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Autore: Bardunfula    15/01/2010    0 recensioni
Devo parte dell’ispirazione per questa fanfiction a ‘The Portrait of the Unknown One’, una fanfiction che l’utente Lemondropseverus ha pubblicato sul sito www.fanfiction.net .
Il resto è opera mia.
La fiction è ambientata nell'Inghilterra di Enrico VII, ma non segue necessariamente il corso 'veritiero' degli avvenimenti storici che tutti noi conosciamo.
Caterina d'Aragona ed Enrico Tudor sono sposati da cinque anni. Hanno già una primogenita, Maria, e sono in attesa del loro secondogenito.
Sarà, finalmente, un maschio?
I personaggi della fic, alcuni sono realmente esistiti, altri no.
Buona lettura, e commentate :)
Genere: Generale, Storico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Tudor/Inghilterra
Capitoli:
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A Queen's Daughter - What love can do that dares love attempt

Londra/ Windsor, Dicembre 1530 - What love can do that dares love attempt

 

“Signora, vostra figlia..”
Caterina alzò gli occhi dalle carte che stava leggendo e firmando e restò in attesa.
“Maestà..” La riverì Isabel con un sorriso. La Regina si alzò subito e le andò incontro, per un abbraccio.
“Come stai, bambina?” Chiese dolcemente, accarezzando il volto della figlia.
“Sto, mamà.” Rispose Isabel con un sospiro.
Da poco meno di tre settimane, sir Sten era tornato a Londra e lei lo aveva visto quasi ogni giorno. Rispetto al loro ultimo incontro, qualche mese prima, nulla era cambiato. La loro conversazione continuava a languire, lui continuava a parlare di caccia, donne e cibo, e i due seguitavano ad avere nulla in comune e ancora meno da condividere. La giovane Principessa era più che demoralizzata, soprattutto se metteva a confronto il suo fidanzato ufficiale con Joàn. Era incredibile la differenza dei due. Sir Sten aveva avuto l’educazione migliore, maggiori possibilità di istruirsi, viaggiare, farsi una cultura, insomma ampliare la propria mente, eppure nulla di tutto questo sembrava interessarlo anche solo vagamente. Viceversa, Joàn era interessato a tante cose, conosceva diverse lingue, sapeva stare in mezzo alla gente senza l’aria di essere capitato lì per caso o, peggio, per errore. E più di tutto, il primo non era minimamente affascinate, il secondo sì. Pur non essendo infatti una bellezza, il giovane spagnolo sapeva come attirare su di sé gli sguardi, sapeva corteggiare e faceva in modo di farlo capire alla dama che gli interessava. In qualsiasi corte europea, dove i ‘giochi d’amore’ erano un passatempo divertente, ma importante anche per socializzare, sapere come comportarsi era ovviamente indispensabile. Isabel si chiedeva come mai avrebbe fatto a passare la vita con sir Sten. Di cosa avrebbero parlato?, cosa avrebbero condiviso, che tipo di vita li aspettava? Da quando poi Joàn aveva raggiunto Yousuf a Windsor, poco meno di una settimana prima, la giovane sentiva tremendamente la sua mancanza, al punto di aver cominciato ad ignorare palesemente sir Sten. Non che per il nobile svedese fosse una perdita, anzi, ma quell’atteggiamento aveva cominciato ad essere visibile anche ad altri membri della corte e le voci avevano iniziato a girare.
In silenzio e totalmente presa dai propri pensieri, Isabel oltrepassò il tavolo dove sua madre stava lavorando e si sedette su una poltrona lunga, di fronte all’enorme vetrata che dava sul giardino e sul parco adiacente. Caterina la guardò turbata. L’ultima volta che Isabel aveva assunto quell’atteggiamento così taciturno e pensieroso le aveva confessato di essersi innamorata di Joàn. Ora, e con il rientro in Inghilterra di sir Sten, il suo silenzio non faceva presagire nulla di buono. Pian piano e senza dire una parola la raggiunse, si sedette accanto a lei e le accarezzò il viso, con dolcezza.
“Amore, cosa c’è?” Chiese a voce bassa. Come colta di sorpresa dalla sua voce, Isabel ebbe quasi un sussulto.
Mamà, voglio andare a Windsor..” Disse dopo diverso tempo la giovane Principessa. La Regina rimase dapprima totalmente basita per quella richiesta, quindi s’irrigidì di colpo. Ritirò la mano ancora sul volto della figlia, alzandosi in piedi.
“Cosa vorresti tu? Non sognarti nemmeno una cosa del genere!” Disse, chiudendo di fatto la questione, e con una certa decisione. Furente tornò al tavolo e abbassò lo sguardo sulle carte ben disposte, fingendo di rivolgere a loro la propria attenzione.
Sapeva bene chi c’era a Windsor e non poteva minimamente permettere quella situazione. Non aveva certo dimenticato dove, e soprattutto con chi, aveva pescato Isabel, non più tardi di due mesi prima. Per quanto quella faccenda non fosse più all’ordine del giorno, e lei avesse finto di non aver visto, e quindi di non essersi preoccupata, non era certamente una questione archiviata. Non aveva troppa importanza che Isabel fosse romanticamente presa da Joàn; fino a che la figlia stava sotto la sua ala protettrice, la cosa era gestibile e controllabile. Ben altro conto era che se ne andasse a decine di miglia lontano da Londra, sotto l’unico controllo delle sue dame. Pur se capeggiate da lady Thorston, cui Caterina riconosceva enormi meriti, fra cui quello di amare profondamente Isabel e di tenerla lontana da guai, esse infatti erano per la maggior parte ragazze poco più grandi di sua figlia, perciò tutte più o meno inclini a commettere sciocchezze. La vicenda di Hampton Court, e del personale a servizio della Principessa aggiunto a insaputa della Regina, aveva spinto Caterina a non perdere più d’occhio la figlia, controllandone non solo l’istruzione e la crescita, ma anche chi di volta in volta entrava a far parte della sua vita, fosse stato anche solo per un giorno. Ora saperla a Windsor, a diverse decine di miglia da lì, con la presenza di Joàn e con tutto quello che sarebbe potuto accadere tra i due, bè.. questa era una cosa per lei inconcepibile.
Mamà, vi prego, ascoltatemi..” Disse Isabel, con uno scatto che la fece alzare in piedi ed andare al tavolo di Caterina. “Per favore, ascoltatemi. Fatemi spiegare ciò che sento.. non è un capriccio, credetemi. Non lo è davvero..”
“Isabel, così ho deciso.” Rispose ferma Caterina, alzando per un attimo gli occhi dal tavolo e guardando la figlia. “Non mi far ripetere quanto ho appena detto. Ho detto di no, e no sarà. Chiaro?”
“Ma perché? Perché mi impedite una cosa che fino ad ora mi avete permesso? Voi sapete quanto io tenga a fare bene i miei uffici. Per favore, datemi la possibilità..”
“Ho detto di no! Vostra Altezza, fareste bene a obbedire!” Minacciò Caterina, alzandosi in piedi e fissando la figlia con occhi di fuoco. Il volume della voce improvvisamente più alto, la Regina era chiaramente sul punto di adirarsi seriamente
“Ma perché?!” Chiese Isabel, alzando a sua volta la voce e esprimendo tutto il suo fastidio e la non comprensione per quella improvvisa chiusura da parte di sua madre.
“Perché no!!” Sbottò Caterina, con gli occhi quasi del tutto fuori dalle orbite. “E ora fareste bene ad obbedirmi e filare alla vostra lezione!!”
Isabel rimase diversi minuti a guardare sua madre, sinceramente colpita dal suo tono di voce e dai suoi modi. Le sembrava tutto così strano ed eccessivo per essere vero, ma non volle opporsi a quelle parole.
“In questi mesi ho fatto tutto quello che mi avete ordinato, senza mai fiatare..” Rispose con un filo di voce, ma cercando di non cedere all’emozione. “Ho fatto il mio dovere, lo so più che bene, ed obbedirvi è quanto ci si aspetta da me.. ma non merito un trattamento del genere. Non lo merito affatto, e voi lo sapete..”
Ciò detto, riverì sua madre, poi, camminando all’indietro, lasciò la sala. Non appena Isabel andò via, Caterina si lasciò andare sulla poltrona dietro di sé.
Lo scambio di vedute con la figlia l’aveva straniata, fatta adirare e demoralizzata assieme. Non era la loro prima discussione, ma quella volta c’era qualcosa di diverso. Isabel si era ritirata dopo un no, ma prima di lasciare il campo aveva in qualche modo accusato la Regina di essere ingiusta. Era un’assoluta novità quel comportamento. Quando aveva chiesto di poter avvicinarsi alla medicina, infatti, di fronte al no secco di Caterina, prima aveva protestato e si era ribellata, poi dolcemente, ma con fermezza, aveva tentato di far valere le proprie opinioni. Alla fine aveva ottenuto quello che desiderava, avvicinandosi enormemente a sua madre e mettendo assieme a lei le basi di quell’edificio solido che ora era il loro legame affettivo. Ora invece, Isabel si era permessa di protestare, di ribellarsi al no secco che la Regina le aveva imposto, senza alcuna spiegazione. Delusa e amareggiata per quella chiusura, la Principessa non aveva esitato a lasciare il campo dopo parole assai dure.
Stordita da quell’atteggiamento, Caterina chiamò lady Willoughby e le chiese di mandarle al più presto sir More. Con lui avrebbe discusso seriamente di Isabel e di quella faccenda e, qualora si fosse reso necessario, ne avrebbe parlato anche con Enrico. Se c’erano cose che non tollerava queste erano l’indisciplina e la disobbedienza. Quando poi esse provenivano dalle sue figlie, la cosa diventava addirittura inammissibile.
“Signora, il Cancelliere è qui..” Annunciò Maria de Salinas, dopo una decina di minuti, aprendo la porta e lasciando lo spazio perché sir Thomas entrasse nello studio.

 
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“Celebriamo e festeggiamo!”
La voce del Re risuonò nell’ampia sala dove la famiglia reale e la corte festeggiavano il matrimonio ormai imminente tra Maria e il Delfino di Francia, e la partenza della ragazza, di lì a qualche giorno. Nonostante l’improvviso ritiro dell’esercito francese dalla Scozia, i due sovrani avevano ricomposto la frattura e, soprattutto grazie all’opera congiunta delle due Regine, il fidanzamento dei due giovani non venne sciolto, né il matrimonio annullato. Stretta tra i due genitori, Maria appariva raggiante e bellissima. Francesco era sempre più nel suo cuore e nei suoi pensieri e i due avevano continuato a scriversi ed a comunicare anche nei giorni più difficili della guerra. Non vedeva l’ora di partire, nonostante l’enorme dolore nel lasciare Enrico e Caterina, ed anche la sorella minore.
Subito i musici cominciarono a suonare e l’ambasciatore francese si avvicinò a Maria per invitarla a danzare un rondeau. Caterina ed Enrico si accomodarono sui loro scranni, mentre altre coppie si formarono al centro della sala.
“E’ bellissima..” Mormorò Enrico, guardando la figlia maggiore con occhi sognanti. La moglie gli sorrise e poi seguì il suo sguardo.
“Non credo di averla mai vista così raggiante..” Rincarò la dose. In effetti, era così. Maria era palesemente felicissima, e quasi sembrava non vedesse l’ora di partire.
In un angolo della sala, Isabel osservava Maria. Il grande momento era arrivato e lei era di sicuro molto, molto felice per la sorella. Tuttavia, non poteva fare a meno di pensare che di lì a qualche giorno non sarebbero più state vicine, forse per il resto della loro vita. Provava una inesprimibile tristezza personale, accesa da lampi di reale gioia per la felicità di Maria. Sapeva che avrebbero potuto scriversi e continuare a stare reciprocamente vicine, ma era chiaro che non sarebbe più stata la stessa cosa.
Con la coda dell’occhio vide avanzare sir Sten e prima che potesse organizzare una ritirata strategica, lui la raggiunse; tentò di sorriderle, mettendo in mostra i suoi denti, come al solito orrendamente rovinati dai troppi dolci e da una pulizia che definire scarsa era un felice eufemismo. Isabel si sforzò di rispondere al sorriso di lui, e prima che potesse dire qualcosa per salutarlo, lui le afferrò la mano e la portò al centro della sala.
La giovane, essendo ormai sotto gli occhi di tutta la corte, si costrinse a provare almeno un minimo piacere per il suo invito e cercò di sorridere, senza sembrare un’ebete. Ancora una volta, sir Sten dimostrò tutta la propria inettitudine nella danza: non andava a tempo, non aveva la benché minima grazia, non riusciva a infilare due passi giusti di fila, costringendo la povera Isabel a cambiar di continuo i propri, venendogli incontro e facendo in modo che gli errori di lui si notassero il meno possibile. Alla fine del rondeau, sir Sten le afferrò il polso costringendola a danzare ancora con lui. Chi era accanto a loro si accorse di quel gesto e si fermò, come per osservare la reazione di Isabel, che era leggermente impallidita. Molti visi si girarono istintivamente verso i due sovrani. Enrico, per via delle persone davanti a sé, non aveva visto nulla, ma Caterina sì. La reazione della figlia, però, prevenne qualunque cosa. Isabel sorrise graziosamente al suo fidanzato e, non appena i musici eseguirono una gagliarda, iniziò a ballare con lui. Maria de Salinas e lady Thorston si scambiarono uno sguardo e poi entrambe si volsero verso la Regina, che aveva osservato la scena senza perdere un solo particolare.
“Ballate bene, Vostra Altezza!” Praticamente gridò sir Sten, in un inglese stentato e pieno di errori, mentre pestava per l’ennesima volta il piede alla povera Isabel. Lei cercò quanto più possibile di sorridergli e annuì, compiaciuta.
“Anche voi, mio caro..” Rispose. La scelta di quel termine vezzeggiativo fu improvvisa, e Isabel si stupì di se stessa. Quello che in ogni caso voleva essere solo una generica parola gentile infiammò sir Sten a tal punto che quasi prese per la vita la sua fidanzata. Poco mancò che le rovinasse sopra e solo la prontezza di Isabel riuscì a far passare il tutto come un piccolo inciampo da parte di lui, e non come una cronica mancanza di stile, delicatezza e minimo senso del movimento.
“Non è certo portato per la danza..” Mormorò lady Willoughby a voce bassa, osservando la scena.
“Non è portato per nulla!” Le fece eco lady Thorston, rincarando la dose. “Povera bambina mia, non so cosa mi tenga dall’andare lì a levargliela dalle mani..” Aggiunse, abbassando ulteriormente il volume della voce e peritandosi di non farsi udire da Caterina. “Come si fa..” Soggiunse sconsolata, andando via e non riuscendo più a sopportare quella vista.
Per tutta la sera sir Sten rimase letteralmente incollato ad Isabel, non dandole mai un solo momento di requie. La giovane non poté ballare con nessun altro, non riuscì a parlare con alcuno degli invitati, a malapena mangiò ed ebbe modo di riposarsi un attimo, fra una danza e l’altra. Quando i due non danzavano, il nobiluomo svedese la teneva impegnata in conversazioni estenuanti, quanto inutili e tediose. Il fatto che per la prima volta lui avesse categoricamente rifiutato di servirsi del solito interprete, aveva reso la situazione di Isabel più penosa del solito, dato che la di lui conoscenza delle lingue non era affatto migliorata, a voler essere buoni e caritatevoli.
Lady Thorston aveva provato un paio di volte ad avvicinarsi ad Isabel, con il proposito di farla almeno respirare un po’, ma ogni volta sir Sten l’aveva squadrata in un modo tale che lei finiva per desistere. La dama si ritrovava, ad un tempo, ogni volta più scoraggiata e più adirata di prima. Era evidente che la giovane Principessa avesse bisogno di cambiare aria, ma lui non sembrava nemmeno accorgersene. Peggio ancora, dava tutta l’aria di non aver a cuore i desideri e le necessità di Isabel. Tuttavia, c’era una cosa minimamente positiva in quella situazione. Nessuno a corte si era accorto di quanto stesse avvenendo; questo era un bene, perché una faccenda come quella sarebbe potuta diventare gossip in un istante, ed avrebbe potuto mettere in imbarazzo sia i due Sovrani che la stessa, povera, Isabel.
Lady Thorston sperò che non tutti nella sala non avessero notato quanto stava avvenendo, e così guardò in direzione della Regina, per capire se almeno lei stesse tenendo d’occhio la sua creatura, come d’altra parte faceva regolarmente, e con estrema dolcezza. Quella volta però, la Sovrana non stava osservando la sua secondogenita. Non aveva occhi che per Maria e per molte ore stette quasi unicamente accanto a lei. Lady Joan ammise che in quella situazione la Regina non poteva davvero fare altrimenti, tuttavia… Tuttavia trovava assurdo che nessuno potesse andare a strappare Isabel dalle grinfie di quel buono a nulla. Almeno ci fosse stato sir Fernandez nei paraggi, ed invece nulla.
Quando, ormai verso la fine della festa, lady Joan non vide più né Isabel né sir Sten, un brivido freddo le corse lungo la schiena. Dio solo sapeva cosa poteva aver combinato quel bellimbusto. La dama partì allora in cerca della giovane Principessa; dopo aver guardato attentamente nella sala, uscì da essa e si diresse nelle due sale adiacenti. Erano anch’esse illuminate e riscaldate, oltre che occupate da invitati e cortigiani, anche se in misura minore che nel salone principale. Esse venivano usate più per discorrere ed intrattenersi, che per danzare, ed erano quindi più tranquille e meno rumorose, anche se gli echi delle danze vi arrivavano comunque. Non avendola trovata nemmeno lì, passò oltre e si diresse verso le stanze più piccole, che erano poco illuminate e appena riscaldate. I corridoi del palazzo erano freddi e piccoli mulinelli di aria gelida arrivavano dalle vetrate. Lady Joan si strinse nelle braccia, rimpiangendo di non aver preso almeno un mantello leggero per ripararsi; ma se lo avesse indossato avrebbe quasi certamente destato almeno curiosità, ed era proprio questo che voleva evitare.
Dopo aver controllato con attenzione, senza trovare Isabel o almeno sir Sten, stava quasi per tornare indietro, quando si rese conto che restavano tre piccole stanze, in un corridoio laterale di quell’ala del palazzo. Erano dei piccoli salottini, che soprattutto la Regina usava per accogliere ospiti privati o per cucire con le sue dame, e che davano su una parte più riparata del giardino. Ormai quasi del tutto scoraggiata dal poter trovare Isabel, lady Joan volle comunque fare un tentativo. Nei primi due salottini non trovò nessuno, se non un gelo tremendo e la sensazione di aver sbagliato a recarsi laggiù. Stava per tornare indietro, convinta com’era che anche nell’ultimo salottino non vi avrebbe trovato nessuno, quando, più per scrupolo che per reale convincimento, aprì pian piano la porta accostata della terza piccola sala. Era buio e i suoi occhi faticarono un po’ ad adattarsi alle condizioni di scarsa visibilità; quando però vi riuscì, vicino alle ampie vetrate vide in modo distinto due figure. Entrambe le davano le spalle, quindi non si accorsero della sua presenza. In silenzio cercò di avvicinarsi, per capire almeno chi fossero. Istintivamente sorrise, nel riconoscere le due figure. Sorrise e tirò un sospiro di sollievo, grande quanto un palazzo.
Stretta in un affettuoso abbraccio e seduta in grembo alla Regina, aveva finalmente trovato Isabel!
Senza pensarci due volte, fece dietrofront e uscì da lì, preoccupandosi di accostare il più possibile la porta alle sue spalle, in modo che eventuali invitati non vi entrassero, e dando così a madre e figlia la possibilità di avere un po’ di privacy.

 

“Dove è la mia fidanzata?” Rientrata nel salone dove la festa si era appena conclusa, lady Joan venne immediatamente ‘affrontata’ da sir Sten. La donna fece di tutto per sorridergli, per quanto non ne avesse alcuna voglia, e poi rispose.
“Non so, signore..”
“Io ho fretta, ma voglio congedarmi da lei..” Replicò quello, con molta poca grazia.
“Vi ho detto che non so dove sia.” Ribatté lei, cominciando a perdere la pazienza. “Porterò a Sua Altezza i vostri omaggi ed i vostri saluti, non dubitate..”
Congedato in un modo tanto garbato, e dato anche che ormai la maggior parte degli ospiti stava andando via, al povero sir Sten non restò altro che lasciare il palazzo. Mentre andava via, non mancò di lanciare un paio di occhiate tutt’altro che amichevoli a lady Thorston. Non gli era affatto piaciuta l’ingerenza di quella stupida dama e non vedeva l’ora di poter mettere becco sul seguito che Isabel avrebbe dovuto portarsi dietro dall’Inghilterra alla volta della sua nuova destinazione. Era certo che Re Enrico non avrebbe avuto nulla da ridire di fronte alle sue sacrosante richieste e, proprio mentre saliva sulla carrozza che lo avrebbe accompagnato al palazzo dove alloggiava, pensò bene ad una strategia per far sì che la molesta lady Joan potesse essere eliminata al più presto dal seguito di Isabel.

 

“Amore.. va un po’ meglio?”
Con dolcezza Caterina sciolse l’abbraccio che l’aveva legata ad Isabel e fissò il volto della figlia. Con il pollice asciugò le sue lacrime, mentre l’altra mano accarezzava delicatamente la schiena di lei. Leggermente scossa dagli ultimi singhiozzi, Isabel annuì in silenzio. Incapace di trattenersi, Caterina le baciò la tempia e la strinse di nuovo a sé.
Per una settimana, da quella brusca discussione, si erano viste pochissimo; ogni volta che avveniva, Isabel abbassava subito gli occhi, sotto lo sguardo severo e adirato della madre. Non avevano più parlato di quanto la giovane aveva chiesto, anzi non avevano proprio più avuto occasione di scambiare due chiacchiere, tantomeno di riavvicinarsi. La Regina aveva sbottato malamente verso la figlia e l’aveva in pratica cacciata dal proprio studio. Una cosa mai successa prima d’allora. Isabel se n’era andata, obbediente come sempre, ma le durissime parole che le erano uscite dalla bocca avevano lasciato di stucco sua madre, e nei giorni successivi erano risuonate di continuo nella sua mente, facendola adirare ancora di più.
Durante la serata tuttavia, sebbene avesse dato l’impressione di non accorgersi di Isabel e di quanto stesse avvenendo tra la figlia e sir Sten, Caterina aveva sentito il proprio cuore stringersi man mano che la festa andava avanti. Sebbene tutta la corte l’aveva vista sempre accanto a Maria, non s’era persa uno solo dei gesti goffi che lo stupido nobiluomo svedese aveva avuto per Isabel, del modo in cui si era reso ridicolo danzando con lei, di come le aveva impedito di essere invitata per una danza, o anche solo avvicinata da chiunque altro che non fosse lui. Isabel aveva sopportato tutto con calma disumana e con un’incredibile dignità, senza mai lasciar trapelare il disagio e la poca stima che aveva nei confronti del fidanzato. Nessuno dei membri della corte poteva vederlo, perché tutti erano estranei. Lei invece aveva visto, e si era sentita spezzare il cuore.
All’improvviso i due si erano appartati per discutere in maniera abbastanza animata. Caterina li aveva seguiti, tenendosi però a distanza. Pur non udendo le loro parole, aveva intuito che l’alterco era stato tanto vivace, quanto penoso. Ad un certo momento, sir Sten doveva aver detto qualcosa di tremendo, perché Isabel era improvvisamente impallidita, restando di sale. Lui si era allontanato, e la giovane Principessa era scoppiata in lacrime. Per timore di essere vista, si era allontanata da lì in tutta fretta, seguita da Caterina, che non ci aveva pensato due volte. La festa, Maria, l’ormai imminente matrimonio, il suo ruolo di Regina e madre della futura Regina di Francia potevano ben aspettare di fronte a quanto aveva visto.
“Isabel, che cosa è successo?” Chiese dolcemente, sciogliendo di nuovo l’abbraccio con lei e guardandola. “Per favore, tesoro, dimmi che cosa ti ha detto sir Sten..” Gli occhi di Isabel rimasero bassi e per la Regina fu un’impresa avere un contatto visivo con lei. “Amore mio, che cosa ti ha detto, o fatto? Ti ha in qualche modo mancato di rispetto? Ti prego, dimmi.” La convinse dolcemente, riuscendo finalmente ad alzarle il viso. A quelle parole, Isabel corrugò le sopracciglia.
“Non è successo nulla, mia signora..” Disse decisa, guardando prima in basso e poi nella direzione opposta a quella in cui si trovava Caterina.
La Regina fu così sorpresa per quel colpo di scena che rimase totalmente zitta.
“Scusate, ma ora devo andare nei miei appartamenti..” Disse di nuovo Isabel, e fece per alzarsi dalle ginocchia materne.
“Come non è successo nulla, Isabel!” Esclamò Caterina, di colpo. Le parole della figlia e il suo tentativo di andare via, l’avevano risvegliata da quell’apparente impasse. Subito pose una mano all’altezza della bocca dello stomaco di Isabel e la trattenne, con dolce fermezza. “Isabel ho visto chiaramente quanto è successo fra te e sir Sten. Ti prego, non dirmi bugie.” La esortò, ma la figlia girò il viso e ammutolì.
“Non è successo nulla..” Replicò, dopo alcuni istanti.
“Non è vero, Isabel, e tu sai che stai mentendo. Ho visto tutto, sai? Ho visto come sir Sten ti ha monopolizzata tutta la sera. E soprattutto ho visto come ti ha trattata, tesoro mio..” Rispose Caterina, dapprima con una certa decisione, poi divenendo più dolce e facendola di nuovo sedere. “Amore, ti prego, raccontami quello che è successo. Se preferisci non vederlo più, non hai che da dirlo..”
A quelle parole, Isabel si voltò di scatto verso sua madre.
“Cosa?” Sibilò, tanto stupefatta, quanto palesemente furente. Aprì la bocca per riprendere a parlare, ma poi la chiuse di scatto, mordendosi il labbro inferiore.
“Isabel, cosa c’è..” Le chiese sua madre, che non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
“Ora mi venite a dire che…” Riprese Isabel, interrompendosi di nuovo. “Una settimana fa io vi ho chiesto.. No, io vi ho implorata di..” Il tono di voce di Isabel si incupì bruscamente, poi la giovane principessa si zittì e si morse di nuovo il labbro.
“Amore mio, che succede?” La voce della Regina rifletteva tutta la sua preoccupazione. Pur non essendo mai stata una gran chiacchierona, Isabel non era mai stata così reticente. Le mani di Caterina salirono sul viso della figlia, nel tentativo di capire ancora una volta cosa stesse succedendo. “Amore, parlami..”
“Non è giusto!!” Gridò improvvisamente Isabel. “Non è giusto!!” Caterina le prese con dolcezza le mani. Era evidente che la fanciulla fosse sconvolta, e lei era fermamente intenzionata prima di tutto a calmarla e in secondo luogo a capirne i motivi. “Lasciatemi stare!! Ne ho abbastanza di questi modi ipocriti!!” Proseguì Isabel, più sconvolta che mai. Di scatto si alzò dalle ginocchia della mamma e fece due passi indietro, sottraendosi alle mani di Caterina che, ancora una volta, cercavano di ricondurla per lo meno alla calma.
“Isabel, ti prego.. spiega..” Riprese a dire, ma la figlia la interruppe, e questa volta non ci fu modo per la Regina di fermarla.
“Sapete quanto mi costi parlare, esprimere i miei sentimenti. Voi lo sapete più di chiunque altro qui a corte. Eppure una settimana fa sono venuta da voi, ho aperto il mio cuore e vi ho chiesto, anzi supplicato, di mandarmi a Windsor per poter respirare un po’. Sir Sten è l’uomo più sbagliato, ottuso, meno intelligente e brillante che io abbia mai conosciuto. La sua conversazione è nulla, puzza, non ha modi civili e abbiamo opinioni su come condurre le nostre vite così distanti che perfino con un selvaggio delle Indie mi sentirei più a mio agio, infinitamente di più. Nonostante tutto, lo sposerò, per non mancare di rispetto al Re e soprattutto a voi, che siete importante per me come l’aria che respiro. Vi ho solo chiesto tempo, per poter star serena, per poter pregare e prepararmi ad una vita con lui, e mi avete cacciata in malo modo, quasi fossi un’appestata. Non avete nemmeno pensato di sentire le mie ragioni, né di chiedermi da cosa fossi così turbata, o oppressa.” Eruppe la giovane Principessa, con una forza nella voce che la madre ne rimase decisamente impressionata. Il suo volume era basso, appena udibile e comprensibile, ma le parole erano decise e forti, come scudisciate. “Mi sono sentita abbandonata più che in tutte le altre volte sono andata via da qui, o mie è stata imposta una decisione solo perché sono la figlia di un Re e non di un uomo comune. Pensavo di poter avere comprensione, sostegno e solidarietà da voi, sia come madre, che come donna. Ancora di più come donna, per aver vissuto la mia stessa vicenda. Ed invece nulla. Non solo mi avete ignorata, ma avete gridato contro di me. Non meritavo una cosa del genere. Non la meritavo davvero..” Continuò Isabel, mentre i suoi occhi si riempivano nuovamente di lacrime. Sentendosi enormemente colpevole, Caterina si alzò in piedi e fece due passi verso di lei, riuscendo a prenderle una mano, ma la figlia si divincolò e fece due passi indietro. “Grazie mille, per la vostra comprensione e la vostra attenzione, madre. Grazie davvero..” Concluse ironicamente. Dopo di che fece un inchino, quindi corse via. 
La Regina rimase a guardarla andare via senza poter fare o dire alcunché. Solo in quel momento si rese conto davvero di quanto importanti sarebbero stati per Isabel il suo supporto e la sua comprensione; solo in quel momento realizzò quanto le era costato venire a chiederle di essere mandata a Windsor. Non era un capriccio, né un modo per fare la furbetta, ma una reale necessità. Un modo per respirare e riordinare le idee in vista d’un matrimonio sempre più vicino e della partenza dall’Inghilterra e dalla corte. Per tutta la sera aveva notato, più di quanto già non sapesse, quanto Isabel e sir Sten appartenessero a due mondi totalmente diversi, e per tutta la sera aveva avuto un nodo in gola nel vedere quanto i due non avessero nulla da dividere. Lo sguardo di Isabel, acceso, vispo ed allegro ad inizio serata, si era spento ed incupito, a mano a mano che il fidanzato aveva preso ad esser sempre più presente ed opprimente. Isabel gli aveva detto, dapprima con gentilezza, poi con decisione via via più forte, che avrebbe gradito chiacchierare e danzare anche con altre persone, ma lui non se n’era dato per inteso e le era rimasto accanto fino a che non avevano discusso. O meglio, fino a che sir Sten non aveva detto qualcosa che aveva fatto impallidire la giovane, fino a farla andare via dalla sala. Solo allora Caterina aveva avuto la spinta per raggiungerla e consolarla. In realtà avrebbe voluto farlo fin da subito, ma un po’ per testare la coppia, un po’ perché era il giorno di Maria, un po’ perché era ancora assai adirata con Isabel, non si era mossa da lì. Quando l’aveva trovata in lacrime, però, tutto quanto l’aveva tenuta fino a quel momento lontana dalla figlia, era sparito in un attimo. In silenzio l’aveva presa tra le braccia, stringendola forte a sé. Non si sarebbe mai aspettata una reazione di quel tipo da parte di Isabel, né parole così dure e tanto sfrontate, ma cercò di capirla, nonostante tutto. O per lo meno di capirne le motivazioni, che erano chiarissime.
Cupa e pensierosa abbandonò la sala, ormai fredda, e ritornò nella zona del palazzo che aveva abbandonato quasi un paio d’ore prima.
Di Isabel non c’era traccia, e lei pensò di lasciarla tranquilla. Stava ormai preparandosi per la notte, quando inaspettatamente le venne annunciata la richiesta di un colloquio assai urgente con lady Thorston. Sulle prime la Regina si spaventò, poi cercò di calmarsi. Fosse stata un’emergenza, lady Joan non avrebbe chiesto nulla, ma si sarebbe precipitata dentro la sua stanza, dicendole cosa non andava. Così, riacquistò il suo abituale contegno e si preparò a ricevere la governante di sua figlia.

 
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“Vostra Altezza, Sua Maestà, vostro padre è qui..”
Isabel alzò gli occhi dallo spartito che stava studiando e sorrise a lady Joan. Pochi istanti dopo Re Enrico entrò nella sua stanza, debitamente salutato e riverito dalla figlia.
“Bambina mia, eccoti!! Come stai tesoro?” Esclamò Enrico prendendola dolcemente per le spalle e facendola rialzare. Poi depositò un bacio sulla sua fronte e, inaspettatamente, la strinse a sé per qualche istante. Quando la lasciò, Isabel era così sorpresa che non riuscì nemmeno a dire una parola. Tuttavia cercò di mascherare come poté lo stupore per quella novità. Gli sorrise di nuovo e poi stese la mano, invitandolo ad accomodarsi. “Non ho tempo, tesoro, per accomodarmi e stare con te..” Disse subito lui. Isabel chiuse gli occhi e fece una piccola smorfia a metà tra la delusione e il già vissuto. “Volevo solo dirti che se tu vuoi ancora andar a Windsor, e cominciare a stare lì un pochino prima delle prossime vacanze di Natale, hai il permesso. Quello di tua madre e, naturalmente, anche il mio.” Annunciò in modo del tutto inaspettato. Isabel lo guardò con un’espressione di completa sorpresa. Questo era un deus ex machina che non si aspettava davvero.
“Posso davvero?” Chiese, come se non fosse troppo sicura di aver sentito bene.
“Sì, Isabel, puoi.” Concesse lui, tutto sussiego e gloria. “Io e tua madre ne abbiamo parlato e discusso a lungo, ed alla fine io ho deciso che se vuoi, puoi andare..”
Enrico cominciò così uno dei suoi lunghissimi discorsi sui molti doveri di una Principessa, ovviamente dilungandosi sulle ripercussioni che il suo comportamento avrebbe avuto sulla Corona e sulla Famiglia reale, non solo sul suo onore. Ma Isabel non lo ascoltava già più. Ciò cui la Principessa riusciva unicamente a pensare era che l’artefice di tutto quanto non poteva che essere sua madre. Ancora una volta l’aveva sorpresa totalmente e le aveva regalato quello che davvero le serviva: tempo e silenzio. Aveva poco più di due settimane per fare deserto dentro di sé e prepararsi al meglio a ciò che l’avrebbe aspettata al rientro delle vacanze. Un matrimonio ed un viaggio…
“Allora, Isabel?, sarai obbediente e virtuosa come sei stata educata ad essere?” Chiese con una certa impazienza Enrico. Isabel si rese conto che aspettava una risposta da un po’ di tempo e si affrettò ad annuire.
“Certo. Certo, padre.” Rispose sicura, abbassando il capo e facendo un profondo inchino.
“Bene, figlia mia. Allora puoi preparare le tue cose. Le tue dame verranno ovviamente con te ed hanno già istruzioni in merito..” Disse Enrico sorridendole ed avvicinandosi a lei. La giovane si inchinò di nuovo profondamente poi, dopo aver ringraziato il padre, gli sorrise una seconda volta, quindi corse via. Enrico rimase solo nella stanza di Isabel. Per la prima volta si sentì strano dopo una chiacchierata con lei, e dopo averle concesso qualcosa. Non riusciva a capire bene cosa fosse e cosa lo turbasse, ma in qualche modo ne percepì l’acutezza e la dolorosa novità.
Lasciato suo padre, Isabel si diresse di corsa fuori. Aveva saputo da lady Willoughby che era in giardino per una passeggiata e lei, prima che la dama terminasse di parlare, e senza indossare nulla di pesante, si diresse verso la prima vetrata disponibile. La aprì e corse in direzione della parte di giardino indicatale da Maria de Salinas. La giornata era bella e serena, e non faceva troppo freddo; ma per l’intera notte e parte della mattina era nevicato e il manto erboso ed il selciato erano ricoperti da uno spesso strato di neve. Impiegò più del previsto a trovare sua madre, che evidentemente si era spostata. Quando la vide, a una trentina di metri da sé, le sorrise. Lei rispose al suo sorriso e sembrò alzare una mano, come per salutarla. Quello era il gesto che Isabel aspettava. A passo veloce e poi di corsa, raggiunse sua madre e di fronte a lei le sorrise ancora e le buttò le braccia al collo.
Troppo sorpresa perfino per dire qualcosa, Caterina per un attimo stette in silenzio, poi la figlia le mormorò qualcosa all’orecchio e lei, come una madre normale e comune, la strinse a sé per qualche istante. Sciolto l’abbraccio, guardò gli interlocutori con i quali fino a pochi istanti prima era a colloquio. La fanciulla spostò il viso a destra e a manca, ed arrossì ferocemente, rendendosi conto della situazione.
“Oh.. oh, perdonate, Maestà..” Mormorò enormemente imbarazzata. “Voi.. voi eravate a colloquio.. ed io vi ho bruscamente interrotti..”
Sir More e il dica di Norfolk si guardarono a vicenda e sorrisero. Lo slancio di Isabel verso sua madre era stato talmente genuino e sano che, per quanto altrettanto fuori dalla rigida etichetta di palazzo, aveva strappato loro più di un sorriso. Ora l’imbarazzo ed il rossore sulle guance di Isabel erano ancora più teneri del gesto in sé.
“Sir More, duca di Norfolk, ci scusate, vero?” Disse pazientemente Caterina, sorridendo loro e congedandoli. Entrambi annuirono con un sorriso, segno che comprendevano alla perfezione la vicenda, e non avevano alcun problema a togliere il disturbo. Pochi istanti dopo, Caterina ed Isabel rimasero sole. La giovane Principessa guardò la madre un po’ di sottecchi, poi alzò gli occhi al cielo, come ad ammonirsi per la sciocchezza commessa. Non si accorse nemmeno che Caterina la guardava con infinita tenerezza e le si era avvicinata.
“Madre, io davvero non so come chiedervi perdono per oggi..” Mormorò quando realizzò la presenza materna. Caterina non la fece nemmeno finire di parlare che la abbracciò.
“Non c’è nulla da perdonare, amore mio. Nulla.” Disse con forza tenendola stretta a sé.
Isabel annuì e poi tremò leggermente. Senza staccarsi dalla mamma, alzò leggermente il viso e vide la neve scendere. Nevicava già prima, ma ora era diventata più intensa. Un altro tremito la scosse ed allora Caterina si accorse che sua figlia indossava unicamente l’abito. Dolcemente sciolse l’abbraccio, poi le cinse con un braccio la vita, tenendola vicina a sé, quindi si avviarono verso il palazzo.
Al di qua della vetrata, Enrico vide tutto. Lo slancio di Isabel; la sorpresa di Caterina ed il suo successivo abbraccio, materno e tenero come sempre; i sorrisi di sir More e del duca di Norfolk, due uomini che erano ben lungi dall’essere teneri e portati all’accondiscendenza, sia pur con dei fanciulli o dei giovani. Poi arrivarono in rapida successione il congedo dei due consiglieri da parte della Regina, il tentativo di Isabel di dire qualcosa e l’abbraccio, stretto, di Caterina.
Non era certo la prima volta che vedeva i gesti d’affetto della moglie nei confronti della loro secondogenita, eppure stavolta si sentì strano. Geloso era forse il termine giusto. Non aveva mai cercato la complicità con Isabel, né di piacerle o di andarle a genio. Tra loro non c’era mai stata la tenera vicinanza che aveva con Maria. La piccola di casa doveva limitarsi ad obbedire e a ringraziare per i suoi gesti generosi verso di lei. Se poi riusciva a mostrarsi debitamente riconoscente e felice di vedere il padre, di tanto in tanto, ancora meglio. Ora, però, si rendeva conto che quel tipo di reciprocità non bastava più. Si accorgeva che Isabel era una persona molto più complessa e sfaccettata di Maria e che, per quanto approvasse il comportamento ed il modo di porsi della primogenita, era quello della secondogenita che lo affascinava. Quello che Enrico realizzò tutto ad un tratto era che con Maria lui non aveva costruito nulla; si era limitato a vederla nelle occasioni comandate, aspettarsi da lei il dovuto e farle due carezze quando proprio doveva. Tuttavia non la conosceva davvero, non sapeva nulla di lei, o quasi; e viceversa. Isabel e Caterina, invece, avevano stabilito non solo un eccellente rapporto madre figlia, pur di tanto in tanto tempestoso e vivace, ma si conoscevano, si capivano al volo, si cercavano di continuo. I sorrisi di Isabel per sua madre non erano dovuti, ma realmente sinceri. E la devozione che la giovane aveva per la Regina era totale, come avevano testimoniato le vicende avvenute a Windsor poco meno di sei mesi prima. La consapevolezza che Isabel gli stava rendendo quello che lui le aveva dato per primo lo investì in pieno, addolorandolo come mai gli era capitato. Non sapeva come maneggiare questi sentimenti, non sapeva se fossero in qualche modo normali o consueti. E mentre vedeva madre e figlia andare via, abbracciate strettamente, si rese conto che quelli erano probabilmente le ultime occasioni per avvicinarsi davvero a sua figlia, e che una volta partita, avrebbe potuto non rivederla mai più.

 
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“Isabel..” La voce di Joàn fu poco più di un sussurro lievissimo, ma tradiva un’emozione palpabile e ben visibile. Gli occhi spalancati, la bocca semiaperta dapprima per lo stupore, poi per la gioia, il giovane lasciò che stava facendo per avviarsi verso la Principessa. Con delicatezza, ma anche con una certa decisione le prese entrambe le mani e poi se le portò alla bocca. Isabel gli sorrise e poi abbassò lo sguardo, arrossendo. Quanto le era mancato!! Quel suo semplice tocco glielo aveva ricordato all’istante. Riaprì gli occhi e sollevò lo sguardo per sorridergli.
“Vostra Altezza, che piacere avervi qui..” la salutò Yousuf al bin Ismail, andandole incontro a sua volta e chinando educatamente il capo. Il medico arabo si era recato a Windsor per qualche giorno e, al pari del suo collega inglese, non si aspettava certo di vedere Isabel. Pur sorpreso, era tuttavia riuscito a contenersi più di Joàn ed aveva pronunciato il titolo di lei con un certo piglio, come per ricordare al suo giovane collega a chi si stava rivolgendo. Joàn impallidì per qualche istante e poi si riprese. Lasciò le mani della giovane e le sorrise, come suo solito.
“Grazie, signore..” Rispose Isabel, spostando gli occhi su di lui e sorridendo. Dopo alcuni istanti si udirono dalle sale attigue le lamentele dei pazienti. Yousuf girò il viso in quella direzione e poi guardò Joàn.
“Pensate voi a far fare a Sua Altezza il giro della struttura?” Gli disse. “Mi raccomando, señor Fernandez.. E’ affidata a voi..” Si raccomandò, serio in volto. Poi, dopo un sorriso ed un ultimo inchino ad Isabel, sparì.
“Non starete pensando davvero che io abbia bisogno del giro di conoscenza, vero?!”
Tutto serio e concentrato, ed ormai avviato proprio al tour all’interno dello spedale, Joàn si fermò nel bel mezzo alla sala. Lentamente si voltò verso Isabel e la guardò con un’aria a metà tra l’interrogativo e lo stupito.
“Dimenticate, señor, che sono stata io ad ideare questo spazio. Conosco ogni angolo ed ogni pertugio, credete a me.” Puntualizzò lei decisa, ma allo stesso tempo divertita dallo stupore di lui. Resosi conto dell’errore, Joàn le sorrise ed annuì.
“Avete ragione, Vostra Altezza. Perdonatemi.” Si scusò. “Allora permettetemi di farvi fare la conoscenza con..”
“Non ci siamo capiti, señor Fernandez, io voglio mettermi al lavoro.” Disse Isabel, con fretta. “Subito..” Aggiunse, levandosi il mantello da viaggio.

 

“Vostra Maestà, sir Sture..”
Caterina, che stava uscendo dalla piccola Cappella di Hampton Court, annuì alle parole di lady Willoughby e lanciò da lontano un’occhiata al nobile svedese. Seguita dalle due dame che erano entrate con lei in Chiesa, si avviò subito verso di lui. Non aveva troppa voglia di parlargli, tantomeno di vederlo, ma non poteva girare di tacchi ed andare via. Così si fece coraggio. Non appena gli fu vicina, represse un’espressione di disgusto. La giubba che il nobile indossava aveva delle macchie grandi quanto la palla usata per il tennis reale, i suoi calzoni e gli stivali erano sporchi di fango ormai rappreso e nel complesso gli abiti non sembravano pulitissimi.
Non appena vide la Regina, sir Sten chinò il capo e poi la schiena, in segno di saluto.
“Maestà..” Sorrise di malavoglia. “Avrei piacere di parlare con la mia fidanzata..”
“Mi spiace, ma ella non è qui..” Rispose Caterina, avviandosi verso il corridoio e girandosi poi per fargli capire che non sarebbe rimasta lì impalata a parlare con lui. Troppo sorpreso dalle parole di lei, per un attimo sir Sten non rispose.
“E dove è?! Ditemelo, ché la raggiungo subito..” Rispose deciso, restando fermo dove era. Quando poi si rese conto che la Sovrana lo attendeva, si affrettò a raggiungerla.
“Sua Altezza non è raggiungibile, sir Sten.” Rispose decisa. Lui la guardò senza riuscire a dire nulla. Non si aspettava una risposta così decisa da parte sua e ci rimase in qualche modo male. D’altra parte lui era il fidanzato ufficiale di Isabel, aveva diritto di starle vicino, anche perché non la conosceva benissimo.
In realtà nei confronti di lei provava sentimenti assai ambivalenti che non si era mai preso troppo la briga di scandagliare e analizzare con serietà. C’erano momenti in cui Isabel gli sembrava una ragazzina capricciosa e del tutto infantile, che non sembrava aver a cuore, né minima percezione dei suoi problemi di vedovo e che non faceva nulla per invogliarlo a trovarla almeno piacente, se non giusta per lui. Tuttavia c’erano altri momenti in cui il carattere di lei, così testardo e vivace allo stesso tempo, lo incuriosita. Quando la vedeva ballare, o la sentiva accalorarsi in qualche discussione, ecco in quei casi Isabel lo attraeva pazzamente. Poi però se ne usciva con una frase netta, decisa, che la maggior parte delle volte era assai distante da quanto provava lui, e la situazione tornava al punto di partenza e la giovane Tudor gli sembrava una ragazzina che gioca a far l’adulta.
“Ma io sono il suo fidanzato..” Azzardò. Gli dava noia che Isabel fosse distante da Londra, e da lui. Avrebbe voluto parlarle, star con lei in quelle settimane, continuare a conoscerla e, sì, perfino controllarla se era necessario. Sapeva che non avrebbe mai potuto dire a voce alta queste cose, ma le pensava eccome. Vedeva come lei si comportava, di quanta libertà godesse e quanto giocasse con gli uomini che giravano intorno al suo seguito ed alle sue dame. Tutto questo lo irritava e gli dava enorme fastidio. “Io sono l’uomo che il Re ha scelto per..”
“Sir Sture!!” Lo fermò la Regina, con un’occhiata improvvisamente di fuoco. “Quello che è bene per Sua Altezza lo decidiamo noi! Se riteniamo che qualche giorno fuori Londra possa esser utile per la sua crescita, lo programmiamo senza problemi. Se riteniamo che Sua Altezza abbia necessità di star fuori Londra, si procede in questo senso. Se riteniamo che la Principessa debba andare in questo o quel luogo in rappresentanza mia e di Sua Maestà, non c’è alcuna esitazione da parte nostra.. Siamo noi i suoi genitori, i suoi tutori, coloro che hanno a cuore tanto la sua salute quanto la sua educazione.” Lo avvertì, squadrandolo severamente. Sir Sten si mise subito sull’attenti, abbassò il capo e non osò più parlare. “Potrete vedere Sua Altezza quando noi ci sposteremo a Windsor, e la corte ci seguirà, come di consueto. Fra due settimane.” Spiegò, prevenendo la sua ovvia domanda.
“Certo, Vostra Maestà.” Rispose il povero nobiluomo, dopo diversi istanti di choc totale e completo silenzio. “Come desiderate..” Aggiunse, con tono ancora più servile ed umile.
Disgustata, Caterina gli riservò un’ultima occhiata di ammonimento e poi andò via, senza nemmeno salutarlo.

 
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“Come si sta comportando?”
Nonostante una furiosa tempesta di neve, il dottor Griffith si era recato a Windsor sia per parlare con il dottor Yousuf, che per dare uno sguardo ad Isabel, e di riflesso anche a Joàn. Il medico arabo sorrise e la guardò interagire con uno degli ultimi pazienti, con Joàn ed il personale della struttura.
“Raramente ho visto una persona così giovane, ma così interessata alla medicina ed a tutto questo..” Ammise Yousuf. “E considerando che potrebbe non occuparsene, è ancora più stupefacente.”
“E con lui?, come va..” Chiese ancora sir Griffith.
“Sono del tutto complementari.” Rispose subito il collega. “Si completano alla perfezione. E mi sembra che siano anche molto amici.”
“Forse perfino troppo.” mormorò sir Griffith, osservando i due giovani che terminavano di fasciare il braccio di un uomo semi-incosciente e si sorridevano. Era evidente che i due si stimassero e si cercassero di continuo, e per la verità il medico inglese aveva qua e là udito più di un pettegolezzo. Nulla di scandaloso, beninteso; quanto semmai giusto qualche  testimonianza su quanto effettivamente Isabel e Joàn fossero vicini.
Durante il resto di quella giornata i due rimasero separati, per poi ritrovarsi dopo cena.
Joàn avrebbe trascorso la notte allo spedale, a vegliare i malati più gravi, ed Isabel era fermamente decisa a far quella esperienza. Certo, sarebbe dovuta andar via dalle sue stanze di nascosto, nella speranza che alcuno la seguisse o venisse a sapere quanto aveva combinato. Per questo aveva escogitato un piano a suo giudizio infallibile. Aveva dato l’idea d’aver studiato e lavorato per l’intera seconda parte della giornata, quindi si era ritirata nelle sue stanze, avvertendo tutte le sue dame e lady Thorston che era sfinita e non desiderava essere disturbata per alcun motivo. Esse avevano annuito, obbedienti ed erano uscite, lasciandola in pace. Solo lady Joan si era mostrata un po’ strana di fronte alle parole di Isabel. Non era sospettosa, sembrava più incuriosita da quella novità.
“Altezza, siete sicura di non aver bisogno di nulla?” Chiese un’ultima volta. Isabel cercò di congedarla in modo fermo, ma gentile. Sorrise e la accompagnò alla porta.
“Sì, mia buona lady Thorston.” Rispose, gentile come al solito. “Ho solo bisogno di farmi un bel sonno..”
“Forse dovreste rallentare le vostre attività, Altezza. Tra poco è Natale e voi in questi giorni vi siete spesa moltissimo, facendo più che il vostro dovere.” Rispose la dama, quasi fosse decisa a non mollare la presa. “Dovreste scrivere a vostra madre e chiederle un consiglio. Che ne dite?” Isabel si irrigidì, pur impercettibilmente. Non era adirata per quel che la dama aveva osato dire, quanto semmai seccata del fatto che la questione rischiasse di allungarsi e non di poco, rischiando di far saltare il suo piano ben preparato.
“Non vi preoccupate, lady Joan, non sto male né sono particolarmente affaticata.” Le disse, cercando di mostrarsi calma e naturale al suggerimento della donna. “Sono certa che una bella notte di sonno mi aiuterà.. Buona notte..” Aggiunse, congedandola. Visibilmente di malavoglia la dama la salutò ed uscì dalla stanza. La giovane tirò un sospiro di sollievo e poi cominciò a prepararsi.

 
“Eccovi, finalmente!!” La accolse Joàn, quasi due ore dopo. “Ormai vi davo per dispersa..” Sorrise, mentre la guardava togliersi il pesante mantello e la cuffietta di pelliccia e velluto. Contrariamente al solito, non le diede una mano limitandosi ad osservarla da lontano.
“Avete perduto le buone maniere, signore?” Lo provocò lei, guardandolo e alzando un sopracciglio indagatore. “E poi che vuol dire che mi davate per dispersa? Dio solo sa cosa mi sono dovuta inventare per poter stare qui.”
“E’ stata una vostra scelta..” Commentò Joàn, senza riflettere. Un secondo dopo si pentì di quelle parole, crudeli ed inopportune e subito lasciò le bende che stava preparando per avvicinarsi ad Isabel. “Vi chiedo scusa. Non avrei dovuto..” Mormorò prendendole una mano e portandosela alla bocca.
“Sì, non avreste dovuto..” Sibilò lei furente, ritirando la mano e impegnandosi a sistemare da una parte mantello e cuffietta. “Avanti, ditemi cosa posso fare..”
“Altezza, per favore..” Riprese lui, provando di nuovo a scusarsi.
“Sir Fernandez, ho detto di dirmi cosa c’è da fare..” Rispose Isabel, guardando tutt’intorno e senza dargli più attenzione.
Per qualche ora i due rimasero impegnati in attività diverse e in stanze separate. Joàn si occupò più che altro della zona maschile, mentre Isabel si diresse verso quella in cui erano sistemate le donne. Non era un lavoro faticoso o particolarmente difficile: si trattava per lo più di controllare che nessuno stesse male o avesse bisogno di qualcosa; in caso contrario si doveva intervenire il più tempestivamente e nel migliore modo possibile. La giovane era elettrizzata: fino a quel momento aveva sempre lavorato negli spedali di giorno, per lo più in situazioni tranquille. Lavorare in quel clima di calma apparente le dava l’opportunità di migliorare nella prontezza, nella rapidità e nel prendere le migliori decisioni.
“James, calmati!!”
La voce di John, uno degli inservienti, ruppe il silenzio pressoché totale in cui erano immerse le enormi camerate. Successivamente si udirono rumori confusi, e un trambusto che svegliò parte della struttura. Isabel, che cercava di dormicchiare in una delle stanze riservate al personale che si fermava la notte, si alzò e senza nemmeno pensare, uscì dalla stanza. Prima che potesse accorgersene James la afferrò per un braccio e poi la minacciò per pochi istanti con un pugnale.
“Dovete darmi da bere!!” Urlò. Subito Joàn, accorso da pochi istanti, cercò di calmarlo e riportarlo alla ragione.
James Caldwell aveva visto morire moglie e tre figli nell’incendio della loro casa, e da allora non era stato più lo stesso. Uomo ormai di mezza età, era stato per gran parte della sua vita un fabbro assai conosciuto a Windsor e dintorni, la cui arte nel maneggiare il ferro lo aveva fatto apprezzare da molti nobili e perfino dal Re; ma da quel terribile giorno di tre anni prima, la sua vita era scivolata sempre più in basso. La melanconia che lo aveva colpito, era diventata un mostro orribile, che gli aveva occupato la vita, fino a farlo vivere come un recluso. Aveva così finito per non curarsi più di se stesso, del suo lavoro, di tutto quanto riguardava la sua esistenza, fino a diventare un fantasma scorbutico ed ineducato. Da qualche mese poi aveva preso ad essere sempre ubriaco, ed aveva finito per cacciarsi spesso in risse tra delinquenti ed ubriachi incalliti. Non avendo il fisico né il talento del picchiatore di professione o dell’attaccabrighe patentato, il risultato di quelle risse erano delle sonore sconfitte. Da una settimana, ormai mosso a pietà, Joàn lo aveva accolto nello spedale, più nel tentativo di sottrarlo ai pericolosi delinquenti con cui entrava in conflitto, che per reali necessità. Su una cosa era stato categorico: James doveva smettere di bere e riprendersi, e per essere più sicuro che la cosa avvenisse davvero, gli aveva tolto la solita razione di birra, pur leggera. Da quel momento in poi, solo mead, in quantità controllate e centellinate rigorosamente. In un primo momento, James non sembrava aver risentito del drastico cambio, ma da un paio di giorni era divenuto via via più irrequieto e scontroso. Quel giorno si era isolato quasi del tutto e non aveva partecipato per nulla alle attività in cui venivano coinvolti gli ospiti in buone condizioni. Joàn aveva cercato di rasserenarlo un poco, ma senza troppo successo. Tuttavia,  egli se n’era andato a letto e non sembravano esserci state conseguenze troppo negative. Almeno fino a quando era arrivata Isabel….
All’improvviso James era spuntato fuori dalla camerata in cui dormiva ed aveva afferrato la giovane Principessa per un braccio. Joàn si era sentito venire meno quando era accorso, ed aveva visto dapprima il pugnale e poi lo sguardo smarrito e terrorizzato di Isabel. Per un attimo aveva perfino pensato di lanciarsi contro il pover’uomo, ma ragionando si era poi trattenuto. Sarebbe successa letteralmente la fine del mondo se, per somma sfortuna, James, preso dal panico, avesse colpito Isabel, o peggio. Così aveva allargato le braccia e, facendosi disperatamente forza, aveva cercato di calmarlo.
“Mastro Caldwell, vi imploro, lasciate andare la Principessa.” Il tono del giovane era di una determinazione ed una calma in realtà fittizie se non addirittura irreali. “Vi prego, amico mio, lasciatela andare e vi darò quel che chiedete..” Ripeté, dicendosi che preferiva averlo ubriaco ma innocente, piuttosto che sobrio ed assassino. Sir Stephen Crown, il suo vice, lo guardò, stupito, come se disapprovasse quanto gli era appena uscito di bocca. Joàn gli lanciò un’occhiata veloce e poi distolse lo sguardo. Era palese che non fosse d’accordo, ma che ci poteva fare? Non era certo il momento per la rigidità e l’intransigenza. Non con la punta di un pugnale sul collo di Isabel. Quella visione gli era intollerabile ed il giovane nobile spagnolo concentrò lo sguardo solo su James e sui suoi occhi smarriti. “Coraggio amico, date a me quel pugnale.” Azzardò, avvicinandosi di un paio di passi. Con suo sommo terrore il vecchio fabbro sembrò stringere le dita attorno al manico dell’arma, e i suoi occhi si incupirono; poi mosse la mano, dapprima lievemente, come se non sapesse bene cosa fare, quindi abbassò il braccio armato. In pochi istanti lasciò libera Isabel, che tre secondi dopo sparì in nel corridoio laterale lì a fianco, senza minimamente preoccuparsi di apparire una donnicciola spaventata.

 
“Come state?”
Immersa nel buio di una saletta vuota e silenziosa, Isabel non si rese nemmeno conto che Joàn l’aveva raggiunta. Con le braccia strette attorno a sé, cercava di riprendersi da quei folli, lentissimi minuti di panico puro. Prima ancora che potesse accorgersi o allontanarsi, James l’aveva afferrata e stretta, puntandole il pugnale al collo.
“Angelo mio, come stai?” All’improvviso le mani calde di Joàn furono tutto quello che lei riuscì a percepire su di sé. Alzò lo sguardo ed i suoi meravigliosi occhi verdi la fissavano, ancora sconvolto e più che mai preoccupato per le sue condizioni. “Ti prego, dimmi che stai bene. Amore mio, dimmi che stai bene..” Prese a ripetere ossessivamente, mentre i suoi occhi, solitamente asciutti, nuotavano in un mare di lacrime. Senza dire una parola, Isabel sciolse l’abbraccio che ancora la teneva avvinghiata a se stessa e prese il volto di lui tra le mani. Dopo un istante, mentre lui chiedeva ancora come stesse e se fosse in qualche modo ferita, gli chiuse la bocca con un bacio. Per qualche istante Joàn non fece nulla, assolutamente nulla. Troppo sorpreso, non accennò nemmeno a baciarla, per quanto lo volesse e la desiderasse ormai da mesi.
Amor de mi vida..” Mormorò lei contro le sue labbra. Lo disse in spagnolo, certa che lui avrebbe capito. Come scosso da una frustata, il giovane spagnolo sentì un brivido lungo la spina dorsale e osò fare quello che fino a quel momento si era limitato a sognare. Cinse con le braccia Isabel e poi la baciò, come pochi minuti prima aveva fatto lei. La Principessa rispose immediatamente, aprendo le labbra ed assaporando quelle di lui. La giovane sentì il proprio corpo reagire subito a quell’intimità, fin’ora mai provata e solo immaginata. Il cuore accelerò i battiti, il respiro si fece più affannoso, man mano che i secondi passavano ogni suo senso sembrava rispondere ad una sorta di strano appello. Aprì gli occhi, che fino a quel momento aveva tenuto chiusi, e nella semioscurità vide il volto concentrato di Joàn; alla luce lunare le sue guance erano rosse di eccitazione e di gioia, e la sua bocca, pur impegnata nel bacio, sembrava accennare ad un sorriso. Anche il respiro di lui accelerò e manifestava la sua stessa gioia, la sua stessa eccitazione. Incapace di contenersi, e sentendo che a quel punto non aveva ormai più senso cercare di capire razionalmente cosa stesse avvenendo, Isabel chiuse gli occhi e lasciò che il suo cuore prendesse il sopravvento, certa che non si sarebbe pentita né avrebbe rimpianto nulla. Con le dita accarezzò la guancia lievemente barbuta di Joàn, mentre il loro bacio si faceva più profondo ed intimo, quindi insinuò le mani fra i suoi capelli morbidi. Joàn la strinse ancora di più a sé, dolcemente ma fermamente, e lei percepì maggiormente il suo corpo, la solidità dei muscoli, il calore dolce e strano che passava anche attraverso gli abiti. Aprì gli occhi e si stupì di vedere che lui li aveva aperti. Istintivamente gli sorrise ed il suo cuore diede un tuffo più forte quando lui ricambiò, pieno di gioia.
“No! Non va bene quello che stiamo facendo, Altezza!” All’improvviso, e senza alcuna spiegazione, Joàn sembrò tirarsi indietro. Isabel lo guardò, sgomenta ed offesa allo stesso tempo. Le sue mani la lasciarono, le braccia scesero lentamente lungo il corpo ed alla fine lui si allontanò di un paio di passi.
Fu allora che Isabel tremò. Non era solo per il freddo e l’improvvisa consapevolezza di trovarsi in una stanza vuota, buia e fredda, ma anche perché Joàn non era più contro di lei.
“Dici cose senza senso!” Lo scudisciò lei, e le parole erano tanto più feroci quanto stanco il tono della sua voce.
“Sapete benissimo che se qualcuno mi trova qui con voi, il minimo che rischio è la forca!!” Rispose, esasperato. Isabel alzò gli occhi su di lui e lo fissò stancamente.
“Siete solo un codardo!” Lo offese. Joàn deglutì e contrasse la mascella. “Siete solo un ragazzino che non sa quello che vuole e gioca a fare l’adulto. Amate da lontano e con la sicurezza della testa sul collo.. Mia madre non meritava le bugie che le ho detto per venire qui e stare più vicino a voi.. E voi non meritate la spiegazione che vi sto dando..” Gli disse, voltandosi e avviandosi verso la porta.
Non fece però in tempo ad aprire la porta, che Joàn la raggiunse e l’afferrò per un braccio, facendola voltare.
“Resta qui con me.. Ti prego.” Mormorò.
Isabel sentì montare dallo stomaco fino alla gola una rabbia cieca, fulminea. Si sentiva presa in giro da quel comportamento ondivago. Era vero che lui rischiava il collo, ma lei non era certo in una posizione più semplice. Sarebbe scoppiato il finimondo se sua madre avesse scoperto che non era dove avrebbe dovuto essere, che aveva rischiato il collo ad opera di James Caldwell, anche se solo per pochissimi istanti, ed aveva infine permesso a Joàn di baciarla. Non solo in quella occasione, a dire il vero.
Per non dire di ciò che avrebbe scatenato suo padre.
Accecata dall’ira, fulminea e istintiva, lo colpì con un ceffone, forte. Lui la afferrò per le braccia e le baciò la bocca con un impeto che Isabel stentò a riconoscere, ma che ben presto l’acchiappò in un vortice da cui non riuscì a sottrarsi. Le sue mani salirono sul viso di lui, lo accarezzarono con frenesia, la sua bocca corse su e giù per il viso di lui, soffermandosi appena su ogni punto di esso: labbra, palpebre, naso, guance, mento. Non ci fu un punto trascurato, e lui la imitò altrettanto freneticamente, altrettanto disperatamente. Il corpo della giovane Principessa si riscaldò di nuovo, al sentire quello di Joàn contro di sé. Lo sentì tremare, accecato come era dalla foga e dalla passione, dall’affanno che quasi gli mozzava il respiro contro le sue guance, le orecchie, il collo. Lo sentiva tremare, ma le sue mani restavano ferme sulle braccia di lei. Isabel comprese che sarebbe toccato a lei fare il primo passo e liberare entrambi da quella sorta di impasse.
In silenzio fece un passo indietro, sciogliendo entrambi dal serrato abbraccio in cui erano reciprocamente stretti e cominciò ad aprire la giubba di Joàn. Lentamente, un bottone dopo l’altro, con mani eccitate, tremanti e emozionate, l’indumento colorato si aprì e lei poté vedere il suo torso. Posò la destra contro il cuore di lui e lo sentì battere furiosamente. Senza pensarci prese la sua destra e la posò contro il proprio cuore. Chiuse gli occhi e la musica dei due cuori la portò quasi alle lacrime. Dopo qualche colpo ognuno per proprio conto, sembrò che i due muscoli andassero all’unisono. Quando riaprì gli occhi, quelli verdi di Joàn, la guardavano in un modo del tutto nuovo e lei si sentì sciogliere in un mare caldo di emozione e di indescrivibile beatitudine.
“Ti amo, Isabel..” Sussurrò lui, accarezzandole la guancia con la mano libera. “Ti amo, angelo mio..”
Isabel gli sorrise, prese dolcemente il suo volto fra le mani e riprese a baciarlo. Quelle parole le diedero la sicurezza che le mancava. Mentre lui ricambiava entusiasticamente il suo bacio, ed i loro respiri furono di nuovo corti ed affannosi, le mani di lei gli tolsero la giubba e liberarono la parte superiore del suo meraviglioso corpo.
“Ti amo anche io, Joàn..” Rispose riuscendo a parlare nonostante il fiato corto. “Sei la mia anima, Joàn..” Lui le sorrise di rimando e poi si staccò da lei, per guardarsi intorno.
Il caso aveva voluto che fossero capitati in una delle stanze più decentrate dello spedale, che veniva usata solo quando gli ospiti salivano di numero. Sembrava più una sorta di studio che una stanza da letto, ma era pulita e ammobiliata. Il camino, ovviamente, non era acceso e non c’era nemmeno un po’ di legna nella cassa accanto ad esso. Joàn imprecò mentalmente. Non era il caso di andare in giro per le stanze a cercare ciocchi di legno. Il fatto che la stanza fosse piccola non la rendeva troppo fredda, inoltre la fortuna sembrava non averli del tutto abbandonati perché, in un angolo, faceva bella mostra di sé una poltrona lunga a due posti.
“Aspettami qui..” Mormorò Joàn, avvicinandosi al suppellettile. La esaminò, girò un po’ intorno ad essa e poi sorrise, trionfante. Quasi nascosta da una pila di altri oggetti che nemmeno si curò di esaminare, vide e poi recuperò una specie di coperta. Non sembrava nemmeno impolverata, così se la avvolse intorno. Tornò di fronte ad Isabel e la aprì, invitandola ad avvicinarsi. La Principessa obbedì con entusiasmo, e i due si abbracciarono per qualche minuto in perfetto silenzio. Solo in lontananza i versi degli animali notturni ed il vento, che aveva ripreso a fischiare, rompevano quell’incanto.
“Non m’importa cosa sarà domani, Joàn.” Mormorò Isabel al suo orecchio. “Non mi importa di Re e Regine, di Paesi, di fidanzamenti ed alleanze. Non m’importa di nulla, se non di te. Questa notte io voglio amarti e stare con te.”
Aveva pronunciato quelle parole ripetendole prima nella sua mente, e centellinandole come fossero un vino che da immediatamente alla testa.
Joàn la guardò commosso. Era stato diverse volte felice nella sua vita, ma non era nulla a paragone con la scossa che sentiva in quel momento. Non c’erano parole sufficienti per dire ad Isabel quanto la amasse, pur giovani come erano. Così in silenzio le prese una mano e la posò sul proprio cuore, che gli martellava furioso e solenne nel petto. Isabel chiuse gli occhi, con un sorriso, e poi si avvicinò per baciarlo proprio in quel punto. Le mani di Joàn allora cominciarono ad armeggiare intorno al suo vestito.
La pelle della principessa era bianca e lattea ed emanava un profumo dolcissimo di miele e cannella. Il giovane spagnolo si chinò a baciare la spalla sinistra, l’incavo morbido appena sopra la clavicola, e poi il collo, fino ai lobi. Isabel fece lo stesso, imitando in tutto e per tutto i suoi movimenti e addossandosi contemporaneamente a lui.
“Sei una meraviglia..” Mormorò Joàn, come se solo in quel momento avesse ritrovato l’uso della parola. Per tutta risposta Isabel lo abbracciò e per un lungo istante non fecero altro.
Quando poi le dita del giovane armeggiarono sul corpetto della fanciulla, cercando di aprirlo e di liberarne il corpo, lei si irrigidì leggermente, arrossendo.
“Non avverrà nulla che tu non voglia, amore mio..” Le sussurrò Joàn, guardandola negli occhi, con voce ferma e dolce allo stesso tempo.
“Lo desidero, amore; con tutto il cuore..” Rispose lei, altrettanto ferma ed emozionata.
Joàn le sorrise e le baciò le labbra, poi la prese in braccio, lasciando cadere la coperta che era ancora attorno a loro, e la portò alla poltrona. Si sedette di fronte a lei e riprese a baciarla, ad accarezzarle il viso, le spalle scoperte ed il collo.
“Lascia allora che ti ami, Isabel..” Mormorò sulle sue labbra, fra un bacio e l’altro, mentre già le sue mani avevano trovato i lacci del corpetto.

  
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