You could be my
unintended
Choice to live my life extended
You could be the one I'll always love
You could be the one who listens to
my deepest inquisitions
You could be the one I'll always love
I'll be there as soon as I can
But I'm busy mending broken pieces
of the life I had before.
Muse, unintended.
Capitolo quattro
Ancora tu?
«So
che fra voi è finita.» dico fissandola negli occhi
verdi, afferrando la maniglia della porta d’ingresso di casa
sua.
La sua espressione
è indecifrabile, e vorrei, anche se pochi attimi, leggere i
suoi pensieri, capire i suoi più profondi segreti. Ma non ne
ho il potere, posso solo ammirare i suoi occhi limpidi e agognare le
sue labbra.
Sospiro, consapevole
che con un solo passo posso varcare la porta del mondo della follia.
«Robert…
è finita da tempo, in fondo.» mormora.
«Allora
perché?» insisto avvicinandomi a lei e sfiorendole
il viso con i polpastrelli.
«Non…
non ce la faccio… tu sei Rob, io e te lavoriamo
insieme…e», non le do il tempo di finire la frase
che poso le mie labbra sulle sue, morbide e delicate.
E’ inerme
dinanzi a me, il suo corpo rigido. Le mie labbra si muovono sulle sue,
con estrema delicatezza incitando le sue. Risponde al bacio.
E’ ciò che voglio. Le sue mani giocano fra i miei
capelli.
Mi ricamo un piccolo
spazio, un angolo di finta perfezione. Ciò che
verrà domani non mi importa… perché
è un altro giorno.
Si stacca, piano,
prendendo fiato, «Lasciamo del tempo, ti prego.»
dice con voce rotta e tremante.
Guardo i suoi occhi
sinceri e chiari… e non posso dire di no. Il cuore mi si
stringe in una dolorosa morsa di fonte al suo sguardo supplichevole e
disperato.
Premo il palmo della
mano sulla sua guancia e le bacio la punta del naso.
«Tutto il
tempo che vuoi.», e mi costa dirlo, dio se mi costa.
Disarmato dai suoi
occhi non posso fare altro che arrendermi.
Era
sorprendente come le mie mani si muovessero sulla tastiera di Charlie,
la mia amata, vecchia e secolare chitarra. Era sorprendente
perché la mia mente era altrove, mentre pigiavo sulle corde
sottili e le pizzicavo. Eppure si muovevano, armonicamente, prima
veloci, poi piano, poi di nuovo veloci.
La mia mente era come entrata in standby, allontanatasi dal mondo per
perdersi in spazi infiniti… per perdersi nelle bianche
spiagge caraibiche, il sogno di una vita, la vacanza perfetta.
Era passata poco più di una settimana dal giorno in cui
Kristen mi aveva fatto quella amare richiesta. New Moon era uscito
nelle sale. Le prime erano iniziate, le interviste ed i servizi
fotografici aumentati… e l’irrazionale forza
d’attrazione perso Kristen non era cessata. Forse avevo solo
bisogno di staccare la spina, di… svagarmi. Si, forse era
quella la chiave di tutto.
Mi passai una mano fra i capelli, dopo aver poggiato la chitarra sul
letto, mi diressi in cucina per un caffè.
L’orologio segnava le dieci del mattino, e nel giro di
quindici minuti sarei dovuto andare ad incontrare il regista di un
nuovo film. Avrei fatto parte del cast, una personaggio secondario. E,
a quanto capito, mi sarei dovuto occupare di una parte della colonna
sonora, o addirittura suonare all’interno del film. Era tutto
un forse, certo, ma il dover
integrare la musica con la recitazione era qualcosa che mi
rendeva… felice. Anche se non totalmente. Avevo come
l’impressione che qualcosa nella mia vista non fosse nel
verso giusto, come l’impressione di aspettare qualcosa di
indefinito, qualcosa che solo il tempo avrebbe portato. Era strano,
oppure folle, tale consapevolezza mi fece ridere d’isteria,
mentre mi versavo del caffè in una tazza.
Con la tazza fumante in mano mi diressi in soggiorno. Afferrai il
telecomando, sintonizzandola su un canale di musica, prima di ritornare
in camera per prendere una felpa. Dalla tv si diffondevano note
energiche di stridenti chitarre. Una voce femminile cantava, chiara
fino a farsi suadente.
Corrugai la fronte, non era una voce a me familiare, esattamente come
la canzone. del tutto nuova alle mie orecchie. Girando sui talloni, con
il busto rigido, ritornai in soggiorno incuriosito da quella voce e
dalla melodia.
Quando fu inquadrato il viso della cantante sentii il mio corpo
irrigidirsi, prima che un sorriso mi colorasse il viso. I capelli neri,
lunghi e lisci le incorniciavano il viso, i grandi occhi turchese,
sorridevano, eco della bocca.
Rachel. Quand’era stata
l’ultima volta che avevo visto il suo viso? Un mese? Si, un
mese.
La guardai, cantare con le labbra poggiate sul microfono
argentato, i capelli muoversi a ritmo di musica, mille sorrisi
illuminare il viso dalla pelle rosea.
Gioia.
Feci un risolino, scuotendo il capo, quando la canzone
terminò. Per qualche inspiegabile motivo, forse per la
musica, o per il sorriso di Rachel, contagioso anche dalla tv, tornai
in camera da letto, con l’ombra di un sorriso sul viso.
Vita.
Scesi dall’auto, infilandomi gli occhiali da sole dalle
spesse lenti nere. Affondai le mani nelle tasche della giacca di pelle
che indossavo, quando sentii il cellulare vibrarmi nella tasca.
Lo afferrai e lessi il nome che lampeggiava imperterrito sul display.
Corrugai la fronte confuso e portai il telefono all’orecchio.
«Pronto?»
«Ehi, Rob. Come te la passi?»
«Al solito, Kellan. Tu? Devo questa telefonata ad un preciso
motivo?» chiesi perplesso.
«Io, tutto okay. Ehi, non posso chiamare un amico per sapere
come sta? Ci deve essere per forza un doppio fine?»
Entrai nella struttura, fermandomi un attimo davanti
all’ingresso. «Kellan.»
«Okay, okay. Ti va una birra? Eliza è partita per
lavoro e sento il bisogno di affogare i miei dispiaceri
nell’alcool.», il suo tono di voce, rigorosamente
teatrale, mi fece sorridere e scuotere il capo quasi divertito.
«Io dovrei… »
«Dai Rob, non esci più di casa. Chi ti vede
più ormai? Ti farà bene, re della birra.
Dai.»
Guardai l’orizzonte oltre la grande vetrata
dell’entrata, perdendomi nel sole che illuminava il paesaggio
filtrato un sottile strato si nuvole.
Si, in fondo, non mi avrebbe fatto male. Era l’occasione
giusta per staccare, anche solo per poche ore. Prenditi
ciò che la vita di offre. Era una buona filosofia
e sapevo che dovevo seguirla. Piano, stavo diventando ciò
che non ero, mi stavo allontanando da… Robert.
La verità era che, guardandomi allo specchio, non
riconoscevo più il Robert di un tempo. Quello che usciva la
sera per divertirsi, che si godeva la vita attimi per attimo,
così, come si presentava ai suoi occhi. Stavo sbagliando e
sapevo che dovevo riprendere in mano le redini della mia vita. Uscire
quella sera sembrava una buona occasione e dire di no ad un Kellan
supplicante era del tutto impossibile.
Ai miei stessi occhi, la mia apparve una patetico tentativo di auto
convincimento.
Sospirai, sfilandomi gli occhiali. «Okay,
verrò.»
«Ti farò un monumento, Rob. Passo da te
per le nove.» disse esultante.
«D’accordo.» risposi con una nota di
passività nella voce.
«E per favore, abbandona almeno per una sera la maschera da
zombie.», ma, ora, il suo tono di voce non era
più scherzoso, era serio, lo sentivo, ed immaginai
l’espressione del suo viso, quella che non ammetteva repliche.
Sospirai. «Non c’è nessuno
zombie.» mentii.
«Ci vediamo dopo.» dissi riappendendo. Non gli
diedi il tempo di rispondere, o semplicemente non sentii la sua
risposta, data nel momento in cui allontanai il cellulare dal mio
orecchio.
D’un tratto, chissà per quale motivo, la serata mi
si prospetto dannatamente triste.
«Perciò,
direi che possiamo vederci domani. Proviamo qualche scena, per vedere
come ve la cavate, tutti insieme.» disse quello che era il
mio nuovo regista sistemandosi gli occhiali sul naso aquilino.
Annuii col capo, con viso inespressivo.
Ero seduto ad un tavolo ti vetro e metallo laccato di bianco, in una
stanza per le riunioni. Sparpagliati al tavolo, numerosi, eravamo forse
una ventina. Tutti i posti erano occupati, eccetto uno,
all’angolo in fondo. Non conoscevo nessuno, lì, se
non qualche nome udito per caso in tv o letto su una rivista. Ascoltavo
lo staff organizzare la giornata successiva, parlare delle prove, degli
accorgimenti che erano riusciti a fare quel giorno, sul copione,
provandone un paio di battute fra i protagonisti.
Non avevo ancora letto l’intero copione, l’indomani
mi sarebbe stato consegnato per farmi un’idea chiara e
precisa della trama, dei sentimenti e le preoccupazioni dei vari
personaggi. Così, avrei potuto passare ai testi, alla
musica. Il mio essere conosciuto anche come… musicista,
grazie a Twilight avrebbe agevolato la vendita del
film, secondo i dirigenti. Ma al riguardo nutrivo seri dubbi. Forse non
ero la persona adatta per un incarico del genere.
Ero perso nelle mie congetture tanto da non accorgermi più
di ciò che accadeva intorno a me, da non accorgermi delle
persone che mi stavano intorno, da non accorgermi della porta che si
apriva e si richiudeva, del sospiro di sollievo comune, delle battute
di un paio di attori, delle scuse per il ritardo, dovuto al traffico.
Fissavo con lo sguardo un punto indefinito del tavolo.
«Ora, Robert,», quando sentii pronunciare il mio
nome, seguito da un colpo di tosse, alzai il capo, guardando alla mia
destra, ad un capo del tavolo, «inizierà a
lavorare con la signorina Stevens al più presto. Le scene vi
saranno dato da Adam,», un uomo accanto a sé,
alzò la mano, «si occupa lui della colonna sonora.
Ci serve quella sottospecie di duetto.» continuò.
Trattenni un sorriso, quando lo senti pronunciare
“Stevens”, ricordandomi di quella stramba ragazza
esuberante.
«D’accordo.» dissi annuendo. Poi John,
l’uomo che aveva appena parlato, guardando di fronte se,
dall’altro lato del tavolo, alla mia sinistra.
«E le sarei enormemente grato, signorina se evitasse di fare
ritardo, in futuro.» aggiunse in tono perentorio.
«In mia difesa posso solo dire che non è stata
colpa mia, ma del traffico inaspettato». Di scatto voltai la
testa, al suono di quella voce assente per tutta la durata della
riunione, una voce decisamente familiare. Guardai accigliato il posto
che prima era vuoto, per dare conferma a ciò che mi
balenò nella testa nel giro di mezzo secondo. E la vidi.
Mi guardava con occhi luminosi, turchesi, l’ombra di un
sorriso sulle labbra rosee e piene.
Incredulo sorrisi e corrugai la fronte.
«Tu…» mimai con le labbra.
Un sorriso sghembo colorò il viso dio Rachel, e poi fece
spallucce.
Scosse il capo, piano e quasi impercettibilmente, guardandomi le mani
poggiate sul tavolo. Era lei, la Stevens con la quale avrei lavorato
per i mesi successivi. Probabilmente la mia poca sanità
mentale avrebbe preso il volo per il paese del non ritorno. Se era
davvero così allegra ed esuberante, come appariva, sarei
impazzito nel giro di poche settimane. Eppure, fissando il suo sorriso
ingenuo e amichevole, l’idea non mi spaventava.
«Bene, direi che per oggi abbiamo finito. Ci vediamo
domani.», John guardò i diretti interessati, tra
cui me e Rachel. «Puntuali.» precisò
soffermandosi su quest’ultima che, portandosi i capelli
davanti al viso scivolò sulla sedia, facendo ridere un
ragazzo dai capelli color dell’oro che le sedeva accanto.
«Otto del mattino.» sentii Rachel
scattare sulla sedia, drizzandosi e guardando ad occhi sgranati John.
«Qualche problema, signorina?» chiese lui
inclinando il capo di lato.
«Oh, no, no.» si affrettò a dire
poggiandosi allo schienale della sedia.
«Perfetto. A domani gente.» concluse dirigendosi
verso la porta. Tutti si alzarono dalle proprie sedie, diretti anche
loro all’uscita. Con la coda dell’occhio vidi
Rachel poggiare la testa sulle sue braccia incrociate, poggiate sul
tavolo.
Così, mi avvicinai a lei. «Ciao,
ragazzina.» dissi in un risolino.
*
Ringraziamenti.
SweetCherry: ciao!
Sono contenta di piaccia Rachel… è un
personaggio… un po’ difficile da maneggiare, non
so se mi spiego. Magari sarà più chiari con i
prossimo capitoli. Ad ogni modo, una ventata fresca fa bene a tutti.
Grazie per la recensione. A presto!
Lucy_Scamoarosina: ciao! Oh, davvero ti piace la
storia? *-* non sai quanto mi rendi felice! Grazie, grazie davvero di
cuore! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. A presto!
Railen: ciao, Ire! Io faccio 19 anni fra undici
giorni! Fico! Comunque… tu sei troppo gentile!
Insomma… cioè… davvero ti piace
così tanto? Detto da te poi è fonte di immenso
piacere, lo sai! Spero di non averti fatta aspettare troppo! E spero,
soprattutto, di non averti delusa con questo capitolo. Milla abbracci,
cara!
Nessie93: ciao, Chiarì! Beh, beh, sono
contenta ti sia piaciuto il capitolo, davvero tanto! Creare giochi di
sguardi in una fiction è piuttosto difficile, ma sono
contenta di non averti delusa. Diciamo pure che in alcuni punto ci hai
preso… ma figurati se te li dico. Come sempre la tua
recensione è meravigliose. Mi mette tanta gioia! Grazie,
cara, grazie davvero. Ti voglio bene.
Xx_scrittrice_xX: ciao, Ely! Ancora un
volta… che farei senza te? Sei un tesoro, sul serio! Oh,
sono contenta ti sia piaciuto lo scorso capitolo! Cavolo se mi fa
piacere *-* Sei troppo buona Ely. Spero di non averti in qualche modo
delusa con questo capitolo. A presto! Ti voglio bene.
KeLsey: Eri! Davvero ti piace la fiction? Davvero ti
piace Rachel? Ah, non sai quanto mi abbia reso felice leggere la tua
recensione! Spero di non averti fatto attendere troppo e che il tuo
interesse non sia scemato. Grazie mille, Eri. Grazie di tutto. (L)
A
voi, con affetto,
Panda.