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Autore: Luine    07/01/2010    1 recensioni
Quando mi hanno regalato questo diario per il mio dodicesimo compleanno, non credevo che mi sarebbe stato tanto utile. Credevo che sarebbe rimasto intonso come quando l'ho scartato. E, invece, eccomi qui a scrivervi sopra e a raccontare la mia (strana) vita.
Mi chiamo Ken Iccijojji, vivo a Tokyo con i miei genitori, Videl e Gohan, e con mia sorella maggiore, Pan.

Kenny ha dodici anni, una sorella maggiore alquanto turbolenta e una situazione familiare decisamente movimentata. A causa del terrore di sua madre di vederlo diventare come Pan, si ritrova iscritto in una scuola speciale per ragazzini problematici che già da subito si rivela essere una vera e propria caserma militare.
Tra paure, insegnanti molto duri, amici fidati e misteriosi, incomprensioni, equivoci e risate, si snodano le vicende di Kenny che come valvola di sfogo ha il suo diario, sul quale annota le sue più intime paure e i fatti di vita quotidiani, cercando di convincere se stesso che, forse, poteva andare peggio.
[ Dragon Ball, Digimon 02, Gundam Wing, What a mess Slump e Arale, e altri ]
Genere: Comico, Commedia, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le lezioni al primo anno

Arale Holmes



12 Novembre


«Insomma, tu non sei curioso?» mi ha chiesto Arale, quest'oggi, a pranzo. Ci siamo ritrovati da soli, perché Alex e Frank avevano deciso di dare quattro tiri al pallone. In realta, avevano invitato anche me, ma ho preferito andare a mangiare. Ora so che è stata una pessima idea.

«Di cosa?» ho alzato lo sguardo su di lei, per non dover guardare le polpettine di carne cruda che Pan ci aveva propinato. Lei era qualche sedia più in là, coi capelli sporchi di sugo e niente davanti.

«Non mangi i tuoi... manicaretti?» le ha chiesto Tai Yagami, sarcastico.

«FATTI I CAZZI TUOI!» ha abbaiato lei, tornando a guardare in cagnesco il suo piatto vuoto. Non ha preso molto bene la sua punizione e, l'altra sera, in camerata, ha sbraitato un sacco contro la Une, tutti i suoi parenti in vita e pure contro i morti.

Arale, intanto, mi lanciava uno sguardo rabbioso. «Parlo di Alex e del perché è stato in riformatorio!» ha riassunto in modo egregio. A quel punto, non ho potuto fare altro che riabbassare lo sguardo. È stato solo un peccato non poter riempire la bocca col macinato che troneggiava nel piatto.

«Cosa?!» la voce penetrante ed acuta di Bra ha rischiato di perforarmi le orecchie e mi ha fatto sobbalzare. Era appena arrivata ed esibiva un'espressione inebetita sul volto, mentre le sue amiche, Sora e Mimi, che la seguono dovunque, guardavano da me ad Arale con occhi sgranati e decisamente disgustati, come se fossimo stati ricoperti di letame. «Ramazza è stato in galera?» Bra ci ha guardato con quella stessa espressione. «Dovevo proprio aspettarmelo... ehi, Burton, hai sentito?»

Trowa ha alzato gli occhi dalla sua insalata.

Ho cominciato a pensare che volesse diventare vegetariano, vedendogli fare quell'espressione disperata rivolta alle polpettine crude.

«Cosa?» ha chiesto, però, piuttosto annoiato.

«Alex Ramazza è un delinquente!» ha detto Bra, come se avesse dovuto indovinarlo da solo.

«Alex non è un delinquente!» mi è scappato e Trowa è tornato semplicemente a farsi gli affari propri.

Bra ha ridacchiato, portandosi indietro i capelli. «Ah, no? Pensi davvero che non lo sia, uno che è stato in riformatorio? Guarda che l'ha detto la tua amica Norimaki, non me lo sto inventando io!»

Mi ha rivolto uno sguardo trionfante, quando ha visto che non ero capace di difendere il mio amico. Non avrei neanche saputo come fare! Insomma, l'aveva detto lui stesso di essere stato in carcere!

Senza dire nient'altro, intanto, Bra si è andata a sedere al posto che occupa di solito, dall'altra parte del tavolo, in mezzo alle altre due, mentre Arale scoccava loro un'occhiata carica di disapprovazione.

«Beh, devi ammettere che ha ragione...» mi ha fatto notare la mia amica, distogliendo l'attenzione da loro. «Insomma, non sarebbe stato in riformatorio, se fosse stato innocente.»

Non so perché, ma mi dispiaceva davvero sentirla parlare così e mi ha anche un po' infastidito: lei ha sempre passato molto tempo con Alex, esattamente come me e Frank, eppure era già pronta a condannarlo. «Potrebbe anche essere stato messo in mezzo a qualcosa di più grande di lui, no?» le ho fatto notare. Lei mi ha risposto con un cenno condiscendente della testa, cosa che mi ha fatto arrabbiare. «Non puoi credere che...»

«Ti ricordi che cos'ha detto il primo giorno?» mi ha chiesto, picchiettando la punta del dito sulla superficie liscia del tavolo. Ho scosso la testa e, quando me l'ha detto, mi sono rammentato di dover rileggere più spesso ciò che scrivo. «Ha detto che voleva rubare l'impianto stereo di mio fratello. E ha anche aggiunto di essere un vero ladro; è favorevole al contrabbando e tiene la contabilità dei traffici di Yuy e...» si è fermata e guardata intorno, come se qualcuno fosse stato nei paraggi e stesse origliando. «E poi fuma.»

Lo ha detto come se fosse il crimine peggiore che una persona potesse compiere. Non avevo mai pensato ad Alex come ad una cattiva persona solo perché fuma. Evidentemente, per Arale è diverso.

«E allora?»

Lei ha sospirato con fare paziente. «Kenny, fuma ed ha quattordici anni. Per te, non significa niente?»

Ho alzato le spalle. Sinceramente non ci avevo mai pensato e non ho fatto molto altro che balbettare, ma, ora che ci penso, per me non significa davvero niente.

«Che eloquenza!» ha constatato Pan, con fredda ironia, girandosi verso di noi.

«Tu che ne pensi?» ha voluto sapere Arale, ignorandola. Mia sorella ha inarcato un sopracciglio e l'ha guardata con disgusto.

«Riguardo a cosa?»

«Alex.»

Se devo essere sincero, ero davvero molto curioso anche io di sapere cosa potesse dire lei a proposito del fatto che Alex si sia fatto qualche tempo in prigione.

«Che puzza come un caprone in decomposizione e che ha il cervello di un sottaceto andato a male.» ha risposto, senza pensarci neanche un attimo. Ma ad Arale non andava bene: ha alzato gli occhi, esasperata, e non è andata di certo per il sottile, quando ha dichiarato che voleva sapere soltanto che cosa ne pensava del fatto che fosse stato arrestato. «Ah.» ha ribattuto Pan, senza nessuna particolare enfasi, anzi, diciamo che sembrava che si stesse aspettando una domanda del genere. «L'ho sempre saputo che era un rifiuto umano.»

Sono rimasto in silenzio. Trowa e Tai si sono scambiati un'occhiata, ma neanche loro hanno commentato. Mimi, Bra e Sora si sono semplicemente strette di più tra loro ed hanno cominciato a confabulare. È stato il pranzo più squallido che abbia mai fatto e non solo per la mancanza di cibo.

«Secondo me, è un pezzo grosso.» ha continuato Arale, quando ci stavamo sedendo in classe, per la lezione pomeridiana della Une.

«Chi?» ho chiesto ancora una volta, molto stupidamente. Lei ha sbuffato.

«Alex.» ha detto, esasperata. «Di chi sto parlando da più di un'ora?» Almeno, mi sono detto, si rende conto di essere un tantino ossessiva. Non mi piace parlare male degli amici, davvero, e anche scrivere queste cose su di lei non mi fa stare in pace con me stesso, ma non posso farne a meno. Sono arrabbiato. Questo lato di lei mi dà un po' fastidio, ma in quel momento mi sono limitato ad annuire. «Secondo me, fa parte della mafia.» ha continuato.

Le ho rivolto un'occhiata spaventata. «Mafia?» ho ripetuto quella parola come se fosse particolarmente pericolosa solo da pronunciare. Mi sono girato indietro, quasi mi aspettassi di vedere un tizio che metteva una testa di cavallo sulla cattedra. Non è colpa mia, se il film preferito della mamma è “il Padrino”. Arale ha annuito fortemente.

«Certo.» ha esclamato, come se la cosa avrebbe dovuto essere ovvia anche per me. «Pensaci bene: lui non è in galera, ma qui dentro.»

Ho fatto una smorfia preoccupata. «Giuro che non ti seguo.» ho ammesso. Lei ha sospirato.

«Se fosse stato un ladro di polli e fosse stato incensurato, sarebbe finito a casa con una pacca sulle spalle.» ha dichiarato, alzando un dito, per cominciare ad enumerare le sue varie teorie. Ho fatto un po' di fatica a starle dietro, anche perché parlava come un avvocato. «Se l'avesse fatto più volte, sempre nel caso che fosse un ladro di polli, sia ben chiaro, qualsiasi giudice lo avrebbe condannato ai suoi mesi di riformatorio. Se avesse fatto qualcosa di più grave... non sarebbe comunque qui. E, invece...» ha concluso con una smorfia eloquente.

Il suo ragionamento non faceva una grinza e, quando Alex e Frank sono entrati in classe, non sono stato l'unico a girarmi. Tutti i miei compagni lo hanno fatto, si sono zittiti e hanno seguito Alex con lo sguardo, fino a che non si è seduto al suo posto, vicino a Trowa che ha stretto gli occhi in un'espressione sospettosa, ma non ha fatto nessun tipo di commento. Alex, invece, aveva l'aria persa e si guardava intorno confuso. Dopo un po' ha sorriso, in modo sincero, come avrebbe fatto il solito Alex di sempre. E non ho visto proprio un mafioso in lui.

«Che è successo?» ha voluto sapere.

«Sei un rifiuto umano.» ha risposto Pan, con infinito disprezzo. Se si fosse rivolta a me con quel tono, penso che mi sarei sentito veramente mortificato, ma Alex è abituato a queste uscite da parte di mia sorella ed è stato per questo che, secondo me, ha fatto finta di niente.

Mentre la Une entrava in classe, chiedendo il silenzio, mi sono girato verso Arale e le ho dato le mie impressioni sulla faccenda della mafia, rischiando grosso, ma la direttrice era girata di spalle e non mi ha visto, né sentito. Penso che sia stata la prima volta in tutta la mia vita. Avrei festeggiato se non avessi avuto altri problemi per la testa.

«Sono sempre i più insospettabili i colpevoli, non lo sapevi?» ha dichiarato la mia amica, in un sibilo che mi dava tanto l'impressione di essere finito in uno di quei film di spionaggio che ti fanno venire il cuore in gola. Le ho lanciato uno sguardo ancora più preoccupato e lei ha aperto di nuovo la bocca.

«Norimaki, ci dica, cos'ha di così interessante da raccontare?» ha chiesto la Une, glaciale. La mia amica ha alzato gli occhi su di lei e le ha rivolto uno sguardo tranquillo, come io non saprei fare nella stessa situazione. La Une mi fa paura. È innegabile.

«Mi scusi, lady Une.» ha detto Arale, senza perdere la calma. La direttrice ha solo fatto un cenno secco con la testa, per dire che l'avrebbe fatto. Per il resto della lezione, nessuno ha più parlato di Alex e del suo passato in riformatorio. Ho pensato alla mamma e a quello che avrebbe potuto dire: molto probabilmente che non dovrei frequentarlo, anche se a me sta simpatico.

Anche mentre stavo tornando in camerata per prendere i miei appunti di matematica, ci ho pensato e mi sono detto che, se Alex non è mai stato cattivo, non vedevo perché avesse dovuto cominciare ad esserlo adesso che sapevamo che ha passato qualche tempo dietro le sbarre.

Avrei, oltretutto, voluto sapere come comportarmi, se essere il solito di sempre e fare finta di niente o fare come gli altri, che hanno cominciato a scansarlo. Per quel che riguarda Arale, è deciso: lei non vuole più avere niente a che fare con lui. Addirittura ha deciso di dover evitare la biblioteca, anche perché era lì che Alex e Frank si erano messi a studiare, oggi. Quindi mi ha trascinato in un'aula vuota, senza darmi neanche il tempo di protestare.

«Senti, non è per cattiveria.» ha chiarito, quando avremmo dovuto essere concentrati sulle dimostrazioni delle derivate. «E' che... sai, quando si stanno coi poco di buono, e se poi ti fanno i favori...» ha fatto una smorfia. «prima o poi li rivogliono indietro... e poi... è amico di Frank.»

Anche questo l'ha detto come se fosse una prova incontrovertibile del fatto che Alex faccia parte di una famiglia mafiosa. «E che c'entra?» ho chiesto, invece, sempre più confuso.

«C'entra!» ha ribattuto lei, con convinzione. «Perché un ragazzo ricco e viziato, figlio di un famoso senatore e nipote del Generale degli Eserciti Spaziali dovrebbe essere amico di un qualunque ragazzino puzzolente, se non è un mafioso? Sai cosa penso?» mi guardava, come se si aspettasse che io le chiedessi di andare avanti. E l'ho fatto, divorato com'ero dalla curiosità e dalla preoccupazione sempre crescenti. «Penso che Douglas Kushrenada accetti soldi sporchi.»

«Co-cosa?» è stata l'unica cosa che sono riuscito a balbettare. Arale ha annuito di nuovo, quasi io le stessi dicendo qualcosa di innegabile.

«Sì, altrimenti tutta questa amicizia come te la spieghi?»

«Ma Alex non ha mai detto di essere ricco.» le ho fatto notare.

Arale ha fatto spallucce, come se non considerasse la cosa importante. Mi ha mostrato i palmi, quasi lassù vi fosse la verità. «Ma non ha mai neanche detto di essere povero.»

«Ha sempre lo stesso paio di mutande.» le ho ricordato.

«Magari in famiglia sono tirchi.»

«E preferiscono dare soldi agli altri?»

«Certo.» Arale ha annuito ancora. «Perché sa che Kushrenada è un buon investimento.»

Ho scosso la testa. Non sapevo cosa pensare, ero confuso più che mai: Alex poteva essere un esponente della mafia e non solo, il padre di Frank avrebbe anche aver accettato soldi sporchi da quello di Alex. Ora che lo scrivo, mi sembra assurdo, ma in quel momento ero fuori di me dal terrore. «Ma la Une... lo sa?» ho chiesto, infatti.

Arale si è guardata intorno. Ho avuto come l'impressione che cercasse microfoni nascosti o agenti segreti in impermeabile nero e cappello a tesa larga. Con la stessa impressione di essere spiato, ho cominciato ad imitarla.

«Secondo me,» ha continuato la mia amica, quando è stata sicura che non ci fosse nessun altro. «dobbiamo indagare per conto nostro.»

Lo stomaco mi si è contratto. «Che cosa?»

«Dobbiamo andare in fondo a questa faccenda.» ha ripreso lei, puntandomi un dito contro. «Forse Kushrenada non sa di essere in combutta con un mafioso. Dobbiamo inchiodarlo...» ha sbattuto un pugno sul palmo della mano, producendo un sonoro schiocco che mi ha fatto sussultare. «E mandarlo in galera!»



13 Novembre


Le nostre indagini sono cominciate subito dopo colazione. Avevamo il Salvini e questo ci ha dato un enorme aiuto, dato che, in palestra, possiamo fare praticamente tutto quello che vogliamo. Ci siamo sistemati in un angolino della palestra e Arale teneva un taccuino tra le mani e una penna dietro l'orecchio destro.

«Allora,» ha esordito con fare professionale, tanto che io mi sono di nuovo guardato intorno. Gli altri ragazzi stavano giocando a basket e Frank stava andando a canestro con agilità. Ha messo la palla nel cesto e non ho potuto fare a meno di applaudire, contento, prima che Arale mi distogliesse da quello stringendomi il mento tra le mani e costringendo la mia testa a girarsi verso di lei. «la prima cosa da fare è porre delle domande ai testimoni.»

«Te-testimoni?» ho ripetuto, perplesso. Sinceramente non capivo dove potesse trovare dei testimoni (di cosa?), ma lei ha annuito convinta.

«Oh, sì. Ce ne sono un paio molto interessanti, anzi, tre.» ha riposto, scrivendo i nomi nella sua calligrafia precisa: lady Une, Frank e Treiz. Ho fatto una smorfia, dubbioso.

«E come fai a chiamare il Generale? Nessuno ci permetterà mai di prenderci il suo numero personale!»

Lei mi ha aggrottato la fronte. Mi guardava come se avessi detto qualcosa di particolarmente strano, ma a me sembrava logico: se avessimo detto a qualcuno che volevamo indagare su Alex e che Treiz poteva saperne qualcosa, ci avrebbero detto di non scassare, figuriamoci poi se non davamo nessuna spiegazione.

«Kenny, non è questo il problema.» mi ha spiegato Arale, paziente.

«E allora qual è?»

Lei ha sospirato ed ha ripassato la 'a' di lady. Ha lasciato passare diversi secondi, durante i quali Trowa ha sfilato la palla da sotto il naso di un alquanto affaticato Matt Ishida ed ha fatto canestro, facendo sollevare le proteste della squadra di Frank per gioco scorretto.

«Il problema è che, anche se riuscissimo a chiamarlo,» ha continuato Arale, senza riuscire a distogliermi da un fatto molto importante: Alex era in disparte e non giocava con gli altri. E' da ieri che sono tutti particolarmente freddi e schivi con lui. Anche stamattina a colazione, Mimi ha voluto fare a cambio con Matt, per non stargli vicino. Al mio amico non è importato molto, ma, quando lo ha fatto anche Arale, l'ho visto cambiare espressione. Beh, non riesco a biasimarlo. Credo che, anche io, nella stessa situazione, mi stupirei nel vedere una delle persone con cui passo più tempo comportarsi in questo modo. «non ci rivelerebbe niente.»

«Oh, e perché?» la ascoltavo solo a metà. Frank ha richiamato Alex che, con un sorriso, è entrato in squadra, ma nessuno gli ha passato la palla ed ha cercato di tenersi lontano, anche se erano della sua squadra!

Arale ha di nuovo sospirato. «Perché negherebbe!»

«E allora perché l'hai messo nella lista?»

«Perché possiamo arrivare a lui, tramite altri.»

«Ah, sì?»

Lei ha annuito. «La Johnson, per esempio!»

Ho distolto lo sguardo da quella strana e squallida partita. Alex aveva cominciato a camminare svogliatamente su e giù per il campo, scontento, anche se Frank era l'unico che cercava di coinvolgerlo di più.

«La Johnson? Che cosa ne può sapere di Alex? E che legami ha col Generale?»

«Lei e Alex hanno un rapporto abbastanza stretto. Con il Generale non so se abbia davvero dei legami, ma... magari sa qualcosa di qualcuno che potrebbe portarci a lui. Nei film succede sempre!» era convinta di quel che diceva e io non ce l'ho fatta a farle sapere che, i film, non sempre corrispondono alla realtà. «Poi c'è Heero, con cui intrattiene rapporti... illegali. Poi ci sono i suoi ex compagni di classe, di ben due anni!» ha elencato, appuntandosi ognuno di loro ogni volta che li nominava. «Abbiamo una lista ben nutrita.»

«Non credo che...»

Ha strappato il foglietto e ne ha fatto un altro, che mi messo sotto il naso, zittendomi. «Interroga questi, dopo le lezioni, d'accordo?» Sul foglietto c'erano tre nomi: infermiera Johnson, Heero Yuy, Ernesto Taylor (secondo anno corso B). «Io penserò a Hopkins, Frank e la Une... considerati i vostri rapporti, è meglio che vada io...» Ho guardato il foglietto e Arale. Ero appena entrato in un poliziesco, non c'era altra spiegazione. Cioè... io credevo scherzasse, quando diceva che voleva indagare! Dovevo avere una faccia stranita, perché lei ha arricciato le labbra. «Andiamo, Kenny, dov'è il problema? Sono solo domande!»

«Ma...» ho guardato di nuovo quei tre nomi. «Ecco... che cosa dovrei chiedergli?»

«Che cosa sanno di Alex. Annota tutto, pure le facce che fanno.»

Ora io ne stavo facendo una molto preoccupata, dato che mi immaginavo di entrare in infermeria con un quaderno e una penna, oltre all'impermeabile lungo e il sigaro. Lei ha sospirato.

«Non hai ancora capito?»

«Ehm... no, cioè... chi è Ernesto Taylor?»

Arale si è messa le mani in grembo ed ha messo su un'aria saputa. «Te lo ricordi quel ragazzo che Alex ha salutato il primo giorno?»

Ho inarcato un sopracciglio e storto le labbra. «Chi?»

Lei ha sollevato di nuovo gli occhi al cielo, quasi avesse avuto bisogno di una buona dose di pazienza. «Ernesto era suo compagno di classe, l'anno scorso. È quel tipo bassino, con i denti sporgenti, bruttino...»

Non ricordavo nessuno con questa descrizione.

Ho scosso la testa, mostrando tutto il mio rammarico. Mi dispiaceva davvero, anche perché lei sembrava tenerci molto. Così, per non deluderla, le ho promesso che l'avrei cercato e interrogato. Solo che non volevo davvero andare da nessuno per interrogarlo, tanto meno da uno sconosciuto per fare strane domande come “quand'è l'ultima volta che ha visto Alex?”.

Ma, dato che ogni promesso è un debito, ho trattenuto il respiro e mi sono buttato a capofitto nella mia missione.

Dopo le lezioni pomeridiane, mi sono avviato verso l'infermeria con tutta la borsa, in questo modo avrei avuto la scusa per avere dietro sia un quaderno che una penna. Mi arrovellavo il cervello, cercando il momento adatto per prenderli e, alla fine, mentre bussavo, ho deciso che sarei andato a memoria.

Anche il fatto di bussare, in un'infermeria, è davvero la cosa più scema da fare, per questo sono entrato, titubante e in punta di piedi, quasi fossi stato un ladro. Ero così preoccupato che farlo mi ha dato almeno un po' di sicurezza.

I letti erano tutti vuoti, tranne uno, ma era nascosto da un paravento e non ho potuto vedere chi ci era steso.

«Ehm... infermeria?» l'ho chiamata. Anche la mia voce mi sembrava strana e avevo una gran voglia di scappare via e di lasciar perdere. Mi sembrava un'idiozia, soprattutto pensando che dopo dovevo andare da Heero e cercare questo Ernesto Taylor che non avevo neanche idea di come fosse fatto.

«Un attimo!» ha risposto la Johnson, da dietro il paravento. Ho preso una sedia di ferro che, di solito, usano Arale, Alex e Frank, quando vengono a trovarmi, dopo che la mia sorellona usa il suo entusiasmo su di me.

Quando la Johnson è spuntata da dietro il paravento, si stava sistemando lo stetoscopio dietro il collo, ma, vedendomi, si è bloccata.

«Ti ha picchiato di nuovo?» mi ha chiesto, allarmata.

«Chi?» ho ribattuto, educatamente, inclinando la testa da una parte. Lei ha corrugato la fronte e si è subito rilassata.

«Allora perché sei qui?»

Ho deciso di andare subito al sodo, anche perché non sapevo come iniziare. «Ehm... Arale vuole che la interroghi.» Lei mi ha guardato come se fossi impazzito. Mi rendevo conto benissimo che la mia richiesta era alquanto assurda.

«Interrogarmi?» ha ripetuto, lentamente, come se dovesse cercare quella parola sul suo vocabolario mentale. Poi ha inclinato la testa anche lei, improvvisamente incuriosita. «Su cosa?» ha voluto sapere.

«Su... ehm...» ho deglutito. «Su Alex.»

Lei ha inarcato un sopracciglio e si è fatta molto sospettosa. «Alex.» ha ripetuto, come per chiedere conferma.

«Alex Ramazza.» ho precisato.

Si è avviata verso di me, scrutandomi. Arale ha subito detto, quando gliel'ho raccontato, che è stato un comportamento sospetto, ma a me sembrava la solita infermiera di sempre che reagiva in modo piuttosto normale ad una richiesta piuttosto strana.

«E cosa vorrebbe sapere... Arale... su Alex

«Beh, ecco... non lo so bene. Credo che si tratti di qualcosa che riguarda il riformatorio.»

L'infermiera ha chiuso gli occhi e poi li ha riaperti, il tutto contraendo il viso in una smorfia carica del più autentico stupore. «Alex è stato in riformatorio?»

Ho annuito. «Così ha detto lui.»

«E io che c'entro?»

«Beh, Arale pensa che lei possa sapere qualcosa.»

«E perché?»

Mi sono grattato la nuca, a disagio. «Magari...» ho borbottato. «Magari pensa che... dato che siete così in buoni rapporti...»

«Alex è un bravo ragazzo!» ha tagliato corto la Johnson. «E mi piace molto: non ha peli sulla lingua, ma ogni tanto mi sembra un po'...» non ha continuato, forse sperando che io completassi, ma non deve aver capito che, solitamente, non sono un tipo molto ricettivo. Le ho chiesto di spiegarmi come fosse Alex con l'aiuto dello sguardo, ma lei si è limitata a sospirare e a scuotere la testa. «Di' ad Arale di pensare a studiare, invece di mandare te a farmi stupide domande.»

Mi sono alzato: quella era la chiara fine della nostra discussione. La Johnson si stava pure allontanando. «Ma a lei...» ho comunque continuato. «A lei non interessa che Alex... sì, insomma, sia stato in prigione?»

Lei ha corrugato la fronte e non ha risposto. «Vai a studiare, Iccijojji. Devo occuparmi dei miei malati.»

A quel punto, non ho potuto fare molto altro che allontanarmi davvero dall'infermeria. Arale non l'ha presa molto bene e, come ho già detto, crede che l'infermiera sia sospetta.

«Certo che tu...» mi ha detto, quando ci siamo ritrovati nella stessa aula in cui aveva deciso che Alex era un mafioso. «potevi essere più diplomatico! Per esempio: sa, infermeria Johnson, avrei bisogno di un farmaco per il mal di testa e poi, dopo averla ammorbidita, potevi cominciare a parlare del più e del meno e far venir fuori così il discorso di Alex. E comunque non dovevi parlare del riformatorio! Dovevi chiederle come lui e Frank si sono conosciuti, per esempio, chi sono i genitori di Alex, da che famiglia proviene... insomma, queste cose che lui non ci ha mai detto e che dobbiamo scoprire.»

«Scusa, Arale... ma non glielo possiamo chiedere direttamente?» ho voluto sapere, titubante. «Insomma, mi sembra il modo migliore per...»

«Oh, certo! Ma poi vorrà dei favori in cambio!» ha continuato lei, senza darmi peso.

«Per avergli chiesto come si sono conosciuti lui e Frank?»

Lei ha alzato gli occhi al cielo. «No, ma potrebbero sospettare le nostre indagini. Alex cercherebbe di boicottarci!» Non ero convinto del significato della parola “boicottare”, ma, da come suonava, non doveva essere niente di buono. E Arale me l'ha confermato: «Potrebbe anche ucciderci pur di riuscire a mantenere il suo segreto. Pensaci: adesso che tu hai detto all'infermiera che indaghiamo su di lui... siamo già in grave pericolo! Potrebbe mandarci due amici, farci trovare una testa di cavallo nel letto o... magari quella di tua sorella o...» è impallidita. «Quella di mio fratello!»

L'idea mi terrorizzava, anche se non ce lo vedevo Alex a tagliare la testa di qualcuno. Ci vedevo di più Sark e Alex ha paura di Sark, quindi non penso neanche che possa chiedergli di farlo per lui. Non ho comunque potuto fare a meno di deglutire anch'io, mentre nella mia mente si materializzava minacciosa l'immagine della testa mozzata di mia sorella che, magari, mi guardava con una delle sue solite espressioni truci.

Ho scosso la testa, per cacciarmi dalla testa quella terribile visione, ma la visione è diventata reale, quando la testa di Pan, accompagnata da tutto il suo corpo, è entrata come una furia in quell'aula che io e Arale credevamo sterile.

«Pan!» l'ha salutata la mia amica, mettendo su un sorriso molto convincente, molto di più della mia espressione che doveva essere disinvolta, ma che, invece, era terrorizzata, soprattutto perché mia sorella mi guardava come se fossi stato una specie di assassino o traditore, proprio ciò che mi sentivo, nei confronti di Alex.

Che avesse scoperto tutto e che venisse a sgridarmi, a darmi della merda? L'idea mi ha sfiorato, ma se n'è subito andata, quando mi ha sbattuto sul banco quattro fogli bianchi a righe ed una penna.

Ho guardato prima loro e poi lei, chiedendole silenziosamente cosa volesse, soprattutto quando, con un'espressione piena di pretese, si è stretta nelle spalle.

«C'è qualche problema?» ha continuato Arale, educatamente, forse anche lei preoccupata per i miei stessi motivi.

«Scrivi.» mi ha ordinato lei, ignorando la mia amica. Ho deglutito ancora una volta. Mettere i brividi, per lei, non è una definizione che calza, perché lei riesce in qualcosa di peggio che non so descrivere. Mi sentivo come se mi stesse puntando contro il naso un coltello, proprio come è successo qualche giorno fa a quel ragazzino a mensa. Ma, con tutto ciò, ritenevo che non fosse un paragone adeguato.

«Che... che cosa?» ho balbettato.

«La Une vuole quei fottuti temi sui coltelli.» mi ha spiegato, piena di disprezzo. «Gliene devo dare quattro, entro stasera, se no scassa i coglioni. Sono tre giorni che mi insegue, quella troia. E dato che non so che cazzo scriverci, li farai tu.» poi ha aggiunto, stringendo gli occhi in modo minaccioso: «E vedi che li vuole per le otto. Alle sette e cinquantacinque ci vediamo per le scale, tra il primo e il secondo piano.» mi ha preso i capelli ed ha cominciato a tirarmeli. Ho provato a chiederle di smetterla, che mi stava facendo male; persino Arale ha cominciato a protestare, ma Pan ci ha, non ho ancora capito come, ignorati e aggiunto, in modo che potessimo sentirla anche da sopra le nostre parole, ma senza per questo alzare la voce: «Usa una calligrafia decente e cerca di essere convincente.»

E' inquietante. Mia sorella, più tempo passa, più diventa inquietante.

Non solo: è diventata anche più veloce del vento. Infatti, così come è arrivata, se n'è andata e non ho avuto la possibilità di accettare o rifiutare. Mentre mi massaggiavo la testa, guardavo Arale che aveva uno sguardo truce rivolto alla porta, come se fosse stata quella a chiedermi non uno, ma ben quattro temi.

«Non glieli fare.» mi ha consigliato.

Ho risposto con una smorfia. «Se non glieli faccio, finisco in infermeria fino a che campo. In confronto Matt Ishida sembrerà sanissimo.»

«Beh, non puoi dargliele tutte vinte.» mi ha fatto notare lei, con disinvoltura.

Ho afferrato la penna e le ho scoccato un'occhiata di sufficienza; c'è tanta gente che mi ha sempre dato lo stesso consiglio e nessuno sapeva cosa significa stare a contatto con Pan, a venire picchiati e maltrattati senza possibilità di difendersi. Fa schifo, e io stesso mi odio, ma ancora non riesco a trovare un modo per impedirglielo. E, mentre cercavo qualcosa da scrivere sui coltelli, mi sono chiesto: se non riesco neanche ad impormi su mia sorella, sulla sua forza e sul potere che esercita su di me, come posso trovare una motivazione per cui rimanere nell'esercito, per cui uccidere? Il mio pensiero è andato a Zack, al Sanc Kingdom e al principe Miliardo. Ho alzato la testa per confidarmi con Arale, magari si sarebbe dimenticata di Alex e della mafia, ma lei si è alzata subito e mi ha impedito di pronunciare una sola parola.

«Vado a parlare con Hopkins.» mi ha riferito, un po' fredda. Probabilmente si è arrabbiata perché, ancora una volta, stavo eseguendo gli ordini di mia sorella senza fare una piega. «Ci vediamo a cena.»

E così mi sono ritrovato solo, con quattro fogli davanti ed una penna. Quando ho cominciato a scrivere, sentendomi decisamente a terra, erano più o meno le sette. Non ricordo molto bene cosa ho scritto, non so neanche come sono riuscito a riempire tutti i fogli in tempo per la consegna. Ricordo l'ultimo, che ho letto e riletto finché non sono stato completamente sicuro di non aver ripetuto troppe volte lo stesso concetto.


Oggi, per fare contenti i miei commilitoni, ho deciso di cucinare un po' di carne alla brace (in realtà era molto al sangue, quasi cruda e completamente senza sale), anche se non credo che mi sia riuscita molto bene. È stato molto faticoso, anche perché ho dovuto convincere il cuoco (il che non è del tutto falso, dato che ieri sera Pan continuava a gridare contro di lui perché “è un vero negriero di povere Pan indifese”, ma non ha spiegato la ragione per cui lo fosse. Diciamo che mi sono dato un po' di licenza poetica.), ma poi mi sono messa al lavoro e, con timore, ho afferrato il coltello più lungo, quello con la punta e un sacco di denti seghettati (sono dovuto andare un po' ad improvvisazione, ripensando a quei coltelli che la mamma tiene nascosti nei ripiani più alti della cucina, tanto che anche lei ha bisogno della scala per prenderli. Tanto li usa poco, se non per i cenoni di Natale). Dovevo togliere tutto il grasso dalla carne ed avevo una gran paura perché avrei potuto tagliarmi le dita. Il coltello era lungo e ben affilato e io ci mettevo tutta me stessa, stando attenta, insieme alla supervisione del cuoco (a volte è troppo apprensivo), a non fare qualcosa di male, tipo tagliarmi. Mi sarei fatta male, avrei spaventato quel pover'uomo e poi (avevo pensato di cancellare questo pezzo, ma poi mi sono detto che calcare un po' la mano non avrebbe fatto male e che i miei commilitoni mi sarebbero stati grati per averla tolta dai fornelli.) se mi fossi fatta male, quando avrei potuto scrivere? Comunque, a parte quando sono in cucina, non uso mai i coltelli: l'insalata la taglio in cucina, prima di servirla. La metto nelle ciotoline che gli studenti prendono dal tavolo self-service e che condiscono come vogliono. Mangio poca carne ultimamente (perché a lei piace ben cotta e ce la serve sempre cruda), quindi uso solo le forchette e il cucchiaio se serve, tanto mi nutro bene anche senza coltelli, che sono molto pericolosi, se non si è esperti nel maneggiarli. Io sto imparando adesso e sono felice di avere quest'opportunità.

Come conclusione, vorrei esprimere un parere personale, a cui pensavo mentre scrivevo quest'ultimo tema. Nella vita non si può fare a meno dei coltelli: in cucina sono indispensabili, quando bisogna affettare le cipolle, le carote, il sedano, l'insalata di cui parlavo poco fa, o togliere il grasso dalla carne o dal pollo, così mangiamo cibi nutrienti e sani. Non ne possiamo fare a meno, e, se sappiamo come usarli, è anche meglio, così non rischiamo di fare del male a noi e a chi ci sta intorno.


Soddisfatto del mio lavoro, ho guardato l'orologio sulla parete: segnava le sette e cinquantacinque precise. Ho preso i fogli e mi sono diretto al pianerottolo tra il primo e il secondo piano, per il mio incontro con Pan. Lei è arrivata addirittura dopo di me, verso le otto e cinque, sporca di sugo (e secondo me aveva anche del pangrattato nei capelli) e mi ha strappato di mano i fogli. Non mi ha neanche ringraziato; ha lanciato ai temi un'occhiata distratta e poi si è diretta al primo piano. Il tutto senza dire una sola parola.

«Ehi, Pan...» l'ho richiamata. «Non li leggi per sapere se vanno bene?»

Lei ha sollevato i fogli e non si è neanche girata. «Tanto eri un fottuto secchione a grammatica!» mi ha risposto, con leggerezza e anche con un certa allegria. E così è sparita nel corridoio.

In quel momento ho avuto paura che la Une potesse capire che non era stata lei a scrivere i temi e chi, invece, era stato il vero autore. Già mi immaginavo a scrivere lavagne e lavagne con la frase “non devo scrivere i temi al posto di mia sorella, non devo scrivere temi al posto di mia sorella”, mentre Arale, alle mie spalle, mi sorvegliava con l'aria di una che ti sta dicendo: “io te l'avevo detto”.

Invece, Arale era a mensa, seduta dove di solito era sistemata Bra, dalla parte opposta rispetto a dove si trovavano Frank e Alex, che mi ha rivolto un caloroso cenno di saluto e mi ha detto di sedersi vicino a lui. Del tutto istintivamente, lo stavo facendo, quando Arale ha cominciato a chiamarmi verso di lei che, sicuramente, doveva dirmi cosa era successo con Hopkins. Sono rimasto a metà strada per qualche secondo, guardando dall'uno all'altra, indeciso: erano i miei amici, quelli con cui ho passato tre lunghi mesi, con cui ho condiviso paure e perplessità. Ho riso, studiato, parlato con loro, ma la strana immagine della testa di Pan ai piedi del mio letto mi ha fatto di nuovo rabbrividire.

Dovevo avere una faccia strana, perché Frank, corrugando la fronte per scrutarmi, mi ha domandato: «Che c'è, Kenny? Va tutto bene?»

«Ecco... ecco...» ho balbettato, terrorizzato.

«Kenny?» mi richiamava Arale, a voce più alta per farsi sentire da sopra il rumore della sala, picchiettando le dita della mano destra impazientemente sul tavolo. «Muoviti!»

Non potevo scegliere tra i miei amici, qualsiasi cosa avesse combinato uno di loro. Mi sembrava crudele quella discriminazione che tutti stavano compiendo nei confronti di Alex. Lo ammiro, soprattutto pensando che tutti i nostri compagni lo guardano con sospetto e lui se ne sbatte altamente. Addirittura, Bra si è chinata con fare cospiratore su Tai, fissando Alex con astio, quasi con paura, mentre io stavo cercando una soluzione per quella situazione. È stato quello a farmi deglutire, a rendermi così ritroso.

Se avessi potuto, mi sarei seduto lontano da tutti loro. Ma, in quel caso, tutti mi avrebbero chiesto cosa avevo, magari che mi stavo facendo influenzare dalle voci che giravano per la caserma, anche per colpa mia. E Alex avrebbe fatto bene ad odiarmi. Mi sono morso il labbro inferiore, guardato entrambi e poi ho voltato loro le spalle. A tutti. Arale, Frank e Alex.

E sono andato a letto senza cena.


*****


Innanzitutto, buon Anno a tutti!

Poi: ce l'ho fatta! Pubblico in tempo e sono anche sobria. XD Capitoletto "in onore" di Sherlock Holmes che, in questo periodo, è stato anche al cinema (decisamente intrigante il film *sìsì*). Sembra quasi fatto apposta, anche se è stata una coincidenza. XD



Prof: avrei dovuto essere più chiara io, riguardo a Kenny. Riguardo al libro di parodie, avevo anche pensato di scriverci una fanfiction, dopo che hai detto di volerlo leggere... chissà che un giorno non riesca a farlo, se mai mi verrà l'ispirazione, ma già stare dietro ad una fanfiction mi sfianca, figuriamoci due o più. XD E per Alex... beh, credo che dovrai continuare a leggere. Arale non si lascia di certo scoraggiare dalle prime difficoltà! :P

  
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