***
L’altalena
andava su e giù, su e giù, spinta dolcemente dal
vento.
La catena
cigolava sinistra, ma era uno di quei rumori fastidiosi
all’inizio, a cui poi ci si abitua e di cui alla fine non si
può fare a meno. Il gelo seccava la pelle delle mani e delle
dita affusolate aggrappate alla catena, ma la giovane non se ne curava.
Sussurrava a bassa voce e ad occhi chiusi una vecchia ninna nanna, di
cui non rammentava le parole e di cui pertanto si limitava a
canticchiare la melodia.
Il camposanto
era deserto e silenzioso.
Beatrice,
questo il nome della giovane, aveva sempre trovato bizzarra
l’idea di un’altalena appesa ad un grosso ramo
della quercia secolare del cimitero, ma essa esisteva sin da quando
aveva memoria, e aveva finito per abituarcisi, come tutti del resto.
Dopotutto, dubitava che potesse essere di disturbo ai defunti.
Non era la
prima volta che andava a trascorrere pomeriggi interi nel camposanto.
Era un luogo che non l’aveva mai turbata, al contrario, si
era sempre sentita a suo agio, e la sensazione di quiete e pace che le
trasmetteva quel luogo consacrato non l’aveva mai provata da
nessun’altra parte. D’altronde, sapeva che i morti
non le avrebbero mai torto un capello, a meno che, certo, lei non
avesse fatto qualcosa per meritarlo. Ma era sempre stata rispettosa nei
loro confronti, ogni volta che entrava nell’antico cimitero
recitava una preghiera per tutti loro, e solo dopo si dirigeva
tranquilla verso la sua altalena.
Non aveva mai
incontrato nessuno prima di allora. Doveva forse essere
l’unica ragazza che preferiva trascorrere il suo tempo libero
nel cimitero dei Santi Innocenti, e non aveva mai avuto
l’occasione di vedere anima viva. Forse perché i
visitatori frequentavano solo la parte nuova e tralasciavano di andare
in quella vecchia, dove ormai non veniva seppellito più
nessuno da quasi un secolo.
Ad ogni modo,
era quella la parte più bella e affascinante, a suo avviso.
Qui si trovavano immensi mausolei come non ne venivano più
costruiti, eretti fino a due secoli prima e con incisi i nomi facoltosi
di antiche famiglie nobiliari che ormai si erano del tutto estinte.
Sopra la maggior parte delle tombe si ergevano statue di angeli e
madonne in lacrime, il cui sguardo era rivolto verso il cielo,
eternamente in attesa della discesa dell’Angelo che li
avrebbe accompagnati in un mondo migliore.
A onor del
vero, Beatrice non trascorreva tutti i suoi pomeriggi a farsi dondolare
dall’altalena. Aveva percorso in lungo e in largo il
camposanto tante di quelle volte che ormai aveva imparato a memoria i
nomi di tutti i defunti, e aveva scoperto che il primo ad essere stato
seppellito in quella terra era stato un soldato francese del XVII
secolo. Ultimamente aveva preso l’abitudine di portare con
sé una piccola agendina nel quale segnava i nomi che leggeva
sulle lapidi, e con questo sistema era riuscita a mettere insieme dei
veri e propri alberi genealogici. Certo, era pur sempre possibile che
due persone con il medesimo cognome non fossero necessariamente
imparentate, ma era ad ogni modo interessante vedere come si evolvevano
le varie famiglie.
Beatrice non
aveva nessuno con cui condividere questi suoi passatempi. I suoi
genitori erano morti in un incidente d’auto quando lei aveva
solo quattro anni, e ormai rammentava a stento i loro visi. Era
cresciuta da allora in un orfanotrofio, e aveva preso
l’abitudine di sgattaiolare dal controllo delle suore sin da
piccola, correndo a rifugiarsi al riparo dei cipressi che sovrastavano
l’ultima dimora dei suoi genitori. Col tempo, aveva allargato
il suo campo d’azione fino ad arrivare a stabilirsi
definitivamente nella parte dell’altalena, e dato che ormai
aveva diciassette anni, non era più necessario andarci di
nascosto.
La sera di
cui abbiamo parlato all’inizio era una sera di ottobre
inoltrato, in cui il gelo riusciva a penetrare attraverso il pesante
cappotto della ragazza e il vento scompigliava i suoi lunghi capelli
biondi, che usava tenere sciolti sulle spalle. Non era ancora buio, ma
i lampioni del camposanto erano già stati accesi da molto.
L’altalena cigolava, sospinta dal vento, e tutto era
tranquillo come al solito.
Ma poi
qualcosa cambiò.
Il vento
sembrò cessare bruscamente, e con esso anche
l’altalena si fermò, rimanendo immobile. Da
lontano provenne il verso acuto di una civetta e poi più
nulla; il silenzio più totale.
Beatrice non
si scompose, malgrado trovasse strano – curioso, in
realtà – l’avvenimento. Si
guardò intorno, incuriosita, portandosi dietro
l’orecchio un ciuffo ribelle che non stava mai al suo posto,
e rimanendo in attesa di qualcosa. Anche se neppure lei sapeva cosa
aspettarsi. Dopo un po’ riprese a canticchiare, certa che non
sarebbe accaduto nulla di eccezionale.
Quando,
improvvisamente, ebbe la netta sensazione di non essere più
sola.
Poggiato al
tronco della quercia, come apparso dal nulla, si trovava infatti un
ragazzo più grande di lei, ancora giovane
d’età ma col volto segnato come se si fosse
trattato di un adulto che aveva vissuto esperienze troppo grandi per
lui. Tuttavia non era questo ad aver colpito Beatrice, quanto piuttosto
il suo curioso abbigliamento: era vestito infatti come certi quadri del
secolo scorso che aveva visto appesi all’orfanotrofio, i
ritratti dei fondatori e così via. Indossava una giacca nera
e un pantalone del medesimo colore, e attraverso la giacca aperta
poteva vedere il panciotto color blu oltremare che portava sopra una
camicia bianca. A completare il tutto era una sciarpa rossa che il
ragazzo portava a mò di cravattino.
Beatrice lo
osservò incuriosita, notando la carnagione pallida del
ragazzo e la pupilla color porpora dei suoi occhi. Sembrava stare male,
ma il sorriso che le stava rivolgendo sembrava solo essere stanco.
«Ciao,»
esordì lei, senza scendere dall’altalena.
Il sorriso
dello sconosciuto divenne appena più largo. «Buona
sera,» rispose formale, con una voce profonda e gentile.
«Disturbo?»
«Certo
che no,» rispose lei, continuando a studiarlo. Era certa di
non averlo mai visto prima di quel momento, ma decise di non fare
domande che si sarebbero potute rivelare imbarazzati: forse il giovane
aveva perso di recente qualche parente, altrimenti la sua presenza in
quel luogo non si spiegava. E farglielo presente sarebbe stato poco
cortese.
«Allora
ne approfitto per presentarmi.» Si avvicinò piano
a lei come se non volesse spaventarla e le porse la mano, che Beatrice
strinse con un accenno di timidezza. «Il mio nome
è Bartholomew Barker.»
«Beatrice
Cecil.» Replicò lei, con un mezzo sorriso; le
faceva sempre uno strano effetto presentarsi con il cognome dei suoi
defunti genitori, ma dirlo ad alta voce sembrava avere il potere di
spolverare la loro memoria. E il nome di quel ragazzo…
Perché aveva l’impressione di averlo
già sentito?
Lui non le
diede il tempo di riflettere. «È un vero piacere
fare la tua conoscenza, Beatrice.»
«La
stessa cosa vale per me.» Tacquero, limitandosi ad osservarsi
in silenzio con un accenno di sorriso sui loro volti; stranamente, la
situazione non aveva nulla di imbarazzante. Al contrario, in cuor suo
Beatrice era felice del fatto di non essere l’unica a
preferire la quiete di quel luogo consacrato al resto del mondo
là fuori.
«Ti
ho vista spesso passeggiare da queste parti.» Riprese lui un
po’ all’improvviso, infilando mollemente le mani
nelle tasche dei pantaloni. «Non stai bene con i tuoi
amici?»
Beatrice
scrollò leggermente le spalle, non mostrandosi infastidita
dalla domanda forse troppo personale: quel ragazzo le ispirava fiducia,
e forse potevano essere più simili di quanto lei credesse.
«In
realtà non ho mai avuto dei veri amici.»
Replicò schietta, con un tono di voce piatto.
«Preferisco venire qui tutte le sere, sai…
È l’unico modo che ho per sentirmi ancora vicina
ai miei genitori…»
«Sono
certo che un giorno li rincontrerai.» Sussurrò con
dolcezza, dopo averla osservata ancora a lungo.
Ella
sospirò. «Forse…»
«Credo
che per te sia davvero molto tardi, Beatrice…»
Disse, dopo un ennesimo silenzio.
La ragazza
annuì, sovrappensiero, dopodiché
scivolò con grazia giù dall’altalena e
si spolverò i pantaloni neri che indossava. «Si,
lo penso anch’io. Suor Elena sarà
preoccupata.»
Bartholomew
sorrise debolmente. «Ti vuole molto bene, è
normale.» Le si avvicinò, porgendole poi il
braccio con un gesto di antiquata cavalleria. «Permetti che
ti accompagni?»
«Ti
ringrazio, si.» Portò la mano sotto il suo
braccio, trovando un po’ di tepore e di riparo dal freddo
pungente che aveva iniziato a farsi più gelido con
l’avanzare della serata. Come suo solito aveva scordato di
portarsi i guanti, che preferiva non avere perché la
disturbavano quando sistemava i fiori nelle tombe dei suoi genitori, ma
la prossima volta avrebbe dovuto ricordarsene.
Una volta che
furono arrivati al cancello del camposanto, il ragazzo si
fermò pochi metri prima. «Scusa, ma io…
Non posso andare oltre.» Mormorò, osservando il
lungo viale che si dipartiva dall’ingresso del cimitero.
Beatrice
aggrottò le sopracciglia, voltandosi verso di lui.
«Non puoi?»
Egli scosse
ancora la testa, prima di abbassare lo sguardo e rivolgerlo su di lei.
«No,» sorrise. «Non ho finito il mio
giro… Non sono ancora andato a trovare i miei genitori, ed
è stata una mancanza imperdonabile da parte mia. Lo
farò adesso…»
«Ma
non è tardi anche per te?» Domandò
Beatrice, infilandosi le mani gelide nelle tasche del pesante
cappottino che indossava. «E poi… Non ti da
fastidio rimanere qui anche col buio?»
Ma
Bartholomew scosse ancora la testa, senza riuscire a smettere di
sorridere per un solo istante. «Oh, Beatrice… Non
è dei morti che bisogna avere paura. Ricordatelo, loro non
possono fare nulla contro di te…»
Un brivido le
corse lungo la schiena, ma non sapeva se attribuirlo al freddo o ad
altro. «Lo so… Lo dicevo solo per te.»
«Sei
preoccupata per me?» Fece un passo avanti e le fu talmente
vicino che avrebbe potuto abbracciarla semplicemente allargando le
braccia, ma non osò fare
nulla di simile. «Ti ringrazio, davvero, ma non è
il caso.» La sua voce si era ridotta ad un semplice sussurro.
Lei si
limitò ad annuire, stringendosi ancora di più nel
cappotto. Tremava di freddo, eppure ancora non voleva andarsene. Non
voleva lasciarlo lì, da solo… E soprattutto, non
voleva allontanarsi da lui. Un comportamento piuttosto strano e
sconsiderato, dato che lo conosceva da pochi minuti.
«Allora
vado…» Mormorò, osservando lo strano
pallore della carnagione del ragazzo.
Fece per
voltarsi e andare via, ma lui la trattenne per una mano.
«Aspetta un attimo.» Le sorrise, avvicinandola a
sé e lasciandola per trafficare con la sciarpa rossa che
portava attorno al collo. «Stai tremando dal
freddo… Tieni.»
Ma, invece di
limitarsi a porgerle la sciarpa, gliela avvolse attorno al collo,
indugiando deliberatamente a sfiorarle la pelle con un tenero sorriso.
«Ecco, così va meglio… Vero?»
Beatrice
annuì, leggermente sorpresa. «Si…
Grazie,» rispose. «Allora… Ci
vediamo?»
«Certo,»
acconsentì lui, facendo un passo indietro.
«Coraggio, vai ora. È molto tardi per
te.»
La ragazza
annuì ancora una volta e si voltò, raggiungendo
l’immenso cancello in ferro del cimitero ed uscendo sulla
strada, avvertendo improvvisamente, come tutte le altre volte, il
pesante disagio che la assaliva quando si trovava fuori dal camposanto
o dall’orfanotrofio. Poi si ricordò, come un lampo
a ciel sereno, che non aveva salutato quel caro ragazzo!
Così si voltò, aspettandosi di vederlo nello
stesso punto dove lo aveva lasciato.
Ma di lui non
c’era più nessuna traccia. Sparito.
Mortificata e
delusa, Beatrice si incamminò verso
l’orfanotrofio, accelerando il passo per non percorrere nel
buio pesto quelle stradine disabitate. Chissà chi era quel
ragazzo, e se l’avrebbe più rivisto… Un
violento attacco di tosse le squassò l’esile
petto, facendola bloccare in mezzo alla strada. Vi era abituata, ormai,
ma la cosa non cessava di farle più male di una sola
tortura. Era certa che sarebbe passata anche quella.
Da quel
giorno, trascorsero numerosi giorni, settimane e mesi. Non era
importante, in realtà, il tempo trascorso, quanto il fatto
che da allora, ogni volta che andava a trovare i suoi genitori al
cimitero, ella incontrava il ragazzo che le aveva regalato la sciarpa
rossa, Bartholomew.
Egli si
dimostrò essere ancora più dolce e gentile di
quanto Beatrice avesse anche solo immaginato all’epoca del
loro primo incontro. Nessuno dei due aveva mai saltato uno solo dei
loro quotidiani appuntamenti, e anche se le origini di Bartholomew e la
sua vita restassero ancora avvolte in un mistero che non aveva mai
voluto chiarire, il ragazzo era diventato per Beatrice quanto di
più vicino ci fosse ad un amico e un fratello.
D’altra parte, non era importante chi fosse davvero o da dove
venisse, per far si che la ragazza gli volesse bene.
Un giorno,
tuttavia, Beatrice fu costretta a saltare l’incontro. Quella
notte aveva avuto una delle sue solite crisi, ma era stata addirittura
peggiore del solito; suor Elena e le sue compagne avevano davvero
temuto potesse esserle fatale, ma fortunatamente la fece semplicemente
svenire. Il dottore era stato chiamato in tutta fretta, e dopo averle
somministrato una forte dose di tranquillanti e analgesici per far si
che trascorresse il resto della notte in pace, se ne era andato. Era
poi tornato di pomeriggio per vedere come stava la ragazza e per
parlare con sorella Elena degli esiti degli esami del sangue che le
aveva fatto fare. Sconsideratamente rimasero nella camera di Beatrice a
discuterne, convinti che ella dormisse e che, pertanto, non potesse
sentirli.
«Allora,
dottore, ditemi… Che cosa dobbiamo fare?»
Sussurrò la donna, in piedi accanto alla finestra con il
dottore al suo fianco.
L’uomo
sospirò, tristemente. «Vedete, sorella…
Beatrice sta molto male… È sempre stata delicata
di salute, e tutto questo suo aggirarsi fino a tardi nel cimitero non
le ha sicuramente giovato… Fa molto freddo lassù,
lo sapete…»
«Dottore,
se dobbiamo spendere dei soldi per le sue cure, le assicuro che non
sussiste alcun problema.» Lo interruppe suor Elena, decisa.
«L’orfanotrofio non sarà una banca, ma
grazie al Cielo il Signore fa si che non ci manchi mai nulla.»
Il dottore
non ebbe quasi il coraggio di guardarla in volto quando le rispose.
«Sorella, temo che le cure siano ormai del tutto inutili per
lei…» Sospirò, poi la
osservò mestamente. «La ragazza sta morendo. Ha la
tisi.»
Suor Elena
sussultò sconvolta, portandosi le mani alla bocca per
soffocare un nascente grido disperato. La sua piccola bambina, la sua
Beatrice… Stava morendo? Com’era mai possibile? E
come poteva il Signore permettere che cose simili accadessero ad una
povera creatura che non aveva nessun peccato a gravarle sulle spalle,
se non quello di amare a tal punto i suoi genitori da rinunciare alla
sua stessa salute pur di star loro vicino? Era inconcepibile, la povera
donna non riusciva a crederci… Rivolse lo sguardo alla
ragazza addormentata, pregando che non venisse mai a sapere una cosa
simile, anche se sarebbe stato inevitabile dirglielo.
Ma Beatrice
aveva sentito tutto, e non sapeva se piangere o esserne felice.
D’altronde lei, al contrario delle sue compagne, non aveva
mai fatto grandi progetti sul suo futuro, come se già
sapesse – o intuisse – in cuor suo che non avrebbe
mai avuto abbastanza tempo per poterli portare a termine. Inoltre,
ciò avrebbe significato non dover attendere una vita intera
per poter finalmente ricongiungersi con i suoi genitori: era stata
cresciuta come cattolica praticante, infatti, e non nutriva alcun
dubbio sul fatto di ritrovarli in un posto migliore.
Tuttavia…
Un altro volto si sovrapponeva a quelli dei suoi genitori, ed era
Bartholomew.
Se la
malattia l’avesse uccisa, che ne sarebbe stato di lui? Il
ragazzo era solo, infatti, sembrava non avere nessun altro –
all’infuori di lei – con cui condividere i suoi
sentimenti e i suoi pensieri, e l’idea di lasciarlo solo la
riempiva di tristezza… E combattere non sarebbe servito a
niente, come aveva ribadito il dottore, era solo una questione di tempo
prima che lasciasse definitivamente questo mondo.
Le lacrime
iniziarono a scorrerle copiose sulle guance, annebbiandole la vista e
costringendola a mordersi le labbra per impedirsi di singhiozzare.
Quando era con lui il tempo perdeva significato, era sufficiente che
Bartholomew le prendesse una mano tra le sue, gelide, per farla
sorridere e dimenticare tutte le sue pene… Non credeva di
essere pronta a dire addio a tutto ciò che era stato, e
tuttavia non poteva andarsene senza salutarlo un’ultima
volta: chi poteva assicurarle che l’indomani mattina avrebbe
fatto ancora parte del numero dei viventi? Decise tutto molto
rapidamente: non appena suor Elena si addormentò sulla
poltrona accanto al suo letto, Beatrice si alzò e si
rivestì cercando di non produrre il più minimo
rumore. Non prese i guanti, né il cappotto, malgrado fuori
dalla finestra poteva vedere con chiarezza, grazie soprattutto alla
luce della luna che illuminava tutto il paesaggio circostante, la neve
che ricopriva la terra come un manto.
Prese invece
la sciarpa rossa che le aveva dato Bartholomew al loro primo incontro,
e dalla quale non si era mai più separata, serbandola con
cura come se si fosse trattato di un portafortuna.
Quindi, dopo
aver posato un leggero bacio sulla guancia di suor Elena, raggiunse la
finestra e la aprì, tremando di fronte al gelo che
entrò nella stanza. Come aveva sempre fatto da piccola
quando voleva uscire di nascosto, si arrampicò sul davanzale
e saltò sull’albero che si trovava esattamente in
corrispondenza della sua camera, scivolando poi a terra con la
destrezza dell’abitudine. Il cappotto le sarebbe stato solo
d’impiccio per ciò che aveva appena fatto. Poi
iniziò a correre, più veloce del vento, ignorando
il gelo che la circondava e le ghiacciava le mani e il volto, con il
solo pensiero di Bartholomew a darle la forza di continuare a correre.
E finalmente
arrivò a destinazione.
La maestosa
inferriata del camposanto si stagliava orgogliosa contro il cielo
illuminato da una luna piena più splendente di quanto avesse
mai visto, e solo allora rallentò, riprendendo fiato.
Tossì, portandosi le mani alla bocca come di consueto, ma
osservando inorridita il sangue che aveva macchiato la sua candida
pelle. Con una smorfia le strofinò sui jeans e si
avvicinò al cancello, iniziando a pensare a come
scavalcarlo. Ma non appena lo sfiorò con una mano esso si
spalancò davanti ai suoi occhi, aprendosi con un debole
cigolio, e richiudendosi alle sue spalle quando lei fu ormai
all’interno del camposanto.
Non aveva
paura; nulla poteva mai essere peggio di quello che le riservava invece
il destino.
Iniziò
ad avanzare, ma non aveva fatto che pochi passi quando sentì
una voce, una voce molto ben conosciuta, che proveniva da dietro di lei
e che la stava chiamando. Si voltò e lo vide. Era lui,
Bartholomew, come aveva sperato e pregato. Come poteva dubitarne? Ogni
volta che aveva bisogno di lui, ecco che egli appariva, come per
incanto, pronto ad alleviare il suo dolore… Ma questa volta
sarebbe stato diverso.
Quando lui
pronunciò il suo nome, in un tenero sussurro, Beatrice non
resistette. Gli corse incontro, con le lacrime che diventavano ghiaccio
sulla sua pelle, e si gettò tra le sue braccia aperte,
riuscendo a farlo barcollare dalla foga che aveva messo
nell’abbraccio. Singhiozzò da spezzare il cuore
mentre lui le accarezzava i capelli, cercando di tranquillizzarla.
«Cos’è
successo?» Mormorò, senza smettere di accarezzarla.
Lei
sollevò la testa dal suo petto, fissandolo con lo sguardo
colmo di lacrime. La voce le tremava quando gli rispose. «Sto
morendo, Barholomew… Sto… Sto
morendo…»
Egli
aggrottò le sopracciglia, con un’espressione
devastata che lei non aveva immaginato. «Non pensavo che
sarebbe stato così presto…» Lo
sentì sussurrare, mestamente.
«Cosa
vuoi dire?» Replicò la ragazza senza capire,
allontanandosi da lui. «Che significa?»
Ma
Bartholomew si limitò a scuotere la testa, avvicinandosi
nuovamente a lei e prendendole la mano. «Vieni con me,
Beatrice…» Rispose. «Non avere
paura… Vieni con me.»
Come poteva
opporsi? Non era forse andata per vedere lui? Malgrado la sua reazione
non fosse quella che si era immaginata – e che aveva temuto
– lo seguì, mano nella mano, cessando
improvvisamente di piangere. Aveva compreso dove lui la stesse
portando, anche se non aveva capito il perché.
Fu quando
arrivarono al luogo in cui erano sepolti i suoi genitori che si
voltò verso di lui e gli chiese spiegazioni. «Cosa
c’entra tutto questo? Perché mi hai portato
qui?»
Stranamente,
lui le rivolse uno strano e mesto sorriso. «Chiudi gli occhi,
Beatrice…»
Lei scosse
ancora la testa. «Non capisco…!»
Insisté.
Bartholomew
sospirò e le posò una mano sugli occhi,
stupendola quando lei sentì che anche la pelle del ragazzo
era calda, malgrado solo qualche attimo prima fosse più
gelida della neve che li circondava.
«Chiudi
gli occhi,» ripetè. «Non avere
paura…»
Rimasero in
attesa, silenziosi, per una buona manciata di minuti, durante i quali
Beatrice ebbe l’impressione di sentire che il vento aveva
cessato di soffiare e che le civette, che aveva udito fino a poco
prima, adesso tacevano rispettosamente. Poi, Bartholomew le tolse la
mano dagli occhi, rivolgendole un sorriso talmente tanto triste che le
lacrime tornarono a pungerle gli occhi.
«Cosa…?»
Mormorò, avvicinandosi a lui. Ma egli scosse piano la testa
e le indicò un punto alle sue spalle, invitandola a voltarsi
verso la tomba dei suoi genitori.
Non poteva
certamente farle male e, incuriosita, diede le spalle al ragazzo. E
allora tacque, come impietrita, quando si ritrovò ad
osservare due paia di occhi identici ai suoi, i suoi stessi boccoli, le
sue labbra, il suo stesso sorriso, sui volti di due persone che ormai
non vedeva da tempo.
I suoi
genitori.
Questa volta,
impedire alle lacrime di scendere fu impossibile.
Stava
sognando? E se davvero tutto questo era un sogno, perché il
calore del corpo di sua madre che stava abbracciando le sembrava
così vivido e reale, e il sorriso che le stava rivolgendo
suo padre era il più dolce che avesse mai visto, o che si
potesse ricordare, sul suo volto? Sua madre era vestita allo stesso
modo di quando avevano avuto quel terribile incidente, e
così pure suo padre: ma la loro espressione e lo splendore
che sembravano emanare era troppo surreale e tangibile per far si che
si trattasse di un mero sogno notturno.
Ad un certo
punto, sentì suo padre rivolgersi a Bartholomew. «Ti
ringrazio per come ti sei occupato di lei nel frattempo, giovanotto.»
Perché la sua voce era così profonda e
ultraterrena, come se non appartenesse a questo mondo? E che
significato avevano le sue parole?
«Si,
Bartholomew. A noi non era permesso farlo, e ti ringrazio con tutto il
mio cuore per esserti preso cura della mia bambina.»
Aggiunse la madre, stringendo al petto Beatrice che spostava il suo
sguardo dal suo amico ai genitori e viceversa. Continuava a non
comprendere…
«Mamma,
io sto morendo…» Le confidò piano,
avvolta nel suo abbraccio. «Vorrei tanto venire con voi, ma
non voglio lasciare solo Bartholomew… Non
c’è nulla che possiate impedire perché
ciò non accada?»
La donna la
osservò mestamente eppure con uno strano sorriso sulle
labbra. «Non spetta a noi prendere simili decisioni,
bambina mia.»
«Noi
siamo solo venuti per portarti via.»
Terminò il padre, allungando una mano per sfiorarle i
capelli. «Oh, vedere la donna che sei diventata mi
riempie di gioia… Il tuo tempo non sarebbe dovuto giungere
così presto, ma hai sofferto abbastanza.»
Beatrice
scosse lentamente la testa, voltandosi poi verso il ragazzo.
«Il mio tempo? Ma di cosa stanno parlando,
Bartholomew?»
Il ragazzo la
guardava disperato, senza sapere cosa risponderle. Spostò il
suo sguardo sui genitori di Beatrice, chiedendo loro aiuto con una muta
preghiera.
Fu la madre a
venire in suo soccorso. «Sapevamo che un giorno
saremmo stati ancora insieme, tesoro. Durante tutto questo tempo ti
siamo stati vicini, ma non potevamo intervenire in alcun modo nella tua
vita… Non ci è mai stato permesso. Mentre
Bartholomew, vedi Beatrice… Anche lui è
un’anima, come noi, ma purtroppo non ha mai visto la Luce, ed
è per questo che ha potuto aggirarsi nel tuo mondo
indisturbato, e prendersi così cura di te in
quest’ultimo periodo.»
La ragazza
aggrottò le sopracciglia, ancora più confusa. Si
rese vagamente conto di non provare freddo malgrado fosse circondata
dalla neve e non indossasse pressochè nulla, come se la
vicinanza dei suoi genitori la riscaldasse. Ma non lo trovava molto
importante: ciò che davvero le premeva era sapere se avesse
dovuto dire addio per sempre a Bartholomew, il suo caro Bartholomew, o
se egli fosse andato insieme a lei, in qualunque luogo lei sarebbe
dovuta finire.
Come se
avesse intuito i pensieri che le passavano per la mente, il giovane
sorrise con mestizia, scuotendo piano la testa. «Beatrice, mi
dispiace così tanto… Forse non avresti dovuto
affezionarti a me, visto che non potremo mai più
vederci…»
Si
avvicinò a lei, posandole poi un dito sulle labbra per
impedirle di ribattere in alcun modo. «Ascolta bene quello
che sto per dirti, Beatrice, perché purtroppo
potrò dirlo una volta sola…»
Sussurrò, con una dolcezza avvelenata da un dolore che la
ragazza ancora non comprendeva. «Io sono un’anima
dannata… No, aspetta, lasciami spiegare.»
Aggiunse, vedendo la sua espressione sconvolta. Poi
proseguì. «Non riesci a vedere la differenza tra
me e i tuoi genitori? Loro possono riposare finalmente in eterno adesso
che ti hanno ritrovato, mentre io… Oh, probabilmente questa
sarà la mia peggiore punizione, sapere di dover trascorrere
il resto dell’eternità senza te al mio
fianco…!»
Beatrice non
potè trattenere le lacrime, mentre iniziava lentamente a
comprendere la situazione. Aveva letto qualcosa in proposito, anche se
non ricordava il dove né il quando, sull’esistenza
di spiriti condannati a vagare sulla terra fino alla fine dei tempi,
per saldare una pena che risaliva a chissà quanto tempo
prima. E se davvero era quella la verità, allora era forse
meglio non averla mai scoperta! Perdere Bartholomew avrebbe significato
trasformare i Campi Elisi nel più terribile degli inferni,
malgrado la dolce e rassicurante presenza dei suoi genitori al suo
fianco…
Improvvisamente
sentì l’aria mancarle dai polmoni, e
nell’ardente sforzo di respirare crollò in
ginocchio, sputando sangue dalle labbra immacolate. Ecco, lo sapeva, la
sua fine era vicina… E non poteva fare nulla per evitarlo,
per prolungare la sua permanenza al fianco del giovane spirito che
sembrava amarla almeno la metà di quanto lo amava lei!
Le lacrime si
mischiarono al sangue mentre sollevava il capo per rivolgere uno
sguardo disperato al ragazzo, che si era precipitato al suo fianco per
stringersela al petto in un ultimo abbraccio.
«Vieni
con me…» Balbettò lei, aggrappandosi
alla giacca di antica foggia di Bartholomew. «Non andare
via… Non lasciarmi…»
«Non…
Non posso…» La sua voce tremava, straziante, ma
potevano gli spiriti piangere?
Uno strano
calore sulla spalla la fece voltare, e Beatrice incontrò
così lo sguardo comprensivo ma risoluto del padre.
«È tempo di andare…»
Sussurrò.
Lei scosse
con forza la testa, stringendosi ancora di più al ragazzo.
«No!» Gridò debolmente, tra le lacrime.
Ma sentiva di non poter più opporsi a quel richiamo, ormai
avvertiva le forze abbandonare il suo corpo, mentre il respiro si
faceva più lento e difficoltoso.
Bartholomew
le fece voltare il capo verso di sé, sorridendole tra quelle
che sembravano lacrime. «Non voglio che tu
soffra…» Mormorò, piano.
Poi
posò dolcemente le labbra gelide su quelle di Beatrice,
assorbendo il suo dolore e riuscendo a farla sospirare di piacere
nell’attimo subito precedente alla morte.
L’istante
dopo la vita defluì dal suo giovane corpo.
Quando la
mattina dopo l’anziano custode del camposanto andò
a fare il suo consueto giro tra le tombe, per controllare che durante
la notte non fosse entrato nessun delinquente a profanare quel luogo
sacro, trovò il corpo di una ragazza accasciato
sull’erba, accanto ad una tomba. Non osò toccarlo,
e corse a chiamare aiuto.
Fu suor
Elena, più tardi, a riconoscere tra le lacrime la sua cara
Beatrice. Se il medico non si fosse accertato della mancanza del
battito cardiaco, la donna avrebbe potuto giurare che la giovane stava
semplicemente dormendo, tanto era serena l’espressione del
suo viso. Come se l’avessero portata via gli angeli.
Notò, senza nessun particolare interesse, che la piccola non
indossava la sua amata sciarpa rossa, e quando si fu rammentata
dell’importanza che essa aveva per lei, si affannò
a cercarla, certa che l’oggetto si dovesse per forza trovare
nei dintorni.
Si
allontanò dalle due tombe e, prima che se ne rendesse conto,
fu nei pressi della grande quercia alla quale era ancora appesa
l’altalena. Non osò avvicinarsi per
chissà quale sorta di sacro timore, e rimase lontana, ad
osservarla.
Suor Elena
giurò per il resto della sua vita di aver visto, quel
giorno, due angeli apparire e giocare
sull’altalena, silenziosi, ma con delle espressioni talmente
felici da farle credere che i due stavano sicuramente comunicando tra
loro. Ribadì più volte, facendosi il segno della
croce, che l’angelo seduto sull’altalena era la sua
adorata Beatrice, i capelli sciolti sulle spalle come
l’ultima volta che l’aveva vista, e una sciarpa
rossa ad avvolgerle il collo. L’altro, indubbiamente un
essere maschile, la spingeva da dietro, ma la donna non lo riconobbe.
Addirittura era certa di aver visto la fanciulla voltarsi verso di lei
e sorriderle, prima di svanire entrambi come un sogno
nell’illusione che non fossero mai esistiti.
Nessuno le
credette mai.