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Autore: Wolf    01/07/2005    1 recensioni
...io e te siamo come il cielo e un prato verde. Prova ad immaginartelo, un prato verde, immenso da non vedere altro che l'orizzonte, bagnato da luccicare. Sopra cosa ci vedi? Non vedi un cielo azzurro? Così azzurro da non poterlo guardare troppo a lungo. Ed ogni, ogni filo d'erba sembra strappare un pezzettino di cielo ed assorbirlo in se, sembra accarezzare quel manto azzurro con estrema delicatezza. E il cielo, come un onda in procinto di cadere, sembra immergersi nel verde, sembra abbracciarlo...
Genere: Malinconico, Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo dodicesimo

 

Ottanta aveva sempre idee nuove. E su questo nessuno potevo dire nulla. Peccato che erano tutte gigantescamente stupide. Come quando venne a dirci che dovevamo provare a pattinare su una pista da bowling, o come quando ci chiese cosa sarebbe secondo voi l'acqua se fosse asciutta. O perché il Galak avesse come simbolo un delfino. Voglio dire, il delfino mica fa il latte. O come si riempiono i tubetti del dentifricio, e soprattutto di cosa è fatto il dentifricio? Perché, voglio dire, lo shampoo fa niente se non so di cosa è fatto, ma il dentifricio me lo metto in bocca tutti i giorni! Se fosse fatto di lardo di maiale spremuto più foglie di aloe vera?

L'ultima trovata fu grandiosa. Ci disse che dovevamo assolutamente inventarci un chip che registrasse tutta la nostra vita, sogni compresi. Questo chip, il magazzicordi, doveva essere installato alla nascita in un area del cervello in cui avrebbe potuto immagazzinare tutte le memorie di un uomo. Il fatto è che Ottanta non sapeva neanche lontanamente quali fossero le aree del cervello, né se fosse lontanamente fattibile, né se esistesse una tecnologia simile. Ottanta era l'uomo più utopico che noi tutti avessimo mai conosciuto. Solo che lui non si accorgeva molto di esserlo ed, anzi, si sorprendeva che gli altri non gli dessero corda. Tutti noi ci scherzavamo sopra su questo suo estro, quasi tutti non consideravano la persona che si nascondeva sotto quelle magliette "Ottanta Voglia Disco Party". Lo vedevamo come un buffone, uno così, un Peter Pan eterno perso dietro alla barzelletta del pomodoro che non riesce a dormire perché l'insalata russa, un sognatore con in testa una visione del mondo alla Dawson's Creek. Un immaturo, a volte anche un insensibile.

La verità era che Marco era il ragazzo più sensibile che fosse mai esistito sulla faccia di questo mondo del cazzo. Lui era davvero un cazzo di genio. Era un grande. Uno che aveva capito tutto un attimo prima del resto del mondo ma che era stato zitto, senza prendersi la gloria aveva aspettato pazientemente che qualcun'altro ci arrivasse con la sua testa e si prendesse tutto il merito. Era un mediano, uno che si faceva il culo per tutti i novanta minuti più di tutti quanti, colui che faceva davvero vincere le partite mentre i giornali, i tifosi, tutti, idolatravano l'attaccante di turno. Lui era il migliore. Migliore di gran lunga di tutti quanti noi. E aveva accettato che altri, pur peggiori di lui, si prendessero la fama di migliori.

Ma tutti lo videro, tutti videro l'uomo che era. Improvvisamente a tutti fu chiaro. Io lo sapevo già che uomo fosse, lo ammiravo già da tempo. Ma quando si presentò, un giorno di pioggia, bagnato di fronte a casa mia, dicendomi che ora sapeva quali fossero le parti del cervello e che me le avrebbe svelate così potevo costruire il chip, dicendomi che ora le sapeva tutte benissimo perché aveva un tumore proprio lì, singhiozzando come chi ha paura di non poter più aiutare le persone che ama e non come chi ha paura per se stesso, piangendo sotto la pioggia mi abbracciò, la maglietta nera con un grande 80 stampato sopra appiccicata al petto, come se volesse sorreggere me più che farsi sorreggere. Tutti seppero che lui era il migliore.

  
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