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Autore: Leyla Malfoy    06/01/2010    0 recensioni
Hogwarts...all'epoca dei malandrini... sogni, conquiste, speranze e avventure dei Serpeverde e dei Grifondoro all'epoca dei Malandrini
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Lucius Malfoy, Nuovo personaggio, Rodolphus Lestrange, Serpeverde
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Noli me Tangere

 “And you’re singing a song

Singing this is the life

When you wake up in the morning and your head feels twice the size

Where are you gonna go, where are you gonna sleep tonight?”

                                                                                                    [Amy MacDonald, This is the life]

 

Rosnake impiegò quattro minuti a rendersi conto che era il primo giorno di scuola, e sei che era mostruosamente in ritardo. Accorgersi che Dawnrose le stava strappando le coperte non richiese più di una manciata di secondi.

“Lasciami stare!” si lamentò, tentando di appallottolarsi a formare un grumo piccolo ed infelice. “Ho sonno!”

Dawn dedicò appena uno sguardo schifato alla gigantesca felpa che l’amica aveva indossato per dormire, decorata con le parole “Chi mangia carne avvelena anche te”.

“E’ irrilevante” ribatté, implacabile. “Ciò che conta è che sono le otto meno sette.”

“COSA??”

“Mi hai sentito benissimo. Giù da quel letto, marsh!”

Mugugnando, Ros si trascinò in bagno e si fece una breve doccia, nel tentativo di ricominciare a connettere. L’uniforme, che per tre mesi non era stata altro che un triste ricordo, era pronta su una sedia. Se la infilò senza entusiasmo, legò i capelli in una treccia un po’ storta e ciabattò fuori al seguito dell’amica, che aveva l’andatura e lo chignon di una etoile russa appena uscita da un istituto di bellezza.

Leyla era già seduta su una sedia vicina alla scalinata dei dormitori, un libro aperto in grembo e l’aria ostinatamente concentrata. Le altre due capirono subito il perché: sprofondate nei divanetti accanto al camino spento, le unghie laccate di fresco, c’erano Bellatrix e Vanessa, che doveva essersi risvoltata in vita la gonna della divisa per mostrare venti centimetri di coscia bianca e flessuosa. Un paio di arrapati del terzo anno ronzavano loro intorno come api sul miele.

“Ce l’hai fatta” mormorò tra i denti la Malfoy maggiore, alzandosi di scatto. “Sto per dare di stomaco.” Dawn le strinse la spalla, e scesero insieme a colazione.

Il professor Lumacorno, insegnante di Pozioni e capo della Casa di Serpeverde, stava già facendo il giro del tavolo per distribuire gli orari; quando le vide, un enorme sorriso illuminò il suo volto di vecchio tricheco.

“Ma eccole qui, le tre Marie!” rise, gioviale “Signorine, santo cielo, siete ogni anno più belle!” Rosnake si sentì arrossire. Il vecchio insegnante aveva l’abitudine di raccogliere attorno a sé ristretti gruppi di studenti che brillavano per capacità, ambizione o illustri parentele, trasformando “i cervelli del domani” in suoi pupilli prediletti, e così era riuscito a costruirsi una fitta rete di influenza che si estendeva sul Ministero della Magia, come sulla stampa e sul mondo dello sport. Tutte e tre le ragazze erano parte della sua cerchia, se non altro per il cognome che portavano, ma lei, Ros, che oltre ad essere la dolcezza fatta persona se la cavava bene come pozionista, era la preferita per eccellenza, da sempre. Lumacorno, in generale, non le dispiaceva, ma trovava abbastanza inquietante la sua predisposizione a comandare ben nascosto dietro le quinte e odiava essere oggetto delle attenzioni di qualcuno.

“Buongiorno, professore” cinguettò Leyla, annegando nell’ambrosia il briciolo di disprezzo che si sentiva sempre, nel suo tono, quando parlava con qualcuno che riteneva di classe inferiore. L’insegnante strizzò l’occhio.

“Con lei, signorina Malfoy, ho paura che non ci vedremo prima di domani … ma queste due fanciulle, qui, hanno il privilegio di essere con me alle prime due ore!”

“Splendido” disse Dawn, appena un po’ fredda. Lei “il vecchio Luma” non lo amava più di tanto. Non sopportava il suo strisciare attaccato alle gonne dei potenti.

“Ma bene, ma bene” ridacchiò il professore “Ora, se volete scusarmi … Blackwell, Nott, i vostri orari sono qui …”

Con un sospiro, le tre si lasciarono cadere su un frammento di panca e inghiottirono qualcosa, mentre i ragazzi arrivavano a salutarle con un certo grado di zombizzazione insito nello sguardo. Rodolphus, che sembrava un modello nella sua divisa perfettamente stirata [e con il nome ricamato in lettere dorate sul taschino], salutò Dawn con un casto bacio sulla guancia e la sorella arruffandole i capelli già aggrovigliati; poi, prese con decisione Leyla alla vita e premette le labbra sulle sue, andando a fondo, come se fossero stati separati per molto tempo.

Dopo un istante di paralisi, i centocinquanta Serpeverde seduti al tavolo si fissarono, famelici, pronti a spargere la voce per tutto il castello. Sebbene Dawn, negli anni a venire, avesse cercato di rimuovere la scena, rimase sempre certa che fosse stato Ian a dare il via al coro di fischi che si levò nel giro di qualche secondo. Rod si staccò dalla sua ragazza con un breve inchino al pubblico e prese posto accanto a lei. Rosnake, che al pensiero di essere vista da tutta quella gente anche solo mentre mangiava un toast si sentiva morire di centocinquanta dolorosissime morti, non potè fare a meno di ammirare la naturalezza con cui la sua amica si servì di uova, gettò indietro i boccoli dorati e scoccò un luminosissimo sorriso all’indirizzo di Bellatrix Black, che sembrava vittima di una pastoia total body. Si riprese piuttosto in fretta, ad ogni modo, e i suoi occhi scuri presero a grondare veleno.

Dawn guardò involontariamente verso il tavolo di Grifondoro, e scorse Sirius Black che gettava con disinvoltura il braccio attorno alle spalle di una ragazza asiatica bella come una miniatura della dinastia Han. Il suo nome era Yoko Hu, e si trattava della stessa fanciulla che Lucius aveva puntato con occhio di lince circa ventiquattro ore prima.

Anche se non era ancora iniziato, l’anno scolastico prometteva già guai.

ab

La domenica arrivò insperata, piccolo regalo dopo una settimana estenuante. Era molto peggio di quello che Leyla, Lucius e Rodolphus avevano previsto: fin dal loro ingresso in classe, si erano trovati a fronteggiare la spada di Damocle dei MAGO, il loro vero e proprio passaporto verso la vita adulta. I professori avevano raggiunto livelli di tensione mai visti prima, e la McGrannit, arcigna insegnante di trasfigurazione, aveva dato loro tanti di quei compiti da tenerli impegnati come minimo fino a Natale. Rabastan, dal canto suo, doveva fare i conti con la pressione dei GUFO, gli esami del quinto anno, che certo non erano una passeggiata. Non che Rosnake e Dawn se la passassero molto meglio:  a parte il “vecchio Luma”, sempre ansioso di riempirle di complimenti, sembrava che gli insegnanti si fossero messi d’accordo per esasperarle. Pangborn, il nuovo sbarbino di Difesa contro le Arti Oscure, aveva già spedito in punizione la più giovane dei Malfoy “per la sua impertinenza”, anche se Dawn non aveva fatto altro che fargli notare che imparare a memoria mucchi di libri significa avere, nella vita, molto tempo libero. In effetti, Dawn passava circa un terzo dell’anno in punizione. Ros non veniva castigata, mai.

Con le attività frenetiche degli ultimi giorni, nessuno aveva avuto molto tempo per coltivare i propri hobby. I ragazzi non giocavano a Quidditch da due settimane, Leyla aveva riposto il fioretto in fondo al baule e Dawnrose, la cui unica e vera passione era il tiro con l’arco, si era ridotta a giocare a freccette nella sala comune usando come bersaglio un reggiseno imbottito di Vanessa Hilton reperito sotto il letto della proprietaria. “Quindi tutto quel ben di dio è finto?” aveva chiesto Ian, sconcertato, mentre Vanessa stessa interrompeva la partita strappando l’indumento  dal tassello cui era stato appeso e trucidando con lo sguardo la rivale, in attesa di fargliela pagare dal punto di vista fisico. Era stato divertente, certo, ma nulla era paragonabile all’eccitazione regalata dal tendere l’arco, i muscoli del braccio che urlavano in agonia, la freccia che sibilava, conficcandosi esattamente al centro del paglione.

Quanto a Rosnake, lei non aveva mai amato gli sport violenti, né quelli di precisione praticati con la finalità di ferire qualcuno. A differenza delle amiche, che si erano stufate presto, aveva sempre continuato a praticare l’arte che le loro madri avevano voluto che apprendessero, e cioè la danza classica. Avrebbe dato qualunque cosa per la sensazione che provava quando, trasformata in luce, colori guizzanti, diventata ella stessa movimento, avvertiva la musica scorrerle nelle vene come un fluido drogante, che la trasportava lontano, oltre il mondo, quasi oltre la vita. Da qualche anno, con somma disapprovazione di Ariadne, si era dedicata in particolare alla danza moderna, che aveva studiato anche su canzoni babbane. La pulsazione di un buon pezzo house era quello che ci voleva per tirare fuori la sua personalità aggressiva, per sfogarla. Lucius, uno dei pochi a cui avesse concesso di vederla allenarsi, adorava guardarla ballare. La grazia, la leggerezza con cui si muoveva la facevano sembrare un sogno.

Quella domenica, come molte altre volte, Ros era scappata un attimo dal casino della sala comune, piena di persone che urlavano e ridevano, e facevano i compiti e si sfidavano a biglie e si baciavano e producevano un mucchio di rumore, e si era rifugiata in un aula vuota al piano di sotto, insieme alla radiolina magica che portava sempre con sé. Aveva trovato un r’n’b decente da qualche parte, e quasi senza accorgersene aveva iniziato a danzare. Per fortuna, quando la porta si aprì non era ancora completamente presa dal ritmo; in caso contrario, non avrebbe sentito alcun rumore. Invece si fermò a metà di un giro on the dan, spense subito la radio e si ravviò i capelli con la mano, sentendosi arrossire. E non a torto. Sulla porta dell’aula, in jeans e maglietta dei Porter Prides, c’era James Potter.

“Ma bene” sorrise il ragazzo, un sorriso sadico, terribile “La piccola Lestrange.”

Contro la propria stessa volontà, Ros rabbrividì. Una delle regole non scritte del conflitto in atto da anni tra Grifondoro e Serpeverde recitava più o meno non è lecito attaccare una ragazza sola, soprattutto in un posto dove non può scappare. Eppure, quell’idiota del Cercatore veniva verso di lei, minaccioso, e aveva tutta l’aria di non essere disposto a lasciarla andare.

“Molto male” trovò il coraggio di rispondere “Potter.”

“Sai” la apostrofò amichevole James, gli occhi grondanti veleno “I tuoi amichetti non dovrebbero mandare le bambine sole nel bosco. Rischiano di incontrare il lupo cattivo.”

“Ma che cosa orrenda” ribatté lei, credibilmente sarcastica “Se mi capiterà di vederlo, cercherò di farlo fuori, con o senza cacciatore.”

Per qualche istante, l’idiota parve destabilizzato dalla secca replica, ma riprese con rinnovato vigore. “Sai, Lestrange, potrei anche farmi da parte e lasciarti correre via, nella tua Sala Comune, a rannicchiarti tra le braccia di quel perdente di Malfoy. Ma non so se ne ho voglia.”

“Lucius ne vale dieci, di stronzi come te!”

“E’ questo che pensi, vero?” all’improvviso, Potter alzò la voce, fin quasi ad urlare. “Che sono uno stronzo?”

“Sì” ringhiò Ros, sentendo le solite, inopportune lacrime che lottavano per uscire “Sei stronzo e anche codardo. Per sentirti un macho devi sfogare le tue frustrazioni su chi è più debole di te!”

Il dolore esplose di colpo, avviluppandole il braccio. Quando la vista le si snebbiò, si rese conto che lui l’aveva presa per il polso per torcere, per torcerla senza pietà.

“Ripetilo” quasi le sputò in faccia, il collo purpureo, le orecchie viola. “Ripetilo, sgualdrina!”

“Codardo” singhiozzò Ros, tramortita dal male. “Codardo, sei un verme, un verme!”

“Tu … io ti … ti …”

“Potter, basta, ti prego, basta, mi fai male!”

La ragazza cadde in ginocchio, scossa dai brividi. Dalla spalla in giù, le pareva di essere immersa in una foresta di aghi incandescenti. Le tornò in mente Rodolphus che, da piccoli, la sferzava crudelmente con le ortiche, per poi chiederle scusa, portandole in dono mazzi di margherite: bella, bimba mia, non piangere, piccoli fiori per le tue piccole dita.

“James?! Ma che diavolo fai?”

E poi, così come era iniziato, tutto finì. La stretta di lui si sciolse all’improvviso, e Ros si raggomitolò al suolo, il braccio dolorante ripiegato sotto l’altro. La sua mente riprese con un attimo di ritardo a girare, le lacrime salate si persero nella cortina riccia dei suoi capelli. Solo allora riconobbe la voce che aveva parlato. Da qualche parte, non lontano da loro due, c’era Sirius Black.

“James, testa di cazzo, cosa le hai fatto?”

Facendo del suo meglio per smettere di pigolare, la ragazza si voltò su un fianco, e attraverso il pianto vide il profilo perfetto di Black incombere sull’idiota, ufficialmente passato al rango di torturatore degli indifesi. Dal canto suo, Potter era piegato in due, il viso terreo tra le mani. Sembrava disorientato, come se si fosse svegliato solo in quel momento da un incubo orribile e fosse ancora indeciso se crederci o meno.

“Io … cosa … oh, mio Dio” mormorò, sconvolto, nel vederla a terra, ancora ansante, il polso gonfio. “Mio Dio, non volevo, io … Lestrange …” pronunciò il suo nome con una carica di disperazione tale che la fece rabbrividire.

“Non volevi” gracchiò invece, accovacciata sui talloni nel tentativo di rimettersi in piedi “Ma non vuol dire che tu non l’abbia fatto.”

“Ma cosa ti è saltato in testa? Dico, ma sei impazzito?” gli occhi fuori dalle orbite, Sirius stava ancora osservando i due ragazzi stravolti. Era una strana scena, in cui (ovviamente) mancava ancora un’attrice.

“Ros, sei qui? E’ un’ora che … un attimo” Dawn si bloccò, attonita, all’entrata dell’aula “Ma che succede?”

Ricapitolando:

Potter e Ros per terra, entrambi contorti, entrambi pallidi, entrambi con l’aria folle; in piedi, Black, con un’espressione sexy da sgombro stupefatto.

In quel momento, la Serpeverde si alzò, con il braccio rigido al petto. Furibonda.

“Chiedilo a quello lì.”

Dawn non aveva capito niente, ma una delle sue cinque regole d’oro recitava: insulta quotidianamente Potter; tu non sai perché, ma lui sì.

“Allora, pezzo di merda?” gli sibilò in faccia, mentre si raddrizzava, ancora pallido.

“Io …” aveva gli occhi infossati, rossi. “Lei mi ha insultato e io … ma non volevo!”

“Cosa hai fatto alla mia amica?” ululò Dawnrose, in tutto e per tutto una vera Malfoy inferocita. A quel punto, Black fece un passo avanti e si frappose con noncuranza tra i due.

“L’ha colpita” disse semplicemente. “Non credo intendesse farle del male.”

“L’ha colpita?” strillò la bionda, drizzandosi in tutta la sua statura. Sirius arretrò di un passo, finendo addosso al torturatore di inermi. “L’ha colpita!! Tu, lurida sozzura di humus maleodorante sotto il tacco sedici delle mie Manolo Blahnik, tu, schifoso Grifondoro, come hai osato??”

“Ehi, datti una calmata” le ingiunse Black. “D’accordo, ha sbagliato, però …”

“Però un cavolo! Ros, ti ha fatto molto male?”

La bruna si morse il labbro e scosse fieramente il capo. Ma i segni sul suo polso non potevano mentire.

Dawn impallidì ancora più del normale, traendo a sé l’amica. Lentamente, James si affiancò a Sirius, ridotto ad uno straccio. “Noi ce ne andiamo” ringhiò la Malfoy “Ma non finisce qui, hai capito Black? Lucius sarà contento di sapere cosa è successo.”

“No, pensaci, non voglio che …”

“NON ME NE FREGA NIENTE DI QUELLO CHE VUOI TU, BLACK!”

Dawn partì, ormai isterica, verso la porta, e Rosnake le trotterellò dietro, ma venne trattenuta per il braccio sano. Potter la fissava, supplichevole.

“Lestrange, io …” la voleva ai suoi piedi, come le altre, voleva il perdono. Lo guardò per qualche istante, la mascella forte, gli occhi allungati, la bella bocca.

Prese la sua decisione.

“Non dirlo mai. Non dire mi dispiace.”

Poi lo fece. Gli sputò su quella faccia da modello.

ab

Rosnake chiuse la porta senza eccessiva violenza, ma James sobbalzò comunque come se gli avessero sparato. Pallido e teso, si lasciò cadere su un banco, accarezzando in automatico la mandibola contratta. Sirius, ancora sconvolto, lo fissò per qualche istante prima di sedergli accanto.

“Me lo vuoi dire?” interloquì con dolcezza, dopo un attimo di silenzio. “Perché lo hai fatto, intendo.”

Il Cercatore affondò il viso tra le mani, le spalle oppresse da un peso invisibile, ma esistente. “Non lo so. Ti giuro, Siry, te lo giuro su tutto quello che vuoi. Lei era lì, era sola, debole, e … ho perso il controllo.”

“E’ stata una cosa molto grave, James.” Il bruno si rabbuiò, gli occhi serrati in una linea dura. “Non mi sorprenderei se Malfoy stesse già cercando qualche sgherro per farci a pezzi. Cristo, lo sai che sono stati insieme! Su di lei c’è scritto noli me tangere, okay?”

“Che venga” mormorò Potter “Che vengano tutti. Pagherò per quello che ho fatto, ma quei bastardi me li porto all’inferno, ci puoi giurare. Non mi importa del noli col tango.”

Saggiamente, Sirius decise che non era il caso di spiegare a James che si trattava di latino, e non di goblinese antico o qualcosa del genere. “Non ti capisco, però. Come ti è venuto in mente di aggredirla così? Una ragazzina che non farebbe male a una mosca!”

Il Grifondoro sospirò, lasciando che le immagini che fino a quel momento aveva tentato di escludere gli invadessero la mente. Rosnake che gli camminava davanti in Sala Grande, i fianchi minuti che oscillavano rapidi con i suoi passi. Braccia chiare e sottili strette tra le sue dita forti, di ragazzo. Lily sfigurata dal pianto, sei un bastardo, ma com’è possibile, animale, mandi in pezzi tutto quello che tocchi. Me, te, noi. Il lancinante fiotto di potere che l’aveva invaso nell’istante stesso in cui si era trovato lì, nell’aula vuota, con il fragile polso di lei stretto in una morsa. Avvertì un giramento di testa e si appoggiò al muro, svuotato.

“Mi ha sputato in faccia” commentò, in tono piatto.

“Ha fatto solo bene. Coraggiosa, la piccola.”

Vero. Coraggiosa e sincera. Io sono un vigliacco. Un verme. Malfoy ne vale dieci, di stronzi come me. Dieci. Dieci. Dieci. Dieci …

“Jamie, stai bene? Sei più bianco di Mirtilla Malcontenta.”

“Certo” in qualche modo, pescò parole rassicuranti nel deserto della propria bocca. “Sto benissimo, davvero. Tutto a posto.”

Sirius accarezzò i capelli dell’amico, senza riuscire a perdere del tutto l’espressione preoccupata. “Non accadrà mai più, vero? Promettimelo. Non scherzo.”

Un vigliacco. Dieci. Dieci. Dieci.

“Mai più. Lo giuro.”

Si avviarono insieme verso i dormitori, a prepararsi per la guerra.  

ab

Nauseata, Ros rifiutò la Burrobirra tiepida che Ian le offriva con la mano tesa. Non voleva che nulla attraversasse la linea delle sue labbra. Non voleva che nessuno combattesse per lei. Voleva solo essere lasciata in pace.

Come promesso, Dawnrose aveva convocato una solenne assemblea, e tutti i Serpeverde impegnati nella prime linee erano trincerati in un angolo, accanto al fuoco: Leyla abbandonata su una poltrona, Rod in piedi dietro di lei, le mani serrate sullo schienale, il giovane Nott seduto a terra, Lucius che misurava l’angolo a grandi passi, teso come la corda di un arco.

“Lo spezzo in due” ripeté per l’ennesima volta, un espressione truce dipinta sul viso.

“Basta” scattò Rabastan, infastidito “Ci serve un piano, non minacce campate in aria!”

“Ehi, mela!” commentò Ian nel silenzio generale. Nessuno si voltò neppure a guardarlo.

“Ros” disse dolcemente Lelly, notando che la cugina si era raggomitolata in posizione fetale. “Ros, come ti senti? Tutto bene?” Lei scosse la testa. Tutto quello scompiglio, quella rabbia, quella sete di vendetta la facevano sentire oppressa, impotente. Rodolphus le si sedette accanto, come quando erano piccoli e lei faceva un brutto sogno.

“Non preoccuparti, tesoro” la rassicurò “Pagherà per quello che ha fatto.”

“Lasciatelo a me!” supplicò per l’ennesima volta Dawn, la bacchetta sguainata.

“No” Rabastan pose la mano sulla spalla della propria migliore amica “Dev’essere un lavoro di squadra.”

Quale lavoro? Che squadra? Ros si massaggiò le tempie, confusa.

“Ehi, pera” fischiettò Ian.

Fu Lucius a prendere la parola, il viso divenuto una gelida maschera, priva di qualunque espressione. “Allora, penso che siamo tutti d’accordo. Attaccheremo stanotte.”

Attaccare?

“Sono con te” dichiarò subito Rodolphus, raddrizzandosi al massimo delle possibilità.

“Io no” sbottò Dawn “Attacchiamoli adesso!”

Solo allora, al sentire la concitazione delle voci, Ros trovò la forza di mettersi seduta. Fronteggiò gli amici con sguardo fermo, nonostante la stanchezza, nonostante il dolore.

“No.”

“Cosa no?”

“Ehi mela!” tentò Ian.

“Non attaccherete proprio nessuno, okay? Sono qui. Non mi ha mica uccisa.”

Quattro facce stupefatte la fissarono. Ian si stava infilando una matita nella narice sinistra.

“Ma stai scherzando?” sbraitò Leyla “Dopo quello che ti ha fatto?”

“Lo so. Non è stato corretto, ma sarebbe ancora peggio scatenare una sorta di faida, o come la volete chiamare voi! Non abbiamo bisogno di questo” aggiunse, in tono quasi di preghiera “Altri scontri. Altre sofferenze.”

“Snake, non ho intenzione di permettere al primo che passa di aggredirti” Rod prese la mano della sorellina, che però si divincolò subito.

“E io non ho intenzione di permettere che mio fratello si faccia invischiare in una cosa così stupida!”

“Stupida?” tuonò Dawn “Quel bastardo si accanito contro un’indifesa, non gli avevi fatto niente!”

“So anche questo. Io non voglio. Non voglio comportarmi come lui.”

A quel punto, Lucius fece un passo avanti e strinse Rosnake per le spalle. “Ros, non credo che tu capisca quanto è grave. E’ una dichiarazione di guerra aperta, Cristo!”

La ragazza cercò di sottrarsi alla sua presa, ma dovette cedere. “Solo se noi la cogliamo. Non voglio combattere, lo sai!”

“Ma Snake...”

“Ascolta, Lucius” il tono di Ros era cambiato, notò Dawnrose. Parlava con dolcezza, e a bassa voce, come se si stesse rivolgendo solo ed esclusivamente al ragazzo che le stava di fronte. “Ti prego, fallo per me. Accontentami, per favore. Lascia correre”.

“Ma...”

“Non voglio “ma” “. La bruna accostò il viso a quello di Lucius e premette la fronte contro la sua. Imbarazzati, gli altri diedero colpetti di tosse più o meno evidenti.

“Ehi, pera” canterellò Ian.

“Snake, te l’ho detto, io morirei per te!”

“Io voglio solo che tu eviti di doverlo fare.”

Come risvegliandosi da una trance, il Serpeverde fece un brusco passo indietro, staccandosi dalla ragazza, che gli sorrise, innocente.

“L’avete sentita, ragazzi” gracchiò Lucius “Seppelliamo le asce.”

 

  
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