Capitolo 21 – Forbidden colours part I- The name of everything
Nota preliminare dell’autrice: questo capitolo lo
dedico a tutte le persone che hanno recensito lo scorso capitolo, specialmente
coloro che mi hanno incoraggiato a continuare questa storia, nonostante il mio
periodo di “crisi creativa”. È stato grazie a voi che questo capitolo esiste,
un capitolo di una difficoltà assurda, ma che mi rende
molto fiera di me stessa, per il fatto di averlo portato a termine. Quindi
grazie… purtroppo oggi non posso rispondervi uno ad
uno, causa studio che mi ha fatto aggiornare in un solo attimo libero, ma
davvero ringrazio tutti coloro che hanno recensito, coloro che ancora
inseriscono questa storia tra le preferite o le seguite, chi si è iscritto al forum di questa storia e chi ha
risposto alla mia discussione, sempre su HAFT, sul forum Dramione
per eccellenza, Leather &Libraries.
È grazie a voi che
questa storia continua ad esistere e a vivere, grazie a tutti coloro che si prendono una pausa e la leggono, e che mi
lasciano anche dei commenti meravigliosi… quindi grazie, davvero, di cuore. Per
una persona come me, che si abbatte abbastanza facilmente, è una cosa molto
importante… e mi scuso davvero per non poter oggi rispondere a tutti, ma spero
almeno di farmi un po’ perdonare con il nuovo chappy, terminato a velocità razzica!
Purtroppo, prevedo
che il prossimo aggiornamento dovrebbe arrivare, se tutto va bene, solo per la
fine di febbraio. Questo, perché alla fine del mese, ho un esame
particolarmente difficile (diritto commerciale, vi ho detto tutto!) e quindi
non penso di poter scrivere molto… ma sono nuovamente entusiasta del mio lavoro
e di questo devo ringraziare solamente voi…!!!!
Quindi, con qualche difficoltà e momento di crisi, continuerò a scrivere questa
storia…!!
Premetto una cosa!
NON E’ QUESTO IL CAPITOLO NEL QUALE SCOPRIRETE
TUTTO IL MISTERO!
Ve lo premetto in modo che non restiate delusi!
Sarà il prossimo, come avrete capito… di questo
chappy, precedentemente avevo in mente solo la fine,
quindi credevo di poter tranquillamente spiegare tutto già in questo. Invece mi
sono venute delle altre idee e quindi questo si è particolarmente allungato.
Specialmente la parte centrale, è nata da sé… spero che vi piaccia lo stesso,
sebbene vi faccia penare un altro po’! Ribadisco poi che questo capitolo si
chiama “Forbidden Colours” dal nome di una famosa melodia per pianoforte che fa
da colonna sonora al film “Merry Christmas Mr Lawrence”. Io non ho mai visto il
film, ma conosco questo brano… il link per ascoltarlo è
http://www.youtube.com/watch?v=cOX8FhUiw1k
Buon ascolto e buona
lettura!
Il cielo è
chiaramente strano oggi.
Sebbene siano già le
sei del mattino, il sole non si decide a sorgere, l’aria rimane sospesa, un
colore azzurro chiaro e un freddo piacevolmente frizzante, insolito per il mese
di giugno. Dalla terrazza di casa mia, osservo indolente i palazzi grigi che mi
circondano, le finestre chiuse, le serrande abbassate, le luci delle strade
che, lentamente, una dopo l’altra, si spengono, baluginando nei timer di
regolazione che prevedono che alle sei precise debbano spegnersi, mettendo a
dormire quei solitari abitanti della notte. Poco importa se il sole sia sorto
davvero o meno.
Nelle mie lunghissime
notti insonni, da quando da tre giorni sono tornata a dormire a casa mia, ho imparato
con la stessa facilità con cui imparavo gli elementi di una difficilissima
pozione, che il primo ad alzarsi da letto è il proprietario della pasticceria,
all’angolo della strada. Si vede una piccola lucina tremolante, che brilla
nell’aurora chiarissima, ad una finestra al piano di
sopra, poi essa scende nelle cantine, compagna delle mille delizie che il suo
portatore inizia a preparare con dovizia e cura. Quando si spegne, so che il
sole è sorto, nonostante da dove sono, non lo si veda
perché ancora celato dai palazzoni di cemento.
Invece, oggi, il sole
non sorge ancora, rimane un’ostinata nebbia che sembra entrare nelle ossa,
pronta a frantumarle per l’eccessiva umidità.
Mi chiudo nelle
spalle, stringendo tra le mani il mio bicchiere di succo d’ananas, ancora gelido dopo averlo uscito dal frigorifero… dovrei
levarmi questa abitudine, specie in giornate fresche come questa. Inoltre, mi ricorda ancora maledettamente Dean.
Ora, nonostante il
mio odio innato per il caffè, ne avrei davvero bisogno. Se non altro perché
sarebbe caldo, almeno.
Stringo il cardigan
rosso di lana leggera, che porto sulla vestaglia bianca di lino, troppo sottile
per questa mattinata, e mi passo una mano sugli occhi, stropicciandomeli. Ho sonno,
ovviamente, ma come sempre non sono riuscita a dormire, non dormo
molto ultimamente.
Probabilmente, non
sono più abituata al mio letto. In fondo, dormivo da parecchio al Petite Peste…
e quel letto quasi sfondato, con Seth che russa in sottofondo, ora, mi fa
sentire il mio come una lastra di cemento. Inoltre, è ancora il vecchio letto a
due piazze che dividevo con Dean.
Ora mi sembra enorme
e mi fa rigirare come un’indemoniata, innervosendomi.
Ma, chiaramente, non credo che sia solo per questo.
Gratto l’orecchio di
Grattastinchi, spuntato da sotto la mia sedia, Ginny me l’ha restituito con
sollievo quando le ho detto che tornavo a dormire a casa. Quando, poi, sono al
Petite Peste durante il giorno, per adempiere ai miei
turni, al mio gatto non dispiace restare a casa da solo, anzi.
Credo che sia una
bella novità rispetto a quando viveva con Ginny.
E poi non torno mai
troppo tardi… quando ho detto a Seth che era meglio che iniziavo il trasloco
delle mie cose dal locale a casa mia, lui ovviamente se l’è presa, obiettando
che mancano ancora tre settimane al mio esame. Mettendo il muso, ha detto che,
finalmente, ora che Summer e Danny si sono lasciati, avremmo potuto divertirci
senza il controllo di quell’arpia.
Gli ho risposto male,
dicendo che avevo vissuto anche troppo lì.
Poi, ho ristretto il
tiro dicendo che comunque sarei rimasta tutto il giorno e che, a qualunque ora
avessimo finito, sarebbe stato meglio iniziare nuovamente ad abituarmi a
dormire da sola, a casa mia. Seth, a quel punto, ha accettato mugugnando,
sistemando i miei turni in modo tale da avere solo le ore centrali del giorno, preoccupato che tornassi troppo tardi a casa, quindi vado al
Petite Peste alle dieci e stacco alle venti.
Seth, poi, mi ha
anche aiutato a portare le mie cose a casa, sistemate in ingombranti cartoni
che giacciono ammonticchiati nell’ingresso. Li ho lasciati lì, senza disfarli completamente: li apro, esco quello che mi serve e
poi li richiudo.
Posso spacchettare
tutto ormai.
Ma non lo faccio, chissà perché.
In realtà, penso di
traslocare quanto prima. Voglio andare a vivere a Notting Hill.
Indipendentemente
dalla vicinanza con il Petite Peste, di cui poco mi importerà
di qui a poco, se non nei limiti di andare a trovare Seth e gli altri, è un bel
quartiere, abbastanza vicino a casa di Ginny ed Harry, abbastanza vicino al
Ministero, abbastanza vicino anche a casa di Hayden.
Io ed
Hayden usciamo assieme da una settimana.
Esattamente ogni sera
dopo il lavoro.
Come avevo già avuto
modo di intuire, è una persona meravigliosa; davvero non credevo che ancora
esistessero di persone così, lo stampo deve essere andato perduto dopo aver
messo sulla piazza ragazzi come lui. Siamo usciti
assieme ogni sera, ed ogni sera mi ha portato a fare qualcosa di differente:
dopo il cinema, è toccato ad uno spettacolo teatrale, ad un ristorante
pakistano, ad una fiera di prodotti tipici, ad un osservatorio astronomico.
Tutto meraviglioso,
certo, ma mai come stare con lui.
Di ogni argomento, ne
sa quanto, se non più di me. Gli piace spiegare le cose, te le espone
lentamente, con pazienza, senza un’ombra di supponenza. È così evidente che
voglia fare l’insegnante nella vita… eppure lo fa, facendoti
schiantare dal ridere.
Mi fa sorridere in un
modo quasi scemo, perché inizio quando viene a prendermi
da casa e termino quando chiudo il portone.
Mi ha presentato suo
fratello Nathan, una peste di prima scelta che mi ha imbrattato le scarpe di
gelato alla fragola, ma stranamente, con Hayden vicino, sono stata calma e
paziente, e non ho messo quel piccolo satanasso su una forca improvvisata, come
mi sarebbe stato tipico.
Hayden mi calma dentro.
E solo quando sono
con lui, ultimamente, davvero non penso a nulla. E davvero mi sento, perlomeno,
serena.
Non ha più provato a
baciarmi, ma ha ribadito in diverse occasioni che gli
piaccio molto.
Alla mia domanda
curiosa sul perché allora non provasse di nuovo a baciarmi, mi ha detto
solamente, un velo sugli occhi chiari: “Ti bacerò di nuovo il giorno in cui non
avrai sempre il riflesso di un altro negli occhi…”.
Io ho sussultato e me
ne sono rimasta zitta.
Io e Draco non ci
parliamo da una settimana buona.
Stavolta, sono stata
io ad evitare di parlare con lui; credo che abbia
anche cercato di venirmi a parlare, ma sono fuggita prima che ne avesse il
tempo. Lui non sa che so di Astoria, o perlomeno credo
che non lo sappia. Penso che sia ancora convinto che ce l’abbia
con lui, perché non mi parla di Serenity.
Oramai non me ne
frega più nulla di questa storia.
E non ne voglio
nemmeno sapere più niente.
Il vaso di Pandora,
di cui ho visto solamente un decimo, sembra così profondo ed
agghiacciante che oramai non ne voglio più sapere nemmeno una virgola; mio
malgrado, mi sono ritrovata anche ad evitare Serenity per lo stesso motivo. So
che lei non c’entra nulla, ma ora come ora, starle lontana mi fa soffrire, mi
rende triste, ma almeno non alimenta nuove domande. Accompagnate da nuova
rabbia e da nuovo dolore.
La rabbia è l’essere
stata manipolata da Astoria, non essermene accorta, non essere stata
sufficientemente protetta da Draco, non aver impedito che facesse la stessa
cosa anche a Ginny… ed ovviamente non sapere ancora
nulla di questa storia, nulla di certo, se non supposizioni.
In un attimo di
follia, mentre ancora ci ripensavo, mi sono fatta la lecita domanda se, a
questo punto,
A questo punto, nulla
mi meraviglierebbe più, ma non credo che arriverebbe a far del male
volontariamente alla sua bambina, come paventava Draco stesso. Oltre che molti
altri punti crollerebbero… non capirei perché, andandosene, Astoria non l’abbia
portata con sé, fosse anche per tenersi ancora Draco; perché l’abbia sempre
ignorata; perché non si facesse chiamare allora mamma dalla piccola e non vivessero tutti e tre
come una famiglia felice.
Ammesso e non
concesso che Draco sia davvero il papà di Serenity.
E che contenuto
avrebbe allora
Se avevano già
Serenity ad unirli, a cosa serviva vincolare
ulteriormente le loro volontà?
Ovviamente non lo so…
ovviamente ci ho anche ripensato, specie quando, entrando in casa la prima
volta da settimane, ho trovato la pila di numeri della Gazzetta del Profeta arretrati, di cui avevo l’abbonamento e che
erano stati diligentemente consegnati.
Li avevo guardati
distrattamente, ricavandone notizie più o meno
interessanti, come i particolari della morte di Amos Diggory a causa di un
incidente con delle Pozioni non messe in sicurezza, oppure la candidatura di
Charlie Weasley ad insegnante di Cura delle Creature Magiche ad Hogwarts;
insomma notizie che, bene o male, già avevo saputo da Ginny.
Tranne una.
Mio malgrado, mi ero seduta per terra ed avevo afferrato con due dita la
prima pagina della cronaca mondana. In una foto sfavillante e dai contorni
luccicanti, sorrideva agitando la mano con eleganza, una bellissima e
biondissima Astoria Greengrass. Teneva la mano stretta sul braccio di un’altra
mia vecchia conoscenza, Theodore Nott.
Avevo guardato la
data del quotidiano e risaliva a qualche settimana prima, quando Summer/ Astoria
era ancora saldamente al suo posto al Petite Peste.
Quindi, chiunque fosse la donna del giornale, non era la vera
Astoria.
Evidentemente
dovevano aver trovato una specie di sostituta, magari una donna compiacente ad
assumere Pozione Polisucco per chissà quanto tempo.
L’articolo parlava
del matrimonio dei due, a quanto pare, imminente, delle passate noie sia dei
Nott che dei Greengrass per il fatto di essere stati
dei seguaci del Signore Oscuro e del loro assoluto ravvedimento. Sì, come no.
Avevo combattuto una
volta con Lara Greengrass, la madre di Astoria e di Daphne, durante una retata,
a causa di una segnalazione su presunta detenzione di materiale sottratto
illecitamente, durante le razzie dei Mangiamorte. Ovviamente lo possedevano.
Loro se l’erano cavata con la restituzione del maltolto, una piccola ammenda
a causa della reazione violenta, ma il Ministero era stato molto indulgente.
L’ammenda, se l’avevano data, era stato solo perché la reazione dei Greengrass
aveva mandato me al San Mungo, anche se per soli cinque giorni.
Quindi, tutto potevo credere, tranne che fossero Mangiamorte redenti.
Erano i tipici personaggi su cui aleggiava una netta linea d’ombra, fatta di
leggende metropolitane, indizi non risolutivi e prove mai sufficienti; quindi continuavano
a vivere tranquillamente, come se non fosse successo niente.
Stessa
cosa per la famiglia Nott, con l’arresto e la detenzione dell’unico vero
Mangiamorte, cioè l’anziano padre di Theodore.
Avevo cercato di
condurre diverse indagini su di loro, cercando di dimostrare che anche Theodore
e i coniugi Greengrass fossero Mangiamorte, ma non avevo mai trovato prove
sufficienti; alla fine, avevo disposto che fossero sempre controllati, ma avevo
abbandonato l’attività investigativa.
Quindi, mi sembra ovvio che sentire che l’innocua Summer Breeze
Layton fosse Astoria Greengrass non mi aveva lasciato del tutto tranquilla,
specie vedendo che cosa era stata capace di fare a me e a Ginny, senza che ce
ne accorgessimo. Dato non trascurabile, era poi che ci aveva incantato solo per
non far saltare la sua copertura, non perché avessimo
scoperto chissà che cosa. O almeno lo suppongo… insomma, credo che,
ricordandomi di lei, se mi avesse cancellato dei ricordi importanti su qualcosa
che aveva fatto, sicuramente adesso li avrei recuperati. Invece, al momento,
dopo la rottura dell’incantesimo di memoria, sono solamente conscia che sono
sempre state la stessa persona, lei e Summer.
Deduco che sia
successa la stessa cosa anche con Ginny. Evidentemente, quando la mia amica,
convinta che Summer fosse babbana, cercò di incantarla per farle dimenticare la
mia emorragia magica, l’algida Principessa dei Ghiacci reagì solo perché Ginny
poteva riconoscere in lei Astoria.
Non faccio
fatica a pensare che, se avessimo scoperto qualcosa di grosso, probabilmente ci
avrebbe uccise e basta.
Mi ero
tranquillizzata pensando che comunque adesso era andata via e che, in ogni
caso, lasciando perdere l’Incantesimo di Memoria con
cui evidentemente era d’accordo, Draco sembrava in grado di tenerla a bada.
Chiudo stancamente
gli occhi, forse a tranquillizzarmi è stato maggiormente il decidere di non
avere nulla a che vedere con lui.
Non ho paura di
Astoria, figuriamoci… ora che so chi è, posso fronteggiarla, ovviamente,
qualora ce ne sia la necessità.
Ma credo che questa storia sia stata la cosiddetta goccia che
ha fatto traboccare il vaso. Sapere che Draco non è del tutto fuori da delle
vicende oscure, da legami con famiglie magiche non propriamente virtuose e
inappuntabili, ecco… mi ha fatto ricordare chi è davvero.
Il figlio di Lucius
Malfoy e di Narcissa Black, un Serpeverde, un Ex Mangiamorte, eccetera…
insomma, tutto il pacchetto mi è di nuovo vivido in testa.
Tutto, assieme alla consapevolezza di non
volerci avere nulla a che fare.
Ingenuamente, pensavo
che lui fosse cambiato… il fatto di avere una vita babbana, una sorellina,
amici… lo vedevo diverso dal Draco che ho sempre conosciuto.
Ora… ricordare come
ha cacciato Astoria, la circostanza dell’utilitaristica promessa con lei, i legami
ancora stretti con ex Mangiamorte…
È sempre lui, è
sempre stato lui.
Io con Malfoy non
voglio averci nulla a che fare.
Appoggio la testa
sulle ginocchia, era con
Draco che volevo averci a che fare.
Mentre formulo quel
pensiero, la luce dei sotterranei della pasticceria, all’angolo della strada, finalmente
si spegne. Sorrido, vuol dire che il sole è sorto, anche se io non lo vedo. Alcune
cose non cambiano mai, come il sole che sorge.
Peccato che
sia lo stesso per la vita delle persone. Non si cambia mai.
Distendo pigramente
le braccia davanti a me, un trillo familiare che giunge dalle mie spalle. Mi
sporgo verso la sdraio, raccogliendo il mio cellulare,
un messaggio.
Guardo l’orologio, le
sei e mezzo, chi diamine sarà…? Il numero non lo conosco, boh. Sarà quella cavolo di Vodafone con le sue offerte bislacche. Vuole cambiare piano tariffario? Vuole attivare l’opzione YOU&ME? Ma sono single! E vabbè, ce l’avrà
una madre, un padre, un fratello, un amico, un conoscente, un vicino di casa,
una scimmia centralinista??!!
Giuro che, se è
Premo il tasto
centrale nervosamente, aprendo il messaggio.
Non puoi evitarmi per sempre. Penso che la cosa sia
chiara anche a te, qualsiasi sia il motivo per cui lo stai facendo, perlomeno
fino a quando sei una mia dipendente... non mi importa
il motivo, sei libera di fare quello che vuoi, ma hai un contratto ancora da
rispettare, quindi oggi ti voglio al lavoro. Anche stasera se dovesse essere
necessario. Spero di essere stato chiaro. Danny.
Getto il cellulare in
un angolo, fregandomene che si rompa, anzi magari è la volta buona che me ne
compro un altro, getto questa sim, cambio numero di telefono ed anche
operatore, in barba alla Vodafone. Firmati anche Danny, tanto sempre Malfoy sei.
Sono tentata di
rispondergli con una sequela di parolacce, dicendogli in modo carino e cortese
che stasera non se ne parla proprio che resti lì, a costo di prendere la metro
alle quattro del mattino. Ma sarebbe dargli troppa
soddisfazione, quindi decido di non rispondergli proprio.
Raccolgo il
cellulare, il cui lancio ha fatto scappare Grattastinchi terrorizzato, e decido
di studiare un po’ prima di andare al lavoro; la cosa buona di questi giorni è
che almeno ho quasi finito il programma. Sono abbastanza sicura che almeno
questo esame riuscirò a superarlo, brillantemente.
Non ho nemmeno sottolineato una riga che il cellulare forgiato direttamente
nelle fiamme dell’inferno, inizia di nuovo a suonare.
Maledizione, ma tutti
svegli sono alle sei e mezzo?!!
Premo il tastino verde e borbotto: “Pronto???”.
“Hai avuto il
messaggio?” una voce lenta e strascicata, terribilmente annoiata da tutto e da
tutti. Immagino persino la piega arricciata delle labbra, il disgusto malcelato
per tutto ciò che non ha direttamente a che vedere con la sua persona. I capelli biondi leggermente spettinati, la mano sotto il mento,
gli occhi freddi come un eterno inverno. La penombra della sua stanza,
non rischiarata da alcun sole mattutino, ma dalla luce onnipresente della luna,
anche se è già andata via dal cielo.
Ghermita la
mente da scatole di ricordi di donne assenti che profumano di ciliegia.
Mi coglie un brivido
lungo la schiena, mi aggrappo allo spigolo del tavolo quasi come se temessi di
cadere.
“Sì…” ribatto semplicemente, cercando di
sembrare più fredda possibile.
“Si risponde,
solitamente…”.
“Credo che fosse un
silenzio assenso, Malfoy…” sento soddisfatta la mia voce farsi gelida, come non
credevo sarebbe mai stata nel parlare con lui.
“Malfoy…” lo sento constatare asciutto, e il mio cuore manca un colpo.
Alla
Granger però consenti che ti chiami Draco, no???
L’ho chiamato Malfoy, senza
nemmeno rendermene conto. È stato naturale, come era
prima chiamarlo Draco.
Lui, però, se n’è
accorto invece.
E chissà come e
perché, sento che gli ha fatto male.
Mi mordo il labbro
inferiore, mentre il silenzio dall’altro capo del telefono
continua, sento soltanto il suo respiro lento, cadenzato.
“Volevo solo sapere
se ti era arrivato… odio le cose babbane…” mi congeda velocemente “A stasera,
allora, Granger…” e riaggancia.
Resto a fissare il
cellulare, oramai muto nella mia mano, la luce arancio che si spegne dopo
qualche secondo.
Sarai sempre
te… non importa come io ti chiami…
Che tu sia Draco,
Malfoy o Danny, non importa… sono solo parole con cui prendo a chiamare
l’enorme mistero che sei, sempre, per me…
Ed un nome non
fa la differenza, sei sempre la stessa cosa per me…
Sei sempre
la stessa cosa sconvolgente e meravigliosa a cui,
nonostante tutto, ancora non so dare un nome…
Che Draco Lucius
Malfoy sia sempre stato un sadico bastardo, credo che sia risaputo e noto a
tutti.
Ma che lo sia anche il suo alter ego Danny Ryan, è una novità.
Quando arrivo,
infatti, al Petite Peste, mi trovo davanti ad una scena alquanto inusuale. Tutti i dipendenti sono nella sala ristorante, la
quale è ingombra di cellophane che ricopre le sedie, i tavoli, il pianoforte ed ogni altra mobilia. Per terra, fogli di
giornale vecchi, diligentemente posti a ricoprire tutto il pavimento di marmo
rosa. Intravedo vicino alla porta dei secchi di vernice e dei pennelli,
oggetto di sguardi indecifrabili da parte dei miei colleghi.
Il pub e la discoteca
sono chiusi, ed ovviamente non c’è l’ombra di un
cliente.
Mi fermo perplessa
davanti alla porta dell’ingresso secondario, osservando la scena con una punta
di nervosismo frammisto ad isteria.
Non avrà
intenzione di…?!!
Seth, che mi sembra
l’unico allegro in questa stanza, mi vede e mi raggiunge sorridendo: “Herm!”.
Indossa una tuta, modello meccanico, e ha una specie di bandana rossa che gli
copre i capelli. Assomiglia vagamente a David Hodo,
quello dei Village People che si vestiva da operaio.
Cosa che non mi piace affatto, premetto.
“Che sta succedendo,
direttore?!” chiedo con sarcasmo, guardandolo storto,
alludendo al suo avanzamento di carriera dopo l’addio di Summer/Astoria. Non
pensate che sia diventato più responsabile, oppure più attento al lavoro, o più
scrupoloso. No. Ha rotto l’anima per diventare direttore solo perché voleva
l’armadietto di Summer.
Tipico della sua
mente bacata.
Per il resto, si
comporta esattamente come prima.
“Si dipinge!”
trilla lui tutto felice, guardandomi con espressione cuoriforme, a cui corrisponde una scrollata di spalle di April e una
mano nei capelli di Trey “Danny ha avuto la meravigliosa idea di ridipingere
tutta la sala ristorante! Questo stupido bianco ormai ha scocciato! Ci vuole un nuovo colore… tipo… LILLA!”.
“Che cosa hai detto che ha detto Danny?!” bisbiglio, già
torcendomi le mani, una vena che pulsa incontrollabile sulla mia tempia.
Ecco perché
mi voleva al lavoro anche stasera… sicuramente sta cosa andrà per le lunghe,
stramaledettissimo Malfoy!
Capisco che
le donne cambino colore di capelli quando chiudono una storia, ma lui che scusa
ha???!!
Non amava
Summer, i suoi capelli sono sempre biondi che io sappia, e le pareti del locale
sono più dispendiose dell’idea di tingersi color rosso Weasley!!
Maledetto!! Maledetto furetto!!!
Getterò una
maledizione sulla sua stirpe… una gonorrea ereditaria dovrebbe essere
sufficientemente dolorosa ed umiliante… per
avvicinarsi nuovamente ad una donna, ci vorrà una molteplicità di Voti
Infrangibili, altro che
E poi questa è una
chiara violazione dei miei diritti, un destinarmi a mansioni inferiori, non
previste nel mio contratto, come recita l’art 2103 dello Statuto dei Lavoratori!! Lo
trascinerò in tribunale e lo ridurrò in mutande! Mi pagherà un vitalizio
enorme, fino a quando campo! E allora sì, che trascorrerò ogni giorno della mia
vita, ricoperta d’oro zecchino, stesa a bordo di un lussuoso yacht,
sorseggiando champagne e agitando la mano alla gente accalcata nei porti per
vedermi!
Magari, organizzo
anche dei tour nella mia villa, non prima di aver stampato dei francobolli con
la mia foto… quella del Ballo del Ceppo è la più decente, ma anche una stile DAMA DELL’ERMELLINO di Leonardo andrebbe bene…
ovviamente con Malfoy come furetto…
Vengo strappata dai miei deliri di onnipotenza dallo squittio di
Seth che blatera come un indemoniato: “Ma stai scherzando?!! Un ristorante lo
vuoi fare giallo?!!
A sto punto,
scriviamo davanti alla porta, Ludoteca,
mettiamo anche dei festoni e diamoci al
baby sitting!”.
Gail, per nulla
intimorita dalla faccia di Seth che tende al violaceo, sentenzia spiritata: “Il
giallo porta buone vibrazioni… se vuoi sfruttare l’energia cosmica del sole
fino a quando è nella casa dell’Acquario, il giallo è la scelta giusta…
altrimenti Sedna scatenerà i suoi tremendi flutti su
di noi…” ed agita le braccia verso il cielo, imitando
una specie di movimento tribale ed intonando canti propriziatori.
“Sento che sta
dicendo qualcosa…” fa Trey, massaggiandosi la tempia con aria drammatica “Ma
per quanto mi sforzi, non riesco a capirla…”.
“Idem” asserisce April
convinta, per poi completare sarcastica: “Sarà che ho la luna in opposizione…”.
Gail la guarda
colpita, sgranando gli occhi enormi e luccicanti, e si avvicina a lei,
stringendole le mani: “La senti anche tu, vero?!”.
April, terrorizzata, annuisce cercando di compiacerla e contemporaneamente di
liberarsi dalla sua stretta.
Vivo in un ospedale
psichiatrico, non c’è altra spiegazione.
E in tutto questo
marasma, dove sta Malfoy?!!
Ovviamente non è qui!
Almeno fino a quando
c’era Astoria, quella incuteva abbastanza timore da farli stare tutti zitti… e
alla fine si faceva quello che diceva lei. Avrebbe già abbondantemente ordinato
la gradazione giusta di colore, obbligandoci ad
imitarla alla perfezione, assoldando anche degli ex gendarmi nazisti per farci
eseguire il lavoro meglio di Michelangelo Buonarroti. E poi dicono che la
democrazia è una gran bella cosa… la dittatura è la risposta!
E, ora, dato che
Astoria è dispersa, la veste del comandante in capo la devo assumere io.
Altrimenti da qui non
ne usciamo… il mio primo comando sarà insorgere contro Malfoy, il tiranno, lo
schiavista, il despota!
Sarò come la libertà
che guida il popolo del quadro di Delacroix!
“Scusate…” inizio,
cercando di apparire razionale e decisa “Ma vi sembra normale che dobbiamo essere
noi a fare questo lavoro?!”.
Tutti, comprese Lorna
che stava fumando bellamente una sigaretta ed April
che stava cercando di convincere Gail di non essere la reincarnazione della
sacerdotessa Elena di Avalon, mi guardano con aria
interrogativa. Dimenticavo…! Il tiranno, lo schiavista, il despota ha plagiato
le loro fragili ed inermi menti per convincerli che il
solo scopo nella loro miserrima vita, sia quello di servirlo e riverirlo. Come
diamine fanno ad adorarlo così tanto da acconsentire
persino a ridipingere tutta la sala ristorante?!
D’accordo, le
ragazze… lo vedo anche io che… insomma, si sa che…
almeno mentalmente me lo posso concedere?!!! Dicevo, si sa che Draco è
bellissimo… ma io non lo servirei mai fino a questo punto… ma ammettendo anche
la libidine pura per le ragazze e per Seth, ovviamente, che cosa spinge invece
i maschi?
Guardo Lawrence e Trey, entrambi che mi fissano quasi scioccati,
come se avessi iniziato a sostenere che il sole tramonta sempre ad est e che
Una sola parola,
credo, riassume perfettamente il loro status mentale: ammirazione maschile.
Già,
le sento le loro menti, plasmate dal cromosoma XY, pensare: “Danny è un grande! Guarda che razza di bonazza
ha come fidanzata!”, oppure, in tempi
successivi: “Come cavolo fa a far sbavare
tutte per lui?!” e
credo che ora pensino: “E’ un mito!
Ha persino dato il benservito a quella st****a di
Summer! E’ un grande, io l’ho sempre detto!”.
Insomma, sempre
libido alla base… libido per le donne di Draco.
E non hanno
visto Rachel…
Prima che mi torni il
malumore, seguito dalla sfilza di domande consuete (Perché Astoria era qui? Che c’entra Harry con
Io sono anche in fase
di chiusura di rapporto di lavoro, quindi non è
nemmeno etico dal punto di vista giuridico!
E poi l’odore della
vernice è anche cancerogeno…! Non me lo prendo sto rischio per Malfoy!
“Che succede qui?” quella voce...
quella dannata voce…
… stesso
effetto se succede qualcosa ad Hermione…
… io
lotterei per diventare il motivo che cerchi…
Va via
perché ti ho baciato, vero?
Semplice…
fingo di essere occupato…
Ricordo
ogni dannata volta in cui mi ha rivolto la parola. Ogni volta.
Non riesco nemmeno a girarmi e a
guardarlo. Non ce la faccio. Abbasso lo sguardo ed
ogni mia ombra di decisione che aveva assunto il viso, evapora come nebbia.
Per Seth, April, Lorna, Corinne e
persino Gail, si chiama libidine.
Per Trey e Lawrence, si chiama ammirazione.
Per me… non so come si chiama. Ha il nome del batticuore. Ha il
nome di un bacio rubato. Ha il nome di un abbraccio che mi mozza il respiro.
Ha il
nome di ogni cosa che ora mi rende viva.
Non ha un nome… o, perlomeno,
tutti mi direbbero che ne ha uno, ma continuo a pensare che non sia quello
giusto.
… ma chi ti dice che io non sia già innamorata? Le parole che
ho detto a Ginny.
Amore…
essere innamorata… non lo è.
Credo.
Ma, comunque si chiami, esiste, oramai non riesco nemmeno a convincermi
del contrario. Vorrei solo che mi lasciasse in pace, che la smettesse questa
cosa assurda di stringermi il cuore, ogni volta che lo vedo.
“C’è qualche problema?” lo sento
dire, dietro di me, mentre non riesco ancora a girarmi.
Seth si affanna immediatamente a
rispondere: “Nulla, Danny… ci stavamo solamente accordando sul colore da
usare…”. Anche gli altri, forse anche per proteggere me, annuiscono convinti.
“Avevo sentito delle rimostranze,
no, Granger?” la sua voce diventa più dura e tagliente mentre si rivolge a me. Granger.
Hai ragione,
fa male. Molto male. Forse se non avessi mai saputo che cosa significava
sentirmi chiamare per nome da te, non avrei mai saputo che male facesse.
Rassegnata, sono costretta a
girarmi per guardarlo in faccia.
Bellissimo.
Oggi è stranamente più bello del
solito, santo cielo, sarà che quando mette qualcosa di
azzurro, i suoi occhi risaltano come luci opalescenti, saranno i capelli che
lascia liberi e spettinati sul viso, sarà il torace scolpito che risalta sotto
la camicia aperta per i primi tre bottoni, sarà qualsiasi cosa… ma non riesco a
smettere di guardarlo.
Cosciente, però, di stare facendo
decisamente una pessima figura, mi affretto a
ritornare in me.
“Non ho fatto rimostranze…”
mormoro in un sussurro sotto lo sguardo scioccato degli altri, Seth per primo,
che credevano che avrei dato vita ad un siparietto
comico degno di Gianni e Pinotto. Ed
invece li ho sorpresi con questo stupido silenzio imbarazzato.
Draco sbatte gli occhi un paio di volte, poi dice solamente: “Bene… credevo
di aver capito il contrario, Granger…”.
“Non preoccuparti…” sussurro
ancora, voltandomi e dandogli le spalle fino a quando lo sento uscire.
Sospiro, stringendo i pugni, qui
non si può andare avanti così.
“Herm” mi chiama gentilmente
Seth, toccandomi la spalla “Come va? Tutto bene con Danny? O
meglio… va peggio del solito?”.
Sorrido, cercando di
tranquillizzarlo, ma non riesco a dire null’altro, come se mi avessero
sigillato le labbra cucendole assieme. Nemmeno se mi puntassero un’arma contro,
riuscirei a dire qualcosa. Le parole sono diventate così vane, inconsistenti,
inutili, quando si tratta di Draco.
È come tentare di spiegare ad un cieco cos’è il mare, utilizzando solo parole. È
impossibile.
Fossi anche Emily Dickinson,
comunque non ci riuscirei. Fiorirebbero metafore, similitudini ed ogni sorta di figura retorica, ma sarebbero sempre false
e riduttive.
Ed anche se quelle parole, per pura genialità, fossero giuste e perfette
per quello che voglio dire… non sono in grado di metterle una dietro l’altra,
per formare un senso compiuto… che non c’è, mai, tra me e Draco.
Ed anche qualora ci fosse, non mi
sento di condividerlo con nessuno.
Non ho bisogno delle definizioni
altrui che mettano nella loro giusta prospettiva quello che sento dentro.
Ho bisogno solamente di non
pensarci, nella frustrazione di una cosa ineffabile e inesprimibile.
Strano per me, che ho sempre
diligentemente categorizzato la mia vita, le mie sensazioni, i miei sentimenti,
in classi ben precise… non nego che lo sia, strano intendo.
Ma oramai non mi sembra più tale, sono rassegnata a questo sentirmi
sempre impotente davanti a questa… cosa.
Cerco di andare avanti
ugualmente, un passo davanti all’altro, senza fretta, sperando che passi.
Sperando
che passi… le unghie delle mani, strette a pugno, si
conficcano nella carne tenera, quasi lacerandola.
“Sto bene, Seth…” mormoro alla
fine, guardando il mio amico preoccupato “Alla fine, imbiancare questo posto
sarà una bella distrazione da quella massa di mocciosi urlanti che escono da
scuola… oggi è l’ultimo giorno, no? Starebbero tutti qui, a
bere frullati… quindi meglio tenere chiuso e fare qualche altra cosa…”.
Seth non mi sembra ancora del
tutto convinto, ovviamente. La mia è un’ingiustificata resa su tutti i fronti.
Che diventa giustificata solo se la si collega all’entrata di Draco.
Questa è una
cosa che ovviamente sconcerta tutti, da Gail che rotea gli occhi scuri,
mormorando frasi incomprensibili a Trey che assume un’aria compassata,
accompagnata da borbottii, orrendamente simili a: “E’ un grande! Non c’è niente da fare…”, per arrivare a Lawrence
che scrolla il capo incredulo.
Accidenti a loro!
Alzo la voce, dicendo: “Il lilla
e il giallo sono fuori questione, comunque…” e, per fortuna, la mia obiezione
distrae le loro menti da me, dato che iniziano a
battibeccare come bambini del asilo, urlando tutti i colori dello spettro della
luce.
“Io direi un
bel rosso fragola…” biascica Corinne, agitando le braccia “Fa molto
effetto, locale di
Parigi…”.
“Vuoi dire postribolo di Parigi…” sputo fuori avvelenata, guardandola storto, è la volta buona che
mette su una bella attività redditizia.
“Nero… e disegni argento…”
asserisce convinta Lorna, stiracchiandosi sullo sgabello e ravviandosi i
capelli scuri “Almeno la smettiamo con questa finta aria ipocrita da borghesia
arricchita…”.
Sbuffo:
“Infatti… basta borghesia arricchita… diamoci agli spacciatori! Gente di alto borgo che avrà sempre soldi per pagare… quel mercato
non va mai in crisi, vero, Lorna?!”. Lei incrocia le
braccia con noncuranza, tacendo finalmente.
“Di fronte a queste alternative, ammetterai
che il lilla è la scelta migliore…!” rimugina Seth, guardandomi con espressione
afflitta “Ma cedo anche se parliamo di un bel rosa cipria…”.
“Ma non ne conosci di colori
normali?!” chiedo infastidita, le mani sui fianchi
“Secondo me, nonostante tutto, il bianco è la soluzione migliore…”.
“Anche per me…” borbotta
Lawrence, scuotendo il testone.
“Idem per me…” annuisce Trey,
scrollando le spalle “La bambolina ha ragione…” e mi scocca la solita occhiata
da pseudo Casanova dei poveri.
Simulo un
falsissimo sorriso e replico: “Grazie Trey…! Non dimenticare questo tuo enorme affetto
per me il giorno in cui ti castrerò con delle cesoie arrugginite…”.
Trey si porta le mani sui
gioielli di famiglia, presagendo il dolore: “Non parlo più, bambol…
volevo dire Hermione!”.
Sorrido benevola: “E tu, April?”.
Lei alza gli occhi al cielo:
“Avevo pensato al verde acido, ma mi rassegno al beneamato bianco,
portatore del silenzio di Seth…”.
Sorrido complice, a volte la democrazia funziona allora!
“Quattro voti!” esclamo allegra,
agitando la mano “Quindi vince il bianco… al massimo ti concedo una tenue
sfumatura di beige, Seth…”.
“Monotono…” mormora lui
inconsolabile “Il lilla poteva essere la botta di stile di questo locale…”.
“Come no… la botta finale
all’immagine di questo posto, già abbastanza in decadenza…” mugugno, legandomi
i capelli ed infilandomi sopra i vestiti una delle
tute da lavoro che giacciono ammonticchiate in un angolo. Completo il tutto con
una bandana, ricavata da una mia vecchia sciarpa rossa che avevo lasciato di
sopra.
Ovviamente la questione non
finisce qui…
Avete idea di quanti tipi di bianco esistano?! No, ovviamente… voi gente normale
veleggiate nella vostra esistenza, senza aver bisogno di questa superflua
informazione.
Seth Green, invece, le conosce perfettamente! Tutte! Inizia infatti a sventagliare una vasta scelta di opzioni tra bianco perla, bianco crema, bianco-grigio, bianco segnale,
bianco alluminio, bianco puro, bianco traffico, bianco papiro… non ho parole, e
io che avevo detto bianco per far finire le sue discussioni!
Dopo aver finalmente
scelto il bianco crema, non prima di una serie infinite
di discussioni, finalmente iniziamo a dipingere, ma anche questa operazione si
rivela abbastanza difficile: non soltanto non siamo degli imbianchini, non
soltanto abbiamo una sola scala scassata, non soltanto fa caldo, cosa che alla
fine ci fa gettare le tute all’aria e lavorare con i nostri vestiti consueti,
no. Aggiungiamo anche Lorna che fa tre pennellate ed
inizia ad accusare un feroce mal di testa e se ne scappa fuori, Corinne che
inizia a litigare con il suo fidanzato tatuato via cellulare e Gail che erge un
altare di fortuna alla dea Sedna per propiziare la
scelta del bianco invece del rituale giallo.
Quindi il vero
lavoro, oggettivamente, lo stanno facendo Trey e Lawrence, dato
che per Seth ogni scusa è buona per abbandonare, tirando anche in causa
la cromoterapia e la connessione con il divino, a cui si arriva con la
gradazione violetta. Quando Gail giustamente, e per la prima volta vorrei
baciarla, dice che lo stesso risultato si raggiunge anche con il bianco, Seth
riprende a pitturare ma con aria moscia, quindi ogni sua pennellata deve essere
ripassata da me ed April.
E, a parte lo sforzo,
siamo entrambe abbastanza basse per non raggiungere ogni punto.
Dopo un’ora, quindi,
non siamo ancora a nulla, mentre iniziano a farsi sentire i morsi della fame,
considerando che è l’una passata. Io, April e Gail ci
accasciamo sul pavimento, mentre Seth borbotta assieme a Trey e Lawrence. Lorna
e Corinne, ovviamente, sono fuori a fumare, accusando un’improvvisa
claustrofobia.
Stramaledetto Malfoy!
Ma adesso lo chiamo e ci viene ad aiutare, me ne frego! L’avuta lui questa bella idea ed adesso lo tiro dentro, al
diavolo! Mi violento psicologicamente e ci parlo, anzi… che parlo, alla fine è
ininfluente parlarci… lo scotenno…
ecco, così nemmeno mi imbarazzo…!
Attraverso la sala
con passo marziale, diretta di sopra, ma mi fermo ai piedi della scala,
attirata da un’ombra nell’ingresso principale.
“Hayden!” sorrido,
riconoscendolo e correndogli incontro.
Lui, finalmente, mi intravede nella semioscurità e mi viene incontro, il
solito sorriso meraviglioso sul volto abbronzato. Come sempre, mi tremano le
ginocchia e mi chiedo che diamine ci trovi in una come
me, basta che accenda gli occhi verdi e potrebbe sciogliere anche una distesa
artica.
Eppure, ha un’aria
così serena e rilassata che non incute alcun genere di timore reverenziale
oppure imbarazzo, cosa che tendenzialmente capita con i bei ragazzi, tranne che
con lui. La mia prima impressione su di lui, effettivamente, si è rivelata
corretta, non è minimamente consapevole di quanto è carino, quindi non vi dà
peso. Non a caso è sempre vestito in modo semplice;
infatti, oggi porta una T-shirt verde smeraldo ed un paio di comodi jeans
larghi. Nella mano destra, regge un busta di plastica
bianca.
“Ciao Herm!” mi
saluta, dandomi un buffetto sulla guancia, poi nota che ho
il viso sporco di vernice e ride: “Ma non eri una cameriera tu?”.
“Non mi far parlare,
per favore…” ringhio tra i denti, poi chiedo, inclinando la testa: “Che ci fai
qui?”.
“Ero venuto a
trovarti… e a proporti una pausa pranzo a base di panini con tacchino e salsa
Worcester… non la adoravi tu?!” e scoppia a ridere,
ricordandosi la mia storia del felino di Worcester. Ovviamente non con
particolari magici, credo che allora avrebbe riso anche di più.
“Smettila!” rido a
mia volta, dandogli una lieve gomitata nelle costole “Accidenti a me che te
l’ho raccontata! E comunque non posso! Adesso devo…”.
“… adesso Hermione
deve lavorare…”, sobbalzo, una voce dalla sommità delle scale. Quella voce.
La sola voce
che ha il potere di bloccare il mio cuore, di gelarlo e di intrappolarlo tra le
mie costole, come un uccello in gabbia, a cui nega
crudele l’ossigeno.
La sua voce.
Solo la sua voce.
Se poi mi
guardasse, lo soffocherebbe il mio cuore… e se mi toccasse, semplicemente lo
ucciderebbe.
Mi ucciderebbe, centinaia di
schegge perse nel vuoto.
Draco. Solo
lui.
Lo guardo scendere le
scale piano, con lentezza, lo sguardo puntato su Hayden. La mano scorre leggera
sul corrimano, lui, sempre il Principe delle serpi, il nobile, il sovrano di
tutta la terra che lo circonda, che guarda sempre noi come servi indegni. Sono
dardi in fiamme i suoi occhi su di me e Hayden, come sempre, saturi del rancore
e dell’odio che ha sempre nel sottofondo delle sue iridi, quando mi guarda. Si
socchiudono in due fessure, mentre si avvicina, e si ferma sull’ultimo gradino,
le braccia conserte, in attesa di una spiegazione.
Ed ancora… io non riesco nemmeno a guardarlo. Cosciente solo della
sua presenza, mi sgretolo, sabbia forgiata nelle
fattezze di una persona.
Ha calcato il mio
nome con decisione, forte, staccandolo dal resto della frase, come se non
stesse parlando con Hayden… ma solo con me.
Sebbene mi costi ogni
cellula del mio corpo, impegnata ad urlare dentro di
me perché non lo faccia, finalmente riesco ad alzare il viso e a sibilare, gli
occhi nei suoi: “Lo so, Danny… infatti, non stavo andando via…”.
“Mi era sembrato…”
commenta ovvio, scendendo l’ultimo gradino e fermandosi accanto a me. Ancora
non degna Hayden di uno sguardo.
Lui, accanto a me, si
agita a disagio, probabilmente sentendosi di troppo.
Hayden sa di
Draco, ed è un pensiero che mi tramortisce in
un attimo, come una botta in testa che mi annebbia la vista e la capacità di
connettere.
Sa che provo
qualcosa per lui… anche se non so
cosa.
Ti bacerò di
nuovo il giorno in cui non avrai sempre il riflesso di un altro negli occhi…
Come un’onda di insperato coraggio, mi colpisce quella frase, sferzandomi
d’energia e di forza, assieme a residuo orgoglio.
Io non sono quella
che se ne sta qui di fronte a lui, abbassando gli occhi e mugugnando, in preda
alle tempeste emotive.
Non sono questa
persona… mai… qualunque cosa io provi per Draco e per Hayden, non sono questa
persona.
Non sono proprietà di
Malfoy, ma tantomeno sono la ragazza di Hayden. Eppure, oggi la parte che
abbraccio, è chiara.
Non voglio
che Hayden stia qui… davanti a me e Draco…
Non voglio
che stia qui, a pensare chissà che… non se lo merita. Non si merita che Draco gli faccia pensare chissà che.
Sollevo lo sguardo,
ostinatamente rivolto verso il basso fino ad ora, e guardo esclusivamente
Hayden: “Ma se non hai nulla da fare, potresti anche darci una mano… te ne
intendi di pittura?”. Draco, accanto a me, si muove leggermente, forse trasale,
ma non lo vedo in viso, gli do ostinatamente le spalle.
“Non ne capisco
nulla…” sorride Hayden, un sorriso chiaro ed aperto,
credo più per il fatto che abbia finalmente aperto bocca e per invitare lui,
che per la prospettiva di passare una mattinata estiva a pitturare un
ristorante “Ma credo di essere meglio di te… non che ci voglia molto,
comunque…”.
Sorrido a mia volta,
ignorando ancora Draco: “Ok, allora la prendo come una sfida…”.
Stringo la mano
attorno al polso di Hayden, gettando un’occhiata in tralice a Draco che se ne
sta praticamente immobile a fissarmi, per poi
sorridergli fintamente: “Vedi, Danny? Tutto a posto… la mia etica professionale è ineccepibile, non solo resto a lavorare, ma rimedio anche un
aiutante…”.
Lui non risponde, il
viso pallido più del solito, chiazzato di rosso sugli zigomi, le labbra
contratte in una smorfia infastidita, mentre io mi trascino Hayden dietro per
il polso.
Credo che, se fossi
fatta di carta, mi avrebbe già incendiato solamente con lo sguardo.
Eppure, resta
indietro, non mi segue prendendomi ad insulti… lo
sento salire le scale, a due a due, allontanandosi furibondo.
Strano, decisamente strano.
Appena varco la porta
della sala ristorante, sento un applauso scrosciante,
mi ritraggo quasi spaventata.
I miei colleghi di
lavoro applaudono a tutto spiano, Seth per primo, che ha quasi le mani
dell’amato color lilla.
Hayden mi guarda
ancora, non capendo, inarcando un sopracciglio, e nemmeno io ci capisco
granché, persino Lorna e Corinne sono rientrate e battono le mani sorridendo. Ma saranno scemi? Che hanno da applaudire?!
Poi, un pensiero. Hanno
sentito tutto.
Scoppio a ridere, la
mano ancora in quella di Hayden, questi sono proprio pazzi.
Faccio un buffo
inchino, immediatamente seguita da Hayden che, alla fine, ride anche lui.
Trey, in piedi sulla
scala, sbracciandosi in modo decisamente pericoloso,
urla: “L’ho sempre detto che la bambolina è una grande!”.
“E’oro puro… non te
lo far scappare…” mi sussurra complice April nell’orecchio, fingendo di star
prendendo un tovagliolo nel nostro picnic improvvisato. Le sorrido velocemente,
arrossendo lievemente, calore diffuso che mi prende le guance: “Non è come
pensi comunque, April… insomma, mica stiamo assieme…”.
Lei sorride ancora,
sussurrandomi ancora per non essere sentita dagli altri: “Vero… ma è un bel
tipo, no?”.
“Decisamente…”
sorrido come una cretina, guardando Hayden, impegnato in una conversazione
epica con Lawrence sulle quesilladas messicane e su
come perdano un botto, se non ci metti il chili originale messicano. È la
quinta conversazione di tenore completamente diverso che sostiene nella
mattinata, ed è arrivato all’una e mezzo.
In un’ora, ha aiutato
enormemente nel lavoro di pittura, riuscendo anche ad
elaborare una soluzione per conciliare le velleità artistiche di Gail e Seth
rispetto al progetto immacolato della parete. Ha pensato di fare dei disegni
stilizzati di farfalle, piccole, dal corpo giallo e dalle ali
lilla che rompessero ogni tanto la evidente monocromia della superficie
bianca. Per il lavoro che abbiamo già portato a termine, circa metà del
ristorante, ne sta uscendo una cosa spiritosa, in accordo con tutto lo stile del
Petite Peste.
Ma, cosa decisamente più importante, almeno Seth e Gail stanno
lavorando, allegramente.
Dipingendo, Hayden ha
intrattenuto una conversazione sul movimento punk e su Cid
Vicious con Lorna, costringendo anche lei a
dipingere, per ascoltarlo meglio.
Con Trey, ha
intavolato una lunga discussione sulla musica dance anni 80 e su come sia la
capostipite della nostra musica.
Poi è stato il turno
di April e della legge per la conservazione dei beni culturali che i laburisti
hanno approvato a marzo.
Ha persino scambiato
banalità con Gail sulla orbita di Nettuno e con Seth
sui danni da lampade solari.
Ovviamente, con
Corinne non ha spiccicato parola, cosa al contempo consolante, perché
avrebbe determinato una sua evidente affinità con la stupidità di quell’oca, ed impossibile,
se lei lo guardava con la bava alla bocca,
anche se non capiva una parola di quello che diceva.
Alla fine, ora, ci
siamo seduti per terra e stiamo mangiucchiando panini come pausa.
È decisamente
perfetto. Non c’è nulla da fare.
Mentre ascolta
Lawrence e le sue rimostranze culinarie, mi getta un’occhiata per poi farmi un
occhiolino, a mo di saluto. Sorrido, arrossendo.
È troppo
carino! Mamma mia!!!
Seth gattona nella
mia direzione, eccolo là… sollevo gli occhi al cielo, ovviamente qualcosa deve dirmela
anche lui. Si accomoda vicino a me, sbocconcellando distrattamente un
tramezzino e facendo l’indifferente. Si aspetta che dica io qualcosa,
ovviamente.
“Che c’è?” chiedo
nervosa, guardandolo di sbieco. Non mi piace questo mio stare tra lui ed April, come in un silenzioso e sussurrato interrogatorio.
“Decisamente
carino, brava Herm!” sussurra ancora mangiando, spargendomi briciole addosso
che scuoto con energia: “Finisci di mangiare almeno, potevi anche rimandare la
rassegna stampa…non mi sarei offesa, mica!”.
Seth finisce
diligentemente di masticare, per poi bisbigliare ancora, la faccia atteggiata ad una smorfia: “Ma Danny è meglio!”.
Rischio di strozzarmi
con il panino, attirando l’attenzione di tutti, compresa quella di Hayden che si interrompe dal parlare, per dire: “Piano Herm! Non sapevo che avessi così fame!”.
Arrossisco
furiosamente, stavolta di rabbia, e fingo un’espressione colpevole di fronte al
mio inesistente accesso di voracità, fino a quando Hayden riprende a parlare
con Lawrence. Inesorabile, la mia mano raggiunge il fianco di Seth,
scoccandogli un pizzicotto talmente forte che credo di avergli rotto qualche
capillare.
“AHIA!” urla Seth,
interrompendo ancora le altre conversazioni. Rido nervosamente verso Hayden che
credo che a breve lascerà la stanza, preoccupato dalla mia salute psicofisica,
e roteo l’indice sulla tempia, facendo chiaramente intendere che è della salute
psicofisica di Seth che dovremmo preoccuparci tutti.
Hayden sorride ancora
e riprende a parlare.
“Ma sei proprio
fissato con Danny, Seth!” farfuglia April, abbassando la testa per coprirsi
mezza faccia con la frangia “Arrivasse qui Antonio
Banderas e ti proponesse una serata di sesso in equilibrio su un pianoforte, e
te comunque frigneresti dicendo che Danny è meglio!”.
“Perché proprio il
pianoforte?!” chiedo ridendo.
“Ce
l’ho davanti e quello mi è venuto in mente…” scrolla le spalle April,
soggiungendo ispirata: “Anche se deve essere scomodo…”.
“E rumoroso…”.
“Ma
in Pretty Woman lo fanno!” medito io, ricordandomi la
scena del famoso film “E premono solo qualche tasto…”.
“Per come lo farebbe
Seth specie con Danny, si romperebbe tutto il pianoforte, altro che qualche
tasto…”. April scoppia a ridere, subito imitata da me, e alla fine anche da un
contrariato (e trasognato alla fantasia del pianoforte) Seth.
Gli altri ormai
rinunciano a dedicarci attenzione, comprendendo che siamo irrecuperabili,
Hayden scrolla la testa sorridendo ancora.
“Comunque, pianoforte
a parte, non puoi negare che il mio teorema sia esatto…” riprende Seth con
espressione compita “Insomma, Hayden ha sicuramente quell’aria da cucciolo
indifeso che…”.
“… che ti fa venire
voglia di immergerlo in una vasca da bagno, ricoprirlo di schiuma, e poi…”
fantastica April, in una serie di bisbigli sovraeccitati.
“April!” inveisco
scandalizzata, arrossendo e portandomi le mani inconsciamente sul viso.
“Sì, sì, qualcosa di
simile…” continua Seth, per nulla sconvolto, come se
April avesse degnamente finito il suo pensiero “Ma insomma… Danny è Danny…”. E stavolta l’aria di chi si sta facendo fantasie a tutto spiano l’assume lui.
“Interessante
teorema, Seth…Danny è Danny… come ho fatto a non arrivarci io?” commento,
roteando gli occhi.
“Intendo dire, se mi
facessi finire…” sbotta Seth, guardandomi male e distendendo le braccia dietro
di sé “… che non puoi negare che Danny ti dà proprio l’idea di maschio… quello
che ti sbatte al muro, insomma…”.
“Seth!” mi tappo le
orecchie, ma come stanno perversi oggi?!!
“Bisogna ammettere
che ha ragione, comunque…” asserisce convinta April, addentando un pezzo di
mela “Danny ti dà proprio quell’idea, deve essere uno molto passionale…”. Li
guardo entrambi scandalizzata, ma che razza di pensieri si fanno?!!
“E poi adesso che
Summer ha preso il volo è anche libero!!” batte le
mani entusiasta Seth “Potresti sempre farci quel benedetto pensierino che ti
suggerisco di fare da mesi, Herm…”.
“E dalle, Seth! Io non mi faccio nessun pensierino! E non bramo
nemmeno essere sbattuta al muro! Non è una mia fantasia ricorrente… meglio la
vasca da bagno piena di schiuma…!!” sbuffo
infastidita, alzandomi in piedi e chiudendo la conversazione con un sorriso
malizioso, o finto tale, dato che dubito di farne uscire uno decente.
Annuncio di andare in
bagno a lavarmi le mani e percorro la sala con passo cadenzato e sicuro, da
donna che sa esattamente cosa e chi vuole, specie dopo la conversazione alla
Sex and The City che ho appena avuto con quella specie di erotomani. Quella
stessa andatura, alla Carrie Bradshaw
a spasso per
Appena uscita dal
ristorante, vogliosa di acqua fredda che mi rinfreschi il viso in fiamme, corro
quindi in bagno.
Non vado di sopra per
paura di incontrare Draco, al momento non so come stia dopo aver invitato
Hayden a fermarsi. Probabilmente sta fabbricando una bambola voodoo con le mie
sembianze, sembrava abbastanza arrabbiato…chissene…
Ma diciamo se lo evito è meglio, almeno fino a quando la mia fantasia,
liberata dalle parole di Seth ed April, se ne ritorna a cuccia.
Corro quindi nel
bagno di sotto, apro il rubinetto e vi porto le mani chiuse a coppa, gettandomi
l’acqua ghiacciata sul viso. Mi sento immediatamente più calma e ritemprata di
prima, almeno potrò affrontare le prossime ore senza la faccia sconvolta da
pensieri lussuriosi. Accidenti a loro, sempre alla mia vita sentimentale stanno
pensando!
Raccolgo
l’asciugamano, passandomelo sul viso con energia.
Muschio
bagnato nel mese di settembre.
“Non pensare di poter
fare questi giochetti con me, Granger… ti ricordo chi sono… tu ne avresti
sempre la parte peggiore…”.
Rabbrividisco su me
stessa, forse la mia mente mi sta giocando brutti scherzi, a furia di
fantasticare in modo poco pudico.
Sollevo gli occhi
verso lo specchio di fronte a me e vedo distintamente dietro di me lo
scintillio irato e furioso degli occhi di Draco. È dietro di me.
È fermo alle mie
spalle, le mani chiuse a pugno lungo i suoi fianchi, furioso. Le labbra sono
ormai ridotte ad una fessura minuscola, contratte e
strette. Ha ancora le guance stranamente rosse, e i suoi occhi sono come due
spade puntate alla mia gola, acciaio fuso dall’ira.
Poggio l’asciugamani a posto e ribatto, girandomi, con voce
assolutamente incolore: “Non capisco di che stai parlando…”.
“Lo sai perfettamente
di che cosa sto parlando!” inveisce lui, allora, la sua voce che mi fa
accapponare la pelle, mi ha praticamente urlato
contro.
Non aveva urlato
nemmeno quando aveva rotto con Astoria, nemmeno allora. La sua voce era rimasta
un flebile sussurro d’odio, era calmo, serafico, come se stesse parlando del
meteo. Ora no… come se
avesse perso il controllo… rido
amaramente nella mia mente… come dimenticare? La sola che gli fa questo
particolare effetto, voler
gettare l’intero universo nell’inferno, sono
io.
L’odio, che spesso
gli rievoco dal nostro passato, facendo qualcosa che lo infastidisce, è più
forte di ogni cosa che provi. È atavico, puro, senza ragione. È dirsi
probabilmente nella sua mente: “Che
cosa mi aspetto dalla Granger, in fondo?!”.
È anche facile.
Perché, di fronte al
nostro presente legame incomprensibile, la suprema certezza dell’odio che ci ha
sempre unito, è come un salvagente in mezzo alla tempesta.
In fondo, sarebbe più facile così, anche per me.
Sospiro, ritrovando
un incomprensibile tremore delle mie labbra, incomprensibile
alla facilità dell’odio… ma che diventa ovvio nella tempesta che mi
scuote dentro.
“Davvero… non lo so…”
rispondo senza energia, guardando altrove, sfuggendo ai suoi occhi.
Odio i suoi
occhi, li odio quando mi guarda così… cieco di furia,
come se non mi vedesse nemmeno.
Un spostamento repentino d’aria, un dolore fulmineo e
bruciante alla schiena. Sbatto le palpebre un paio di
volte, sono contro la parete. La
tipica persona che ti sbatte al muro. E’ ad un respiro da me, le mani sul muro alle mie spalle, poco
sopra la mia testa, bloccandomi.
Resta a testa bassa,
i capelli che gli coprono gli occhi, il suo corpo vicino al punto tale che ne percepisco il calore, irato e nervoso. Se allungassi una
mano, arriverei agevolmente a toccargli il torace, compatto, liscio, sotto la
camicia azzurra. Scrollo il capo a quel pensiero, cercando di apparire calma e
padrona di me.
Ma quando solleva il viso e mi ritrovo i suoi occhi addosso,
non riesco a sostenere il suo sguardo senza arrossire. Volgo ancora il capo a
destra, sfuggendogli.
Una mano fredda, la sua mano, mi afferra per il mento, costringendomi a guardarlo in viso:
“Guardami in faccia, Granger…” mi minaccia nella voce tornata calma.
Alzo il mento altezzosa, per quanto me lo consenta la sua presa
d’acciaio, piccole lacrime di impotenza che pizzicano nei miei occhi.
La sua mano ricade
lungo il fianco, si allontana per quanto lo consenta la lunghezza del suo
braccio teso, la mano ancora appoggiata sul muro ai lati del mio viso.
Per un attimo, mi
perdo ascoltando il suo respiro veloce che mi accarezza tiepido il viso,
ipnotizzata come la vittima di un serpente.
Guardo il ciuffo
solito di capelli che gli sfiora la fronte, e mi chiedo arrossendo come sarebbe
spostarglielo con le dita, mentre dorme vicino a me, esausto, dopo aver fatto l’amore.
Dischiudo quasi senza accorgermene le labbra, non accadrà mai, ed è un cupo rumore
sordo nelle mie orecchie, un tonfo nel cuore, uno spasimo inconsapevole nel
petto, come un vuoto d’aria. Con violenza, un groppo in gola, cerco di
mantenere gli occhi asciutti.
Sento le sue mani
chiudersi a pugno, mentre riprende a parlare tagliente: “Posso sopportare che
non mi parli… che non mi guardi… posso anche sopportare quella maledetta aria
da regina che hai sempre…
la superba regina di ogni cosa che tocca con lo sguardo e per cui
sono meno di niente… sai questo, posso anche sopportarlo… in fondo, anche se
non hai motivo alcuno per fare l’altezzosa, non me ne frega niente…” la testa
reclinata in basso, si alza, portandosi a tiro dei miei occhi, ancora più vicino
a me, mentre continua: “… ma che tu faccia stare quel tipo qua, giusto per
punirmi in qualche contorta maniera, bè… questo è
davvero idiota…”.
Autenticamente
sorpresa, sgrano gli occhi per qualche istante. Cerco
immediatamente di riprendermi, rispondendogli: “E’ talmente idiota come cosa,
che non hai nulla di meglio da fare che stare qui a rompermi le scatole…”,
incrocio le braccia, sbuffando: “Inoltre, potresti anche lasciarmi, invece di
tenermi bloccata così… ti sento lo stesso, mio malgrado…”. È decisamente meglio che
si allontani.
“Mi dispiace,
Granger… hai la leggera tendenza a sfuggirmi di mano… cosa alquanto irritante…
quindi molto meglio che ti tengo così, almeno fino a quando finisco di parlare…” aggiunge ovvio,
abbassando lo sguardo su di me, poi si illumina per un
secondo e sorride malizioso, arrossisco ancora non capendo, finché bisbiglia:
“Anzi… se lo voglio davvero finire questo discorso, devo trattenerti di più di
così…”.
Piega verso l’interno le braccia, ancora appoggiate al muro, e così
facendo, si avvicina ancora di più a me, se mai era possibile. Ormai sfioro il
suo viso con il naso, il suo respiro mi brucia le labbra. Cerco di
indietreggiare di più, ma non ce la faccio ovviamente. Il cuore mi rimbomba
nelle orecchie, impazzito, frastornandomi. Basta che mi muovi anche di un solo
centimetro e le mie labbra sfiorerebbero le sue. Resto con il viso basso,
sperando che non me lo sollevi ancora.
“Adesso va meglio…
non devo nemmeno alzare la voce…” sussurra ancora sulle mie labbra, un fremito
incontrollabile mi mozza il fiato, non facendomi nemmeno intendere che cosa
stia dicendo, come se stessi traducendo una lingua
sconosciuta e avessi bisogno di qualche secondo per capire le sue parole.
Nella testa, grido
che mi baci ancora. Grida il cuore, grida la pelle, gridano gli occhi, gridano
le mani, tutto di me stessa grida e si contorce.
Riprende, la voce ora
soffice, soffusa, roca: “Hai fallito miseramente se credevi di suscitare in me,
che so, gelosia… la sola cosa che mi provocano i tuoi giochetti imbecilli, è
fastidio… improvvisamente, oggi che non ci parliamo, arriva il tuo
bambolotto… chissà, come mai, forse per sbattermi in faccia che stai bene con
lui, e non con me… ammesso che mi interessi… ma
insomma, Granger, sono giochetti idioti… dopo una vita tra i Serpeverde e i
Mangiamorte, non li sopporto… e tu non sei nemmeno brava a farli…”.
“Questa al mio paese
si chiama gelosia…” commento fiocamente, sfiancata,
anche se non ci credo nemmeno io.
Credo davvero che sia
infastidito che lo renda oggetto di giochetti, cosa a cui
non ho pensato nemmeno per un momento, anche se lui ne è convinto.
“Sempre fastidio… non
gelosia… non dire sciocchezze…” bisbiglia ancora, muovendo leggermente una mano
nervosa. Inavvertitamente mi sfiora i capelli, scarica gelata lungo la colonna
vertebrale. Rabbrividendo, alzo gli occhi, trovando prima le
sue labbra e poi i suoi occhi, racchiusi nei miei, improvvisamente scrigni di
nuvole, socchiusi, foschi, inaccessibili. Sbatte le palpebre
un paio di volte, la mano contratta che piano si distende in un attesa
infinita. Ogni parte di me è un ponte per le sue dita, ancora lievemente
accostate ai miei capelli, fremo dalla voglia che mi accarezzi
anche solo per sbaglio.
Quando riapre la
bocca, la sua voce è affannata come se avesse corso per chilometri, le labbra
umide sfuggono incandescenti le parole, in un respiro arrivano alle mie labbra
che sfiorano le sue, i miei occhi prigionieri soggiogati dei suoi: “…se fossi mia, potrei essere
geloso, ma non così…”.
“…tua…”
sussurro, concentrata sulle sue labbra, tutto attorno è un mare vischioso di
silenzio.
“…mia…”
ripete lui, la voce più bassa, le labbra dischiuse. Come in un sogno, vedo la
mia mano arrivare a lui, lambire con le dita i tratti del suo viso
delicatamente, leggermente, come se davvero temessi che sparisse. Assorta e
concentrata, terrorizzata all’idea che mi fermi, scorro le dita sul suo viso
caldo, lui che prima sussulta, vedendo la mia mano alzarsi, e poi che mi
osserva attonito, immobile, per un attimo spaventato. Gli manca il fiato,
quando arrivo a toccarlo, lo sento rabbrividire sotto le mie dita, sebbene
siano più calde le mie mani che il suo viso. Chiude
piano gli occhi, quasi esortandomi silenziosamente a continuare, le mie dita
che accarezzano la sua pelle come se stessi suonando con morbida esperienza le
corde di un’arpa. I capelli spettinati sono serici tra le mie dita, come li
avevo immaginati, guardandoli prima, mi mordo il labbro inferiore, rapita. La
fronte spaziosa e lievemente corrugata che mi fa sorridere buffamente, lui che
è sempre corrucciato con il mondo intero. Gli occhi, ora chiusi, ma le cui
palpebre fremono leggermente ad ogni mio movimento.
Gli zigomi, le guance e infine le labbra, ancora dischiuse.
Resto lì immobile,
congelata, l’indice che corre sul suo labbro superiore, seguendone il profilo
sottile. Quando piano riapre gli occhi annebbiati, sollevo come inebetita il mio viso, guardandolo fisso negli occhi e
ritrovandomi a ripetere senza rendermene conto: “…tua…” .
Finalmente, la sua
mano si poggia sui miei capelli, scorrono le sue dita
leggere tra i boccoli sotto la bandana, quasi ravviandoli, mentre lentamente mi
avvicina a lui, attirandomi per il fianco con l’altro braccio, ora anch’esso
libero. Mi accolgono le sue braccia, il suo cuore ora contro il mio, diviso
solo da inconsistente tessuto. Non riesco a smettere di guardarlo in viso,
mentre mi accarezza con dolcezza i capelli e il viso. Stringe forte il braccio
attorno alla mia vita, possessivo, mentre ripete, gli
occhi seri e decisi, in un sussurro fioco: “… mia…”.
Sussulto a mia volta, il tono con cui l’ha detto… e questo braccio…
davvero mi senti tua?
Impercettibilmente
chiudo gli occhi, lui che lentamente mi porta vicino al suo viso,
solleticandomi con il suo respiro.
“Piccola Hermione…”
sussurra ancora, le labbra ormai sulle mie, ne sento il calore e la linea che
ho disegnato sotto le dita “Le mie donne non hanno avuto mai bisogno di giochetti
per tenermi incatenato a loro…”.
Apro bruscamente gli
occhi, un brivido leggero che mi ha ucciso come un terremoto. Improvvisamente,
la dimensione di ciò che sta accadendo mi frastorna senza sosta. Tutto continua
a gridare dentro di me, ma già i miei piedi che si erano alzati sulle punte per
arrivare al suo volto, mi riportano alla mia solita altezza, sfuggendo al suo
viso e alla sua mano che resta immobile a mezz’aria. Meravigliosamente sbagliato. Meravigliosamente sì,
ma sempre sbagliato. Perché? È quello che voglio… e allora…?
Mentre vedo i suoi
occhi chiusi riaprirsi di scatto, sentendomi irrigidita, e guardarmi come per
chiedermi che cosa sia successo, tremo di rabbia, ricordando.
Inizio a piangere,
silenziosamente, guardandolo. Draco sembra non capire, eppure già si allontana
di un po’ da me, trattenendomi solo per il fianco.
Finalmente sputo
fuori con rabbia: “Invece Astoria aveva bisogno di giochetti per stare con te?! Doveva tenermi sotto incantesimo senza
che tu muovessi un dito, vero?”.
I suoi occhi si
sgranano ferocemente, si stacca da me come se fossi un pezzo di lava: “Come…”.
“Come lo so??! Questo vorrei sapere?!” urlo
furiosa, spingendolo lontano con le mani. Per il contraccolpo imprevisto,
finisce abbastanza lontano da me per farmi ritornare in sé. Si porta sconvolto,
le mani sul petto, guardandomi senza fiato.
Mi
ritrovo a singhiozzare senza accorgermene, mentre grido senza controllo: “Me ne
frego del tuo stupido segreto, della tua stupida vita, di tutto! Di tutto quello che sei, me ne frego, ma come diamine hai
potuto permettere che facesse questo a Ginny, a me, per settimane?!! Come hai fatto??!!”.
“Hermione, adesso
devi farmi parlare, aspetta…” cerca di afferrarmi per il gomito, trattenendomi,
ma scatto allontanandomi.
“Deve essere stato
meraviglioso per te che quella lì si prendesse gioco della mia mente, dei
mie ricordi, così, no? NO??” urlo ancora, ormai senza
controllo, il bacio non dato che diventa un incentivo incandescente alle mie
parole irrazionali “Deve essere stato un
momento meraviglioso, vedermi completamente in suo potere?! Non hai nemmeno
pensato a fermarla, anche se sapevi che poteva costarmi caro, che poteva
rovinarmi la vita, cancellarmi ed annullarmi la
mente!”, riprendo fiato, la sua espressione sconvolta che mi dà solo ulteriore
energia per continuare ad urlare: “Come diamine ho fatto a dimenticare chi sei,
che cosa sei… e adesso stavo anche per…” piangendo disperata, mi porto le mani
nei capelli, appoggiandomi stancamente al muro.
“Hermione, ci sono
delle cose che devi sapere, il fatto che Astoria fosse qui…” tenta ancora di
avvicinarsi a me, ma mi allontano ancora, arrivando sulla soglia della porta.
“Non mi interessa! Hai capito che non mi interessa??!!”
ripeto ancora, la voce sempre più alta, fregandomene che mi senta qualcuno,
asciugandomi le lacrime con il dorso della mano “Non ti devi più avvicinare a
me, non ti azzardare mai più anche solo a rivolgermi la parola o a guardarmi…
facciamo durare questa sceneggiata fino a quando sia strettamente necessario…”,
abbasso lo sguardo riprendendo a piangere, poi lo guardo cercando di mantenere
la mia voce ferma e decisa, anche se il labbro continua a tremarmi
innaturalmente: “…questo… questo che stava per succedere, non accadrà mai più… non
sono il tuo giocattolino…”.
La sua espressione,
da sconvolta che era, improvvisamente si indurisce,
diventando fredda, gelida, pietra scolpita: “Mi sembra che tu non sia stata
propriamente immobile… o che ti sei messa a scalciare per divincolarti…”,
sussurra: “Lo volevi esattamente come me…”.
“Che cosa era?”
chiedo, ignorandolo e tornando a guardarlo “Che cosa era, rispondi…”.
Senza nemmeno
prendere fiato, risponde sicuro, affondando le mani nelle tasche: “Un impulso e
basta… sono un uomo e mi eri vicina… questo credo che spieghi tutto…”.
Non ci posso
credere.
La rabbia mi offusca
gli occhi, mentre dico raggelata: “Tieniti gli impulsi nei tuoi pantaloni, fino
a quando sei in mia presenza, Malfoy… non ti avvicinare mai più a me…”.
“Tranquilla, Granger…
qualsiasi cosa fosse, è passata…” sibila ferocemente, poi solleva il mento
ripetendo: “Ora, visto che non abbiamo più nulla da dirci e non c’è più niente
di me che ti interessi, ti lascio ritornare alle tue
incombenze…”.
Senza dire
nient’altro, esce silenziosamente, senza nemmeno guardarmi in faccia.
I pugni chiusi, resto
immobile al centro del bagno, il mento alzato, l’espressione fiera di una
leonessa, gli occhi asciutti.
È solo quando sento
chiudere la porta che cado sulle mie ginocchia, ricominciando silenziosamente a
piangere.
“Sei sicura di stare
bene?” mi domanda per l’ennesima Hayden, mettendomi una mano sulla guancia e
guardandomi preoccupato.
Fingo un inespressivo
sorriso e annuisco, senza trovare la forza di aggiungere altro.
Lui sospira
stancamente, appoggiandosi allo stipite della porta d’ingresso del locale.
Fuori ha iniziato a cadere una pioggia leggera, dall’odore frizzante, e la
gente nella strada ha preso a correre per evitare di bagnare i vestiti leggeri,
adatti alla serata estiva, ma non alla pioggia che ha preso improvvisamente a
scendere. Alcuni guardano speranzosi verso il nostro locale, ma, quando leggono
la scritta “Chiuso”, si ritirano in buon’ordine, sbuffando un po’, storcendo il naso per l’odore
di vernice fresca.
Ma almeno domani, quando riapriremo, sarà tutto perfettamente
a posto. Abbiamo finito una mezz’oretta fa ed adesso
sto salutando Hayden.
O meglio si
sta salutando da solo… io non riesco
nemmeno ad aprire la bocca, per il groppone che ho in gola da questo
pomeriggio.
“Non stai bene,
Hermione… penso che sia evidente, no?” mi sorride teneramente, mettendomi una
mano sulla spalla “Improvvisamente, questo pomeriggio inizi a dipingere in
silenzio, ogni tanto scappi via e, quando torni, ha gli occhi rossi…Seth ti
punzecchia e non rispondi, ti cade una lattina di vernice sul piede e non
reagisci… ammetterai che è strano…”, sorrido ascoltandolo, mio malgrado,
appoggiando la testa alla porta, piegandola poco di lato, mentre continua: “…e
c’è anche un’altra cosa…”.
“Cosa?” chiedo,
muovendo leggermente le labbra, non credo nemmeno di averle aperte, ma un po’
di voce è uscita, a quanto pare.
Hayden sorride
teneramente, mentre mi bisbiglia, gli occhi quasi velati e un po’ socchiusi: “L’ombra…
nei tuoi occhi… il suo riflesso… oggi credo che sia diventato più pesante ed
evidente del solito…”. Trasalgo e mi stringo nelle spalle, a disagio. Sfuggo
dal suo sguardo che legge dentro me e cerco di
concentrarmi per rendere i miei occhi meno dannatamente sinceri.
“Non
me ne devi parlare, se non vuoi…” riprende a bassa voce “L’ho capito che è una
cosa complicata tra voi… molto più di quanto non sembri. Ma non vorrei che ti ferisse, che ti
facessi fare del male solo perché non sai rinunciare a lui…”, la sua voce si è
tinta di seria e determinata preoccupazione, dolce come miele vischioso nella
mia gola. Rompe gli argini che ho messo faticosamente alle mie lacrime,
cerco di nasconderle alla sua vista mentre riprende: “Tu sei forte, sei
determinata, intelligente… e sei bellissima…”. Un brivido caldo
e mi volto verso di lui, incurante delle mie guance bagnate.
Hayden sorride
ancora, poi mi prende per il polso attirandomi verso di lui e stringendomi
forte. Quel miele in gola, diventa improvvisamente così soffocante che mi
sembra di morire dalla tenerezza che provo, soffice, intensa, straziante. Lo
abbraccio a mia volta, non riuscendo a smettere di singhiozzare.
“Meriti di sorridere
ogni giorno della vita… meriti un principe azzurro, uno che potrebbe diventare
re, e regalarti il castello da fiaba dei tuoi sogni…” continua lui, la voce
come una ninna nanna che mi culla tra le sue braccia “E questo non credo di
dovertelo dire io… lo sai, Herm, che non fa per te. Forse non faccio nemmeno io
per te, ma non importa… eppure, qualsiasi cosa sia quello che
mi lega a te, io ci sarò per sempre per te… qualsiasi cosa succeda, quando
riuscirai a parlare, quando vorrai parlare, quando avrai solo bisogno di non restare da
sola…corri da me…io ti aspetterò…”.
Annuisco, continuando
a piangere, affondando il viso nel suo petto e stringendo le dita attorno alla
sua maglietta.
Gentilmente, Hayden
mi dà dei colpetti affettuosi sulla schiena, cercando di farmi calmare, fino a
quando riesco a dire con voce sufficientemente ferma: “Grazie”.
Mi stacco da lui,
cercando di sistemarmi come meglio posso, lui sorride ancora salutandomi, prima
di correre via sotto la pioggia.
Resto immobile per
qualche secondo, le scie della pioggia argentata nei miei occhi e nei miei
pensieri, un tuono che rompe il silenzio, facendo scattare un antifurto
lontano. Tendo la mano sotto la pioggia, si bagna velocemente mentre la guardo,
completamente svuotata di ogni cosa.
Il pensiero c’è
sempre, sotto le ceneri di me stessa, che arde inesauribile, e c’è anche il
cuore, che batte di ricordo stupido di mani calde su di
me, occhi grigi chiusi e labbra sottili, tinte di corallo. Ma,
se non mi muovo, se non faccio niente, se mi concentro sulla pioggia, o sulla
pittura, o su una cosa che ho davanti agli occhi, fino a far finta io stessa di
essere un bicchiere, un pennello, una bottiglia… almeno sento meno male, come
se fossi anestetizzata.
Non afferro nemmeno
le parole di Hayden, le faccio scivolare via come tutto il resto, per paura di
ricordarmi che cosa le ha provocate.
La mia
reazione di oggi pomeriggio, dopo che Draco…
Serro la mano bagnata
sotto la pioggia, morsicandomi le labbra, ancora, ancora, come tutto il pomeriggio,
il suo sapore lieve come un’eco in una vallata che scompare ad ogni morso che mi do, portandomi pietoso sollievo. Prima
o dopo, sparirà del tutto, se continuo a mordermi le labbra. Se ne andrà del
tutto…
Mi siedo per terra,
appoggiando la fronte sulle ginocchia, miriadi di voci nelle orecchie come
stormi neri nel cielo del crepuscolo.
“Herm…” mi sento
chiamare alle mie spalle.
“Dimmi Seth…”
rispondo pigramente, sollevando il viso e riprendendo ad
osservare la pioggia. Almeno la mia voce sembra ritornata la stessa.
“Stai bene?” mi
chiede lui gentilmente, sedendosi accanto a me e guardandomi.
“A meraviglia…”.
“Devi tornare a casa
adesso?”.
A casa… Io non posso tornare a casa.
Lo vedrei in
ogni dannata parete vuota.
Lo
avvertirei negli spot assordanti in televisione.
Lo sentirei
nella carezza dell’accappatoio sulla mia pelle, dopo la doccia.
Lo
respirerei nel profumo della pioggia, entrato dalla finestra della mia camera,
lasciata aperta.
Ovunque… se
restassi da sola, lui s’impossesserebbe del vuoto
attorno a me.
Nemmeno Astoria
poteva tornare a casa, così aveva detto. Forse, è una sua caratteristica
tagliarti fuori dal mondo, crearti una cupola attorno che ti tiene sotto vetro
impedendoti di respirare e di avere a che fare con qualsiasi cosa che non sia lui, il ricordo di lui o
il pensiero di lui.
Un’ossessione.
“No, Seth… posso
anche restare qui se vuoi…” aggiungo senza ombra di allegria, constatando che almeno la vicinanza di Seth riuscirà a
distrarre i miei pensieri. Lui è sempre così maledettamente rumoroso che metterà a tacere ogni altra voce nella mia testa. Anche se
questo significa restare più vicina a Draco… non importa.
Mi tocco
inavvertibilmente il petto, una fitta che mi fa annaspare, tanto è sempre qui dentro… poco importa
dove sia realmente.
“Vuoi vedere un
film?” mi chiede ancora Seth, prendendomi per un
braccio ed aiutandomi ad alzarmi, come se fossi davvero incapace di farlo. Sono
sempre così maledettamente cristallina che si accorgono tutti di ciò che ho… mi
metto in piedi orgogliosamente, puntellandomi sulle ginocchia, rifiutando
l’aiuto di Seth orgogliosamente. Lui sembra quasi rassicurarsi e mi dice un po’
più allegro: “Se ti va, ho un film che muoio dalla voglia di rivedere…”.
“Rivedere?” chiedo,
inarcando un sopracciglio “Non possiamo vedere un film nuovo… minimo l’ho già
visto anche io…”.
“E’ importante, un
film importante per me…” asserisce convinto,
mettendomi una mano sulla testa “Quindi voglio che lo veda anche tu…”.
“Ah vabbè…” commento,
incrociando le braccia “Se non è una cosa tipo Mr
Bean, ok… non lo sopporto…”.
Lui storce il naso,
evidentemente a lui piace, ma non aggiunge altro, quindi probabilmente non si
tratta di quello.
“E niente commedie
romantiche… non sopporto nemmeno quelle…” chiarisco preliminarmente.
“Sei più positiva del
solito…” sibila sarcastico Seth, iniziando a salire le scale, seguito a breve
distanza da me “Sai che se me ne vuoi parlare sono qui…”.
“Non c’è granché da
dire…” getto la bandana che ancora portavo in testa in un angolo della stanza
di Seth, dita sottili che spostano il
tessuto leggero passando nei miei capelli come se li volessero ravviare, e mi getto distrattamente sul letto, un braccio piegato
sugli occhi umidi.
“C’entra Danny,
vero?” mi chiede in un sussurro Seth, sedendosi accanto a me. Il mio corpo va
su e giù per il contraccolpo, mentre serro gli occhi in una stretta dolorosa.
“E’ un bastardo…”
bisbiglio, spostando il braccio e guardando il soffitto bianco “Non voglio che
abbia mai più a che fare con me…”.
“Lo so… o meglio, con te lo
è particolarmente…” continua Seth, stendendosi accanto
a me. Lo osservo di sottecchi, è la prima volta che dice una cosa minimamente
negativa sul suo eroe personale.
Deglutisco un paio di
volte, prima di dire velocemente, come se le parole bruciassero nella mia gola:
“Ci siamo quasi baciati Seth…”.
Lo guardo preoccupata
dalla mia rivelazione, ma lui sorride leggermente e si gira verso di me, la
testa poggiata sul braccio piegato: “Quasi, perché?”.
Arrossisco,
poi poggio la fronte sul suo braccio, lui mi accarezza leggermente la guancia,
le dita fredde sulla mia pelle bollente: “Perché non fa per me Seth… e me ne
sono accorta appena in tempo…”, prendo fiato prima di continuare: “Queste
settimane… stando qui… con voi… e con lui… vedendolo ogni giorno, mi ero illusa che
fosse diverso dalla persona che conoscevo… che fosse cambiato… ma lui è sempre
lo stesso… non è mai cambiato…”.
Abbasso ancora di più
il viso mentre riprendo a piangere, Seth che non smette un secondo di
accarezzarmi, come un’onda calda che avvolge il mio cuore in un abbraccio
stretto che mi ridà ossigeno.
Finalmente
riprende a parlare, la sua voce seria non sembra nemmeno la sua: “Hermione… è
ovvio che non sia mai cambiato… la gente non cambia mai, siamo per sempre
quelli che eravamo da bambini, da ragazzini… il passato di una persona non si
può cancellare. Mai. Lo sai, no?”.
Annuisco contro la
sua spalla.
“… tu non hai
conosciuto un altro Danny… hai conosciuto solo il Danny
che non ti aveva mai dato occasione di vedere… quello celato dietro la persona che detesti. E
quest’ultima non può smettere di esistere all’improvviso…” continua Seth con
voce roca “…perché fa parte di lui, è la persona che è sempre stato… la sola
cosa che ha per andare avanti...”. Lo
guardo continuare a parlare, offuscato dalle lacrime celate nei miei occhi: “…
io non so nulla di Danny. Non so che vita abbia fatto, chi abbia
conosciuto e chi abbia amato… non so perché sia così. Crudele, cattivo,
insensibile, menefreghista… la lista potresti farla
meglio di me. So solamente che sono quei lati che mette sempre a difesa di sé stesso… e so che, quando li abbassa, non è così. È la persona migliore del mondo…”, la sua voce si abbassa ancora mentre soggiunge triste:
“Non potrei fare a meno di quei lati, quegli buoni… l’attimo miracoloso in cui
abbassa la guardia ed è sé stesso. Non tutti siamo in
grado di essere sempre noi stessi, semplicemente non possiamo, non vogliamo… o
che ne so che altro. Tu sei sempre te stessa, fino all’inverosimile. Perché sei forte… lui… io…
no… eppure c’è chi ci ama anche per i momenti in cui siamo così chiusi da
ferire volutamente per non farci del male… o così frivoli da rompere le scatole
con uno stupido color lilla per tutto un pomeriggio… perché hanno visto l’altro e sono disposti ad aspettare anche
tutta la vita per rivederlo anche solo un istante… e continuare ad amarlo…”.
Resto immobile a
fissarlo, le sue parole come una coperta calda sulle mie spalle, mormoro
guardandolo: “Tu lo continui ad amare anche se ti
tratta male?”.
Seth si gratta pensosamente
la testa: “Non credo di amare Danny… sono troppo narcisista per innamorarmi di
lui… diciamo che il fatto che sia un gran bel pezzo di selvaggina
complica le cose, ma credo solo di volergli bene come
amico… e me l’hai fatto capire tu…”.
“Io?” chiedo
incredula, ancora una traccia di risata alla definizione gran bel pezzo di selvaggina.
“Tu, Herm, sì… so che
non ti piace esageratamente sentirlo, ma non posso esimermi dal dirtelo…”
prende fiato sotto il mio sguardo lievemente preoccupato, per poi affermare
sicuro: “…sono sempre più convinto che Danny sia
follemente innamorato di te…”.
La
sua voce si ferma, mentre soppesa la mia reazione, ma osservandomi
relativamente tranquilla perché non gli credo proprio, scambia il mio silenzio
per assenso o speranza o chissà che cosa, e riprende più sereno: “…e credo
anche che lo sappia, se ne sia accorto. Insomma è palesemente geloso di Hayden, ti ha già
baciato una volta, anche se sembra per scherzo o chissà che…oggi cerca di farlo
daccapo… se vuole una che gli riscaldi il letto, esce e la trova, non ha
bisogno di rompere le scatole a te... considerando anche il tuo carattere
impossibile…”.
“Carattere
impossibile?!” inveisco, dandogli un piccolo pugno
sulla spalla.
“Sì, sì, vabbè… possibile e meraviglioso…va meglio così?” ride lui, stendendosi meglio sul letto,
poi riprende la voce più profonda: “Potrebbe anche non essere come dico, in
fondo tu lo conosci meglio di me e, se non vuoi rischiare, evidentemente senti
che è una cosa impossibile, lo senti meglio di quanto possa fare io
dall’esterno... o magari ti piace davvero Hayden… non lo so…eppure per quanto mi
riguarda, una cosa è certa, Danny
sta cambiando… lentamente, ma ogni giorno di più…ha
avuto anche il coraggio di lasciare Summer finalmente… anche se era palese che non l’ha mai amata…”.
“Non l’ha fatto mica
per me…” obietto con un filo di voce.
“Lo so, ovviamente…”
ribatte Seth sicuro, come se stessi dicendo un’ovvietà gigantesca “Ma ha avuto
il coraggio di farlo solo quando sei arrivata tu… coincidenza strana, no? Si
cambia perché si ama. Decidi tu in che senso lui ti ama… si ama nel senso che conosciamo bene, ma si ama anche per
amicizia, per nostalgia, credo che si ami persino per odio. Odio per sé stessi, per il proprio passato… mettila come vuoi,
insomma. Ma solo quando si ama, per qualsiasi motivo, si cambia… ritornando al
mio discorso iniziale, credo che sia anche per quello che hai
avuto la percezione di vedere un nuovo Danny. Ti vede in modo diverso e
si rapporta con te in modo diverso… e allo stesso modo, ho capito che, se sono anni che Danny
è sempre allo stesso modo con me e viceversa, evidentemente non abbiamo un
sentimento così forte ad unirci… sia da parte mia che
da parte sua… so che Danny mi vuole bene, in fondo, come gliene voglio anche
io. Ma è un amore piccolo che non ci hai mai cambiati…
quindi non credo che sia così importante… come quello che invece ha per te, ti
ripeto, sia quello che sia. Il legame con te, sebbene lo logori dentro e si
vede, è così importante che lo spinge a muoversi, ad
agire, a cambiare appunto, pur di non rinunciare a te…”.
Soppeso le sue parole
nella mente, sono come sempre un caldo alito di vento
che mi danno respiro e ristoro dal gelo che mi prende a tratti. E mi rendo
conto che, da qualche tempo, sono completamente in balia di tre ragazzi che
governano la mia mente e il mio cuore: Draco che, come ghiaccio bollente,
spazza via tutto in me, rendendomi steppa bruciata ed
annerita, riarsa poi da un freddo pungente e incessante che mi congela,
rendendomi morta al mondo; poi dopo Draco, arriva sempre Hayden, come un
tiepido sole di aprile che rischiara le rovine di me stessa, riempiendole di
luce, di calore, di speranza tenue, facendomi risentire forte e coraggiosa; ed
infine Seth, l’acqua che cade copiosa dal cielo in gocce argentine, alleviando
il vuoto, facendomi risorgere del tutto, rendendomi fresca di vita e di
fervore.
Eppure, ad ogni resurrezione,
Draco mi toglie qualcosa.
Ogni volta so che, al di là delle parole di Seth ed Hayden, io inevitabilmente
perdo qualcosa per strada. Un po’ di coraggio, un po’ di orgoglio, un pizzico
di forza, una manciata di speranza. Ogni volta,
nonostante il sole e la pioggia, qualcosa smette per sempre di esistere.
Più penetro il
mistero di Draco e più non sono me stessa.
E sapere di Astoria… il quasi bacio, il sentirmi sua… mi hanno talmente congelato e sedato che avverto il calore
delle parole di Hayden e la freschezza di quelle di Seth, mi ci abbandono, mi
sento rincuorata e persino un po’ di lacrime tendono a sparire, ma non ci credo più.
Sono palliativi,
placebo che mi danno un po’ di sollievo. Vitali, necessari, indispensabili, ma
purtroppo non risolutivi di questa mia malattia.
La totale guarigione,
forse, sarebbe fare un bel incidente e perdere
completamente la memoria.
Credo che sarebbe
quella la sola strada.
Ma, intanto, recupero un po’ sensibilità al mondo,
ricominciando a sentire qualcosa… o perlomeno mi distraggo un po’.
“Grazie Seth…” mormoro convinta, anche se ovviamente non può sapere quanto
sia contenta solo del fatto che sia rimasto con me, piuttosto che di quello che
abbia detto.
“Di nulla…” sorride
lui, sollevandosi seduto sul letto “Allora, una bella doccia e dopo film?”.
Annuisco: “Ma si può
sapere che film sei tanto smanioso di rivedere?”.
Seth mi fa un sorriso
strano, prima di aggiungere: “Merry Christmas Mr Lawrence… l’hai mai visto?”.
“Ne ho sentito
parlare, ma no… di che parla?”.
Seth mi parla
sommamente della trama, parlando di una storia ambientata nel
Sorrido, mettendogli
affettuosamente una mano sulla spalla, lui sorride, si alza velocemente e dice
che mi precede sotto la doccia.
Quando chiude la
porta, mi stendo di nuovo sul letto, lo sguardo fisso sul soffitto. Il silenzio
totale che mi circonda, è rotto solo dai lievi rumori provenienti dalla camera
accanto alla mia, quella di Draco. Sento un piccolo pianto di Serenity e la sua
voce leggera, di cui non intendo le parole, cercare forse di calmarla.
Calpestio di passi mentre va avanti ed indietro,
cullandola. Un cassetto aperto e richiuso velocemente. Qualcosa poggiato sulla
scrivania. Ancora passi.
Mi alzo come se fossi
in trance, faccio qualche passo, arrivando alla parete che divide le nostre
stanze. Allungo la mano senza accorgermene, poggiandola sul muro, come se così
facendo, potessi toccarlo di nuovo come ho fatto questo pomeriggio. Sotto i
polpastrelli, la superficie liscia e fredda del muro immacolato diventa ricordo
ardente del suo volto sotto le mie dita, che si irrigidisce
e si distende, linee dure che diventano morbide. Chiudo gli occhi, poggiando la
fronte sul muro.
Alla fine,
dovunque io sia, non mi lascia mai in pace… l’orgoglio e la rabbia sono solo
deboli paletti che reggeranno fino a quando non l’avrò di nuovo…
Forse era meglio che
tornavo a casa…
Sento Seth uscire dal
bagno e mi affretto a fingere di star facendo qualcosa, prima di correre in
bagno a farmi la doccia. Cerco di fare più velocemente possibile, accendo anche
la radio mettendo sull’emittente caraibica per distrarmi la mente, mentre Seth
apprezza la mia scelta musicale e lo sento ballare fuori dalla porta. Che
scemo… sorrido bagnandomi il viso. Ora so perfettamente che questa persona
gioiosa e vivace, è solo uno schermo, non è sé stesso.
Dietro il sorriso, ora mi sembra sempre di sentirlo gridare che non ha la forza di
essere sempre sé stesso. Deduco che la persona che
nasconde ostinatamente, sia quella con cui ho parlato fino a poco fa. Il suo
vero io, insomma, un ragazzo estremamente sensibile e
fragile che ora ha capito di non essere ricambiato dal ragazzo che ama. Ha
foderato il suo discorso di riflessioni argute e sagaci, ha finto disinteresse
e rassegnazione, ma era evidente che ci sta male. Ed è anche evidente che, se
vuole rivedere quel film, è perché crede che gli darà la forza che non ha… magari ne desse un po’ anche a me…
Esco dal bagno,
asciugandomi i capelli alla bell’e meglio, mentre Seth si siede sul letto in
pigiama, accendendo la tv. Mi siedo silenziosamente accanto a lui ed iniziamo a vedere il film che si dimostra essere davvero
bello. Seth singhiozza un paio di volte e allora lo abbraccio, sorridendo e
cercando di consolarlo. Sebbene la tematica non era
certamente così delicata per me come per Seth, effettivamente anche io, alla
fine, sono abbastanza commossa. Inoltre, credo anche di essermi ricordata
perché il nome del film mi era conosciuto. È la colonna sonora che conoscevo,
non il film in sé.
Mentre Seth si alza,
spegnendo la tv, chiedo infatti: “La colonna sonora…
il tema, insomma… come si chiama Seth?”.
Lui, asciugandosi
ancora qualche lacrima con la manica del pigiama nero di raso uguale a quello
che indosso io adesso, ci pensa un po’ su e poi risponde sicuro: “Forbidden
colours di Ryuichi Sakamoto…
è un brano per pianoforte abbastanza famoso…”.
“Ecco perché mi
sembrava conosciuta…” sorrido illuminandomi di comprensione “Mia
mamma quando ero piccola, mi fece prendere lezioni di pianoforte per
qualche anno... e in un saggio, ricordo che feci proprio questo pezzo…”. Mi
viene curiosamente da ridere, ricordando quel momento.
Ricordo solo le mie
scarpette nere di vernice con cui non arrivavo nemmeno al pianoforte, dato che a dieci anni ero ancora abbastanza bassa, e la
maestra che mi prendeva in braccio per farmi arrivare allo sgabello. Lucide
tele dorate di note si intrecciano nella mia mente, a
quel ricordo. Il saggio non andò benissimo, ricordo che c’era una posizione
particolare con il pollice che non riuscivo mai a fare bene, e nemmeno allora
mi riuscì. Iniziai a piangere, mentre cercavo comunque di portare a termine
l’esecuzione, finché la mia mamma mi venne a prendere dal palco e mi prese per mano, facendomi scendere.
Lei lo sapeva sempre
con estrema esattezza che, se una cosa non mi viene perfetta, non ne voglio
nemmeno sentire parlare più.
Piuttosto ricomincio
dal principio, ma mai la lascerei volutamente imperfetta.
Mi fece piangere,
andammo a prendere un gelato al cioccolato e menta, cosa che allora mi faceva
impazzire, e poi mi aiutò a mettere a punto quel pezzo
alla perfezione, assieme con papà. E la settimana dopo, andarono
a parlare con la maestra e pretesero che rifacessi la mia esibizione davanti a
lei, a loro e ad alcuni amici.
E allora mi venne
perfetta.
Non me ne ricordavo
più.
Credo perché,
solamente qualche giorno dopo, ebbi la lettera di ammissione di Hogwarts. E
tutto quello che era stato fino a quel momento, smise improvvisamente di
esistere. Compresi i miei genitori che, con il mio nuovo mondo, non avevano più
niente a che fare… e dimenticai persino il pianoforte, la mia grande passione
infantile.
Abbracciai la magia
con tutta me stessa.
Credevo che
fosse la sola cosa che mi rendesse speciale.
“Davvero? E ricordi ancora come fa?” mi chiede speranzoso Seth, sedendosi
accanto a me.
Annuisco quasi
malinconicamente, ovvio che me la ricordi. Fino a qualche attimo fa, nemmeno ci
pensavo e ora invece ricordo perfettamente ogni posizione delle mie dita sui
tasti.
“La suoneresti per
me?” mi chiede Seth ancora. Se fosse un cane, credo che starebbe scodinzolando.
“Sperando che me la
ricordi tutta, sì…” sorrido, è da tantissimo tempo che non suono e mi fa
discretamente piacere. Quando ero piccola, ricordo che mi dava una pace ed una serenità assurda suonare. Mi sedevo per ore dietro la
finestra, e passavo il tempo a strimpellare, mia mamma
che mi correggeva qualcosa e mio papà che mi scompigliava i capelli con
affetto, pulendosi gli occhiali sul maglione rosso. Mamma e papà.
Seguo Seth giù per le
scale, in punta di piedi, nel caso dovessimo svegliare Draco o Serenity che probabilmente
staranno già dormendo, essendo mezzanotte passata. La porta della sua stanza è
socchiusa, spero solo che non sia andato di sotto. Seth avanza davanti a me,
cercando a tentoni l’interruttore generale, poi, quasi
saltellando, raggiunge il pianoforte nero, ancora coperto da un telo per
impedire che si sporcasse di vernice.
Poi mi fa segno di
sedermi.
Come un dejà vu di
ere fa, ricordo perfettamente di sistemare lo sgabello alla mia altezza, di
controllare che il piano sia perfettamente accordato e di mettermi nella
posizione perfettamente dritta che mi imponeva sempre
la maestra di piano. Ed anche quando inizio a suonare, è come un flutto di
ricordi che si riversa sulle mie dita… ecco, il punto che mamma mi sistemò quel giorno che pioveva e si allagò
lo scantinato… l’incertezza sul do, con papà che batteva il piede ritmicamente
sul pavimento… alla fine della
melodia, mi scappa persino da piangere, Seth ovviamente mi batte e se ne scappa
di sopra in lacrime, accusando un’allergia improvvisa.
Che scemo…
Resto seduta per
qualche istante, sicuramente scenderà subito, imponendomi di suonare per altre
ventinove volte.
Scorro leggera le
dita sui tasti, ancora caldi dopo che ci ho suonato, e sorrido, è strano,
nostalgia mista ad una strana malinconia allegra. È
come se avessi ritrovato un vecchio amico. Forse dovrei riprendere davvero a
suonare, mi sento anche un po’ più calma.
Siccome Seth tarda a
tornare ed evidentemente sta allagando camera nostra, mi alzo per tornare di
sopra. Se mi inzuppa il cuscino, lo prendo a sberle.
Mi volto ed immediatamente faccio un passo indietro per la sorpresa,
finendo contro lo sgabello e scivolandoci di nuovo seduta. Resto immobile per
qualche istante, arrossendo, poi cosciente della situazione, cerco di
riprendermi alzandomi in piedi: “Non volevo svegliarti… mi dispiace… torno a
dormire…”.
Eppure, nonostante
sento ancora l’eco di questo pomeriggio, nonostante io sappia di dovermene
andare quanto prima da qui, nonostante io sappia tutto questo… e nonostante,
forse, mai come ora, sono consapevole che dovremmo stare divisi e nemmeno
guardarci un attimo di più… io non riesco nemmeno a pensare di fare un passo, quel passo, che mi allontani adesso da lui. Dentro, è come se sapessi
che non posso farlo.
Come se sapessi
perfettamente che ora è questo il mio posto.
È la stessa
consapevolezza che avevo, quando incontrai Harry e Ron sul treno, e seppi che
sarei stata loro amica.
È la stessa
consapevolezza che sentivo, quando intravedevo Ginny da bambina, e sapevo che
sarebbe finita con Harry.
… è la stessa consapevolezza di questo pomeriggio…
di essere nata solo per essere tua.
È questo il
mio posto. Assurdo, illogico, ma così naturale e scontato che mi chiedo che
cosa mi spinge a dirmi sempre il contrario.
Il fuoco
brucia. Il mare non si ferma mai. Il cielo non è mai uguale a sé stesso. La terra fiorisce di primavera e muore d’inverno.
E io sono
nata per stare qui.
L’orgoglio,
ovviamente, geme in me, irritazione nei miei piedi immobili, e la rabbia,
naturalmente, mi fa serrare le mani a pugno per l’impotenza e la frustrazione.
Ma il cuore, no…
saldo, sicuro, determinato, palpitante… trema
dell’attesa che lui parli.
Quando mi decido a
guardarlo in viso, capisco e non so come diamine succeda, che siamo alla resa
dei conti.
Perché Draco non
sembra nemmeno avermi sentito.
E il suo viso… io non
credo di averlo mai visto in nessun altro al mondo.
Immobile, livido, le
labbra bianche, l’espressione sconvolta, mi guarda
come se stesse cercando disperatamente di dirmi qualcosa, solamente
guardandomi… qualcosa che assomiglia ad una supplica, una preghiera, una
richiesta d’aiuto. E stona sul suo viso così enormemente che, per un attimo, mi
sembra di non stare guardando lui, ma un’altra persona. Come sempre, poi, sono
i suoi occhi a non tradirlo mai, a non ingannarmi mai. Solo gli occhi del mio
angelo dannato, sono di quel colore. E di occhi grigi so che ne esistono a
decine di milioni nel mondo. Eppure, i suoi li riconoscerei sempre, anche se li
vedessi un istante in un mare di gente.
Sanno di ghiaccio, di
mare d’inverno, di distese prive di vita. Ma sanno
anche di fuoco che mi brucia, consumandomi.
E ora il fuoco si
avviluppa attorno al mio cuore, brutale, facendolo a pezzi. I suoi occhi, la
cosa più bella che io abbia mai visto… sono… lucidi.
Per la prima volta,
da quando sono qui, Draco Lucius Malfoy sta piangendo. Sono rivoli argentati
quelli che scendono lungo le sue guance, rovinando sulle sue labbra, rendendole
quasi rosse del loro colore perduto. Singhiozza Draco, con i capelli spettinati,
un pigiama che sembra più piccolo del solito, addosso a lui. Sembra un bambino,
quel bambino che non è mai stato, stretto nella favola
del piccolo principe delle serpi che ha solo un funesto castello di morte da
ereditare.
Mi intenerisce come non ho mai pensato che potesse fare, e il
mio cuore è cera che si scioglie in un rogo inestinguibile.
Stringe le labbra
come se tentasse di smettere, come se volesse davvero fermarsi dal piangere, ma
non ci riuscisse, non ce la facesse.
Il ragazzino
nella cucina a Grimmuald Place…
in realtà non ha mai smesso di esistere… come sempre, Seth ti conosce meglio di
me, anche se tento sempre di convincermi del contrario e del fatto che sono la
sola depositaria dei segreti reconditi di Draco Malfoy.
Seth aveva
ragione… tu sei sempre tu.
Il rampollo
dei Malfoy che è abituato a prendere tutto quello che vuole, anche con i mezzi
più abbietti.
L’ex
Mangiamorte che ucciderebbe chi lo ostacola con ferocia e disumanità.
Il traditore
di ogni parte che avrebbe ucciso i suoi genitori, se non l’avesse fatto qualcun
altro.
E poi sei il
ragazzo che piange di un ruolo più grande di lui in una cucina sconosciuta, che
teme che qualcuno gli porti via sua sorella…
… e che
difenderebbe me da una donna a cui, in qualche modo,
era legato… che mi bacia in una terrazza al novilunio per proteggere il nostro
comune segreto… che mi abbraccia perché resti qui… che vuole baciarmi e mi dice
che non ho bisogno di giochetti per tenerlo legato a me…
Possibile che tutto
quello che mi abbia detto, io l’abbia sempre capito come volevo?
Possibile che solo ora
capisca quello che davvero voleva dirmi?
Mi si stringe il
cuore in una morsa ghiacciata e faccio quasi di corsa quei pochi passi che mi
dividono da lui, afferrandolo per la manica del pigiama. Un volo folle e
disperato, dove ogni cosa mi sembra possibile.
Posso curare
le tue ferite, medicarle, fare in modo che tu senta meno male e che possa
riprendere a sorridere. Sorridere di quel sorriso obliquo e
imperscrutabile, eppure più sincero di quello facile di Ron o di quello
prevedibile di Dean.
Posso starti
vicino anche in silenzio, senza dire nulla, anche se sai
quanto vorrei farti tante domande e avere tante risposte. Ma mi
imporrò il silenzio se a te piacerà e ammanterò tutto il mondo di
silenzio, se me lo dovessi chiedere.
Posso
continuare tutta la vita a non pretendere niente di più che avere te accanto,
nemmeno averti vicino se per te sia troppo, posso vivere così per
sempre, anche avendo solamente te e Serenity e
considerarmi comunque la donna più felice del mondo.
Posso
prometterti tutto questo, oggi, adesso, domani, per sempre.
Ma ti prego,
Draco, non piangere più… ti prego… stavolta ti capirò. Oppure lo stesso non ti
capirò, ma ci sarò lo stesso.
Ti prego non
piangere più…
“Draco...” lo chiamo piano, lui che resta a testa bassa, i suoi
singhiozzi amplificati dal silenzio del ristorante.
Lo scrollo piano,
cercando di richiamare la sua attenzione, ed è allora che, in un secondo
velocissimo, che mi afferra a sua volta per il pigiama, aggrappandosi
saldamente a me, ma con troppa forza. Infatti, scivola in ginocchio e io assieme a lui.
Mi ritrovo seduta per
terra, lui che piange su di me, la testa china sulla mia spalla. Lo abbraccio
di slancio, allacciandogli le braccia attorno alle spalle, sentendo che sto
piangendo anche io, senza un perché, per il solo fatto
che stia piangendo anche lui. Le sue lacrime scivolano sul raso del mio pigiama
e vorrei che invece le assorbisse, le trattenesse fino a farle sparire, fino a
cancellarle, fino a quando lui stesso non le senta più sue e torni ad insultarmi, a prendermi in giro, a fare qualsiasi cosa
purché sia più felice, allegro di come è adesso. Non posso sopportarlo. Non riesco nemmeno a respirare se stai così. Ti prego, Draco…
Non so quanto sia
passato, quando finalmente apre la bocca e pronuncia delle scarne,
sintetiche parole.
Eppure, i singhiozzi
che le velano mi fanno sembrare che siano durate una
vita intera.
“Lei… lei la suonava
sempre… e io pensavo che fosse una melodia magica.
L’ho cercata…tanto… ed invece era babbana…”.
Siamo alla
resa dei conti.
Un ronzio nelle
orecchie, come se si addensasse un temporale lontano, oltre l’orizzonte mentale
dei miei pensieri. Veloce, rapido, implacabile, oscura ogni mio ragionamento.
Se sono ancora qui, io non sono più io.
Non
chiedergli niente. Non dirgli più nulla.
Quella che
non sono più io chiede con un filo di
voce, stringendolo più forte: “Lei, chi?”.
Le sue dita si
stringono attorno al tessuto leggero del mio pigiama, una presa d’acciaio che
temo mi strapperà anche la carne di dosso.
Non sono
fatti suoi, io odio
Non
rispondermi.
Dice solamente:
“Helena Jasmine Greengrass… la sola donna che abbia mai amato e che mai amerò… la mamma di Serenity…”.
Non era un
temporale.
Non poteva
esserlo.
Anche se il
lampo c’è stato ed ha illuminato tutto, a giorno, dentro di me. Tutto. Tutto.
Tutto.
E tutto…
tutto era distrutto con la forza di un maremoto, non di un temporale.
Rovesciato,
sconvolto, rivoltato da sopra a sotto. E poi distrutto, polverizzato,
incenerito, annientato, annullato, cancellato.
Io stessa…
sono stata cancellata.
Nel silenzio
del nulla, prego che arrivi qualcosa che mi distragga dal dolore. Che mi uccida
e mi levi questo posto designato, maledetto da chissà chi.
Ditemi che
mi sbaglio, ditemi che non è il mio posto… ditemi, vi
prego, che non è così che…
Draco ovviamente non mi sente urlare, forse sente
solo che mi aggrappo a lui come se temessi di affogare.
E lui fa lo stesso con me.
La sola cosa che ci unisce, è questo. Aggrapparci l’uno all’altra,
come se temessimo di morirne, come se queste parole fossero spade fiammeggianti
sulle nostre teste, pronte a squartarci, a farci a pezzi.
Ci accomuna anche il perché di questo aggrapparci… anche se va
in direzioni opposte.
Perché, nel secondo esatto che trascorre tra le sue parole e le mie
lacrime, in quel secondo esatto… lui probabilmente ricorda la donna che ancora
ama più di sé stesso.
…ed io, nel mio cielo sconvolto e polverizzato da un lampo feroce e
spietato, trovo il pezzo che mi mancava. Il nome. E capisco che lo sono anche io.
Come te… che
non lo sei di me.
In un secondo passeggero come il vento, capisco la cosa, al contempo,
più facile e più difficile tra tutte.
Sono follemente innamorata dell’uomo che piange per un’altra,
aggrappandosi a me, come se stesse annegando.
Sono follemente innamorata di Draco Lucius Malfoy.