UN GIORNO COME TANTI
Un
giorno come tanti, un pomeriggio come un altro. Stava fermo a fissare il cielo
al di fuori della finestra. Sfiorava il vetro con le dita, soffiò sul vetro e
cominciò a disegnare sull’alone che si formava… amava fissare ogni piccolo
fiocco di neve che candido cadeva appoggiandosi a terra delicatamente, quasi
avesse timore di ferire il terreno sottostante, asfaltato. La neve si sporcava
di marrone, lui continuava a scrutare il cielo, sorrideva, con la mano
appoggiata sul vetro. Sorrideva, mentre una lacrima gli rigava il viso di
porcellana, perfetto, gli occhi verde scuro brillavano, illuminati dalle
lacrime che non si fermavano.
Soffiò
di nuovo sul vetro e disegnò di nuovo, lo fece più e più volte, assente. Sì lui
non c’era.
Si
alzò, per andarsi a sedere sul pavimento freddo, con la schiena appoggiata al
muro… con gli occhi aggrappati ad un sogno. Cominciò a scrutare le pareti
spoglie della stanza.
Un
letto. Un Armadietto bianco.
La
camera piccola, molto piccola, bastavano loro tre a riempirla… bianca… era
tutto bianco.
La
porta di acciaio perennemente chiusa.
_
Parlami, dimmi qualcosa… so che puoi dirmi qualcosa _
Si
alzò e cominciò ad accarezzare un cane, dal pelo bianco, pulito, morbido.
_Parlami,
ti prego non ignorarmi, tu sei mio amico l’unico amico._
L’abbracciò
aveva il pelo veramente morbido, soltanto toccarlo era un piacere per la sua
mente, che poteva riposarsi e perdersi altrove _ Tu parli… so che sai parlare! Se
no perché saresti qui _
_
Vieni con me, piccolo _
Il
volto del ragazzino si illuminò _ Ma allora avevo ragione io, tu parli! _ Qualcuno
gli appoggiò una mano sulla spalla, una uomo vestito di bianco
IL
ragazzino continuava ad accarezzare l’animale
_
Non gli permetterò di portarti via! Tu resterai sempre con me…_
_
Piccolo… con chi stai parlando? _
Chiese
l’uomo con voce dolce, chinandosi sulle ginocchia per avvicinarsi di più al
ragazzino
_
Col cane… _
Voltò
la testa e lo sguardo… sorrideva… ed era triste allo stesso tempo
_
Quale cane…? Qui non c’è nessuno… solo io… e te _
Il
ragazzino lo guardò negli occhi qualche attimo confuso
_
Sai… l’ho visto mentre guardavo fuori dalla finestra… guardavo la neve che
cadeva… _
L’uomo
sedette sul letto e fece cenno al ragazzino di sedere vicino a lui, gli
accarezzò dolcemente il volto e cominciò a parlare, pur sapendo che reazione
avrebbe avuto l’altro
_
Piccolo… quale finestra? in questa stanza non ce ne sono… in più è pieno agosto…
e nel paese dove ci troviamo non nevica mai… fuori c’è un sole caldissimo… _
_
Ci sono finestre!!! Io l’ho vista!!! _
Lo
sguardo dell’uomo seguì il dito del ragazzino che indicava il punto in cui
aveva visto la finestra… muro bianco… c’era solo muro bianco…
_
Calmati… io ti ho fatto cambiare stanza tre giorni fa… ti ricordi? Perché hai
rotto il vetro e hai cominciato a tagliarti … Johannes mi senti? _
Il
ragazzino era tornato a sedere a terra, aveva ricominciato ad accarezzare l’animale
_
Io non mi chiamo Johannes… io sono Laurence _
Luomo
scosse la testa lentamente e aprì la porta… uscì… sulla facciata della porta si
riusciva a leggere soltanto una scritta “manicomio”.
Johannes
tornò ad affacciarsi alla finestra, ricominciò a disegnare sul vetro, a fissare
la neve, ricominciò a parlare col suo nuovo amico.
La
neve cadeva lenta dolce, la sentiva sulla pelle, sentiva l’aria fresca giocare con
i suoi capelli corvini, sentiva la sua mente perdersi altrove.
_Non
gli permetterò di portarti via! Tu resterai sempre con me… _
Continuava
a ripeterlo.
Ancora.
Ancora. E Ancora.