è vero! L'ho ucciso io! Ma meritava di morire! Aveva ucciso quella povera bambina e fatto soffrire la mia piccola! Doveva pagare! - poi tornò a sedersi, distrutta. Lo sguardo fisso a terra e perso nel vuoto.

    - Quando la figlioletta della mia piccola - iniziò a dire con voce atona - si ammalò chiesi al dottor Hopkins di visitarla. Fui molto contenta quando accettò di farlo, sapevo che non visitava nessuno che non potesse pagare la sua parcella. Le diagnosticò una forma molto grave di difterite e aggiunse che non c'erano molte speranze di salvarla. Tuttavia, disse, avrebbe provato con un farmaco che un suo amico stava sperimentando proprio in quei giorni5 -
- Ricevetti io stessa il pacco inviato tramite corriere - continuò - e lo accompagnai a casa della mia piccola per le somministrazione. Però, nonostante tutto, la piccola morì lo stesso. La malattia era ad uno stadio troppo avanzato per riuscire a fermarla, anche con quel nuovo farmaco -
- Qualche giorno fa, invece, scoprii che il dottor Hopkins non aveva somministrato il farmaco alla piccola! - mormorò sempre con voce atona - Controllando l'armadio dei farmaci trovai, infatti, tutti e cinque i flaconi che gli erano stati spediti! Ero sicura del numero. Li avevo ricevuti io stessa! -
- Chiesi al dottore per quale motivo non avesse somministrato il farmaco alla bambina - terminò il suo racconto - speravo che mi dicesse che quei cinque flaconi fossero il frutto di una nuova spedizione, volevo continuare a credere che il dottore avesse realmente fatto di tutto per cercare di salvare la bambina, ed invece mi disse che sarebbe stato comunque inutile e che lui sarebbe stato incriminato per aver usato un farmaco ancora sperimentale! Non c'era nulla da guadagnare e tutto da perdere - poi tornò a sedersi con il volto leggermente più rilassato - e fu cosi che maturai l'idea di ucciderlo. Di vendicare le sofferenze che aveva fatto patire alla mia piccola! -

    - Signora Matilde - si alzò lo sceriffo. Il volto teso per la rivelazione e per lo scorno di aver ancora una volta perso contro il professore - la dichiaro in arresto per l'omicidio del dottor Hopkins e per aver indotto la morte del signor Merlot! - poi si voltò verso l'agente Perkins - La conduca nel mio ufficio! -
- Si signore! - si alzò dirigendosi poi verso l'anziana donna - Signore? Devo ammanettarla? -
- Non credo che ce ne sia bisogno! - mormorò.
Lentamente vidi la signora venir scortata fuori dallo studio. Non era la prima volta che vedevo portar via un assassino ma quella volta fu diverso.
Non riuscivo a vedere in quella donna la fredda assassina che aveva pianificato un omicidio e che senza alcun rimorso aveva causato la morte di un innocente. Vedevo solo una povera e vecchia donna distrutta dal dolore e provai anche un po' di compassione vedendola portar via.
- Un goccio di Brandy? - domandò improvvisamente il professor Homes tirando fuori una bottioglia e tre bicchiere a uovo tronco.
- Volentieri! - disse poi lo sceriffo - Abbiamo la confessione, ma ci sono ancora dei punti oscuri, la forza con cui è stata sferrata la pugnalata, e la porta chiusa! Ed il coltello, poi? Di chi era? -
- Nessun punto oscuro! - sorrise riempiendo i tre bicchieri - Doveva sviare le indagini e quindi doveva far credere che a uccidere il dottore fosse stato un uomo con una certa forza e non una gracile donna di mezza età! - poi si sedette su di una poltrona invitando me e lo sceriffo a fare altrettanto - Per questo, una volta che il dottore fu a terra, stordito dal sedativo, la signora lo ha accoltellato usando un martello per piantare con forza la lama nella schiena dell'uomo! E questo è dimostrabile dall'intaccatura presente sul pomello del manico del coltello -
- Impressionante! - fischiò lo sceriffo. Sebbene ancora non avesse digerito quell'ennesima sconfitta era abbastanza sportivo da ammettere la superiorità delle intuizioni del professore.
- Per quanto riguarda il mistero della porta chiusa dall'interno - disse - non era chiusa a chiave, ma solo accostata e bloccata da un cuneo di legno! - poi alzandosi - Vi faccio vedere! -
Rapidamente tirò fuori dalla sua scrivania un cuneo di legno simile a quello che avevo visto nello studio ed un filo di seta, di quelli che i chirurghi usano per suturare le ferite.
Velocemente lo fissò ad un ago curvo, sempre uno di quelli che si usano per le suture, che poi infilzò sulla punta del cuneo.
- La porta era solo accostata e chiusa dal chiavistello della maniglia! - spiegò uscendo dallo studio dopo aver fatto passare il filo sotto la porta - Una volta chiusa la porta, la signora Matilde non ha fatto altro che tirare il cuneo dall'esterno facendo infilare sotto la porta. Con uno strattone più forte poi non ha fatto altro che far incastrare ancora di più il cuneo e staccare l'ago. In questo modo ha bloccato la porta! -
Per dimostrarcelo, poi, chiuse la porta e dall'esterno tirò il cuneo fino a farlo infilare nella fessura tra pavimento e porta.
- Provate ad aprire la porta! - ci urlò poi - E vedrete che più sforzi farete e più il cuneo opporrà resistenza! Se andaste di fretta forse non vi accorgereste che un minimo la porta cede e pensereste che sia chiusa a chiave! -
- La cosa che ha pensato l'agente Perkins! - mormorò lo sceriffo provando, senza riuscirci, ad aprire la porta - Una mente davvero geniale! - poi rimosse il cuneo facendo rientrare il professor Homes.
- Per quanto riguarda il coltello - disse infine tornando a sedersi - ho notato nello studio del professore un fodero di coltello appeso sopra il camino decisamente troppo grande per il coltello che conteneva! Un fodero adatto ad un coltello con una lama di venticinque centimetri! -
- Mirabile! - commentò lo sceriffo tornando a servirsi di un altra dose di Brandy - Davvero mirabile! -
- L'unica cosa buia di questa storia - disse poi il professore - è perché la donna abbia aspettato cosi tanto per ucciderlo! La camomilla drogata deve avergliela portata la sera e gli effetti devono essere stati quasi istantanei! -
- Forse un momentaneo rigurgito di coscienza - provò a dargli una risposta lo sceriffo finendo di bere il suo Brandy - se volete scusarmi, devo tornare nel mio ufficio per ufficializzare l'arresto della signora Matilde! - poi, uscendo dallo studio - Signor Homes, dopo cena mi farebbe piacere averla a casa mia per una bevuta! E lo stesso vale per lei Robert! -
- Non mancheremo! - sorrise infine il professore sollevando il bicchiere il segno di saluto.

    E' notte fonda ormai.
Il professore è andato a dormire da tempo ormai ed io sono quasi prossimo.
Sto terminando di copiare i miei appunti con la conclusione del caso. E quando poserò la penna sarà come aver messo definitivamente la parola fine a questo ennesimo caso risolto brillantemente dal professor Homes. Prima o poi raccoglierò quanto sto scrivendo in un libro, al pari del dottor Watson, il biografo di Sherlock Holmes, e lo darò alle stampe. Un modo in più per dare lustro e risonanza alle imprese di questo nostro investigatore privato che ha fatto della deduzione logica la sua bandiera e che tanti casi ha già risolto.
Ma per il momento, penso, continuerò ancora a seguirlo e ad apprendere da lui.
Come sempre, il vostro R.A.
Copyright © 2009 suinogiallo


Annotazioni
1 - nell'universo narrativo in cui si svolge questa storia Sherlock Holmes è un personaggio reale e le sue storie sono scritte dal dottor Watson.
2 - il Bowie Knife è un tipo di coltello molto grande e pesante portato alla ribalta dal colonnello Jim Bowie, uno degli eroi di Alamo. Per le sue caratteristiche è considerato un coltello molto pericoloso e in parecchi posti è vietato portarselo dietro. E' anche un coltello decisamente costoso.
3 - il nome dello sceriffo mi è scappato, lo devo ammettere. Chi segue altri miei racconti o gioca a Fallout 3 avrà senz'altro capito che si tratta di un omaggio allo sceriffo Simms di Fallout 3.
4 - la formula è quella delle benzodiazepine. Averla inserita in questo racconto, ambientato alla fine del 1800, è però un falso storico dato che la formula venne studiata solo negli anni '50 e le benzodiazepine entrarono nella pratica clinica solo negli anni '60/'70.
5 - si tratta dell'antisiero contro la difterite. Siamo un po' ai limiti del falso storico in questo caso.
Infatti l'antisiero venne sviluppato nel 1894 ma nulla vieta di ipotizzare che il biologo Emile Roux abbia spedito alcune dosi dell'antisiero sul quale stava lavorando al dottor Hopkins qualche tempo prima della sua ufficializzazione.

Quattro chiacchiere con l'Autore

Iniziamo con il dire che questa storia non sarebbe mai nata se Maki non mi avesse proditoriamente iscritto al contest "Arsenico e Vecchi Merletti".
Non che il giallo non mi piaccia. Già altre volte mi ero cimentato con questo genere. Ma sempre con molta poca convinzione e soprattutto senza divertirmi molto.
Questa volta, invece, mi sono divertito.
Ho pescato a piene mani dal classico. Penso sia facile riconoscere molto di Sherlock Holmes in questa storia (l'investigatore privato ed il suo assistente, un poliziotto che gli chiede aiuto, una ambientazione sul genere vittoriano, ed un delitto), e questo è stato il maggior spunto di divertimento per me. Da grande fan di sir Athur Conan Doyle è stato davvero un piacere scrivere questa storia.
Ringrazio Maki e Naco per i commenti che hanno scritto su questa storia.

Hasta Luego


   
 
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