Questa storia partecipa al "2010 - A year Together" del Collection of Starlight.
Venite a dare un'occhiata! (L)
Il fottutissimo passato.
Quello che t'insegue - veloce - con passo fermo,
mentre tu barcolli come un imbecille al buio.
Quello che ti scorre - dentro - assieme al sangue,
nelle vene.
Solo il tempo,
il tempo cura tutte le ferite.
Che cazzata.
That day
'Cause
nothing lasts forever and we both know hearts can change…
La
porta scrostata sul retro
dell’affollato locale si aprì a riversare musica
sul parcheggio improvvisato,
stranamente vuoto.
Un colpo e la voce vibrante del cantante, mescolata ad altre mille
tonalità
eterogenee, tornò ad essere risucchiata verso
l’interno, mentre fuori tutto
rimaneva immobile, freddato in un’istantanea di
oscurità e aria quasi
palpabile.
Brian si alzò il colletto del lungo cappotto scuro, mentre
strizzava gli occhi
all’aria gelida della notte, poi bevve un lungo sorso della
Coors che teneva
tra le mani intirizzite.
Le luci sfolgoranti della Sunrise Boulevard sembravano
scolorire,
avvolte in un drappo invisibile di foschia – lontane e
silenziose in quel
weekend così rumoroso.
Un’improvvisa fiammata illuminò un viso squadrato
e stanco, intanto che un
oggetto dai bagliori metallici scivolava sotto al cappotto, nella tasca
inferiore dei jeans scuri; aspirò lentamente dalla sigaretta
che teneva in
bilico tra indice e medio, sentendo finalmente la nicotina andargli in
circolo,
rilassandogli i nervi. Un leggero sentore di cannella lo avvolse,
scivolandogli
via la stanchezza dai muscoli, facendogli chiudere gli occhi
– per un istante.
Quella notte, più di molte altre, aveva temuto di non
farcela, di dover
chiedere una sostituzione e ammettere di conseguenza la sua totale
incapacità
di lasciarsi indietro le situazioni. Perché, non poteva
farci un cazzo, lui le
cose con calma non sapeva farle; il suo cervello era ancora
lì a contemplare i
possibili significati della parola “aspettare”,
mentre il suo cuore ancora non
poteva capacitarsi del suicidio a cui si era sottoposto.
Solo un perfetto idiota poteva starsene lì, a farsi fottere
la pelle da quel
gelo micidiale e a cercarsi un silenzio che nemmeno voleva, ma di cui
aveva
palesemente bisogno come ossigeno nei polmoni; due giorni passati in
apnea di
vita – tornato a respirare solo allora, con quel fottuto
freddo addosso e quei
dannati pensieri in testa.
Nella quiete, la vibrazione che applicava sempre al cellulare quando
era a
lavoro risuonava come un richiamo nella nebbia… e una nuova
seccatura per lui,
visto che sembravano tutti affetti da incompetenza cronica, quella
sera.
Con un profondo sospiro, afferrò il cellulare
«Hm?» Mugugnò, appoggiando la
bottiglia ormai vuota sul freddo asfalto.
«Rambo, dove diavolo ti sei andato a
infilare?» La voce trillante di Joe
lo investì e lui si portò – ormai
automaticamente – la mano alla tempia.
«Cristo Jay, sono ancora in pausa! Dammi aria!»
Dall’altra parte, Joe si finse indignato «Lo so
benissimo uomo, volevo solo
sapere come stavi! »
Brian inarcò un sopracciglio, guardando l’orologio
da polso «Sono via da cinque
minuti e siamo a circa tre metri di distanza, se sei tanto preoccupato
potresti
muovere le chiappe…»
Joe lo interruppe con uno sbuffo sprezzante, seguito da alcune note di Iron
Butterfly «Tesoro, con tutto il mio
amore… l’ho visto il ghiaccio là fuori,
non ho nessuna intenzione di gelarmi il culo!»
Brian lanciò il terzo mozzicone di sigaretta che ando a
disegnare una parabola
luminosa in aria e fece aderire la schiena alla parete scrostata,
alzando gli
occhi in cielo; quando se ne usciva con quelle stronzate, le soluzioni
erano
sempre due: assecondarlo, bruciando così un bel
po’ di neuroni e di sanità
mentale, o ignorarlo.
Quella particolare notte, sentiva di non essere in grado di sopportare
un
viaggio a Delirio city.
«A dopo, Jay» salutò, attaccando e
spegnendo il cellulare.
In qualunque situazione si trovasse, la presenza di Joe gli assicurava
un bel
mal di testa che persisteva nel tempo – anche per giorni.
Ricordava
perfettamente come avesse faticato ad accettare persino la sua
esistenza, nella
sua vita: Joe era come quei cuccioli ancora poco abituati alla vita in
un mondo
reale ed amaro... perfino limitato, per il modo esagerato in cui
affrontava le
cose; parlava troppo, si muoveva troppo, toccava troppo, sentiva
troppo. Poteva
leggerti dentro, sotto la pelle e al di là degli occhi e
attraverso i nervi,
fin dentro al cervello e ti toccava, ti abbracciava, ti annusava come
un
animaletto addestrato poco e male.
Lui era stato abituato a ben altro, a crescere – per esempio.
Era stato abituato a contare solo e soltanto sulla sua persona, senza
neanche
avere il bisogno di chiedere agli altri, con la consapevolezza che
farlo era da
deboli. Lui non voleva esserlo – non
poteva – perché era un uomo, perché
era forte, perché alcune persone avevano bisogno delle sue
spalle, per
reggersi.
E ora quel posto era divenuto una benedizione e, al contempo, una
maledizione.
Assediato da una famiglia sconclusionata, caotica, scorretta ma
presente;
realistica – tanto, troppo – e
dolorosa, di quelle che vorresti
abbandonare ma non puoi, che vorresti proteggere con ogni fibra del tuo
essere,
al costo di ammazzarti di fatica.
Brian guardò in alto, verso quel cielo scuro e freddo e
senza stelle che Mia
amava tanto perché era "vero e duro come
la vita”, poi sospirò
profondamente: odiava quel locale perché era una casa, poco
calda e persino poco
accogliente nel suo essere sempre in frenetico movimento,
però era sua, sua e
l’amava con tutto se stesso. Odiava quel posto
perché lo aveva strappato via da
un’altra vita, da una persona che gli mancava ma che gli
spariva dai monitor
della vita, come mal sintonizzata. Lo odiava, perché sapeva
che non era più
quella, la sua esistenza, non era più al fianco di una donna
straniera dai
mossi capelli mori e gli occhi profondi e una laurea in arte moderna,
perché
ormai era lì e voleva restarci, al fianco di quella famiglia
sgangherata e di
quel cucciolo troppo poco cresciuto.
Sorrise amaramente, mentre accendeva una nuova sigaretta e gettava
volute di
fumo nell’aria cristallizzata «Io qui che faccio il
romanticone… bah, sei
quello mi vede non me lo staccherò più dal
collo…» borbottò a denti stretti, ma
sorrideva nel rendersi conto di come sentiva e
conosceva quelle persone
che, ormai, gli erano entrati dentro.
«Ahh un eterosessuale romantico!» Urlò
una voce dietro di sé e Brian alzò gli
occhi al cielo.
Neanche volendo avrebbe potuto contare le volte in cui aveva anticipato
le
mosse degli altri – le sue in particolare.
Si girò e fissò un ragazzo biondo, più
basso di lui, con una sciarpa appoggiata
alla bell’è meglio sul collo sottile e un broncio
incazzato sul viso.
«Oh, siamo vivi?» Grugnì.
Brian ghignò «Ti avevo detto che era
più semplice venire…»
«Non cominciare a blaterare e entra, mi sto congelando il
naso» replicò
quell’altro, mentre se lo tirava per una manica.
«Che palle, poi ti lamenti che non mi prendo un momento di
riflessione… beh,
ora stavo riflettendo e su cose serie anche!» Lo prese in
giro Brian, mentre si
toglieva il cappotto e lo buttava a caso su uno dei divanetti della Playing
Room.
Joe sbuffò «Sì, ci credo»
fece, inarcando un sopracciglio, poi gli afferrò una
mano tra le sue – più piccole e calde. «La
prossima volta, vedi di
riflettere in piena estate o, comunque, non con quella fottuta nebbia
gelida
che ti manda in ipotermia!»
Brian si lasciò un attimo contagiare dal calore di quei
polpastrelli delicati
(e da femminuccia) che lo massaggiavano, poi sibilò
«Grazie, mamma!» Con voce
fin troppo roca.
Due secondi dopo si ritrovò con la mano abbandonata a
penzolare su un fianco e
una capigliatura bionda che si allontanava «Ripeti dopo di
me: non provarci mai
con quello che ti salva la vita» gli urlò Joe,
ormai quasi sparito tra la
folla.
Brian rise – questa volta apertamente – e si
passò una mano tra i capelli
castani «E’ l’amore, non
posso farci niente!»
«Vaffanculo!» Gli fece una voce rabbiosa, ormai
lontana.
N/a
No, che cosa davvero
orrenda.
E’ stata pubblicata perché –
essenzialmente – le idee
per quel prompt sono scappate e, quindi, sono entrata in panico totale
(come
farsi dell’ottima pubblicità).
Se vorrete uccidermi vi capisco benissimo e accetterò
la mia fatale sorte.
Per le note: la canzone iniziale “November Rain”
dei
Guns ‘n’ Roses – ma non dovrei nemmeno
dirvelo. ù_ù
Brian, Mia e Joe sono miei.
E intendo, miei per davvero. No toccateli, potrei
mordervi.
Nel caso qualcuno se lo chiedesse, sì sono gli stessi
della drabble di Natale “Taste
cinnamon”.
Bon, buona lettura!