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Autore: Oducchan    07/01/2010    4 recensioni
*Non andava bene.
Non andava bene per niente. Kami solo sapeva cosa ne sarebbe scaturito.
Deidara si ravviò la chioma bionda sulle spalle, fissando nervoso la coppia di studenti appena formata al primo banco: no, non andava per niente bene che Kisame Hoshigaki fosse stato costretto da un professore ormai stufo a sedersi accanto alla silenziosa figura di Itachi Uchiha: uno, perché in quel modo metà della sua visuale della lavagna andava beatamente a farsi fottere; due, e non meno importante, perché da quella convivenza forzata non ne sarebbe nato un bel niente di buono, se lo sentiva. Oh, se lo sentiva.*

Itachi Uchiha, famiglia importante, un cervello geniale, una vita sociale inesistente, un segreto celato dietro due lenti di occhiali.
Kisame Hoshigaki, famiglia disastrata, impegno scolastico scadente, vita sociale sull'orlo della criminalità, un coraggio aggressivo ad infrangere gli specchi nel silenzio.
Una storia come tante, come dei compagni di banco qualunque. O forse no.
[seconda classificata ex aequo allo "scolastic yaoi contest" di rei murai e iaia86, vincitrice premio Ic personaggi]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Deidara, Itachi, Kisame Hoshigaki | Coppie: Itachi/Kisame
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'Fumo di china'
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eyes 1

Premessa (sì, ormai è un'abitudine):

Volevo scrivere una storia con kisame e Itachi protagonisti da una vita: amare tanto una coppia e non riuscire a scriverci è una tortura. Ho scoperto che riuscire a non sconfinare nell'OOC è complicatissimo, e che il risultato non è che sia dei migliori, volevo dire tante cose ma molto ho dovuto tagliare.. Credo che di tutto questo mi garbino soltanto un paio di scene.

Tuttavia, in sede di giudizio è saltato fuori che è un lavoro migliore di quanto credessi (ditemi, come faccio ad aver acchiappato il premio dell'IC? XD). Ringrazio Rei Murai e Iaia86 per la valutazione a dir poco lusinghiera, e ne approfitto per congratularmi con tutte le altre partecipanti <3

Piccola nota ancora, anche se non so se passerà di qui (XD), ringrazio di tutto cuore meg89. Per fortuna che ci sei <3

Eyes – fumo di china

 

1]

Non andava bene.

Non andava bene per niente. Kami solo sapeva cosa ne sarebbe scaturito.

Deidara si ravviò la chioma bionda sulle spalle, fissando nervoso la coppia di studenti appena formata al primo banco: no, non andava per niente bene che Kisame Hoshigaki fosse stato costretto da un professore ormai stufo a sedersi accanto alla silenziosa figura di Itachi Uchiha: uno, perché in quel modo metà della sua visuale della lavagna andava beatamente a farsi fottere; due, e non meno importante, perché da quella convivenza forzata non ne sarebbe nato un bel niente di buono, se lo sentiva. Oh, se lo sentiva.

Quei due erano troppo diversi, ed era bene che stessero seduti in punti diametralmente opposti della classe come avevano giustamente fatto fino a quel momento: perché diavolo l’insegnante non capiva, che per mantenere un minimo di salute mentale in entrambi era vitale che non s’incontrassero?

Perché da un qualsivoglia tipo di contatto, che fosse fisico, mentale o vocale, tra Kisame Hoshigaki e Itachi Uchiha, potevano nascere due cose: o una carneficina, o un qualcosa che Deidara si rifiutava categoricamente di definire.

 

Figlio di una delle più importanti famiglie del borgo di Konoha, Itachi Uchiha era considerato a buon ragione quello che si poteva tranquillamente definire genio. Nel senso più alto del termine. La sua mente aveva un nonsochè di alieno, per i suoi coetanei, dal momento che era in grado di giungere a una conclusione molto prima, molto meglio e molto più approfonditamente dei suoi compagni: poco aiutava che i suoi processi mentali fulminei, che mandavano in solluchero i professori di ogni scuola frequentata, non fossero abbinati a un carattere aperto e socievole, che avrebbe quantomeno aiutato la sua integrazione. Itachi non parlava. Né coi ragazzi con cui frequentava scuola, né con eventuali conoscenti esterni, né tantomeno con la famiglia: le sue sole funzioni vocali erano ridotte alle forme minime di comunicazione per evitare fraintendimenti, o alle esaurienti interrogazioni cui era sottoposto per regime scolastico.

Col passare degli anni attorno a lui era fiorito un gran numero di superstizioni e di pregiudizi; e alla fine, i ragazzi e le ragazze avevano deciso di comune accordo, dopo mille tentativi andati a vuoto, di lasciar perdere l’idea di provare quantomeno ad instaurare un rapporto socievole. Loro ignoravano lui, assistendo con muta soggezione ad ogni sfoggio della sua cultura; lui ignorava loro, comportandosi come se all’universo non esistesse altri che lui stesso, la lavagna e l’insegnante di turno. Se lo facesse per boria o per altro, nessuno lo sapeva.

 

Kisame Hoshigaki, invece, aveva una fama del tutto diversa. Il ragazzo difficile, dal carattere rissoso, più inclinato a passare le sue giornate nelle strade dei quartieri dissestati piuttosto che dedicarsi attivamente allo studio. Storia complessa e problematica, con un’infanzia catalogata come delicata, il ragazzo aveva sviluppato un interesse neanche tanto celato verso le armi bianche* e da qualche tempo, era entrato a far parte di una banda di scavezzacollo altrettanto scapestrati che si faceva chiamare i Sette Spadaccini. O, come li definiva qualche maligno, i Sei più Uno, in quanto l’ultimo acquisto del gruppetto non era nemmeno in odore di pubertà.

Nelle aule scolastiche, l’atteggiamento di Kisame rasentava la schiva aggressività. Non concedeva amicizia a nessuno, guatando l’aria come un cane rabbioso quando s’invadevano troppo i suoi spazi, e aveva l’abitudine di fissare i suoi eventuali interlocutori con uno sguardo tagliente da squalo, che faceva passare a tutti il desiderio di rivolgergli il saluto. I professori avevano tentato più volte di convincerlo che, per il suo bene, era assai più indicato trascorre qualche ora con un libro in mano invece che in un vicolo oscuro a prendere contatti con la malavita; ma ogni sforzo era risultato vano, giacché erano stati completamente snobbati, e se il ragazzo era riuscito ad arrivare fin lì era dovuto semplicemente al fatto che l’intero consiglio docenti era terrorizzato all’idea di cosa sarebbe accaduto nell’ipotetica eventualità di una bocciatura.

 

Da queste premesse si poteva facilmente dedurre perché la prima fila di banchi del lato destra fosse occupata unicamente dalla genial persona di Itachi Uchiha; e perché invece Kisame Hoshigaki trascorresse le ore di lezioni, quei giorni in cui risultava presente, imbucato nell’ultimo banco in fondo a sinistra, incuneato tra il davanzale della finestra e la parete di fondo.

Ma si sa, l’Umanità è rappresentata da un’accozzaglia di anime inquiete. E dopo essersi lagnato per quasi cinque anni per la condotta assolutamente inaccettabile, per il rendimento che s’avvicinava pericolosamente allo zero e per l’attenzione inesistente dello studente meno brillante di tutte le quinte, il professore di matematica, tal Iruka Umino, aveva raggiunto il limitare della sua infinita pazienza: trattenendo a stento una reazione isterica, aveva intimato a Kisame Hoshigaki di fare armi e bagagli e di trasferirsi al desco immediatamente davanti alla cattedra, chiosando che una migliore compagnia gli potesse giovare. Poco importava che tutti gli altri ragazzi della classe fossero ammutoliti inorriditi, poco importava se Itachi Uchiha avesse avuto, in quell’istante, la prima reazione apparente della sua vita sollevando di scatto il capo con un’occhiata tagliente da dietro le lenti trasparenti degli occhiali, poco importava se Kisame stesso avesse manifestato il suo disappunto con un ringhio feroce e una sequela di imprecazioni più o meno colorite nell’alzarsi in piedi: il dado, ormai, era tratto, e Iruka Umino fu l’artefice della paventata Apocalisse.

 

Con un tonfo secco, Kisame depositò lo zaino poco ricolmo accanto alla sedia che avrebbe dovuto ospitare la sua persona durante l’orario scolastico, e con stizza gettò un’occhiataccia al suo nuovo vicino. Itachi non lo stava fissando, impegnato invece a mantenere fissa l’attenzione sull’insegnante che, finalmente calmatosi, aveva ricominciato la lezione da dove l’aveva abbandonata; così il giovane si concesse trenta secondi per studiare approfonditamente quel viso che non aveva mai avuto occasione di osservare così da vicino: la pelle chiarissima, pallida, talmente nivea da sembrare a tratti traslucida, il naso proporzionato e sottile, e i capelli serici e lunghi che incorniciavano il voto in una carezza d’ebano. Ma quello che lo colpì maggiormente furono quegli occhi neri che si aprivano come due pozzi di nero petrolio a fagocitare la luce esterna, brillando delicatamente al chiarore mattutino filtrato dalle finestre: c’era un qualcosa di non ben definito, forse nel colore o nella forma, che attirava l’attenzione impedendo di distogliere immediatamente lo sguardo, e che pareva richiamare insistentemente l’attenzione. Potevano dei normali bulbi oculari brillare in quel modo, dietro a un paio di occhiali così spesso…?

-Hoshigaki-

Riscuotendosi dalla contemplazione, Kisame si accorse di essersi sporto verso di lui per osservarlo meglio, invadendo di gran lunga qualunque confine di cortesia una persona potesse avere. Itachi si era voltato al suo indirizzo, permettendogli sì di avere una miglior visuale del suo viso, ma rivolgendogli al contempo un’espressione di impassibilità statuaria che avrebbe scoraggiato chiunque dal perseguire nella sua opera di disturbo silenzioso. E come avrebbe fatto chiunque, anch’egli si voltò rapidamente, prima che un insolito pensiero lo cogliesse.

-Uchiha. Tu….hai appena aperto bocca o mi sbaglio?-

-Hoshigaki- la voce di Itachi aveva un timbro basso, adatto a qualcuno che non ne usufruisse abbastanza spesso, con una sfumatura fredda e impersonale che aggrediva l’udito similmente a una sferzata di lame appuntite –Stai zitto-

Punto sul vivo, Kisame reagì con rabbia, digrignando furioso i denti: un’occhiata soltanto al professore impegnato a scribacchiare un esercizio, e si chinò verso di lui strattonandolo per il davanti della divisa.

-Non osare dirmi cosa devo fare, razza di secchioncello bastardo, chiaro?- sbraitò con foga, tanto che l’intera classe sobbalzò e il professore si voltò immediatamente, allarmato. Qualche metro più indietro, Deidara scosse la lunga chioma dorata. Che aveva detto lui? Niente di buono, ed erano solo al primo contatto.

Purtroppo per lui, le cose non sarebbero procedute come previsto.

 

 

 Con diffidenza, Kisame gettò un’occhiata al di sopra del gomito sinistro, tentando di sbirciare nel quaderno aperto la fine ed elegante scrittura del compagno di banco. Non ne era assolutamente certo, ma dal momento in cui il professore di letteratura si era messo a riempire la lavagna di geroglifici complicati intimando loro di copiarli pari pari, anche la penna di Itachi si era unita allo sfreghìo convulso della tra scrittura, ma con un ritmo completamente diverso. Le iridi scure saettavano rapide, da dietro le spesse lenti degli occhiali,  seguendo l’andamento del gesso, ma la mano trasmutava quello che leggevano in un andamento assente; a volerlo studiare con attenzione, pareva anzi che non stesse seguendo affatto la costruzione del periodo, lasciando spesso e volentieri delle zone bianche sul foglio. Perché mai un secchione come Itachi avrebbe dovuto saltare di proposito intere frasi?

Probabilmente accorgendosi di essere osservato, il soggetto delle sue supposizioni, spostò con decisione il proprio taccuino lontano dalla sua vista, arricciando contrariato il naso al suo indirizzo.

-Hoshigaki- sibilò – segui la lezione-

-Non provare a farmi la paternale, Uchiha, tu per primo te ne stai fregando- soffiò in risposta, irritato

-Fatti gli affari tuoi e scrivi-

-Non osare dirmi cosa fare, razza di…-

-Vedo qualcuno particolarmente volenteroso di tradurre questa versione, uhn? Vuoi provare tu, Uchiha? Così magari tu e Hoshigaki chiarite i dubbi che vi sono sorti-

La voce aspra e tagliente del professore interruppe il piccolo litigio sul nascere, richiamandoli alla realtà in un battibaleno: Kisame si raddrizzò immediatamente sulla propria sedia, come se fosse stato punto da uno scorpione; Itachi diede un piccolo colpetto agli occhiali per sistemarli meglio sul naso mentre si schiariva la voce, e concentrò tutta la sua attenzione sulla lavagna, quasi avesse intenzione di inglobarla nella sua mente con la sola imposizione della vista.

-Io…io ho quasi…- la voce, per quanto ferma, si fermò quasi subito, allarmando non poco il vicino. Kisame gli gettò immediatamente un’occhiata inquieta, e per poco non rimase a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua: Itachi tentava disperatamente di mettere a fuoco qualcosa, battendo a più riprese le palpebre, arrivando quasi a tremare per lo sforzo che impiegava nel farlo. Si mordeva il labbro inferiore, scorrendo febbrile le righe, gettava un’occhiata al quaderno e di nuovo serrava gli occhi a più riprese.

Itachi non vedeva quel che stava leggendo.

Colto da un’irrazionale ondata di panico, Kisame tornò a rivolgersi verso il professore in attesa e la lavagna con un movimento secco del busto; e il suo cervello iniziò a scervellarsi freneticamente su come rimediare all’essere stato colto alla sprovvista. Non poteva essere vera una cosa del genere, non poteva stare capitando lì, in quel momento, a quella persona in particolare. Itachi era perfetto, non poteva avere un problema così grave in grado di tangerlo a tal punto. E il professore si stava spazientendo, Itachi non riusciva ad arrivare in fondo alla frase, e le sue dita iniziavano a battere furiosamente sul bordo del banco in preda a un nervosismo crescente. Deglutì a vuoto, torturandosi le dita.

Itachi non vedeva quel che stava leggendo. Però, poteva pur sempre ascoltare…

E il suo istinto decise per lui sul comportamento da seguire.

-I have almost forgot the taste of fears- mormorò pianissimo, attento a non farsi udire da nessun altro, mantenendo contemporaneamente lo sguardo puntato sulle parole che, stampate sul libro, parevano bruciargli sulle labbra.

Itachi interruppe istantaneamente il suo disperato tentativo di completare la lettura, battendo le palpebre un’ultima volta in un moto d’esitazione. Poi, con sicurezza, abbassò lo sguardo

-Ho quasi dimenticato il sapore della paura-

- The time has been, my senses would have cool’d- proseguì l’altro, cercando di nascondere il moto del suo labiale all’insegnante

-C’è stato un tempo, in cui i miei sensi sarebbero raggelati….-

-To hear a night-shriek, and my fell of hair-

-Nell’udire un grido nella notte, e i miei capelli…-

-Would at a dismal treatise rouse and stir as life were in’t-

-…si sarebbero rizzati come animati da vita propria a un macabro racconto.-

-I have supp’d full with orrors-

-Sono sazio d’orrori…-

-Direness, familiar to my slaughterous thoughts, cannot once start me-

-La ferocia, compagna di tutti i miei pensieri di massacro, più non riesce a farmi trasalire-**

Un silenzio assoluto seguì il termine della declamazione, lasciando molto tempo ai ragazzi raggelati dal sentire la voce metallica impersonare alla perfezione il ruolo di Macbeth, di ritrovare un minimo di calma, prima che il professore si considerasse soddisfatto e riprendesse a scrivere serratamente. Kisame, riuscendo a stento a controllare il tremore che gli attraversava le mani, strinse la matita talmente energicamente da sbiancare le nocche, ordinandosi di non voltarsi, per nessuna ragione e per nessun motivo, verso il viso che – di sicuro – lo stava finemente analizzando.

-Hoshigaki- la voce di Itachi gli arrivò smorzata, come se stesse facendo violenza a sé stessa per uscire dalle labbra pallide – Perché l’hai fatto?-

-Non fare il coglione, Uchiha. E scrivi, cazzo-

L’insegnante gettò al loro indirizzo una nuova occhiataccia, cosicché Itachi parve voler desistere dal suo intento, raddrizzandosi sulla sedia e riprendendo tra le dita affusolate la penna nera; tuttavia, osservandolo di quando in quando con la coda dell’occhio, avrebbe potuto giurare che sulle guance solitamente pallide faceva nota di sé un’accennata nota di colore.

Constatare che, però, altrettanto doveva essere per la propria pelle, Kisame non riuscì a tranquillizzarsi minimamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

*armi bianche: sono considerate armi bianche tutte le armi dotate di lama, lunga o corta (quindi, spade, pugnali, coltelli, kriss, ecc)

** Shakespeare: Machbeth, atto V, scena quinta (traduzione by my prof XD)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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