BENVENUTI A
ONNA
Un silenzio irreale accoglie il nostro arrivo
a Onna. Il buio è spezzato solo dalla flebile luce dei lampioni gialli che,
invece di illuminare, rendono ancora più tetro e deprimente un luogo che ha
visto in faccia la morte.
Case distrutte, biciclette rotte visibili
sotto le macerie, panni stesi che nessuno mai ritirerà, bambole vestite di
stracci, coperte a brandelli, materassi bucati, piastrelle spezzate, vite
normali spazzate via in 48 terribili, infiniti, indescrivibili, indimenticabili
secondi.
42 morti, 42 anime che nessuno mai più rivedrà
ma che nessuno mai dimenticherà.
Onna è questo.
Per strada poche, ma coraggiose, persone. Si
muovono piano, quasi avessero paura che un minimo rumore possa far tornare
l’incubo del terremoto.
Persone che racchiudono un dolore impossibile
da capire se non lo si ha vissuto, gente che ha perso tutto, amici, sorelle,
fratelli, figli, madri, padri e, come colpo di grazia, anche la casa.
L’abitazione diventa di poco conto rispetto all’idea che le persone con cui la si
condivideva non ci sono più.
Ho conosciuto un signore di nome Pio. Ad
alcuni miei compagni e me ha mostrato la sua nuova casa antisismica, piccola ma
accogliente. Ci ha mostrato le foto della sorella, morta sotto le macerie a
causa del crollo della casa a fianco alla loro e le foto della sua, ormai
inesistente, ex abitazione.
E poi, ha raccontato come, miracolosamente,
sia riuscito a salvarsi. Durante il racconto, un senso di ansia e angoscia mi
attanagliava e continuavo a chiedermi cosa avrei fatto io se un terremoto
avesse distrutto la mia casa e ucciso tutte le persone a me care.
Eppure, davanti a me, stava un uomo sui 70
anni che, nonostante le sofferenze e i dolori è subiti, aveva ancora la forza
di sorridere e di pensare al futuro.
Ricordo che pensai: “sarebbe bello avere la
forza e la speranza che ha lui…” e, oltretutto, un po’ invidiavo l’ottimismo
che aveva.
Mi venne un altro pensiero, in seguito.
Il nostro spettacolo parlava della speranza
dopo la sofferenza, della possibilità di ricominciare a vivere inseguendo i
sogni che tenevamo nelle nostre scatole.
Al termine della recita, senza pensarci,
corsi da Pio e gli regalai la mia scatola dicendogli:“spero che troverai nuovi
sogni da metterci dentro. Un giorno tornerò a vedere cosa hai sperato di
trovare nel futuro”.
Il sorriso che mi fece valeva più di
qualunque cosa al mondo.
A Onna ho imparato a non scherzare più sui
terremoti, ho imparato a non dare mai niente per scontato perché, se oggi sei
qui, non vuol dire che anche domani, o stanotte, sarà ancora così.
Ma Onna e i suoi abitanti mi hanno insegnato
che, anche se la vita è imprevedibile, la speranza è quella che ti fa sempre
vedere il lato migliore delle cose. Onna ha questo potere che, a mio parere,
tutte le persone dovrebbero poter provare sulla propria pelle. Onna è tutto
questo: è sofferenza, è tristezza, è angoscia, ma è anche ottimismo, allegria
e, soprattutto, speranza.