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Autore: cabol    13/01/2010    4 recensioni
...che farò senza Euridice?
Genere: Parodia, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità
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Silenzio. Udite. È fu già un pastore
Figliuol d'Apollo, chiamato Aristeo.
Costui amò con sì sfrenato ardore
Euridice, che moglie fu di Orfeo,
che sequendola un giorno per amore
fu cagion del suo caso acerbo e reo:
perché, fuggendo lei vicina all'acque,
una biscia la punse; e morta giacque.

Angelo Ambrogini, detto Poliziano (1454 – 1494)

Tracia, un pomeriggio di fine estate di migliaia d’anni fa.

Nell’altopiano ai piedi dei monti verdeggianti di conifere, sulle rive dello Strimone, i melodiosi canti degli uccelli s’interruppero per ascoltare i possenti acuti di una meravigliosa voce maschile, accompagnata dal suono armonioso di una lira, che fuoriusciva da una semplice capanna dal tetto di ardesia.

I pastori sedettero e gli armenti cessarono di brucare, quasi paralizzati dalla melodia soave che si diffondeva nell’aria tersa. Tutta la natura parve sospirare al ritmo della musica, si poteva immaginare che anche gli Dei si fossero radunati lì intorno per ascoltare.

Un giovane snello, dallo sguardo intelligente, si avvicinò alla porta della capanna e, apertala, scivolò dentro, unico autorizzato ad assistere alle prove del Maestro. Museo era il suo nome e Orfeo, il prediletto di Apollo, il suo mentore.

Io l’ho perduta! Crudel disinganno!
Mai più rivedrò gli occhi suoi ridenti,

Mai più il nettare d’amor suggeranno

Da lei le labbra mie d’amore ardenti!

Né gioia né più amore canteranno
I versi miei, le note mie piangenti.
Vana fu l’arte! Vano l’amore immenso

Che piegar seppe d’Ade il crudel senso.


Calliope madre, a che valse il tuo sangue

Che nelle vene mie invano scorre?

Il soave canto d’Orfeo tuo langue.

Pure, in Cerbero pena seppe porre,

sì che di cercar Euridice esangue

permise e ‘l dolor mio ad Ade esporre.

Vana fu l’arte e l’immenso mio amore
che risonar fe’ le immote dimore.

Il canto meraviglioso s’interruppe e la natura riprese le sue attività. Gli uccelli tornarono a cinguettare, un po’ intimiditi dal confronto, e le pecore a brucare, rispettosamente e senza far troppo rumore. Gli Dei, presumibilmente, ripresero a far muovere il mondo secondo i loro voleri e i loro capricci.

Orfeo posò lo strumento donatogli da Apollo stesso e sollevò il capo, rivolgendo uno sguardo sognante a Museo.

«Allora? Che ne pensi? Ti commuove? ».

Museo sospirò e si sedette sulla panca. Quasi gli dispiaceva che la sua voce, certamente meno soave di quella del Poeta, dovesse risonare in quel luogo dove, fino a un attimo prima, echeggiavano note divine.

«Maestro, la tua lirica tocca il cuore, la tua voce farebbe piangere una roccia ...».

Il grande artista sorrise all'allievo prediletto. L’aveva scelto fra tanti per la sua straordinaria sensibilità.

«... ma sei certo che sia il caso di proporre questi versi, stasera?».

«Eh? Cosa? Stasera?».

Orfeo non capiva assolutamente dove volesse andare a parare il giovane Museo che pareva decisamente a disagio. Ripensò rapidamente al programma di quei giorni. Sì, certamente l’esibizione era prevista per quella sera. E allora?

«Sì … stasera devi cantare alla festa in onore di Dioniso … sai, le Baccanti ...».

Il viso del Maestro s’illuminò di gioia.

«Certo … le Baccanti … appunto … me le immagino di già, in adorante silenzio, con gli occhi gonfi di commozione … sarà un successo travolgente».

Il disagio aumentò negli occhi del giovane allievo che si fissarono insistentemente su un punto alle spalle del suo celeberrimo mentore.

«Maestro, tu conosci il culto di Dioniso?».

Orfeo si voltò per capire cosa stesse guardando l’allievo. Distrattamente, con magnanimità, rispose alla domanda impertinente.

«Ma sì, ma sì … il vino. Speriamo ce ne offrano di buono, stasera».

Ma poi cosa c’entrava il culto dionisiaco? Quella sera lui, Orfeo, era l’ospite d’onore della festa. Il Meraviglioso Cantore era evidentemente infastidito da quelle insignificanti obiezioni. Riprese la lira per accingersi a provare qualche altra ottava. S’interruppe vedendo Museo aprire bocca.

«Se canti questa roba alle Baccanti, ti linciano». Ecco, l'aveva detto.

Il Poeta spalancò gli occhi, pieni d’indignato stupore.

«Perché? Sono donne, queste cose devono apprezzarle! Sarà un successo straordinario!».

Il giovane si agitò sulla panca. Quel delirio cominciava ad angosciarlo.

«Orfeo, non dire che non ti avevo avvertito: alle Baccanti interessano solo il vino e il sesso. Qui di sesso neppure l’ombra e il vino… temo ti sia servito solo a trovare l’ispirazione».

Il corpulento cantore balzò in piedi e la sua splendida voce tuonò nella capanna.

«Sei un materialista da due piastre!».

Museo sentì salirgli il sangue agli occhi. Stavolta sapeva benissimo che non si sarebbe trattenuto.

«Orfeo, sono due anni che ammorbi l’Ellade con questa storia! A parte che ormai la sanno anche i gatti, poi la gente lo capisce che te la sei inventata di sana pianta».

«Questa è poesia! Poesia immortale!».

Nulla da fare. Non capiva o non voleva capire. Museo stava arrivando al colmo dell'esasperazione.

«Per Aristeo, invece, è calunnia pura. Lei ci stava eccome!».

«Lui l’ha violentata! Lei urlava come una forsennata!».

L'allievo ridacchiò, rammentando la scena.

«Lo so che urlava. L’abbiamo sentita tutti. Ma non si lamentava affatto …».

Gli occhi del Poeta vagarono per la stanza, ignorando le obiezioni del giovane. Quanta poca sensibilità in quell’animo ignorante!

«La mia povera Euridice …».

«Orfeo, ti vuoi rassegnare ad accettare la realtà? Euridice se la fa con Ade, il taverniere».

«… l’avrei ripresa anche dall’Averno …».

«Questa poi! Ma se ti hanno buttato fuori a calci, da quella taverna! Eri ubriaco fradicio!».

«Ero un uomo disperato. Quei diavoli non capiscono nulla dell’animo umano. Che farò senza Euridice?».

«E tu non capisci nulla delle donne, Orfeo. Euridice si aspettava altro da suo marito, oltre a canzoni e poesie!Prima ti ha cornificato con Aristeo e prima ancora con metà dell’equipaggio dell’Argo».

«Queste sono calunnie! Euridice mi adorava! Viveva per le mie canzoni e se continuerò a cantarla, prima o poi tornerà da me!».

La meravigliosa voce del Cantore si era fatta stridula per l’indignazione. Quel ragazzo non capiva nulla di arte. Era solo un caprone materialista.

«Puoi cantare tutto quel che vuoi ma lei non tornerà, anche per quella storia di Calaide …».

«Museo! Non ti permetto …».

Ormai nulla avrebbe fermato l’esasperato giovane che, paonazzo per la rabbia, ignorò le proteste del Maestro.

«Ti ha beccato mentre lo baciavi! È chiaro che c’è rimasta male. Ora sta con un altro e tu sei libero di farti tutti i ragazzi che vuoi. O le donne, se ti va. Ma Euridice è un capitolo chiuso. Canta qualcosa di minimamente allegro, piantala con questa lagna! Qui siamo in Tracia, non ti conoscono, potresti ottenere davvero un po’ di successo ».

L'Artista lanciò uno sguardo pieno di commiserazione a quell'anima ignorante, grezza e priva di qualsiasi sensibilità artistica.

«Questo è troppo! Sei un bifolco e basta. Inutile che perda tempo a insegnarti qualcosa. Fuori di qui e non farti più rivedere! Io, stasera, canterò alle Baccanti e sarà un trionfo che mi schiuderà le porte dell’immortalità».

Note:

1) Il mito di Orfeo è ben noto e la citazione del Poliziano serve solo per ricordare l’antefatto.

2) Ovviamente, Orfeo non avrebbe mai cantato un’ottava toscana. Ho scelto questa forma poetica in omaggio al grande Ariosto, uno dei più nobili progenitori del Fantasy moderno.

3) Quella sera Orfeo fu puntualmente fatto a pezzi dalle Baccanti e gettato nel fiume. Si dice che la sua testa, posata sulla lira, abbia attraversato l’egeo per giungere, sempre cantando, fino a Lesbo. Immaginatevi lo shock per i poveri isolani …

  
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