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Autore: kiku77    10/01/2010    4 recensioni
seguito di "ALLA RICERCA DELLA FELICITA'"
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Kumiko Sugimoto/Susie Spencer
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Le cose si complicano…….portate pazienza….

________ 

Ad Amburgo Genzo viveva in un bellissimo attico di un palazzo antico. Gliel’ avevano trovato i suoi genitori, durante un loro viaggio in Germania e gliel’ avevano regalato. Era molto grande e con delle finestre immense. Gli interni erano particolarmente curati e l’arredatore aveva fatto il massimo per esaltare la struttura architettonica di base. Molti spazi erano stati lasciati vuoti e i mobili erano lineari, per lo più in materiali grezzi e naturali. Era tutto molto semplice e  i colori  dominanti erano caldi ma tendenti al chiaro. C’era una certa armonia fra i mobili, i quadri, e la luce che penetrava alle finestre.

Appoggiò la valigia e squillò il telefono.

“Pronto.”

“Ciao Genzo, sono la mamma…” era da circa due mesi che non si sentivano.

“mamma…ciao….come stai?”

Lei non rispose.

“Sono qui ad Amburgo….avrei bisogno di vederti quando hai tempo e se non disturbo”.

Non sembrava il tono e il modo naturale in cui una madre parla al proprio figlio. C’era quasi una specie di soggezione nel rivolgersi a Genzo. In fondo loro due erano quasi degli sconosciuti. Lei aveva scelto la carriera seguendo il marito nei suoi viaggi di lavoro per curare gli affari dell’impresa di famiglia. Non si ricordava neanche quando fosse stato l’ultimo periodo relativamente lungo trascorso insieme. Aveva avuto molto successo nel lavoro, ma per questo aveva dovuto sacrificare il rapporto con suo figlio. Il calcio, fortunatamente era stato per Genzo un “sostituto d’amore”: la sua passione per questo sport l’aveva aiutato a crescere “bene”, senza troppi complessi. Ed era diventato così forte, che in lui, la signora Wakabayashi si riconosceva; si ritrovava in quel suo sguardo così freddo, ma determinato.

Genzo non si aspettava di sentire sua madre.

“Ma…per me ci possiamo vedere anche subito….oggi sono libero….vieni da me?”

“D’accordo….”fece lei.

Nell’attesa, preparò il tè e guardò un po’ la tv.

Dopo una buona mezz’ora, suonarono alla porta.

Quando aprì, si ritrovò una donna molto magra e sciupata in volto, molto lontana dalla persona che aveva visto l’ultima volta.

“Mamma…..ciao……. tu lavori troppo…” le disse

“Ciao amore” disse lei e l’abbracciò. Non l’aveva mai chiamato così. Almeno, non negli ultimi tempi. Nessuno l’aveva mai chiamato veramente “amore”; tutte le volte che una ragazza a letto gliel’ aveva sussurrato, l’aveva fatto imbestialire. Ma detta da sua madre, quella parola sembrava nuova; sembrava avere un suono totalmente diverso.

Si sedettero e lui versò il tè.

“Come sei ordinato….sembra che non ci vivi qui….”

“…..la domestica viene tutti i giorni quindi…..poi io ero in Giappone…”

“Lo so, ho seguito le partite. Complimenti!”

“Davvero? Ma tu non guardi il calcio!” disse lui ridendo.

“Il lavoro non mi ha mai permesso di seguirti, ma  a me il calcio piace….” Rispose sua madre.

“beh sono contento….il calcio è tutto quello che ho, lo sai…”

“Sì lo so…”

Parlarono  del più e del meno. Genzo chiese del padre e lei spiegò che stava seguendo un affare molto importante negli Stati Uniti.

“Allora? Come mai sei qui? Non che non mi faccia piacere, non fraintendermi! E’ solo che sei sempre così occupata!”

Lei bevve un sorso di tè e cominciò a parlare.

“Io… Genzo sono molto malata”; posò la tazza e fece una pausa. Era nervosa e non sapeva bene come spiegarsi.

“….sono alla fine…non mi resta molto tempo e ho deciso di restare ad Amburgo perchè mi piacerebbe vederti più spesso….naturalmente non ti voglio distogliere dai tuoi impegni, dai tuoi amici….d’altra parte mi rendo conto che ti posso sembrare un po’ un’ ipocrita a venire qui adesso a dirti queste cose. …se non vuoi vedermi, ti capisco….”

Genzo la fissava e aveva recepito ogni parola: ogni sillaba era stata come il pugno che aveva dato alla parete della doccia. Ogni parola era un po’ di sangue che sgorgava fuori.

“Ma…cosa significa? Sei malata, ok, ma ci sarà anche una cura, no?”

Lei scosse la testa

“Non per questo genere di malattia. Si è diffusa in tutto il corpo….siamo andati dai migliori specialisti. Tuo padre mi ha portato ovunque, ma non c’è cura…..”

Genzo si alzò: adesso era nervoso anche lui e molto  arrabbiato.

“Perché lo vengo a sapere solo adesso?”

“Non volevo che ti preoccupassi e ti distraessi dal calcio. E’ stato un anno importante per la tua carriera. A cosa sarebbe servito dirtelo? “

Genzo si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro.

“ Certo….il calcio prima di tutto, il dovere prima di tutto, che importa se ti ammali e muori?” chiese ironicamente.

“Genzo, sai benissimo che non è questo il punto….”

“ Beh……comunque …. si può sempre provare a cercare meglio…” disse lui cambiando tono e atteggiamento ” qui in Germania sono all’avanguardia….domani facciamo qualche telefonata…non ci si può mica arrendere così…”

“Sono stata in Germania due mesi fa: mi hanno visitato in tre cliniche diverse. La diagnosi è sempre la stessa. Genzo…..credimi, ho cercato di guarire, ma questa volta, non c’è via di scampo…”

“Ma ci deve essere….possiamo farci dare il nome di altri dottori…..”

“Che differenza fa? Uno vale l’altro….” Rispose lei, accarezzando la sua tazza, con rassegnazione.

A queste parole Genzo ebbe come un sussulto. La stessa frase l’aveva pronunciata ore prima anche Kumiko, riferendosi al primo che avrebbe avuto il suo corpo.” Che differenza fa, che differenza può avere…uno vale l’altro….”

Pensò a quanto fosse spietato il destino.

“Lo so Genzo, che tu sei abituato a lottare. Ma anche tuo padre ed io. Credi che non abbia paura di morire? Ne ho, ne ho tantissima…..ma non voglio stare in ospedale per vivere due mesi in più. Vorrei poter stare un po’ con mio figlio…sapere cosa gli piace fare, conoscerlo un po’, perché io, nella malattia ho aperto gli occhi e mi sono resa conto, che ti ho solo partorito, ma poi ti ho perso…..non so niente di te.”

Genzo non sapeva cosa dire. Era stordito.

“Non voglio sconvolgere il tuo mondo. Prenderò un appartamento nelle vicinanze e se vorrai, potrai venire a trovarmi. Quando vorrai tu. Ma se non verrai, io saprò capire…..”

Lui ora si girò e la fissò: “Un appartamento? Tu sei fuori… tu resterai qui. Di posto ce n’è…non vedi?”

Sua madre si alzò: dalle finestre il panorama toglieva il fiato.

“Non lo so…io non vorrei “sconvolgere” la tua privacy….e poi tra poco avrò bisogno di un’infermiera….non so se sia il caso.”

“Non ho nessuna privacy…..non ho problemi. Se avrai bisogno di assistenza la troveremo. Però pongo una condizione” disse lui

“Sentiamo…”

“Ogni volta che troverò un medico che non ti abbia già visitato, gli permetterai di analizzare la tua cartella clinica…”

“Va bene….”

Lei lo abbracciò nuovamente. Lui era molto distaccato. Non sapeva abbracciare. Non sapeva come abbracciare veramente una donna, una madre. Sapeva solo come abbracciare Sanae….

“Andiamo a prendere le tue cose in albergo?”

“D’accordo” rispose.

 

 

Gli ultimi giorni in Giappone per Sanae e Tsubasa erano stati pieni di cose da fare. Avevano finito di sistemare la casa e piano piano, per non ridursi all’ultimo avevano fatto i bagagli. Inoltre erano stati un giorno intero al collegio musicale di Atsushi.

Sanae aveva abbracciato forte a sé il fratello e l’aveva baciato più volte. Trascorsero il tempo a contemplare la piccola Michiko e a parlare di calcio e pianoforte. Atsushi aveva suonato per loro alcune romanze di Shubert e poi avevano giocato nel parco con i gemelli; molti dei suoi compagni avevano chiesto l’autografo al capitano, che, come ai vecchi tempi, era stato disponibile e felice di scambiare una parola con chi lo seguiva e lo stimava.

“Non scappare più…..o se dovesse ricapitare…portami con te…..” le aveva detto Atsushi, quando si erano dovuti salutare.

Era stata un giornata stupenda.

Più si avvicinava l’ora di rientrare in Spagna, più l’emozione, l’adrenalina in Sanae cresceva.

Sperò di essere rimasta incinta con tutto il cuore perché nessuno dei suoi figli era stato concepito in Giappone. E lei trovava che fosse un po’ triste pensare di essersi amati così tanto nella terra in cui erano nati, senza avere generato almeno un frutto. Ma sapeva che era quasi impossibile perché l’allattamento era un ottimo anticoncezionale. Ogni tanto si metteva alla finestra per lasciare scorrere i suoi pensieri un po’ più liberamente e si rendeva conto di quanto le cose, le sensazioni, il modo di essere, cambiassero velocemente: alla notizia della gravidanza di Michiko era affondata in un mare di tristezza, aveva sconvolto il suo mondo e quello di Tsubasa e avevano rischiato di lasciarsi per sempre. Ora invece era dispiaciuta perchè per avere un altro figlio doveva aspettare di svezzare la bambina. Un’altra donna avrebbe benedetto tutto quel nettare al solo pensiero di potersi donare senza “rischiare” di restare incinta. Lei invece un po’ ne soffriva.

“Chissà come sta la moglie di Rivaul….chissà se quel figlio tanto cercato è arrivato…..” si domandò incuriosita. Non aveva ancora avuto il coraggio di chiederlo a Tsubasa perché temeva la risposta. Attraverso il vetro della finestra, oltre l’erba verde e le piccole piante che ancora dovevano crescere, lei riusciva a disegnare le sue riflessioni: quasi riusciva a descriverle per colore. Dentro era un’esplosione di giallo, di arancio e di rosso. Il fuoco, l’amore, la passione…..tutto era complicato, non c’era niente di semplice nella testa di una donna. Adesso lo sapeva: le bastava ascoltare il ritmo del suo respiro per capirlo. Le bastava guardare sua figlia o Kumiko o sua madre, per comprendere che dietro all’apparenza di un sorriso o un’espressione si nascondeva un groviglio, un lavorìo infinitamente più intricato di pensieri ed emozioni.

“Sarà quel che sarà…..”le cose arrivano quando meno te le aspetti”…aveva ragione Tsubasa quel giorno….” si disse ancora, questa volta però ad alta voce, per essere certa che i suoi pensieri avessero anche un suono.

 

Il giorno della partenza  arrivò ed era tempo di salutare gli amici, i genitori, Kumiko……

Sanae andò da lei da sola. La voleva tutta per sé, almeno per un momento.

Lei era al piano di lavoro, che girava con un cucchiaio una sostanza densa color crema, all’interno di una ciotola profonda e grande.

“Ci siamo…..” disse Sanae per attirare la sua attenzione.

Kumiko non alzò lo sguardo e continuò a mescolare.

“Hai odore di bambino……ti ha messa incinta un’altra volta…..io a quello lì gli spezzo il collo” disse Kumiko nervosamente, con gelosia nei confronti di Sanae al pensiero che Tsubasa non le avesse dato respiro…“..ma tu sei felice, no? Sei felice di avere un altro figlio….tanto lo so….però lui dio mio si potrebbe dare anche una controllata…” disse ancora, senza guardarla.

Sanae sorrise e si avvicinò prendendole la ciotola e il cucchiaio dalle mani per mescolare al posto suo. Faceva sempre qualcosa di inaspettato….

“Senti odore di bambino perché sono sempre con i miei figli…non posso essere incinta….sto allattando…..è come se prendessi la pillola, più o meno..….non temere….”

“E’ quel “più o meno” che fa la differenza….e questo non è l’odore dei tuoi figli……..ricordati che mia nonna era una strega…io queste cose me le sento…fidati…..” disse Kumiko “Ah….e non ti azzardare a fare un maschio…..!” le ordinò come se Sanae potesse accontentarla con la volontà.

Lei continuava a mescolare, senza foga, in modo molto diverso da Kumiko: era delicata e non c’era rabbia, non c’era ansia nei suoi movimenti.

“Spero che i giorni passino in fretta per poter tornare e rivederti……” disse con dolcezza, con un tono molto protettivo nei confronti di Kumiko.

“ Vorrei diventare un sassolino e vorrei finire da qualche parte, fra le tue cose così da poter venire con te. Mi sono sempre piaciuti i sassi…..” disse Kumiko

“Come farò senza i tuoi dolci? Senza la tua ginestra? Mi scriverai?” chiese Sanae.

Kumiko non scriveva.

“Beh…” disse Sanae…” almeno ci sentiremo al telefono?”

Al che lei la guardò dritta negli occhi.

“certo che ci sentiremo…..io ….”disse Kumiko. Avrebbe voluto parlarle e spiegare cosa fosse successo e cosa ci fosse in quel suo cuore maledetto…ma non ci riuscì.

Sanae mescolava e sentiva benissimo che a Kumiko era successo qualcosa. Così come sapeva che Genzo aveva anticipato il volo perché anche a lui era capitato qualcosa.

I suoi amici avevano bisogno di lei, eppure non si erano confidati. Perché? Si chiese in silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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