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Autore: Rota    07/01/2010    1 recensioni
-“Hai davvero una bella voce, Shino! Perché non canti nella mia band, al posto di Ino? Sicuramente farebbe più effetto! Non fare l’asociale come al solito!”-
Il ricordo nitido delle parole di Kiba era un’ingombrante presenza nella sua memoria, come un macigno che gravava e schiacciava ogni altra cosa, diventando una presenza costante e fin troppo oppressiva. Nulla di più importante sembrava poterne prendere il posto, ora più che mai.

****Terza classificata al "Scolastic Yaoi contest" Indetto sul forum di EFP da iaia86 e (shi)Rei Murai e vincitrice del premio Attinenza****
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hinata Hyuuga, Ino Yamanaka, Kiba Inuzuka, Shino Aburame | Coppie: Shino/Kiba
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Show must go on'
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show 2 Secondo capitolo della ff *O*
Sono davvero felice che sia piaciuto il primo capitolo, ne sono davvero fiera **
Ringrazio infinitamente slice, bravesoul e beat per le recensioni, nonché le due persone che hanno messo la mia ff tra i preferiti <3
Davvero grazie di cuore **
E ora vi lascio al secondo capitolo ^O^
Buona lettura ^^



Capitolo due: Ambizioni



Era Febbraio, per la precisione la seconda settimana del mese, eppure già la maggior parte degli studenti di Konoha era in esagitato fermento per la Festa Nazionale che si sarebbe tenuta il mese successivo (****).
Si doveva organizzare, fare, disfare, portare materiale, accumulare denaro e fondi, spendere bene le riserve economiche e di mezzi, dividere l’attenzione degli insegnanti e focalizzarla sugli eventi più importanti. Il Successo era alle porte, si doveva solo aspettare il momento giusto per acchiapparlo con mani ferme.
-Forza! Riproviamo ancora una volta! Non possiamo fermarci proprio ora!-
E Ino Yamanaka era decisamente intenzionata ad appostarsi in attesa di quel preciso momento.
Il suo gruppo aveva avuto il permesso di poter usufruire di una delle tante aule in disuso che la scuola aveva a disposizione, nell’ampia ala ovest, separata dal resto dell’edificio da un piccolo cortiletto e un campo di tennis all’aperto, dove normalmente si svolgevano le lezioni di Educazione Fisica quando il tempo era particolarmente bello.
La piccola stanzetta era piuttosto modesta, quattro metri per cinque, e la porta che l’apriva cigolava pericolosamente e in maniera così dolorosamente acuta che faceva male alle orecchie. In compenso, i ragazzi erano riusciti a trovare una batteria accettabile, magari senza tutti i tamburi ma quantomeno faceva un rumore degno di questo nome. Le chitarre, i microfoni e gli amplificatori erano stati pagati di tasca propria, o regali di compleanni e Natali passati o comprati accuratamente con i fondi stanziati dalla scuola per il piccolo Festival. La pianola di Ino, invece, era stata affittata ad un negozio di strumenti musicali, il cui proprietario, amico d’infanzia del signor Yamanaka, aveva fatto uno sconto piuttosto vantaggioso per l’occorrenza, con in cambio la promessa di ricevere un biglietto gratis per vedere il concerto.
Shino era seduto sopra una delle casse, dietro la batteria, godendosi da quel punto tutte le dinamiche che animavano le quattro persone davanti a sé.
Choji, il batterista, era un novellino, si vedeva lontano un miglio che non aveva mai suonato in un gruppo. Non che fosse scoordinato, era realmente la perfezione personificata: teneva un ritmo incredibile, anche per svariati minuti di seguito, senza alcuna imperfezione o sbavatura; semplicemente gli mancava la coordinazione con gli altri membri del gruppo, cosa invece fondamentale per la buona riuscita di ogni singolo brano.
Lee era decisamente troppo entusiasta nel suo ruolo di bassista. Per quanto sbagliasse o saltasse ogni tanto strofe intere o note decisive, andava avanti che era un piacere, senza mai fermarsi un solo istante, continuando a suonare imperterrito senza tener conto di niente e di nessuno. Come si suol dire, dietro la faccia da perfetto buon ragazzo vi stava letteralmente una piccola belva…
Ino aveva la stessa carica di Lee addosso, e si metteva in mostra, conscia della propria bravura non indifferente e del proprio carisma. Peccato che il suo violento entusiasmo, più o meno come per Lee, la portava a fare acuti fin troppo evidenti e le sue mani, quando la voce era occupata a cantare, partissero per la tangente suonando non si sa bene di preciso cosa.
Hinata era forse l’unica persona che eccelleva in tutto quello. Fin troppo rigida nella sua postura di plastica, non sbagliava un accordo che fosse uno, suonava seguendo solo ed esclusivamente la batteria e il ritmo che quella dava, e quando c’erano degli assolo da compiere li eseguiva senza fare la minima piega. La perla nel porcile, in poche parole.
Ancora una volta il brano giunse alla sua conclusione e Ino, affaticata dall’aver urlato per quasi cinque minuti di fila, si volse verso l’Aburame e lo onorò con un sorriso estasiato.
-Allora? Che ne pensi?-
Shino ebbe la terribile tentazione d’essere cattivo, di sputar veleno come mai aveva fatto, di smontare quel fastidioso quanto irritante sorrisino da quelle labbra rosse di trucco. Ma per amor proprio e per semplice gentilezza, optò per la via più semplice e indolore: l’indifferenza.
-Direi che si può fare ancora meglio…-

-Shino! Shino, aspetta!-
Una voce gentile, forse un poco affannata, fermò il ragazzo che stava tentando un’elegante quanto affrettata fuga. Era appena uscito dalla stanzetta chiamando in causa la voglia infame di bersi un tè caldo, e guarda caso la macchinetta più vicina era dall’altra parte del campetto, appena dopo la palestra. Hinata aveva colto l’occasione propizia per andargli dietro e beccarlo in completa solitudine. Non che quest’ultima cosa fosse poi così difficile da ottenere, ma raramente la ragazza s’era trovata nelle condizioni di potergli parlare tranquillamente.
Per cui, aveva colto la palla al balzo.
Shino s’era fermato - suo malgrado - ad aspettarla, facendosi così raggiungere per poi riprendere tranquillamente a camminare assieme a lei; il tè lo avrebbe bevuto comunque, non si sarebbe certo privato di quel buon calore solo per Hinata.
Hinata, rampolla e diretta discendente della famiglia Hyuuga, puro sangue della cosiddetta Casata Principale, amica d’infanzia sua e di Kiba. Come l’aveva conosciuta non se lo ricordava proprio, era passato davvero troppo tempo da quel giorno infausto. Ciò che più lo legava a lei era la sua incredibile capacità di riuscire a comunicare in maniera pressocchè silenziosa, senza dire nulla di troppo. Eppure la dolcezza dei suoi gesti, la meravigliosa sensazione avvolgente di calore e protezione che induceva nelle persone con il suo semplice sguardo azzurro perlaceo l’avevano eletta a persona degna della compagnia del tenebroso Aburame. A differenza di Kiba, a Hinata si era abituato senza alcuna fatica. Era una sorta di sorella mancata, una presenza affettuosa alla quale ci si poteva accostare senza alcun problema.
Era stata a prima ad aver inteso la relazione tra lui e Kiba, quando questa era nata nel suo semplice imbarazzo adolescenziale.
La vide sorridere, mentre silenziosa lo seguiva fino alla sua meta.
-Perché non provi anche tu a partecipare? Non sai quant’è divertente!-
La macchina vibrò appena quando Shino selezionò con il dito la propria bevanda e la dose di zucchero, emettendo alcuni suoni fastidiosi.
-Fate un po’ pena, detto sinceramente…-
Il bicchierino si riempì pian piano di acqua sporca e zuccherata, bollente, così che le dita della mano che si serrarono contro la plastica bianca poterono in tutta tranquillità ustionarsi a dovere.
La ragazza sorrise appena, mesta, avvicinandosi alla macchinetta a sua volta e selezionando una cioccolata fondente, poco zucchero e un bastoncino di plastica per mescolare.
-Abbiamo ancora tutto il tempo che vogliamo per imparare bene a coordinarci… in un mese riusciremo a tirar fuori qualcosa di decente!-
Shino non disse nulla, sorseggiando il tè caldo con pacata indifferenza. Non credeva possibile un simile miracolo, ma dirlo in faccia a lei poteva risultare alquanto maleducato. In fondo, chi era lui per distruggere a quella crudele maniera i suoi sogni?
Quando la gola fu bagnata dal liquido colorato e uno sbuffo caldo uscì dalle sue labbra, l’Aburame cambiò radicalmente argomento, per non farla cadere in tentazione di chiedergli di spiacevoli e alquanto tediose verità, giusto per levarla dall’imbarazzo del silenzio.
-Come stai, Hinata?-
Da troppo tempo non erano riusciti a vedersi, loro due. Ancora prima del fattaccio, lei aveva preso ad evitare lui e Kiba per un motivo non ben precisato, e una volta, trovatasi a doversi giustificare davanti agli amici, aveva detto di non voler invadere la loro privacy. Come se a Kiba cambiasse qualcosa baciarlo in compagnia di una donna o di un albero.
Ma Shino aveva sentito alcune voci di corridoio, indiscrete, che dicevano in maniera fin troppo maligna quanto in casa Hyuuga ci fossero vari problemi a livello di relazioni e rapporti. Il signor padre non era un tipo tanto comprensivo, a lui non piacevano i voti mediocri, sempre sopra la media ma non eccellenti, della primogenita. Lui voleva il meglio, e se non l’avesse ricevuto da Hinata avrebbe ripiegato su qualcun altro. Per esempio su Neji, il perfetto cugino…
Hinata prese tra le proprie dita martoriate dalle ore di prove il bicchierino di plastica candida, soffiando sulla bevanda alito fresco.
-Direi che non me la passo così male… c’è gente che sta vivendo giorni più brutti dei miei…-
La nota dolente arrivò, inevitabile. A pensarci, Shino era stato davvero uno sciocco a fare una domanda simile, e lo realizzò nella maniera più drammaticamente vera quando lei lo guardò in viso, con quei suoi occhioni incredibilmente grandi, e gli chiese, gentile come sempre.
-Tu come stai, Shino?-
Il ragazzo non rispose subito, ma alla fine si decise a ripetere semplicemente quanto lei stessa aveva detto.
-C’è gente che sta vivendo giorni più brutti dei miei…-

*****

L’aria dell’Ospedale era tiepida, gli infermieri si ricordavano di arieggiare l’ambiente con costanza metodica tanto da non essere sospettati d’assoluta negligenza. Né più né meno dello stretto necessario.
-Sei di nuovo qui, Shino? Ma non dovresti studiare, ogni tanto?-
Un tono ironico e un poco sprezzante dissimula bene l’accorato appagamento che una semplice visita può riservare al cuore stanco dei malati, sia l’Aburame che il suo ospite lo sapevano bene.
-Se ti dispiace così tanto sono sempre pronto ad andarmene…-
Kiba sbuffò, non credendo manco per un secondo al tono irritato con cui l’altro proferì aspro quella frase; ma si sapeva, il gioco delle parti vuole che se uno ferisce di tanto, il nemico risponde di tanto. E quella stupida farsa infantile era alla base di ogni loro relazione.
Diede una pacca piuttosto vigorosa al lenzuolo, invitando il proprio compagno a sedervisi. Shino, ancora un poco restio, borbottò qualche parola incomprensibile sotto voce ma non si fece pregare nuovamente e prese posto lì dove l’altro aveva indicato.
L’Inuzuka gli sorrise solare.
-Che mi racconti di bello? Come vanno le prove con la band?-
L’Aburame inalò aria, giusto per darsi un degno contegno.
-“Prove della band” e “cose belle” non possono stare nella stessa frase…-
L’espressione del malato cambiò radicalmente in qualche istante. Divenne collerica, quasi arrabbiata.
-Brutto musone narcisista! Come minimo non avrai partecipato manco una volta alle prove, o sbaglio? Lo sapevo che non potevo affidarmi a Ino, lei non è capace minimamente di smuoverti! Almeno con Hinata ci parli, dovevo chiedere a lei, dannazione!-
Shino sospirò paziente, ipotizzando se l’handicap fisico dell’altro avesse compromesso anche il funzionamento celebrale.
-Hinata ha già provato a parlarmi…-
Kiba scattò nuovamente a quest’affermazione.
-Con ben scarsi risultati, vedo!-
Si zittì, facendo cadere sulla stanza un silenzio pesante, teso, non facilmente sostenibile. Guardando torvo l’Aburame, come se volesse incenerirlo con il semplice sguardo, gli prese la mano tra le sue stringendola forte.
-Promettimi che almeno tenterai! Promettilo, Shino!-
Strattonò quel braccio inerme, volendo ricevere a tutti i costi un segno dal suo imbambolato proprietario. Shino non riusciva a guardarlo negli occhi, combattuto tra il proprio orgoglio che gli intimava di rifiutare con tutte le sue forze e quel piccolo, fragile eppure resistentissimo senso di colpa che invece lo spingeva alla resa.
Era doloroso ammetterlo, ma nel parlare era mosso solo dal desiderio di cancellare la maledetta immagine di Kiba steso in quel letto bianco dalla mente.
Sussurrò appena, forse nel tentativo di non farsi sentire affatto.
-Ci proverò…-
E quando un Aburame promette, è per sempre.
L’Inuzuka sorrise felice, dimenticando in un attimo la rabbia. Lo attirò a sé per lo stesso braccio con cui priva lo aveva istigato, abbracciandogli le spalle e avvicinando il suo viso al proprio.
Shino subito fece resistenza, poggiando l’arto libero contro il muro dietro la schiena del malato.
-Kiba… l’infermiera è qui vicina…-
Era un bacio, uno stupido e semplicissimo bacio, niente di più innocente che il proprio ragazzo ti può riservare. Ma un atto simile, l’ultima volta che era stato commesso in pubblico, aveva ricevuto solo occhiate sdegnate ed espressioni che rasentavano il disgusto.
Gli occhi dell’Entomologo indugiarono sulle bende ancora presenti sul corpo di Kiba, a ricordare che gli esseri umani avevano così punito semplicemente il loro essere sé stessi, che un semplice bacio come quello che volevano scambiarsi in quel momento, in quel luogo, avrebbe potuto davvero portare a conseguenze ben più gravi.
Era terrorizzato all’idea di dover subire un’altra volta tutto quello.
Kiba capì, lentamente ma capì, e lo lasciò andare, allentando la presa del braccio.
Cercò di sorridere, tentò davvero, ma quello che gli si dipinse sulle labbra fu una smorfia poco convinta. Sconfitto dall’evidenza, voltò il viso e lo sguardo.
-Ora… ora è meglio che tu te ne vada, Shino…-

*****

Una promessa è per sempre, specialmente nel codice d’onore di casa Aburame.
Questo è quanto Shino continuava a ripetersi, passo dopo passo, mentre si avviava alla “sala prove”, questo il motivo di una nenia che la sua coscienza stava tristemente intonando nella sua testa. Che la sua implicita volontà lo stesse intimando a scappare a gambe levate era un problema ben serio, specie dal momento che la temperatura dell’aria che tutto lo avvolgeva non dava spazio all’incertezza.
O ti sbrigavi, o rischiavi una seria congestione. E Shino odiava con tutto sé stesso il freddo.
Così, volente o nolente, attraversando i campi sportivi che lo separavano alla sua meta – perché aveva pensato che quella fosse la strada più breve? Fin dove arrivava la stupidità di certi suoi pensieri? – muoveva i suoi piedi con una solerte velocità, un passo dopo l’altro.
Finché, naturalmente, qualcosa non si mise davanti alla realizzazione del semplice progetto di preservare la temperatura corporea ad un livello quantomeno decente.
La vista di un volto familiare lo fermò lì, in mezzo al nulla, vicino ad un ponte di cemento sopraelevato che collegava due diverse zone dell’edificio, le pareti di cemento dalle ampie vetrate tetre, quasi incombenti sulla sua misera figuretta tremante.
Affondando ancora di più le mani nelle tasche della propria giacca, si volse appena, il mento completamente nascosto nel colletto dell’abito caldo. Uscì uno sbuffo decisamente poco amichevole dalle sue labbra alla vista effettiva della persona che l’aveva chiamato, e il tessuto spesso che si contrappose tra lui e l’interlocutore rese ancora più difficile la comunicazione.
-Uchiha…-
Il giovane, protetto dal freddo dalla parete dell’edificio scolastico dietro il quale si era messo, gli fece un semplice cenno della testa, ad invitare l’altro - ad intimargli più che altro – d’andare da lui. E di farlo anche in fretta.
Shino sbuffò nuovamente, dirigendo i propri passi verso il ragazzo con una lemma ancora più svogliata di quella che l’aveva fin lì mosso. Non che gli dispiacesse ritardare il suo incontro con i membri della sua band, certo avrebbe preferito passare il suo tempo in situazioni ben più piacevoli.
Ma senza esitazioni di sorta, arrivò accanto a lui, guardandolo dritto in volto.
L’Uchiha lo fissò di rimando, con un’espressione tale da fargli venire voglia di sputargli direttamente in un occhio e andarsene seduta stante; come se la boria che la fama gli attribuiva lo muovesse tutto al instaurare fin da subito, con l’altro, un rapporto di gerarchia immutabile. Erano davvero pochi i pari che ammetteva al suo livello.
Disse, quasi sprezzante.
-Sei in ritardo, Aburame…-
Shino non capì subito effettivamente a cosa si riferisse l’altro giovane, tanto che si costrinse in un silenzio assorto e attese ulteriori spiegazioni. Spiegazioni che, ovviamente, non arrivarono.
Uchiha era come lui, amava farsi pregare per concedere mezza unghia.
Così, in silenzio, lo seguì mentre questi aveva preso a camminare lentamente verso quella che sembrava prefigurasi tutta come una meta comune.

Uno strillo gracile, un suono stonato e fin troppo acuto, che fece trillare il microfono in maniera parecchio dolorosa per i timpani sensibili dei presenti.
La bocca di Shino corse lontano dal microfono, irritato egli stesso dal risultato dei propri sforzi.
La musica cessò all’istante, tra sbuffi contrariati e mugolii non troppo discreti di delusione.
Ino subito dovette soddisfare il bisogno di far notare il suo enorme disappunto.
-Shino, insomma! Quante volte ti devo dire che non devi cantare di gola ma di pancia? E’ un concetto tanto difficile? Ti ho anche mostrato come si deve fare! Cosa c’è che non va?-
Shino non rispose, guardò fisso l’asta del microfono, come a cercare di far passare abbastanza tempo perché la ragazza rinunciasse ad avere una risposta.
Ma non aveva fatto i conti con l’ostinazione di Ino Yamanaka.
-Shino, ti ho fatto una domanda! Vedi di avere la decenza di rispondermi-
L’Aburame sospirò appena, girando il viso e puntando il proprio sguardo su Ino.
Cercò di reprimere la voglia impellente di lasciare lì il tutto e andarsene via, e sembrò anche riuscirvi piuttosto bene, se non fosse stato per il tono leggermente irritato che riservò alla ragazza.
-Continuiamo a provare…-
Certo, se fosse stato così semplice gestire tutta quanta l’ansia che lo prendeva dentro, ogni volta che avvicinava le sue labbra al microfono, forse a quel punto di loro persino i giornali di gossip mondiale avrebbero parlato.
Uchiha lo fissava senza pietà, senza staccare per un solo attimo gli occhi da lui, come a metterlo costantemente alla prova. Shino non riusciva a capire quale fosse il motivo di tale insistenza, fatto sta che quando Sasuke si era proposto come tecnico del suono, e aveva promesso anche un’abbondanza di casse decenti e un mixer degno di questo nome, Ino – che ormai aveva le redini di tutta quanta la situazione – l’aveva accolto con un sorriso smagliante e un’espressione che definire felice era un eufemismo.  
In effetti si era rivelato un valido aiutante, aveva fatto in modo che il suono timido della chitarra di Hinata fosse un poco più prestante rispetto al rimbombare tuonante dei tamburi di Choji. E questo era già un buon risultato. In più aveva dato un’occhiata ai testi, specialmente quelli del basso di Lee e della tastiera di Ino, e aveva subito tirato fuori dalla sua cartelletta professionale – nera e di pelle, manco fosse stato un avvocato in carriera – dei testi musicali più precisi e adatti alla band nel suo insieme. In definitiva, aveva messo a posto un po’ di cose.
Ciononostante, sembrava davvero che l’unica cosa che non gli andasse a genio fosse proprio il cantante, Shino Aburame. Il giovane non capiva il motivo, ma leggeva in quello sguardo fisso il desiderio irrefrenabile di levarselo di torno, come annullarlo in una nuvola di polvere.
Il bello era che ancora non aveva detto una sola parola, lo aveva semplicemente fissato.
Se non fosse stato per il fatto che Sasuke gli ricordava Kiba – in una catena di rimandi mnemonici che lo portava a ricordare il giorno in cui l’aveva visto all’Ospedale in compagnia del suo ragazzo -, francamente a Shino non sarebbe importato davvero nulla. Ma quello era il punto, era come se Sasuke incarnasse l’aspettativa di Kiba stesso, il desiderio che quel patetico show venisse bene. Tutto quello metteva addosso al giovane Aburame un’ansia che mai aveva provato prima. Per cui, nonostante gli occhiali eroicamente al loro posto, non poteva far altro che subire questa situazione in silenzio.

-Detto francamente, il cantante è l’elemento debole di questo gruppo…-
No, Shino non si era stupito quando Sasuke aveva così esordito alla prima riunione di gruppo della band, qualche giorno più tardi. Non si era stupito davvero per nulla.
In compenso, aveva assistito con un certo fastidio alla reazione a dir poco esagerata di Hinata. Questa si era esposta emettendo un gridolino stridulo, come spaventata a morte.
-Ma cosa dici, Sasuke? Shino è il nostro unico e solo cantante!-
L’Aburame davvero non capiva cosa spingesse la ragazza a simili dimostrazioni d’affetto nei suoi confronti, ma non appena Hinata ebbe finito la sua commedia si aggiunse anche quella di Ino.
-Uchiha, Kiba ha detto che Shino è il cantante del gruppo. Questo è quanto!-
Seriamente, cosa aveva preso a tutti quanti?
Non si ricordava di aver mai dimostrato nulla che valesse una tal prova, specialmente a quelle due ragazze, specialmente a Ino. Hinata ancora la capiva, probabilmente senza la presenza di Kiba aveva fatto fin troppo affidamento su di lui, e ora che la sua fuga aleggiava nell’aria come una minaccia un poco più concreta aveva seria paura di non farcela da sola.
Ma Ino…
Sasuke sbottò, particolarmente sagace.
-Il legno marcio è quello che fa affondare la nave. E’ stupido continuare una ridicola farsa solo per questioni di principio!-
Ancora una volta, Shino non disse assolutamente nulla.
Se il suo muto orgoglio gli impediva di accettare con rassegnazione e passività quelle parole tanto astiose, dall’altra parte la sua tendenza al vittimismo non poteva che essere grata di questo intervento così fomentato che gli avrebbe aperto le vie di una fuga dignitosa…
Questi pensieri, a ben pensarci, erano quanto di più codardo potesse esserci.
E proprio per questo, il giovane Aburame decise alla fine di sbilanciarsi – non sarebbe più riuscito a guardare in faccia Kiba nel caso contrario.
Per la prima volta, quindi, prese lui stesso la parola.
-Lo so che non sono bravo quanto lo è Ino, Uchiha. So fino a che punto la mia tecnica possa essere carente… non sono io quello che ha studiato canto per anni interi…-
Alzò il viso, in una mossa che di teatrale aveva decisamente molto.
-Ma dal momento che i componenti di questa band, Kiba per primo, fanno affidamento su di me, ritengo questo un argomento più che valido per impegnarmi. Perseveriamo, i risultati alla fine verranno…-
In quel momento Shino credeva alle proprie parole, credeva fermamente nella bontà di quanto appena detto. Era convinto di potercela fare, di poter arrivare fino in fondo a quanto prefisso.
Così, quando Sasuke borbottò stancamente un “Fate come credete, non sono affari miei…” non fece altro che esserne intimamente contento.

*****

Gli anni erano inevitabilmente passati, scorrendo secondo dopo secondo. Lenti, i granelli cadono singolarmente dal collo della clessidra.
Come il vento tra le fronde degli alberi erano scivolati lontani i giorni tediosi.
Ma quello che Sasuke non fece fuggire assieme ai minuti fu un chiaro ricordo, tutto ciò che lo legava in maniera seria alla persona dell’Inuzuka.
Era un pomeriggio d’estate, ancora la luce di suo fratello maggiore era così accecante da renderlo una larva trasparente e priva di consistenza, anche quando il suo impegno da primo della classe non era sufficiente – proprio per nulla – a garantire quel minimo d’attenzione paterna per una solidità psichica degna di una persona normale.
Era un pomeriggio d’estate, caldo, afoso, dove il sudore appicicaticcio incollava le magliette alla pelle nuda e accaldata e la volontà stanca si accoccolava placidamente in un angolo fresco della coscienza.
Sasuke non stava bene, in quella giornata. Non che fosse una novità, la sua natura pallida e secca non gli permetteva una grande resistenza a questo genere di eventualità climatiche - del tutto naturali. Non stava bene per nulla.
Così come non stette bene sotto i suoi vestiti neri, da lutto - una camicia dalle maniche lunghe e una giacchetta di cotone fresco – quando due bare lunghe e di legno lucido uscirono dalla Chiesa. Gli occhi pieni di lacrime salate, lo sguardo s’era rifiutato di fissarsi avanti e s’era invece piantato a terra, ostinatamente.
-Uchiha…-
Era stato in quel frangente che Kiba si era avvicinato di soppiatto, quasi temesse di essere troppo indiscreto. Quasi avesse paura di fare troppo rumore.
Lui, quel piccolo Inuzuka che non aveva esitato un solo istante a mettergli le mani addosso qualche giorno prima, in una rissa scoppiata così per gioco, quello stesso Inuzuka che amava fare chiasso e ridere a più non posso. Quell’Inuzuka ora era vicino a lui, l’unico che avesse avuto il coraggio d’affrontare il caldo dell’estate per andare al funerale del nuovo compagno delle elementari.
Sasuke aveva guardato effettivamente un poco basito quel bimbo, impacciato nei suoi abiti formali – lui abituato a rotolarsi nel fango con il suo amatissimo cane, lui così selvaggio e ferino -, ma alla fine era riuscito a calmare i singhiozzi e a muovere un passo di lato, per fargli posto accanto a sé.
Kiba l’aveva raggiunto in silenzio, così come in silenzio era rimasto per tutta la durata della cerimonia.
Era estate, e faceva veramente tanto - troppo - caldo.

Così, Sasuke alzò lo sguardo verso l’Aburame, mentre ancora il giovane stava armeggiando con quello stupido microfono, cercando di regolare il volume della cassa che ampliava la sua voce.
Non gli piaceva quel ragazzo, per nulla.
Mancava di quella cosa fondamentale perché lo accettasse al fianco del suo migliore amico.
Un amore tanto flebile come quello di Shino non era assolutamente accettabile, non dopo quello che era accaduto a Kiba.
Per questo, mai – proprio mai – gli avrebbe permesso di continuare a frequentarlo.





Note:
(****)L’Equinozio di primavera, altrimenti da me detto Festa di Primavera, è festività nazionale in Giappone.
   
 
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