CAPITOLO 3.
***
Elena
rimase con le mani
sulla bocca e gli occhi spalancati, fissi a guardare la figura dinanzi
a sé.
Lui era calmo, fermo, appena illuminato nella penombra, poggiato vicino
una
mensola.
Non
sembrava minimamente
turbato. I suoi occhi emanavano il solito gelido che era solito
trasmettere a chi
vi si specchiava dentro.
Fece
una piccola smorfia. Non
seppe interpretare se di disgusto o se divertito.
L’impulsività
ancora una
volta prese il sopravvento sulla giovane bionda Turk che si fece
paonazza e si
agitò in maniera incontrollabile.
-N-no…non…non
farti strane
idee. Io. Io non so che mi abbia preso. E’ stata
l’atmosfera. Basta!- gesticolò
con le mani e parlò come se cercasse di auto convincersi.
Cloud
cercò di intervenire,
conservando comunque il suo temperamento tranquillo. Si
scostò appena dal
mobile sul quale era adagiato e subito la ragazza trasalì
fraintendendo
probabilmente le sue intenzioni.
-Ho
detto basta. Lasciami in
pace!-
Detto
questo scappò via,
dirigendosi verso la porta di casa.
Quando
Cloud si accorse che
aveva intenzione di lasciare l’appartamento a
quell’ora della notte,
istintivamente le corse dietro, ma si ritrovò soltanto la
porta sbattuta in
faccia.
-Ouch!- si massaggiò il
naso. -Elena, dove diavolo
stai andando?- Aprì ferocemente la porta e si
affacciò sul pianerottolo.
Udì
i passi della ragazza scendere
velocemente le scale e poi il portone chiudersi.
-Che
tipa.-
Ritornò
dentro, prese una
lunga giacca nera e uscì.
***
Dal
canto suo, Elena stava
correndo e si era allontanata ormai di molto dal palazzo dove
attualmente
abitava Cloud Strife.
Si
fermò per prendere fiato.
Cosa
stava facendo? Possibile
che si comportasse sempre da sciocca, da stupida, da ragazzina!
Non
riusciva ad accettarlo.
Lei si riteneva una persona matura e responsabile, invece aveva baciato
Strife
solo perché…Perché?
Perché
erano stati assieme in
quei ultimi due giorni? Perché nella penombra, mentre lui
bendava le sue
ferite, con quegli occhi agghiaccianti, era
terribilmente…terribilmente…
Abbassò
lo sguardo.
Improvvisamente
sentì le
lacrime scivolarle lungo il viso. Le asciugò in fretta. Non
ci capiva più
niente. Perché adesso stava piangendo?
Non
riusciva a capire, non
riusciva a concretizzare.
Qualunque
cosa facesse le
sembrava comportasse guai e la mortificasse. Alla fine doveva sempre
intervenire qualcuno per levarla dai guai. Non sarebbe mai stata quella
donna
perfetta, abile, giudiziosa che ambiva di essere. Era solo una
ragazzina
sciocca ancora troppo innamorata dell’amore per comprendere
le cose serie della
vita. Le mancava terribilmente l’essere fiera di
sé stessa. Il riconoscere le
sue qualità e il sentirsi amata.
Alla
fine tutti guardavano e
rivolgevano le loro attenzioni a persone completamente diverse da lei.
Perché?
Questo perché?
Però
lui…ha ricambiato quel
bacio.
Emise
un singhiozzo.
Lui…non
aveva ricambiato il
suo bacio. Probabilmente gli aveva fatto solo pena.
Anche
lui, come Tseng, come
tanti… aveva già rivolto i suoi occhi altrove.
Ricordava
perfettamente di
aver sempre visto Cloud accompagnato da splendide ragazze.
Prima
la pupilla di Tseng: la
bellissima ragazza vestita di rosa dagli occhi color smeraldo, Aerith
Gainsborough. L’Ancient.
Poi
l’avvenente donna dai
capelli lunghi e scuri. Femminile e tosta, si percepiva già
solo guardandola.
Quei fieri e determinati eppure dolci occhi ambrati trasmettevano
già
quell’interesse che un uomo è solito ricercare.
Ricordò
improvvisamente di
aver visto una sua foto in casa di Cloud, vicina a dei bambini.
Ancora
una volta aveva fatto un
buco nell’acqua.
Che
stupida…che incredibile
stupida…
Chi
più di lei sapeva farsi
così male da sola?
Si
lasciò scivolare
sull’asfalto, in quella strada ormai deserta.
Incrociò
le braccia e prese
ad accarezzarsi. Era uscita senza giacca. Aveva freddo. Soffio cercando
di
farsi calore.
-Ti
va di tornare?-
Si
girò riconoscendo quella
voce.
Vide
ancora una volta,
imponente di fronte a lei, la bellissima figura di Cloud Strife. Con i
capelli
scomposti e la sua solita aria trascurata, l’abbigliamento
nero che faceva spiccare
quel color biondo scuro che gli dava la notte.
Per
un attimo rimase a
fissarlo, subito dopo riabbasso lo sguardo.
Cloud
si accovacciò vicino a
lei ed assunse dei toni insolitamente dolci, ancora più
penetranti del solito.
-Non
è il caso che rimani qui
da sola e non armata.-
Elena
rimase ancora una volta
in silenzio, al che il ragazzo alzò le sopracciglia e
avvolse le sue braccia su
di lei sollevandola fra esse.
Ancora
una volta non proferì
parola. Voleva essere lì in quel momento, consolata da calde
braccia.
***
Una
volta arrivati, Cloud
l’adagiò sul divano. Oramai la ragazza si era
addormentata. Rimase ad
osservarla per un po’.
Si
atteggiava sempre da gran
donna, ed ora era lì, con un leggero sorriso sulle labbra e
gli occhi chiusi.
Per di più era già la seconda volta che la
metteva a dormire.
Più
che altro la vedeva come
una ragazzina che era cresciuta troppo in fretta, poi
rifletté che probabilmente
era proprio questo quello che la faceva comportare così. Non
doveva essere
facile per una della sua età fronteggiare i capi
dell’ex Shin-Ra.
La
sdraiò meglio, poggiandole
addosso un grosso copertone di lana, l’unico caldo che avesse
in casa. Infatti
gli era stato regalato da Tifa quando una volta era rimasta la notte
con lui ed
entrambi quasi erano morti di freddo.
Si
accomodò sul lato opposto
dello stesso divano, poggiando la testa su bracciolo.
Cloud
era sempre vissuto da
solo negli ultimi anni, ed in tutto questo tempo ancora non aveva
comprato un
letto. Eppure quante volte glielo aveva detto Tifa, esasperata da come
lui si
trascurasse.
Ma
lui era fatto così. Gli
bastava il necessario per vivere, per di più davvero tornava
a casa solo per
dormire quindi un divano gli era più che sufficiente.
Però
in quel momento si
vergognò leggermente di aver costretto la sua ospite a
dormire lì, per di più a
condividere il posto con lui.
Si
rannicchiò cercando di non
metterle i piedi in faccia. Cloud non era così alto, ma
superava
abbondantemente la lunghezza di quel divano, quindi se si fosse disteso
avrebbe
sicuramente importunato il lato sul cui era adagiata Elena.
Si
portò le ginocchia al
petto e cercò di prendere sonno, ma quella non era proprio
la sua posizione ideale
e finì per agitarsi una continuazione.
Inutile
negare che non era
tanto quello il problema.
In
realtà, forse in maniera
inconscia, la presenza delle persone nella sua vita quotidiana era un
qualcosa
che era ancora capace di turbarlo molto.
Non
era asociale, dopotutto
amava la compagnia. Non lo avrebbe mai ammesso, ma era così.
Eppure era come se
istintivamente volesse per lui una vita separata dagli altri.
Subito
scosse le testa per
scrollare di dosso quei pensieri che gli stavano frullando nella mente
in
maniera sempre più incessante.
Sbirciò
davanti a sé.
Nonostante fosse un cavallone quando dormiva, Elena era ancora
addormentata,
accoccolata tra le coperte. Non sembrava per niente in procinto di
svegliarsi.
Chissà
perché rimase a
guardarla per un bel po’, forse perché
effettivamente non l’aveva mai guardata
prima di allora.
La
conosceva, sapeva chi era,
ma era come quando non si scopre qualcosa fino a quando non te la
sbattono in
faccia.
Questo
era forse il suo caso.
Elena
grossomodo era sempre
presente da quando c’era stata la sua battaglia di tre anni
fa. Eppure solo
allora ebbe la sensazione di notarla veramente.
Ripensò
al bacio che lei gli
aveva dato.
Non
era tipo da osannare
certe cose. Un bacio era un bacio. Alla fine è solo un gesto
d’affetto, non
deve per forza simboleggiare qualcosa. Alla stessa stregua di un
abbraccio,
grosso modo.
Il
fatto era che Cloud stesso
non aveva mai ricevuto sulla sua pelle molti baci. Quella sensazione di
calore,
anche se breve, gli era quasi del tutto estranea. Si ritrovò
a desiderarlo di
nuovo, che qualcuno, senza esitazione, gli si avvicinasse dandogli
quello che
nella sua vita non aveva mai ricevuto. Solo per ricevere di nuovo quel
piccolo
calore.
Ma
quello era il prezzo per
ciò che aveva vissuto. Si girò nuovamente e
cercò di prendere sonno, ancora una
volta.
***
La
notte trascorse abbastanza
velocemente.
Cloud
non aveva chiuso le
finestre la sera prima, per questo i fiochi fasci di luce del mattino
invasero
la casa in poco, illuminandola completamente.
Uno
di questi arrivò dritto
sugli occhi di Elena, la quale cominciò a mormorare
lamentandosi. Cercò di
divincolarsi, ma c’era qualcosa che le impediva di muoversi
liberamente, quasi
come avesse addosso qualcosa di pesante.
Si
sollevò e si accorse di
essere sul divano di Cloud e non solo. Aveva persino addosso quel
malandato
biondino. Osservò i suoi piedi che erano di fianco a lei,
fino a ripercorrere
pian piano la sua figura adagiata dall’altra parte del
divano.
Dormiva
a pancia all’aria,
con un braccio sotto la testa e l’altro abbandonato per
terrà. Le gambe ben
distese ed incrociate tra di loro, praticamente sopra di lei.
Assunse
involontariamente
un’espressione burlesca. Vederlo così era strano.
Disordinato in tutto. Sia nel
modo di vestirsi, di conciarsi, che nel suo appartamento e nel modo di
dormire.
Le venne quasi da ridere. Mancava solo che russasse o parlasse nel
sonno ed il
quadro era perfetto.
Scostò
i piedi per liberarsi
il passaggio e scendere dal divano. Questi rimbombarono a terra, ma lui
non si
mosse di una virgola.
Cercò
un orologio, ma a
quanto pare la casa di Cloud era sprovvista anche di quello.
Cominciò a
chiedersi se avesse almeno il bagno.
Orientarsi
a casa del ragazzo
era semplice visto che era costituita solo da un paio di stanze. Quel
piccolo
ingresso con il divano dove aveva dormito, che comunque sembrava essere
la stanza
più grande, la cucina e…il bagno, eccolo.
Entrò
e si diede una piccola
rinfrescata. Il toccò di quell’acqua fredda seppe
risvegliarla lavandole via il
tipico stordimento del primo mattino. Osservò nello specchio
di fronte a sé il
suo viso bagnato che gocciolava. Ora mai aveva perso tutto il trucco.
Solo
all’ora, mentre si
scrutava, si rese conto di avere l’orologio al polso.
Erano
appena le sette del
mattino. Evidentemente era così abituata a svegliarsi a
quell’ora che ormai le
veniva automatico alzarsi.
Si
asciugò in fretta, poi
ritornò vicino al divano per cercare la sua giacca blu scuro
che aveva sfilato
la sera precedente.
La
ritrovò buttata su una
sedia. Era un po’ sgualcita, ma non ci pensava proprio di
lasciarla a casa di
Cloud. Non era davvero il caso.
Doveva
assolutamente andare
via, e alla svelta. Proprio ora che sembrava dormire ancora, prima che
potesse
montarsi la testa.
Si
avvicinò alla porta e
prima di chiuderla dietro di sé si fermò ad
osservare il giovane compagno col
quale aveva condiviso i bei momenti degli ultimi giorni.
Frenetici,
certo. Però…era
stata davvero bene. Si era sentita viva come non si sentiva da molto.
In
questo senso era riuscita
nel suo intento, quello di vivere un’emozione,
un’avventura tutta sua. Seppur
piccola e breve, ne era stata felice. Era solo il suo stupido orgoglio
o la sua
mania di perfezione che le impediva sempre di apprezzare al meglio
quelle sue
piccole vittorie personali, che ai suoi occhi erano sempre
così superflue
rispetto quelle degli altri.
Lui
dormiva ancora
beatamente. Aveva ormai occupato tutto il divano, invadendo
abbondantemente
anche la porzione sulla quale aveva dormito lei fino a qualche attimo
prima.
Ritornò
indietro e si
avvicinò alla finestra per socchiuderla e creare un
po’ di penombra, per
permettere al ragazzo di riposare ancora un po’.
Le
sarebbe dispiaciuto se infatti
si fosse svegliato anche lui presto come lei; dormiva così
bene.
Fatto
questo tornò alla porta
ed uscì.
***
Le
strade erano ancora
deserte a quell’ora del mattino.
Le
uniche persone che
impegnavano le vie erano pochi studenti e lavoratori intenti a prendere
i mezzi
pubblici.
Elena
era arrivata ai piedi
della grande struttura dove lavoravano gli ex dipendenti della Shin-Ra
rimasti
uniti.
Non
sarebbe dovuta tornare
dopo il casino successo appena la giornata prima, ma sentiva di dover
spiegare
la sua versione dei fatti a Tseng, o per lo meno ai suoi amici.
Questo
anche a costo di
perdere il posto.
Non
poteva condividere con
questo rimorso, non voleva che gli altri pensassero che fosse impazzita
o
avesse fatto una bambinata. Voleva almeno andarsene in maniera adulta.
Sospirò
e inquadrò tutta la
struttura.
Aveva
solcato centinaia di
volte quella soglia, forse questa sarebbe stata l’ultima
volta.
Effettivamente
sentiva di
meritarselo.
In
fin dei conti…come avrebbe
potuto giustificarsi? Se avesse detto la verità, ovvero che
cercava dei nuovi
brividi, l’avrebbero fatta ancora più sciocca. Se
invece avesse inventato
comunque sarebbe stata male con se stessa o, peggio ancora, non le
sarebbe
venuto nulla di credibile.
Poco
importava a dire al
verità, l’unica cosa che le premeva davvero in
quel momento non erano tanto le
conseguenze, ma il togliersi quel peso.
Quindi,
con passo deciso,
entrò nell’azienda.
Si
avviò per i corridoi
incrociando le solite persone che lavoravano lì con lei.
Sembravano tutti molto
naturali, quasi come se non fosse successo niente, o come se lei fosse
aria,
che passava inosservata, come sempre.
Questa
sensazione da un lato
l’aiutò a sentirsi meglio, ma d’altro
canto…forse avrebbe preferito essere
trattata come meritava ed essere subito adocchiata da tutti. Mah, forse
era per
davvero aria.
Si
girò in torno in
prossimità del suo ufficio e distinse chiaramente chi
sperava di incontrare.
-Reno…-
Il
ragazzo si girò e sembrò
sorpreso di ritrovarsela a pochi metri di distanza. Lei lo guardava
timidamente, aspettando la sua reazione.
Lui
sgranò gli occhi non
abbassando il bicchierino di plastica che aveva in bocca, poi di colpo
deformò
la faccia in un’espressione intrigante, mista allo scherzoso
e alla felicità di
vederla.
-Ehi,
eccoti finalmente.- Le
fece un cenno da cowboy.
Elena
sorrise e gli si
avvicinò.
-Come
vanno le cose?- disse
per capire com’era la situazione.
-Il
mondo non cambia se ti
assenti per qualche giorno.-
La
bionda, a dir la verità,
si rattristo un pochino per quella frase che aveva colto in pieno il
suo stato
d’animo.
-Ehi,
piccola! Guarda che
scherzo. Sei andata a cazzeggiare ed ora ti trovi nei guai, eh? Ma
c’è paparino
Reno che risolve tutto.- disse scherzosamente dandole un bel pizzico
sulla
guancia, così grande da deformarle la faccia.
-Ma…che
fai? - disse cercando
di ricomporsi, ma Reno non accennava a lasciare la presa. Lo
guardò in viso e
notò che aveva una parte della fronte arrossata e gonfia.
-Che…che hai sulla
faccia?-
-Ah,
questo?- disse
toccandosi il grosso bernoccolo. Finalmente la lasciò ed
Elena prese a
massaggiarsi la guancia.
-Allora?
Finalmente Rude si è
vendicato per quando gli hai scaricato gli occhiali nel cesso?-
azzardò
scherzosamente.
-Zitta..!
Quello ancora non
lo sa!-
-Così…eri
stato tu.-
Reno
si voltò e si ritrovò
dietro l’imponente figura di Rude che lo fissava dalle sue
lenti scure.
-Ehm…è
stato un incidente,
amico!” gli mollò una pacca sulla schiena con fare
amichevole.
-Ne
parliamo dopo. Ora
pensiamo ad Elena. Come stai?-
-Non
c’è male.-
-Oh,
oh!- Reno le avvolse un
braccio attorno alle spalle dondolandola energicamente –Che domande sono?
Elena è la nostra grande
donna! Chi può scalfirla?-
-S-smettila!
Mi prendi sempre
per culo!- cercò di divincolarsi ma il rosso era incessante
e continuò a
giocherellare con lei come faceva sempre.
Tra
Elena e Reno era sempre
così.
Elena
faceva la superiore,
lui la lasciava fare per un po’. Subito dopo la bloccava con
piccole mosse e le
faceva fare cose ridicole tipo smorfie, balletti…
Il
più delle volte la ragazza
finiva per incazzarsi poiché teneva alla sua immagine
diligente. Però talvolta
succedeva che finissero per stuzzicarsi a vicenda, anche se Elena non
era mai
all’altezza di Reno.
-Sì,
va beh, ma quello fa
così perché ti vuole bene.- insinuò
Rude guardando maliziosamente Reno.
-Ma
queste sono cose private,
Rude! Poi non te li racconto più i miei segreti.-
ammiccò. Reno era sempre
capace di scherzare su tutto.
Elena
lo guardò cercando di
far finta di non sentire. Intanto continuava a dimenarsi per scrollarsi
il
braccio di Reno dal collo. Lui, accorgendosene, cominciò a
picchiettarla sulla
testa componendole i capelli.
-Secondo
te come si è fatto quel
bernoccolo?- quella affermazione li fermò entrambi.
–Ieri, nella confusione. Ci
siamo messi a menar mazzate per farti fuggire. Siamo contenti che tu
stia
bene.-
Elena
rimase senza parole.
Non che non se lo aspettasse, ma sapeva che da ex-Turk, gli ordini
erano ordini
e andavano rispettati. Loro invece aveva trasgredito per lei.
-Davvero..?
Allora…non siete
in collera con me?-
-Scherzi?
Proprio ora che
finalmente hai cacciato la testa fuori dal sacco e ti sei fatta
riconoscere?
Benvenuta a bordo!- Reno la mollò e le si rivolse molto
seriamente, seppur con
i suoi toni perennemente scherzosi.
La
ragazza li guardò grati.
Li aveva sempre considerati degli amici, ma… il fatto che
fossero rimasti dalla
sua parte e avessero deciso di non giudicarla nonostante tutto, le
riempì il
cuore di gioia.
Ad
Elena in realtà bastava
poco per essere felice. Piccoli gesti, parole, che sapessero
confortarla di
tanto in tanto le erano più che sufficienti per ritrovare il
sorriso.
Abbassò
gli occhi. Odiava
quando le veniva da piangere. Infatti in poco tempo sentì
gli occhi bruciare.
Poggiò
la fronte sulla spalla
di Reno che era fronte a lei e si lasciò andare.
-Grazie,
Senpai.-
Reno
sorrise e le diede
qualche colpo sulla schiena.
Non
lo dava a vedere, ma era
molto affezionato ad Elena, al suo modo di fare spesso troppo isterico,
quando
faceva la saputella, quando si metteva a dare ordini a destra e a
manca…
La
accarezzò un po’, poi
rivolse il suo sguardo a Rude.
-Eh,
eh…non ci rimanere male.
Reno è Reno.-
-Cosa?-
Elena alzò il viso
poi allargò le braccia anche in direzione di Rude.
-Ma
solo Rude sa ballare la
danza di Snoopy- abbracciò così anche lui.
-A-ah!
Ti sei fatto rosso!-
-Senti
chi parla, il
“rosso”.-
-Ehi!
Che intendi? Sono
bellissimi.- disse l’esuberante Turks toccandosi i capelli.
Elena
si ricompose e si mise
al centro tra i due.
-Adesso
dovrei cercare Tseng.
Devo parlargli.-
-Wow!
Finalmente gli fai la
dichiarazione?-
-D-Dichiarazione…-
-…di
cosa?- la precedette
Tseng, che intanto era comparso vicino a loro.
-Ohi,
ohi…lasciamoli soli,
lasciamoli soli…- Reno si trascinò dietro Rude,
ed insieme si misero a
scherzare tra di loro prendendo in giro i due.
Elena
si imbarazzò di colpo. Ora
che Tseng era arrivato, avrebbe dovuto parlargli
e…e…
Certo, che idioti quei
due…perché non la piantano? Mi
deconcentrano!
Pensò
mentre li vedeva ridere
in loro direzione.
-Va
bene se andiamo nel mio
ufficio?.
-U-uh…sì,
è meglio.- annuì
lei.
***
Tseng
aprì la porta del suo
ufficio, ordinato e pulito come sempre.
Si
poggiò alla scrivania di
vetro e si rivolse alla ragazza che sembrava piuttosto smarrita,
nonostante
fosse stata spesso in quel posto.
Il
moro si accorse del suo
stato d’animo. Come darle torto in fin dei conti? Dopo quello
che era successo,
logico che fosse sulle spine. Per questo le sorrise e decide di essere
veloce
nel pronunciare le sue decisioni.
Intanto
Elena, per la prima
volta in tutta la sua vita, era riuscita a reggere lo sguardo di Tseng.
Generalmente, se lui le si avvicinava o le parlava, tendenzialmente
abbassava
lo sguardo. Si scioglieva a quegli occhi severi ed impenetrabili e dopo
non
riusciva più a connettere nulla.
Questo
perché da una parte
era perdutamente innamorata di lui, dall’altra era anche la
persona che più
stimasse a questo mondo. Ogni suo gesto, parola, decisone…
per lei non erano
solo questo. Erano qualcosa di indiscutibile, di sacrosanto.
Forse
da questo punto di
vista non si sentiva degna di amarlo.
Osservarlo
dritto negli occhi
era un’emozione nella quale era possibile perdere la ragione,
eppure in quel
momento le sembrava del tutto naturale riuscire a rivolgerglisi.
Ad
un certo punto notò che fu
stesso lui a distogliere lo sguardo. Per un attimo pensò di
averlo intimidito,
questo la fece trasalire. Tuttavia riconosceva che fosse solo una
fantasia
della sua mente. Sapeva che lui non era abituato a essere desiderato
così,
forse era anche per questo che l’allontanava e non le aveva
mai fatto sperare
qualcosa. Tseng in qualche modo rifuggiva il vero amore.
-Credo
abbiamo esagerato. –
Elena
sussultò alla voce di
Tseng che aveva interrotto quel breve, seppur intenso, silenzio.
Si
sentì in dovere di dire
qualcosa.
-Sì,
ho esagerato, me ne
rammarico molto. Io non volevo mancare di…-
Stranamente
Tseng la
interruppe subito. In genere non era sua abitudine non lasciare parlare
le
persone. Le ascoltava sempre in silenzio aspettando pazientemente il
momento di
dire la sua, se gli era richiesta.
-No,
no. Hai frainteso
completamente.- disse ridendo far sé.
La
ragazza lo guardò sconcertata.
-Mi
riferivo a me, a noi
dell’azienda.-
-Che
cosa?-
-Lasciami
spiegare. Siamo
stati un po’ troppo intransigenti con te ed ho lasciato che
ti trattassero come
una criminale.- si fermò. –Ci ho riflettuto. Li
per li mi sembrava la cosa
giusta , ma adesso mi rendo conto che non te lo meritavi.-
-A-aspetta…!
No, cioè… hai
ragione tu! Intendo, ad avermi punita! Io ho disobbedito e per di
più ho fatto
tutto di testa mia appropriandomi di un incarico che tu mi avevi
affidato a
fiducia. Ho fatto quel lavoro al posto di Reno e Rude per motivi del
tutto
personali. Questo…questo non è il giusto
comportamento di un Turk.-
Tseng
era rimasto fermo ad
ascoltarla, con le braccia conserte. Ad un tratto, dopo una breve
pausa, si
alzò e le parlò con più scioltezza.
-Elena,
non essere così
severa con te stessa.-
Le
si rivolse seriamente
quasi come a volerle chiedere scusa. Lei si sentiva sprofondare sempre
di più.
Non voleva che Tseng si sentisse in colpa, non per lei. Lui aveva
eseguito gli
ordini, non c’entrava nulla.
A
un certo punto lui parve
fare un’espressione sarcastica e prese a gesticolare
leggermente con le mani
come mai aveva fatto.
-E
poi siamo giovani,
l’impulsività è una nostra
caratteristica. Un po’ di vita ci vuole.-
sembrò imbarazzato lui stesso di parlare a
quel modo.
Avrebbe
dovuto essere la
persona più felice del mondo perché Tseng stava
cercando di confortarla?
-
Comunque…- interruppe le
sue fantasie - ...Guarda che c’è quella testa
chiodata di nostra conoscenza qua
sotto. A dire la verità già da un
po’…- disse mentre sbirciava distrattamente
tra le fessure delle persiane.
Elena
spalancò gli occhi.
-C-Cloud
Strife?-
-Proprio
lui.-
-Posso?-
gli chiese lei
discretamente piegando la testa su un lato.
-Certo.
Va’ pure.-
Detto
ciò, la bionda lo
ringraziò, fece un profondo inchino e corse via fuori
dall’ufficio.
Tseng
rimase a guardare nella
direzione dove era sparita per un po’.
-Che
ha l’impenetrabile
Tseng? Un piccolo rimorso di ‘coscienza’?-
sbucò Reno da dietro la porta.
-Da
quanto sei qui?-
-Da
abbastanza…-
-
Bene, allora non c’è
bisogno che ti aggiorno.-
-Uhm…e
così la piccola Elena
se la fa con Cloud Strife, eh? Non sei geloso?-
-Mah,
diciamo che ho successo
con le donne. -
-Oh..!
Il nostro Tseng è un
rubacuori.-
-Ci
sono molte cose che non
sai di me.- disse
ridendo far sé.
***
Elena
corse giù per le scale.
Non
poteva crederci…come
faceva sempre a trovarla?
Sembrava
quasi che non
riuscissero a separarsi, eppure erano stati assieme per così
poco. Il suo cuore
batteva forte e non vedeva l’ora di uscire fuori e rivederlo.
Cominciò
a sorridere, sicura
che chi la vedesse passare l’avrebbe presa per stupida.
Afferrò
la maniglia della
porta d’ingresso e la tirò con forza.
Si
aggirò appena un po’ per
la strada e subito lo vide, con la solita aria da gran figo che voleva
trasmettere.
Era
poggiato con le spalle
sul muro, le braccia incrociate sul petto e le gambe accavallate tra
loro.
Il
vestito era scuro, come la
sera prima, e faceva il solito contrasto con quei capelli che adesso
sembravano
ancora più biondi. Vedendola, allontanò la
sigaretta dalle labbra e la premette
contro il muro.
Le
fece un piccolo cenno con
la mano, invitandola ad avvicinarsi.
Elena
acconsentì e presto fu
di fronte a lui.
Il
sole era abbastanza alto e
i suoi raggi emanavano più calore rispetto a quando era
uscita.
Quella
luminosità così
intensa vivacizzava i colori solitamente grigi della piccola
città di Edge.
Si
portò una mano fra i
capelli e li aggiustò dietro le orecchie.
-Yo.-
-Ciao,
Cloud.-
Rimasero
in silenzio ancora
per qualche secondo. Elena assunse un’espressione
più seria, non voleva che si
accorgesse della felicità che l’invadeva in quel
momento.
Una
felicità alla quale
ancora non era in grado di dare un nome, anche se, dentro di
sé, sapeva
benissimo di cosa si trattasse.
-Ti
sembra quello il modo di
andartene?-
-Uhm…ci
sei rimasto male?-
chiese provocatoria, come non era mai stata.
In
tutta risposta Cloud si
sollevò e le diede le spalle.
Elena
non capì e lo guardò
incuriosita. Subito il ragazzo girò la testa
all’indietro.
-Beh,
non dovevi ‘pedinarmi’ ?
Guarda che io ancora non ho sbrigato quella commissione per i tuoi.-
disse
giocherellando con una lettera che solo allora aveva cacciato dalla
giacca.
-Che?-
-Sei
la mia Turk, no? Allora
muoviti o vado senza di te.- ammiccò e prese a camminare.
Elena
fece qualche passo
veloce per raggiungerlo.
-Sì,
ma… EHI! Aspettami!-
disse non trattenendo più il suo sorriso.
La
sua impulsività nel rompere
tutto ad tratto le sue abitudini, per lei dei solidi capisaldi, solo
per appagare
quel piccolo desiderio di un’avventura, di vivere emozioni
nuove, di sentire
qualche brivido che non avesse mai provato…
l’avevano finalmente avvicinata a
un po’ di quella perfezione che cercava: una perfezione
chiamata felicità.
Ora
come ora non le importava
quanto sarebbe durato, poteva andare benissimo anche così.
Era felice ed il suo
cuore palpitava facendola sentire viva e speciale.
Questo
era stato un suo
grande trionfo.
Breaking the habits… for the
happiness.
FINE
***
Spero che questa
storia vi sia piaciuta e che il pairing vi abbia coinvolto almeno un
po'.
Cloud e Elena li
trovo molto interessanti personalmente.
Arrivederci! Un
bacione a tutti.