Noli me Tangere
“And you’re
singing a song
Singing this is the life
When you wake up in the morning and your head feels
twice the size
Where are you gonna go, where are you gonna sleep tonight?”
[Amy MacDonald, This is the life]
Rosnake impiegò quattro minuti a rendersi conto che
era il primo giorno di scuola, e sei che era mostruosamente in ritardo.
Accorgersi che Dawnrose le stava strappando le coperte non richiese più di una
manciata di secondi.
“Lasciami stare!” si lamentò, tentando di
appallottolarsi a formare un grumo piccolo ed infelice. “Ho sonno!”
Dawn dedicò appena uno sguardo schifato alla
gigantesca felpa che l’amica aveva indossato per dormire, decorata con le
parole “Chi mangia carne avvelena anche te”.
“E’ irrilevante” ribatté, implacabile. “Ciò che
conta è che sono le otto meno sette.”
“COSA??”
“Mi hai sentito benissimo. Giù da quel letto,
marsh!”
Mugugnando, Ros si trascinò in bagno e si fece una
breve doccia, nel tentativo di ricominciare a connettere. L’uniforme, che per
tre mesi non era stata altro che un triste ricordo, era pronta su una sedia. Se
la infilò senza entusiasmo, legò i capelli in una treccia un po’ storta e
ciabattò fuori al seguito dell’amica, che aveva l’andatura e lo chignon di una etoile
russa appena uscita da un istituto di bellezza.
Leyla era già seduta su una sedia vicina alla
scalinata dei dormitori, un libro aperto in grembo e l’aria ostinatamente
concentrata. Le altre due capirono subito il perché: sprofondate nei divanetti
accanto al camino spento, le unghie laccate di fresco, c’erano Bellatrix e
Vanessa, che doveva essersi risvoltata in vita la gonna della divisa per
mostrare venti centimetri di coscia bianca e flessuosa. Un paio di arrapati del
terzo anno ronzavano loro intorno come api sul miele.
“Ce l’hai fatta” mormorò tra i denti la Malfoy
maggiore, alzandosi di scatto. “Sto per dare di stomaco.” Dawn le strinse la
spalla, e scesero insieme a colazione.
Il professor Lumacorno, insegnante di Pozioni e capo
della Casa di Serpeverde, stava già facendo il giro del tavolo per distribuire
gli orari; quando le vide, un enorme sorriso illuminò il suo volto di vecchio
tricheco.
“Ma eccole qui, le tre Marie!” rise, gioviale
“Signorine, santo cielo, siete ogni anno più belle!” Rosnake si sentì
arrossire. Il vecchio insegnante aveva l’abitudine di raccogliere attorno a sé
ristretti gruppi di studenti che brillavano per capacità, ambizione o illustri
parentele, trasformando “i cervelli del domani” in suoi pupilli prediletti, e
così era riuscito a costruirsi una fitta rete di influenza che si estendeva sul
Ministero della Magia, come sulla stampa e sul mondo dello sport. Tutte e tre
le ragazze erano parte della sua cerchia, se non altro per il cognome che
portavano, ma lei, Ros, che oltre ad essere la dolcezza fatta persona se la
cavava bene come pozionista, era la preferita per eccellenza, da sempre.
Lumacorno, in generale, non le dispiaceva, ma trovava abbastanza inquietante la
sua predisposizione a comandare ben nascosto dietro le quinte e odiava essere
oggetto delle attenzioni di qualcuno.
“Buongiorno, professore” cinguettò Leyla, annegando
nell’ambrosia il briciolo di disprezzo che si sentiva sempre, nel suo tono,
quando parlava con qualcuno che riteneva di classe inferiore. L’insegnante
strizzò l’occhio.
“Con lei, signorina Malfoy, ho paura che non ci
vedremo prima di domani … ma queste due fanciulle, qui, hanno il privilegio di
essere con me alle prime due ore!”
“Splendido” disse Dawn, appena un po’ fredda. Lei
“il vecchio Luma” non lo amava più di tanto. Non sopportava il suo strisciare
attaccato alle gonne dei potenti.
“Ma bene, ma bene” ridacchiò il professore “Ora, se
volete scusarmi … Blackwell, Nott, i vostri orari sono qui …”
Con un sospiro, le tre si lasciarono cadere su un
frammento di panca e inghiottirono qualcosa, mentre i ragazzi arrivavano a
salutarle con un certo grado di zombizzazione insito nello sguardo. Rodolphus,
che sembrava un modello nella sua divisa perfettamente stirata [e con il nome
ricamato in lettere dorate sul taschino], salutò Dawn con un casto bacio sulla
guancia e la sorella arruffandole i capelli già aggrovigliati; poi, prese con
decisione Leyla alla vita e premette le labbra sulle sue, andando a fondo, come
se fossero stati separati per molto tempo.
Dopo un istante di paralisi, i centocinquanta
Serpeverde seduti al tavolo si fissarono, famelici, pronti a spargere la voce
per tutto il castello. Sebbene Dawn, negli anni a venire, avesse cercato di
rimuovere la scena, rimase sempre certa che fosse stato Ian a dare il via al
coro di fischi che si levò nel giro di qualche secondo. Rod si staccò dalla sua
ragazza con un breve inchino al pubblico e prese posto accanto a lei. Rosnake,
che al pensiero di essere vista da tutta quella gente anche solo mentre
mangiava un toast si sentiva morire di centocinquanta dolorosissime morti, non
potè fare a meno di ammirare la naturalezza con cui la sua amica si servì di
uova, gettò indietro i boccoli dorati e scoccò un luminosissimo sorriso
all’indirizzo di Bellatrix Black, che sembrava vittima di una pastoia total
body. Si riprese piuttosto in fretta, ad ogni modo, e i suoi occhi scuri
presero a grondare veleno.
Dawn guardò involontariamente verso il tavolo di
Grifondoro, e scorse Sirius Black che gettava con disinvoltura il braccio
attorno alle spalle di una ragazza asiatica bella come una miniatura della
dinastia Han. Il suo nome era Yoko Hu, e si trattava della stessa fanciulla che
Lucius aveva puntato con occhio di lince circa ventiquattro ore prima.
Anche se non era ancora iniziato, l’anno scolastico
prometteva già guai.
ab
La domenica arrivò insperata, piccolo regalo dopo
una settimana estenuante. Era molto peggio di quello che Leyla, Lucius e
Rodolphus avevano previsto: fin dal loro ingresso in classe, si erano trovati a
fronteggiare la spada di Damocle dei MAGO, il loro vero e proprio passaporto
verso la vita adulta. I professori avevano raggiunto livelli di tensione mai
visti prima, e la McGrannit, arcigna insegnante di trasfigurazione, aveva dato
loro tanti di quei compiti da tenerli impegnati come minimo fino a Natale.
Rabastan, dal canto suo, doveva fare i conti con la pressione dei GUFO, gli
esami del quinto anno, che certo non erano una passeggiata. Non che Rosnake e
Dawn se la passassero molto meglio: a
parte il “vecchio Luma”, sempre ansioso di riempirle di complimenti, sembrava
che gli insegnanti si fossero messi d’accordo per esasperarle. Pangborn, il
nuovo sbarbino di Difesa contro le Arti Oscure, aveva già spedito in punizione
la più giovane dei Malfoy “per la sua impertinenza”, anche se Dawn non aveva
fatto altro che fargli notare che imparare a memoria mucchi di libri significa
avere, nella vita, molto tempo libero. In effetti, Dawn passava circa un terzo
dell’anno in punizione. Ros non veniva castigata, mai.
Con le attività frenetiche degli ultimi giorni,
nessuno aveva avuto molto tempo per coltivare i propri hobby. I ragazzi non
giocavano a Quidditch da due settimane, Leyla aveva riposto il fioretto in fondo
al baule e Dawnrose, la cui unica e vera passione era il tiro con l’arco, si
era ridotta a giocare a freccette nella sala comune usando come bersaglio un
reggiseno imbottito di Vanessa Hilton reperito sotto il letto della
proprietaria. “Quindi tutto quel ben di dio è finto?” aveva chiesto Ian,
sconcertato, mentre Vanessa stessa interrompeva la partita strappando
l’indumento dal tassello cui era stato
appeso e trucidando con lo sguardo la rivale, in attesa di fargliela pagare dal
punto di vista fisico. Era stato divertente, certo, ma nulla era paragonabile
all’eccitazione regalata dal tendere l’arco, i muscoli del braccio che urlavano
in agonia, la freccia che sibilava, conficcandosi esattamente al centro del
paglione.
Quanto a Rosnake, lei non aveva mai amato gli sport
violenti, né quelli di precisione praticati con la finalità di ferire qualcuno.
A differenza delle amiche, che si erano stufate presto, aveva sempre continuato
a praticare l’arte che le loro madri avevano voluto che apprendessero, e cioè
la danza classica. Avrebbe dato qualunque cosa per la sensazione che provava
quando, trasformata in luce, colori guizzanti, diventata ella stessa movimento,
avvertiva la musica scorrerle nelle vene come un fluido drogante, che la
trasportava lontano, oltre il mondo, quasi oltre la vita. Da qualche anno, con
somma disapprovazione di Ariadne, si era dedicata in particolare alla danza
moderna, che aveva studiato anche su canzoni babbane. La pulsazione di un buon
pezzo house era quello che ci voleva per tirare fuori la sua personalità
aggressiva, per sfogarla. Lucius, uno dei pochi a cui avesse concesso di
vederla allenarsi, adorava guardarla ballare. La grazia, la leggerezza con cui
si muoveva la facevano sembrare un sogno.
Quella domenica, come molte altre volte, Ros era
scappata un attimo dal casino della sala comune, piena di persone che urlavano
e ridevano, e facevano i compiti e si sfidavano a biglie e si baciavano e
producevano un mucchio di rumore, e si era rifugiata in un aula vuota al piano
di sotto, insieme alla radiolina magica che portava sempre con sé. Aveva
trovato un r’n’b decente da qualche parte, e quasi senza accorgersene aveva
iniziato a danzare. Per fortuna, quando la porta si aprì non era ancora
completamente presa dal ritmo; in caso contrario, non avrebbe sentito alcun
rumore. Invece si fermò a metà di un giro on the dan, spense subito la radio e
si ravviò i capelli con la mano, sentendosi arrossire. E non a torto. Sulla
porta dell’aula, in jeans e maglietta dei Porter Prides, c’era James Potter.
“Ma bene” sorrise il ragazzo, un sorriso sadico,
terribile “La piccola Lestrange.”
Contro la propria stessa volontà, Ros rabbrividì.
Una delle regole non scritte del conflitto in atto da anni tra Grifondoro e
Serpeverde recitava più o meno non è lecito attaccare una ragazza sola,
soprattutto in un posto dove non può scappare. Eppure, quell’idiota del
Cercatore veniva verso di lei, minaccioso, e aveva tutta l’aria di non essere
disposto a lasciarla andare.
“Molto male” trovò il coraggio di rispondere
“Potter.”
“Sai” la apostrofò amichevole James, gli occhi
grondanti veleno “I tuoi amichetti non dovrebbero mandare le bambine sole nel
bosco. Rischiano di incontrare il lupo cattivo.”
“Ma che cosa orrenda” ribatté lei, credibilmente
sarcastica “Se mi capiterà di vederlo, cercherò di farlo fuori, con o senza
cacciatore.”
Per qualche istante, l’idiota parve destabilizzato
dalla secca replica, ma riprese con rinnovato vigore. “Sai, Lestrange, potrei
anche farmi da parte e lasciarti correre via, nella tua Sala Comune, a
rannicchiarti tra le braccia di quel perdente di Malfoy. Ma non so se ne ho
voglia.”
“Lucius ne vale dieci, di stronzi come te!”
“E’ questo che pensi, vero?” all’improvviso, Potter
alzò la voce, fin quasi ad urlare. “Che sono uno stronzo?”
“Sì” ringhiò Ros, sentendo le solite, inopportune
lacrime che lottavano per uscire “Sei stronzo e anche codardo. Per sentirti un
macho devi sfogare le tue frustrazioni su chi è più debole di te!”
Il dolore esplose di colpo, avviluppandole il
braccio. Quando la vista le si snebbiò, si rese conto che lui l’aveva presa per
il polso per torcere, per torcerla senza pietà.
“Ripetilo” quasi le sputò in faccia, il collo
purpureo, le orecchie viola. “Ripetilo, sgualdrina!”
“Codardo” singhiozzò Ros, tramortita dal male.
“Codardo, sei un verme, un verme!”
“Tu … io ti … ti …”
“Potter, basta, ti prego, basta, mi fai male!”
La ragazza cadde in ginocchio, scossa dai brividi.
Dalla spalla in giù, le pareva di essere immersa in una foresta di aghi
incandescenti. Le tornò in mente Rodolphus che, da piccoli, la sferzava
crudelmente con le ortiche, per poi chiederle scusa, portandole in dono mazzi
di margherite: bella, bimba mia, non piangere, piccoli fiori per le tue piccole
dita.
“James?! Ma che diavolo fai?”
E poi, così come era iniziato, tutto finì. La
stretta di lui si sciolse all’improvviso, e Ros si raggomitolò al suolo, il
braccio dolorante ripiegato sotto l’altro. La sua mente riprese con un attimo
di ritardo a girare, le lacrime salate si persero nella cortina riccia dei suoi
capelli. Solo allora riconobbe la voce che aveva parlato. Da qualche parte, non
lontano da loro due, c’era Sirius Black.
“James, testa di cazzo, cosa le hai fatto?”
Facendo del suo meglio per smettere di pigolare, la
ragazza si voltò su un fianco, e attraverso il pianto vide il profilo perfetto
di Black incombere sull’idiota, ufficialmente passato al rango di torturatore
degli indifesi. Dal canto suo, Potter era piegato in due, il viso terreo tra le
mani. Sembrava disorientato, come se si fosse svegliato solo in quel momento da
un incubo orribile e fosse ancora indeciso se crederci o meno.
“Io … cosa … oh, mio Dio” mormorò, sconvolto, nel
vederla a terra, ancora ansante, il polso gonfio. “Mio Dio, non volevo, io …
Lestrange …” pronunciò il suo nome con una carica di disperazione tale che la
fece rabbrividire.
“Non volevi” gracchiò invece, accovacciata sui
talloni nel tentativo di rimettersi in piedi “Ma non vuol dire che tu non
l’abbia fatto.”
“Ma cosa ti è saltato in testa? Dico, ma sei
impazzito?” gli occhi fuori dalle orbite, Sirius stava ancora osservando i due
ragazzi stravolti. Era una strana scena, in cui (ovviamente) mancava ancora
un’attrice.
“Ros, sei qui? E’ un’ora che … un attimo” Dawn si
bloccò, attonita, all’entrata dell’aula “Ma che succede?”
Ricapitolando:
Potter e Ros per terra, entrambi contorti, entrambi
pallidi, entrambi con l’aria folle; in piedi, Black, con un’espressione sexy da
sgombro stupefatto.
In quel momento, la Serpeverde si alzò, con il
braccio rigido al petto. Furibonda.
“Chiedilo a quello lì.”
Dawn non aveva capito niente, ma una delle sue
cinque regole d’oro recitava: insulta quotidianamente Potter; tu non sai
perché, ma lui sì.
“Allora, pezzo di merda?” gli sibilò in faccia,
mentre si raddrizzava, ancora pallido.
“Io …” aveva gli occhi infossati, rossi. “Lei mi ha
insultato e io … ma non volevo!”
“Cosa hai fatto alla mia amica?” ululò Dawnrose, in
tutto e per tutto una vera Malfoy inferocita. A quel punto, Black fece un passo
avanti e si frappose con noncuranza tra i due.
“L’ha colpita” disse semplicemente. “Non credo
intendesse farle del male.”
“L’ha colpita?” strillò la bionda, drizzandosi in
tutta la sua statura. Sirius arretrò di un passo, finendo addosso al
torturatore di inermi. “L’ha colpita!! Tu, lurida sozzura di humus maleodorante
sotto il tacco sedici delle mie Manolo Blahnik, tu, schifoso Grifondoro, come
hai osato??”
“Ehi, datti una calmata” le ingiunse Black. “D’accordo,
ha sbagliato, però …”
“Però un cavolo! Ros, ti ha fatto molto male?”
La bruna si morse il labbro e scosse fieramente il
capo. Ma i segni sul suo polso non potevano mentire.
Dawn impallidì ancora più del normale, traendo a sé
l’amica. Lentamente, James si affiancò a Sirius, ridotto ad uno straccio. “Noi
ce ne andiamo” ringhiò la Malfoy “Ma non finisce qui, hai capito Black? Lucius
sarà contento di sapere cosa è successo.”
“No, pensaci, non voglio che …”
“NON ME NE FREGA NIENTE DI QUELLO CHE VUOI TU, BLACK!”
Dawn partì, ormai isterica, verso la porta, e
Rosnake le trotterellò dietro, ma venne trattenuta per il braccio sano. Potter
la fissava, supplichevole.
“Lestrange, io …” la voleva ai suoi piedi, come le
altre, voleva il perdono. Lo guardò per qualche istante, la mascella forte, gli
occhi allungati, la bella bocca.
Prese la sua decisione.
“Non dirlo mai. Non dire mi dispiace.”
Poi lo fece. Gli sputò su quella faccia da modello.
ab
Rosnake chiuse la porta senza eccessiva violenza, ma
James sobbalzò comunque come se gli avessero sparato. Pallido e teso, si lasciò
cadere su un banco, accarezzando in automatico la mandibola contratta. Sirius,
ancora sconvolto, lo fissò per qualche istante prima di sedergli accanto.
“Me lo vuoi dire?” interloquì con dolcezza, dopo un
attimo di silenzio. “Perché lo hai fatto, intendo.”
Il Cercatore affondò il viso tra le mani, le spalle
oppresse da un peso invisibile, ma esistente. “Non lo so. Ti giuro, Siry, te lo
giuro su tutto quello che vuoi. Lei era lì, era sola, debole, e … ho perso il
controllo.”
“E’ stata una cosa molto grave, James.” Il bruno si
rabbuiò, gli occhi serrati in una linea dura. “Non mi sorprenderei se Malfoy
stesse già cercando qualche sgherro per farci a pezzi. Cristo, lo sai che sono
stati insieme! Su di lei c’è scritto noli me tangere, okay?”
“Che venga” mormorò Potter “Che vengano tutti.
Pagherò per quello che ho fatto, ma quei bastardi me li porto all’inferno, ci
puoi giurare. Non mi importa del noli col tango.”
Saggiamente, Sirius decise che non era il caso di
spiegare a James che si trattava di latino, e non di goblinese antico o
qualcosa del genere. “Non ti capisco, però. Come ti è venuto in mente di
aggredirla così? Una ragazzina che non farebbe male a una mosca!”
Il Grifondoro sospirò, lasciando che le immagini che
fino a quel momento aveva tentato di escludere gli invadessero la mente.
Rosnake che gli camminava davanti in Sala Grande, i fianchi minuti che
oscillavano rapidi con i suoi passi. Braccia chiare e sottili strette tra le
sue dita forti, di ragazzo. Lily sfigurata dal pianto, sei un bastardo, ma
com’è possibile, animale, mandi in pezzi tutto quello che tocchi. Me, te, noi.
Il lancinante fiotto di potere che l’aveva invaso nell’istante stesso in cui si
era trovato lì, nell’aula vuota, con il fragile polso di lei stretto in una
morsa. Avvertì un giramento di testa e si appoggiò al muro, svuotato.
“Mi ha sputato in faccia” commentò, in tono piatto.
“Ha fatto solo bene. Coraggiosa, la piccola.”
Vero. Coraggiosa e sincera. Io sono un vigliacco. Un
verme. Malfoy ne vale dieci, di stronzi come me. Dieci. Dieci. Dieci. Dieci …
“Jamie, stai bene? Sei più bianco di Mirtilla
Malcontenta.”
“Certo” in qualche modo, pescò parole rassicuranti
nel deserto della propria bocca. “Sto benissimo, davvero. Tutto a posto.”
Sirius accarezzò i capelli dell’amico, senza
riuscire a perdere del tutto l’espressione preoccupata. “Non accadrà mai più,
vero? Promettimelo. Non scherzo.”
Un vigliacco. Dieci. Dieci. Dieci.
“Mai più. Lo giuro.”
Si avviarono insieme verso i dormitori, a prepararsi
per la guerra.
ab
Nauseata, Ros rifiutò la
Burrobirra tiepida che Ian le offriva con la mano tesa. Non voleva che nulla
attraversasse la linea delle sue labbra. Non voleva che nessuno combattesse per
lei. Voleva solo essere lasciata in pace.
Come promesso, Dawnrose aveva
convocato una solenne assemblea, e tutti i Serpeverde impegnati nella prime
linee erano trincerati in un angolo, accanto al fuoco: Leyla abbandonata su una
poltrona, Rod in piedi dietro di lei, le mani serrate sullo schienale, il
giovane Nott seduto a terra, Lucius che misurava l’angolo a grandi passi, teso
come la corda di un arco.
“Lo spezzo in due” ripeté per
l’ennesima volta, un espressione truce dipinta sul viso.
“Basta” scattò Rabastan,
infastidito “Ci serve un piano, non minacce campate in aria!”
“Ehi, mela!” commentò Ian nel
silenzio generale. Nessuno si voltò neppure a guardarlo.
“Ros” disse dolcemente Lelly,
notando che la cugina si era raggomitolata in posizione fetale. “Ros, come ti
senti? Tutto bene?” Lei scosse la testa. Tutto quello scompiglio, quella
rabbia, quella sete di vendetta la facevano sentire oppressa, impotente.
Rodolphus le si sedette accanto, come quando erano piccoli e lei faceva un
brutto sogno.
“Non preoccuparti, tesoro” la rassicurò
“Pagherà per quello che ha fatto.”
“Lasciatelo a me!” supplicò per
l’ennesima volta Dawn, la bacchetta sguainata.
“No” Rabastan pose la mano sulla
spalla della propria migliore amica “Dev’essere un lavoro di squadra.”
Quale lavoro? Che squadra? Ros si
massaggiò le tempie, confusa.
“Ehi, pera” fischiettò Ian.
Fu Lucius a prendere la parola,
il viso divenuto una gelida maschera, priva di qualunque espressione. “Allora,
penso che siamo tutti d’accordo. Attaccheremo stanotte.”
Attaccare?
“Sono con te” dichiarò subito
Rodolphus, raddrizzandosi al massimo delle possibilità.
“Io no” sbottò Dawn
“Attacchiamoli adesso!”
Solo allora, al sentire la
concitazione delle voci, Ros trovò la forza di mettersi seduta. Fronteggiò gli
amici con sguardo fermo, nonostante la stanchezza, nonostante il dolore.
“No.”
“Cosa no?”
“Ehi mela!” tentò Ian.
“Non attaccherete proprio
nessuno, okay? Sono qui. Non mi ha mica uccisa.”
Quattro facce stupefatte la
fissarono. Ian si stava infilando una matita nella narice sinistra.
“Ma stai scherzando?” sbraitò
Leyla “Dopo quello che ti ha fatto?”
“Lo so. Non è stato corretto, ma
sarebbe ancora peggio scatenare una sorta di faida, o come la volete chiamare
voi! Non abbiamo bisogno di questo” aggiunse, in tono quasi di preghiera “Altri
scontri. Altre sofferenze.”
“Snake, non ho intenzione di
permettere al primo che passa di aggredirti” Rod prese la mano della sorellina,
che però si divincolò subito.
“E io non ho intenzione di
permettere che mio fratello si faccia invischiare in una cosa così stupida!”
“Stupida?” tuonò Dawn “Quel
bastardo si accanito contro un’indifesa, non gli avevi fatto niente!”
“So anche questo. Io non voglio.
Non voglio comportarmi come lui.”
A quel punto, Lucius fece un
passo avanti e strinse Rosnake per le spalle. “Ros, non credo che tu capisca
quanto è grave. E’ una dichiarazione di guerra aperta, Cristo!”
La ragazza cercò di sottrarsi
alla sua presa, ma dovette cedere. “Solo se noi la cogliamo. Non voglio
combattere, lo sai!”
“Ma Snake...”
“Ascolta, Lucius” il tono di Ros
era cambiato, notò Dawnrose. Parlava con dolcezza, e a bassa voce, come se si
stesse rivolgendo solo ed esclusivamente al ragazzo che le stava di fronte. “Ti
prego, fallo per me. Accontentami, per favore. Lascia correre”.
“Ma...”
“Non voglio “ma” “. La bruna
accostò il viso a quello di Lucius e premette la fronte contro la sua.
Imbarazzati, gli altri diedero colpetti di tosse più o meno evidenti.
“Ehi, pera” canterellò Ian.
“Snake, te l’ho detto, io morirei
per te!”
“Io voglio solo che tu eviti di
doverlo fare.”
Come risvegliandosi da una
trance, il Serpeverde fece un brusco passo indietro, staccandosi dalla ragazza,
che gli sorrise, innocente.
“L’avete sentita, ragazzi”
gracchiò Lucius “Seppelliamo le asce.”