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Autore: Ernil    05/01/2010    3 recensioni
Sono passati dieci giorni dalla morte di Albus. Aberforth, dietro il bancone, pulisce il bicchiere.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sommario: Sono passati dieci giorni dalla morte di Albus. Aberforth, dietro il bancone, pulisce il bicchiere.

Rating: Verde

Disclaimer: né personaggi né ambientazione mi appartengono, ed è ovvio e palese e triste che non guadagnerò un’acca da questa storia; la poesia “The cats will know” è di Cesare Pavese *lo saltaddossa*

Beta: Geilie. Non la sfrutterò mai abbastanza.  

Note dell’Autrice/1: Questa storia partecipa alla Criticombola indetta da Criticoni, prompt 60 [Tempi]: Dieci giorni fa.

Note dell’Autrice/2: per il titolo, in fondo.

[Ancora cadrà la pioggia

sui tuoi dolci selciati,

una pioggia leggera

come un alito o un passo.

Ancora la brezza e l'alba

fioriranno leggere

come sotto il tuo passo,

quando tu rientrerai.

Tra fiori e davanzali

i gatti lo sapranno.  

 

 

Sapevo che sarebbe successo. Prima o poi. Non mi lascia alcuna gioia. Alcun piacere, tranne forse un fondo di soddisfazione maligna.

D’altra parte, molte cose hanno smesso di darmi gioia. Quando sono tentato di essere felice, alzo lo sguardo sul suo ritratto, e lei mi sorride quel sorriso dolce di chi è evidentemente all’oscuro di tutto.

Allora abbasso la testa, faccio una smorfia e riprendo in mano lo straccio. Gli avventori più abituali mi prendono sommessamente in giro per questo mio vizio, questa mia piccola mania.

Piccoli miserabili dai volti coperti.

La rabbia mi prende pensando che anche lui, nonostante fosse uso andare in giro con vestiti dai colori sgargianti, avrebbe dovuto portare un cappuccio, e tagliarsi la barba.

In segno di lutto.

Naturalmente è inutile pensarlo adesso, perché adesso lui è morto, e io non indosserò il lutto per lui.

Dieci giorni fa, è morto, con il genere di morte che nessuno gli avrebbe predetto, se non io. Gliel’avevo detto.

Stai attento, Albus. Attento a te, fratellone, attento a te. Non fidarti. Non di lui.

Ovvio che non mi abbia ascoltato, e in fondo al cuore, o forse nemmeno tanto in fondo, lo strato maligno continua a pulsare e germinare, una coltura agrodolce. Più dolce che agra, ma era mio fratello.

O lo era stato.

 

Ci saranno altri giorni,

si saranno altre voci.

Sorriderai da sola.

I gatti lo sapranno.

Udrai parole antiche,

parole stanche e vane

come i costumi smessi

delle feste di ieri.

 

Non era cambiato negli anni. Gli avevo detto o no di stare attento a Grindelwald? Gliel’avevo detto. Non mi diede ascolto, e Ariana...

Alzo lo sguardo sul ritratto. Lei sorride dolcemente.

Da dieci giorni, siamo solo io e lei.

Solo che lei è all’oscuro di tutto, o non sorriderebbe così dolcemente.

Beh. Riprendo lo straccio, e ancora, faccio girare la mia mano attorno al bordo. In circolo. Le cose si ripetono, la storia si ripete, e l’unica cosa di cui possiamo essere felici, noi piccoli essere umani sulla scacchiera, è che questa volta non si è fatto male nessuno.

Beh, tranne Albus. Ma gliel’avevo detto, no?

Lui non aveva visto lo sguardo di quello stronzetto quando lo buttai fuori da quella stessa porta, ma io sì. E gli avevo detto di stare attento a Snape. Una serpe in seno. La quinta colonna a cui tanto Albus amava appoggiarsi.

Troppo. Li vedevo, quando passeggiavano sui prati. In silenzio, mi ricordavano i tempi in cui Albus e quell’altro suo amichetto camminavano nelle strade del paese, sussurrando progetti folli.

Io avevo annusato il pericolo, nell’aria, nelle nubi. Lui no.

Stupido.

Alzo lo sguardo, Ariana sorride e tace, abbasso lo sguardo e metto giù il bicchiere. Non è pulito, e io li vedo, quegli stessi avventori che ridacchiano di me, portarsi dietro i loro bicchieri da casa.

Non capiscono. Piccoli meschini senza palle.

Non importa quanto tu ti ci metti a pulire, le macchie non vanno mai del tutto via.

Per questo avevo detto ad Albus di stare attento, gli avevo detto che un pugnale attendeva solo lui, dietro uno degli angoli di quella stupida scuola che amava chiamare casa.

Casa. Ah! Si è cercato un’altra casa, eh, dopo aver imbrattato la nostra di sangue.

Alzo lo sguardo. Ariana sorride. A volte mi chiedo se capisca, quello che le è successo e quello che succede. Ma ovviamente no.

È solo un ritratto. Ariana se ne è andata tanto tempo fa. L’unica cosa che avessi, e Albus, non potendo averla, me l’ ha strappata via.

Ancora, possiamo solo essere felici che questa volta lui sia stato la sola vittima delle sue trame troppo complicate per restare in piedi.

E anche se questa volta ci ha rimesso solo lui, e nessun altro si è fatto male, ha comunque sporcato la sua casa di sangue.

Riuscirebbe a sporcare l’inferno... o il paradiso, dove è più probabile che vada. Perché nessuno potrebbe mai mettere Albus Dumbledore da qualche altra parte che in paradiso.

Io non mi farei troppi scrupoli, ma immagino che gli altri salterebbero scandalizzati sulle sedie. Tranne forse la Skeeter, ma anche lei è stata bandita da qui, esattamente come Snape, molto tempo fa.

È così. Albus non era una brava persona. Sempre a intrigare, sempre a sorridere.

Alzo lo sguardo. Anche Ariana sorride. Ma è un sorriso di tutt’altra natura. Lei non sa. Lei è innocente. L’unica, qui, a non avere macchie di sangue che non verranno mai via, non importa quanto io continui a strofinare.

 

Farai gesti anche tu.

Risponderai parole ;

viso di primavera,

farai gesti anche tu.

 

Comincio a pensare che Albus abbia fatto un affare, ad andarsene. Con un moto di rabbia repressa, mi accanisco su una macchia sul bordo del bicchiere.

Niente da fare, resta, e io sono quasi tentato di gettare lo straccio, gettare la spugna, e andarmene. Sì, Albus ha fatto un vero affare ad andarsene.

Ancora una volta, sono rimasto solo io di guardia, qua, come quando lui passeggiava con Grindelwald e portava nel cuore i germi della morte di Ariana, e ora lui se ne è andato, lasciando la sua casa sguarnita.

Era il fratello maggiore, dicevano che fosse il mago migliore, ma ancora una volta se ne è andato. Ha abbandonato tutto e tutti dopo averli portati sull’orlo del dirupo, e che non l’abbia fatto di sua volontà non mi interessa.

A sentir lui, anche la morte di Ariana non è stato che un tragico incidente, ma io lo sentivo, e Ariana è morta comunque, e io alzo lo sguardo e...

La cornice è vuota.

Ariana non è lì.

Per un attimo sono talmente basito da smettere di strofinare. Poi penso che dev’essere andata nella stanza al primo piano, nella sua cornice, ma è strano, perché ama farmi compagnia, di nascosto, sorridendo segretamente.

Abbasso lo sguardo sul bicchiere, e il mio polso riprende il moto circolare. Proprio come la storia. Ariana non sa, e non deve sapere. Ma a volte... a volte mi guarda come lo stronzetto quando lo buttai fuori, nella pioggia che scendeva a secchiate quella sera.

A volte mi guarda con gli sguardi che avevano tutti al funerale di Albus. 

E a volte io mi chiedo se davvero non sappia...

Ma no, impossibile.

Riprendo il bicchiere in mano. Dieci giorni, dieci anni, diecimila millenni.

Lui è morto, Ariana lo è, e fra dieci giorni, dieci anni, diecimila millenni, io sarò ancora qui a pulire il bicchiere. 

Dieci giorni, dieci anni, diecimila millenni. È morto e lo rimarrà. Dieci giorni, dieci anni, diecimila millenni... io sono qui, e non dimenticherò, non posso dimenticare.

Non posso dimenticare che lui non c’era quando nostra madre cadde sul pavimento. Non posso dimenticare che non c’era quando Ariana aveva le sue crisi, e solo io ero lì col fazzoletto a pulirle la bava dalla bocca.

Non è un modo carino di dire? Non mi importa. Io non sono carino. Niente lo è.

Solo gli stupidi fingono che ci sia qualcosa di delicato in questo mondo, dove l’amore viene strumentalizzato e gli affetti dimenticati da quelli come lui.

Non posso dimenticare. Lui non c’era. E anche ora, anche adesso che tutti si fidavano di lui, se n’è andato. Non è qui. E non è mai stato in prima fila.

È morto. Forse è la cosa migliore.

Eppure, continuo a non provare gioia. Giustizia è fatta, ma nessuno potrà riportarmi indietro Ariana, nessuno potrà ridarmi tutta la vita che ho speso a guardarlo con astio, guardare lui e Snape passeggiare e sentire che le cose si sarebbero messe male.

Dieci giorni, dieci anni, diecimila millenni.

Sono rimasto solo io.

 

I gatti lo sapranno,

viso di primavera;

e la pioggia leggera,

l'alba color giacinto,

che dilaniano il cuore

di chi più non ti spera,

sono il triste sorriso

che sorridi da sola.

Ci saranno altri giorni,

altre voci e risvegli.

Soffieremo nell'alba,

viso di primavera.]

 

E una capra annoiata che bruca un filo d’erba.

 

 

Note dell’Autrice:

Il titolo, che fa evidentemente il verso a “The cats will know”, significa “Le capre lo sapranno”. Per il resto, ehr... non fate domande, non so perché Aberforth mi piaccia tanto... *fugge inseguita dagli amanti di Pavese*

 

   
 
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