Noi
Cap.3: Una Strana persona
Stawberry alzò leggermente la testa appena per scorgere
delle gambe camminare lentamente e fermarsi davanti a lei. Non erano in divisa
quindi era di sicuro un ragazzo dell’università. Continuò a fissare le sue
gambe per un tempo indefinibile fino a quando il ragazzo non si abbasso e la guardò negli occhi: la guardava come se fosse
la persone più importante del mondo e questo non le piaceva per niente, non era
bello che una persona ti guardasse così, soprattutto se non ti conosce. Da come era vestito e da la luce che illuminava i suoi occhi di
color blu scuro che somigliava al nero, si capiva certo che non era una persona
che si poteva ritenere in qualche modo “affidabile” ma, col tempo lei aveva
imparato a non giudicare le persone dalle apparenze e questo lo aveva capito a
proprie spese, soprattutto grazie a Mark, che all’inizio sembrava molto carino, affidabile e
responsabile ma, dopo si era ritenuto una vera palla al piede per lei con tutte
le sue scenate di gelosia e con tutte le troppe premure nei suoi confronti.
Contraccambiò
il suo sguardo intenso girando la testa da un’altra parte e mugugnando qualcosa
del tipo:
-Lasciami
stare, cosa vuoi da me?
In
realtà cercava in tutti i modi di nascondere la voce rotta dalle lacrime che
continuavano ad insistere per scendere giù da i suoi
occhi e dimostrare tutta la sua frustrazione che si era insinuata nel suo cuore
da quando non aveva più un appoggio su cui contare. Non aveva amiche, non aveva
un ragazzo che l’amasse veramente: non aveva nessuno,
era sola con se stessa.
Al
quel punto le lacrime che continuavano a supplicarle di uscire finalmente lo fecero ed iniziarono a rigarle il volto come
una mare in piena che non riesce più a fermarsi.
Il
ragazzo continuava a guardarla e il bello è che non
poteva fare niente per lei in quel momento, doveva prima smettere di piangere
se no non l’avrebbe potuta aiutare. Quella è la parte più difficile,
smettere di piangere è davvero difficile. Questo perché ti sembra l’unica
via di sfogo, l’unica strada per riuscire a dire tutto ma, non è altro che una
trappola che attira la sua preda in una solitudine più totale in cui pensi che
nessuno tranne te può soffrire il tuo dolore, nessuno tranne te può capire il
tuo dolore, nessuno tranne te può aiutarti. Il pianto è una trappola infame del
destino in cui dopo averla scelta non si può più ritornare indietro. Perché il vero pianto non è quello che si fa quando ti danno le
botte, non è il pianto di quando ti rubano il giocattolo. Il pianto vero
è quello in cui il cosiddetto giocattolo è la morte o la frustrazione di una
situazione come essere lasciati dalla persona che più
ami al mondo, quello di quando sei solo e isolato da tutti. Questo è il pianto
del giocattolo di cui soffrono i grandi ma, anche quelli più piccoli lo possono
soffrire per quello quando piangono questo pianto diventano adulti. Degli
adulti cattivi. Tutto per colpa di un pianto. Per questo il pianto dei grandi è
una trappola molto pericolosa, se non ti sai riprendere da lei, ti rovina la
vita.
Lui
lo sa bene visto che a perso la madre a soli cinque
anni e suo padre è sempre fuori per lavoro, suo fratello è un teppista di
strada per la mancata educazione e lui, beh, non parliamo di lui che è peggio
di suo fratello, suo fratello almeno vive a casa con i suoi amici, lui vive
tutto il giorno in strada tra gare con la moto, distruggere case e rubare,
picchiare la gente. Tutta la sua vita si è svolta fra i
vicoli di Tokyo, ritorna a casa solo per dormire e fare colazione la
mattina.
Veramente
lui si trovava sul terrazzo per vedere se c’era qualcuno e cacciarlo via perché
adesso ci dovevano picchiare uno stronzo che andava
là e gli doveva dei soldi a lui e alla banda ma, appena aperta la porta davanti
a lui si era stagliata la figura di quella ragazza. La luce del sole le
illuminava la capigliatura che così assumeva tutte le variazioni del rosso. I
lunghi capelli le ricadevano sul volto nascondendoglielo, il suo corpo anch’esso
illuminato dalla luce vestiva una graziosa divisa beige e blu. Probabilmente
era del liceo, ma cosa ci faceva lì, sul terrazzo dell’università? A questo ci
avrebbe pensato dopo. Continuò ad osservarla: era accovacciata per terra e
teneva le ginocchia piegate e il volto tra le mani. Gli sembrava una dea: era
la ragazza più bella cha avesse visto e dire che lui ne aveva
passate tante con le ragazze.
Mentre
le si stava avvicinando lei aveva gridato che la sua
vita faceva schifo e lui senza neanche pensarci le aveva risposto che non
bisognava pensare male di se stessi. Solo adesso si rendeva conto della cazzata che aveva sparato. Le aveva detto
una cosa che neanche lui era riuscito a dire a se stesso. Come sarebbe riuscito
a convincerla di questo se neanche lui se ne convinceva?
Intanto
le si era seduto vicino.
Alla
fin di tutti questi suoi difficili ragionamenti una voce lo risvegliò.
Era
una voce melodiosa e profonda. Una voce che un tempo doveva servire d’ aiuto alle persone ma, che ora lasciava vedere che l’aiuto
che aveva dato le andava restituito.
S:Perché non te ne vai via, perché continui a restare qua?
Era
indifesa e sussurrata questa piccola frase a cui lui rispose con una voce
distaccata ma profonda.
-Sto
qui perché semplicemente mi và di starci.
S: Beh sei molto gentile a disporti per rompere i coglioni alla gente.
-Oh
ma guarda, una ragazza così per bene che dice le parolacce non sta bene, nonono.
E fece la voce della mamma muovendo il dito in segno in
dissenso pronunciando l’ultima frase. Questo irritò profondamente la nostra
amica che rispose:
S:
Stai zitto io parlo come mi piace. Poi io sono una ragazza di strada.
Aveva
paura di quel ragazzona, era anche molto arrabbiata con
lui, così aveva detto una bugia e non sapeva che così dicendo aveva fatto
ancora peggio.
-Ah,
davvero? Sai io sono per strada da quando avevo otto anni eppure non ti ho mai
visto.
Si
avvicino pericolosamente alla ragazza che si allontanò.
S:
Io lo sono da poco… Disse con non tanto convinta ma
continuò lo stesso.
S:Come ti chiami?
La
sua voce tremava, quello che provava prima cioè quello
per qui piangeva ormai in lei non ce n’era più traccia. Adesso era inondata
dalla paura. Doveva controllarsi.
-Se
mi dici il tuo io ti dico il mio facciamo così?
Io
suoi capelli neri gli coprivano gli occhi(immaginate Arima di Karekano: lui è uguale
solo vestito da teppista moderno. ndA
Ehi io cosa centro qua! ndAr
Scemo era solo un esempio di somiglianza fisica!nsA
Ah potevi dirlo prima ndAr Se leggi prima di
offenderti!ndA)
Non
voleva dirglielo ma una cosa lo spinse a farlo magari la paura di pensare cosa avesse
potuto fargli se non glielo avesse detto.
S:
Il mio nome è Momomiya.
-Ah,sono contento di sapere il nome di una ragazza così carina.
Lo sai che sei davvero bella, vieni qua.
E l’attirò a se portandola a cinque centimetri da lui.
-Il
mio nome è…
In quel momento la porta si aprì ed entrarono…
EHEHEH!!!!
Eccomi di nuovo ritornata tra le suppliche di tutti!!!
(EHHHHHH!!!! Certo guarda aspettavamo solo te!!ndLettori Siete cattivi!!ç_ç
ndMe) Beh, che dire a tutti, innanzi tutto GRAZIE PER
LE RECENSIONI!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Cos’altro
dire:REEEEEEEEEEECEEEEEEEEEEENSIIIIIIIIIIITEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Un
mega bacio e mi scuso col ritardo dell’aggornamento
Zakurochan