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Autore: NeverThink    13/01/2010    5 recensioni
Si dice che non ci sia niente di meglio dell’amore.
Si dice che l’amore elevi l’animo dell’uomo, ingentilendolo.
Si dice che l’amore ti trascina, ti travolge e ti sconvolge.
In fondo è vero, lo so perché l’ho provato.
Ma soprattutto si di dice che l’amore sia irrazionale…

[..] Poi ci sono giorni in cui, invece, non ti va di fare ciò che dovresti fare. Ed era ciò che stava succedendo a me in quel momento. Mentre con la mente mi perdevo in spazi infiniti, nel mare azzurro dei Caraibi, nella bianca e sottile sabbia della spiaggia, qualcuno bussò crudelmente alla porta. Riemersi dall’oceano di fantasia e immaginazione mi ero immerso ritornando alla realtà… che di certo non era tanto dolce ed assolata come quella dei Caraibi.
Ero steso sul piccolo divano, con la testa che penzolava dal bracciolo e spirali di fumo che si alzavano nell’aria. La luce della luna, pigra e chiara, filtrava attraverso il vetro, illuminando la piccola stanza.
Si, quello non era decisamente una spiaggia caraibica. Sospirai e spensi la sigaretta nel posacenere poggiato ai piedi del divano. [..]
[Non è Robsten... più o meno]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kristen Stewart, Nuovo personaggio, Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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You could be my unintended
Choice to live my life extended
You could be the one I'll always love
You could be the one who listens to
my deepest inquisitions
You could be the one I'll always love
I'll be there as soon as I can
But I'm busy mending broken pieces
of the life I had before.
Muse, unintended.



Capitolo quattro

Ancora tu?

 

«So che fra voi è finita.» dico fissandola negli occhi verdi, afferrando la maniglia della porta d’ingresso di casa sua.
La sua espressione è indecifrabile, e vorrei, anche se pochi attimi, leggere i suoi pensieri, capire i suoi più profondi segreti. Ma non ne ho il potere, posso solo ammirare i suoi occhi limpidi e agognare le sue labbra.
Sospiro, consapevole che con un solo passo posso varcare la porta del mondo della follia.
«Robert… è finita da tempo, in fondo.» mormora.
«Allora perché?» insisto avvicinandomi a lei e sfiorendole il viso con i polpastrelli.
«Non… non ce la faccio… tu sei Rob, io e te lavoriamo insieme…e», non le do il tempo di finire la frase che poso le mie labbra sulle sue, morbide e delicate.
E’ inerme dinanzi a me, il suo corpo rigido. Le mie labbra si muovono sulle sue, con estrema delicatezza incitando le sue. Risponde al bacio. E’ ciò che voglio. Le sue mani giocano fra i miei capelli.
Mi ricamo un piccolo spazio, un angolo di finta perfezione. Ciò che verrà domani non mi importa… perché è un altro giorno.
Si stacca, piano, prendendo fiato, «Lasciamo del tempo, ti prego.» dice con voce rotta e tremante.
Guardo i suoi occhi sinceri e chiari… e non posso dire di no. Il cuore mi si stringe in una dolorosa morsa di fonte al suo sguardo supplichevole e disperato.
Premo il palmo della mano sulla sua guancia e le bacio la punta del naso.
«Tutto il tempo che vuoi.», e mi costa dirlo, dio se mi costa.
Disarmato dai suoi occhi non posso fare altro che arrendermi.

Era sorprendente come le mie mani si muovessero sulla tastiera di Charlie, la mia amata, vecchia e secolare chitarra. Era sorprendente perché la mia mente era altrove, mentre pigiavo sulle corde sottili e le pizzicavo. Eppure si muovevano, armonicamente, prima veloci, poi piano, poi di nuovo veloci.
La mia mente era come entrata in standby, allontanatasi dal mondo per perdersi in spazi infiniti… per perdersi nelle bianche spiagge caraibiche, il sogno di una vita, la vacanza perfetta.
Era passata poco più di una settimana dal giorno in cui Kristen mi aveva fatto quella amare richiesta. New Moon era uscito nelle sale. Le prime erano iniziate, le interviste ed i servizi fotografici aumentati… e l’irrazionale forza d’attrazione perso Kristen non era cessata. Forse avevo solo bisogno di staccare la spina, di… svagarmi. Si, forse era quella la chiave di tutto.
Mi passai una mano fra i capelli, dopo aver poggiato la chitarra sul letto, mi diressi in cucina per un caffè.
L’orologio segnava le dieci del mattino, e nel giro di quindici minuti sarei dovuto andare ad incontrare il regista di un nuovo film. Avrei fatto parte del cast, una personaggio secondario. E, a quanto capito, mi sarei dovuto occupare di una parte della colonna sonora, o addirittura suonare all’interno del film. Era tutto un forse, certo, ma  il dover integrare la musica con la recitazione era qualcosa che mi rendeva… felice. Anche se non totalmente. Avevo come l’impressione che qualcosa nella mia vista non fosse nel verso giusto, come l’impressione di aspettare qualcosa di indefinito, qualcosa che solo il tempo avrebbe portato. Era strano, oppure folle, tale consapevolezza mi fece ridere d’isteria, mentre mi versavo del caffè in una tazza.
Con la tazza fumante in mano mi diressi in soggiorno. Afferrai il telecomando, sintonizzandola su un canale di musica, prima di ritornare in camera per prendere una felpa. Dalla tv si diffondevano note energiche di stridenti chitarre. Una voce femminile cantava, chiara fino a farsi suadente.
Corrugai la fronte, non era una voce a me familiare, esattamente come la canzone. del tutto nuova alle mie orecchie. Girando sui talloni, con il busto rigido, ritornai in soggiorno incuriosito da quella voce e dalla melodia.
Quando fu inquadrato il viso della cantante sentii il mio corpo irrigidirsi, prima che un sorriso mi colorasse il viso. I capelli neri, lunghi e lisci le incorniciavano il viso, i grandi occhi turchese, sorridevano, eco della bocca.
Rachel. Quand’era stata l’ultima volta che avevo visto il suo viso? Un mese? Si, un mese.
La guardai, cantare con le labbra poggiate sul microfono argentato, i capelli muoversi a ritmo di musica, mille sorrisi illuminare il viso dalla pelle rosea.
Gioia.
Feci un risolino, scuotendo il capo, quando la canzone terminò. Per qualche inspiegabile motivo, forse per la musica, o per il sorriso di Rachel, contagioso anche dalla tv, tornai in camera da letto, con l’ombra di un sorriso sul viso.
Vita.


Scesi dall’auto, infilandomi gli occhiali da sole dalle spesse lenti nere. Affondai le mani nelle tasche della giacca di pelle che indossavo, quando sentii il cellulare vibrarmi nella tasca.
Lo afferrai e lessi il nome che lampeggiava imperterrito sul display. Corrugai la fronte confuso e portai il telefono all’orecchio.
«Pronto?»
«Ehi, Rob. Come te la passi?»
«Al solito, Kellan. Tu? Devo questa telefonata ad un preciso motivo?» chiesi perplesso.
«Io, tutto okay. Ehi, non posso chiamare un amico per sapere come sta? Ci deve essere per forza un doppio fine?»
Entrai nella struttura, fermandomi un attimo davanti all’ingresso. «Kellan.»
«Okay, okay. Ti va una birra? Eliza è partita per lavoro e sento il bisogno di affogare i miei dispiaceri nell’alcool.», il suo tono di voce, rigorosamente teatrale, mi fece sorridere e scuotere il capo quasi divertito.
«Io dovrei… »
«Dai Rob, non esci più di casa. Chi ti vede più ormai? Ti farà bene, re della birra. Dai.»
Guardai l’orizzonte oltre la grande vetrata dell’entrata, perdendomi nel sole che illuminava il paesaggio filtrato un sottile strato si nuvole.
Si, in fondo, non mi avrebbe fatto male. Era l’occasione giusta per staccare, anche solo per poche ore. Prenditi ciò che la vita di offre. Era una buona filosofia e sapevo che dovevo seguirla. Piano, stavo diventando ciò che non ero, mi stavo allontanando da… Robert. La verità era che, guardandomi allo specchio, non riconoscevo più il Robert di un tempo. Quello che usciva la sera per divertirsi, che si godeva la vita attimi per attimo, così, come si presentava ai suoi occhi. Stavo sbagliando e sapevo che dovevo riprendere in mano le redini della mia vita. Uscire quella sera sembrava una buona occasione e dire di no ad un Kellan supplicante era del tutto impossibile.
Ai miei stessi occhi, la mia apparve una patetico tentativo di auto convincimento.
Sospirai, sfilandomi gli occhiali. «Okay, verrò.»
«Ti farò un monumento, Rob.  Passo da te per le nove.» disse esultante.
«D’accordo.» risposi con una nota di passività nella voce.
«E per favore, abbandona almeno per una sera la maschera da zombie.»,  ma, ora, il suo tono di voce non era più scherzoso, era serio, lo sentivo, ed immaginai l’espressione del suo viso, quella che non ammetteva repliche.
Sospirai. «Non c’è nessuno zombie.» mentii.
«Ci vediamo dopo.» dissi riappendendo. Non gli diedi il tempo di rispondere, o semplicemente non sentii la sua risposta, data nel momento in cui allontanai il cellulare dal mio orecchio.
D’un tratto, chissà per quale motivo, la serata mi si prospetto dannatamente triste.

«Perciò, direi che possiamo vederci domani. Proviamo qualche scena, per vedere come ve la cavate, tutti insieme.» disse quello che era il mio nuovo regista sistemandosi gli occhiali sul naso aquilino.
Annuii col capo, con viso inespressivo.
Ero seduto ad un tavolo ti vetro e metallo laccato di bianco, in una stanza per le riunioni. Sparpagliati al tavolo, numerosi, eravamo forse una ventina. Tutti i posti erano occupati, eccetto uno, all’angolo in fondo. Non conoscevo nessuno, lì, se non qualche nome udito per caso in tv o letto su una rivista. Ascoltavo lo staff organizzare la giornata successiva, parlare delle prove, degli accorgimenti che erano riusciti a fare quel giorno, sul copione, provandone un paio di battute fra i protagonisti.
Non avevo ancora letto l’intero copione, l’indomani mi sarebbe stato consegnato per farmi un’idea chiara e precisa della trama, dei sentimenti e le preoccupazioni dei vari personaggi. Così, avrei potuto passare ai testi, alla musica. Il mio essere conosciuto anche come… musicista, grazie a Twilight avrebbe agevolato la vendita del film, secondo i dirigenti. Ma al riguardo nutrivo seri dubbi. Forse non ero la persona adatta per un incarico del genere.
Ero perso nelle mie congetture tanto da non accorgermi più di ciò che accadeva intorno a me, da non accorgermi delle persone che mi stavano intorno, da non accorgermi della porta che si apriva e si richiudeva, del sospiro di sollievo comune, delle battute di un paio di attori, delle scuse per il ritardo, dovuto al traffico. Fissavo con lo sguardo un punto indefinito del tavolo.
«Ora, Robert,», quando sentii pronunciare il mio nome, seguito da un colpo di tosse, alzai il capo, guardando alla mia destra, ad un capo del tavolo, «inizierà a lavorare con la signorina Stevens al più presto. Le scene vi saranno dato da Adam,», un uomo accanto a sé, alzò la mano, «si occupa lui della colonna sonora. Ci serve quella sottospecie di duetto.» continuò.
Trattenni un sorriso, quando lo senti pronunciare “Stevens”, ricordandomi di quella stramba ragazza esuberante.
«D’accordo.» dissi annuendo. Poi John, l’uomo che aveva appena parlato, guardando di fronte se, dall’altro lato del tavolo, alla mia sinistra.
«E le sarei enormemente grato, signorina se evitasse di fare ritardo, in futuro.» aggiunse in tono perentorio.
«In mia difesa posso solo dire che non è stata colpa mia, ma del traffico inaspettato». Di scatto voltai la testa, al suono di quella voce assente per tutta la durata della riunione, una voce decisamente familiare. Guardai accigliato il posto che prima era vuoto, per dare conferma a ciò che mi balenò nella testa nel giro di mezzo secondo. E la vidi.
Mi guardava con occhi luminosi, turchesi, l’ombra di un sorriso sulle labbra rosee e piene.
Incredulo sorrisi e corrugai la fronte.
«Tu…» mimai con le labbra.
Un sorriso sghembo colorò il viso dio Rachel, e poi fece spallucce.
Scosse il capo, piano e quasi impercettibilmente, guardandomi le mani poggiate sul tavolo. Era lei, la Stevens con la quale avrei lavorato per i mesi successivi. Probabilmente la mia poca sanità mentale avrebbe preso il volo per il paese del non ritorno. Se era davvero così allegra ed esuberante, come appariva, sarei impazzito nel giro di poche settimane. Eppure, fissando il suo sorriso ingenuo e amichevole,  l’idea non mi spaventava.
«Bene, direi che per oggi abbiamo finito. Ci vediamo domani.», John guardò i diretti interessati, tra cui me e Rachel. «Puntuali.» precisò soffermandosi su quest’ultima che, portandosi i capelli davanti al viso scivolò sulla sedia, facendo ridere un ragazzo dai capelli color dell’oro che le sedeva accanto.  «Otto del mattino.» sentii Rachel scattare sulla sedia, drizzandosi e guardando ad occhi sgranati John. «Qualche problema, signorina?» chiese lui inclinando il capo di lato.
«Oh, no, no.» si affrettò a dire poggiandosi allo schienale della sedia.
«Perfetto. A domani gente.» concluse dirigendosi verso la porta. Tutti si alzarono dalle proprie sedie, diretti anche loro all’uscita. Con la coda dell’occhio vidi Rachel poggiare la testa sulle sue braccia incrociate, poggiate sul tavolo.
Così, mi avvicinai a lei. «Ciao, ragazzina.» dissi in un risolino.

 

*

Ringraziamenti.

SweetCherry: ciao! Sono contenta di piaccia Rachel… è un personaggio… un po’ difficile da maneggiare, non so se mi spiego. Magari sarà più chiari con i prossimo capitoli. Ad ogni modo, una ventata fresca fa bene a tutti. Grazie per la recensione. A presto!
Lucy_Scamoarosina: ciao! Oh, davvero ti piace la storia? *-* non sai quanto mi rendi felice! Grazie, grazie davvero di cuore! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. A presto!
Railen: ciao, Ire! Io faccio 19 anni fra undici giorni! Fico! Comunque… tu sei troppo gentile! Insomma… cioè… davvero ti piace così tanto? Detto da te poi è fonte di immenso piacere, lo sai! Spero di non averti fatta aspettare troppo! E spero, soprattutto, di non averti delusa con questo capitolo. Milla abbracci, cara!
Nessie93: ciao, Chiarì! Beh, beh, sono contenta ti sia piaciuto il capitolo, davvero tanto! Creare giochi di sguardi in una fiction è piuttosto difficile, ma sono contenta di non averti delusa. Diciamo pure che in alcuni punto ci hai preso… ma figurati se te li dico. Come sempre la tua recensione è meravigliose. Mi mette tanta gioia! Grazie, cara, grazie davvero. Ti voglio bene.
Xx_scrittrice_­xX: ciao, Ely! Ancora un volta… che farei senza te? Sei un tesoro, sul serio! Oh, sono contenta ti sia piaciuto lo scorso capitolo! Cavolo se mi fa piacere *-* Sei troppo buona Ely. Spero di non averti in qualche modo delusa con questo capitolo. A presto! Ti voglio bene.
KeLsey: Eri! Davvero ti piace la fiction? Davvero ti piace Rachel? Ah, non sai quanto mi abbia reso felice leggere la tua recensione! Spero di non averti fatto attendere troppo e che il tuo interesse non sia scemato. Grazie mille, Eri. Grazie di tutto. (L)

 

A  voi, con affetto,
                            Panda.

   
 
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