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Autore: Mistral    06/07/2005    7 recensioni
Quattro piccole anime senza tempo, sigillate per Suo ordine. E adesso, dopo 500 anni, uno solo di loro riaprirà gli occhi sul mondo...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Xelloss Metallium
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Piccole anime senza tempo

Grazie a Belial per il beta-reading di questa FF

6 luglio 2005

 

 

Piccole anime senza tempo

 

Si svegliò di soprassalto, spalancando gli occhi e tirandosi a sedere di scatto. Non riusciva a rendersi pienamente conto di cosa fosse successo, ma era sicuro che Lei fosse stata lì. Non che La conoscesse, perché in fondo non L’aveva mai incontrata, ma nello stesso tempo La conosceva benissimo: ogni fibra del suo essere aveva piena coscienza e insieme piena ignoranza di Lei perché, attraverso la sua creatrice, era venuto da Lei e a Lei sarebbe tornato; ma i suoi occhi non L’avrebbero mai vista.

Eppure quella notte L’aveva sentita vicina, vicina più che mai, ed era venuta lì per lui. La profondità della sua essenza aveva vibrato nell’incoscienza di quel sonno per lui innaturale e forse anche inutile, eredità vecchia di secoli, di compagni che non erano più; ma evidentemente, quella notte Lei non aveva voluto che si svegliasse, non aveva voluto che La vedesse.

Di quell’apparizione onirica non era in grado di richiamare alla mente null’altro che la vaga immagine di una stola con quattro gemme, un rubino, uno zaffiro, uno smeraldo e una giada. Sapeva tutto di quella stola, e se Lei aveva voluto lasciargli quel ricordo poteva significare solo una cosa… anche se non riusciva a capire cosa volesse da loro.

 

Xelloss si alzò e, con movimenti fluidi e leggeri, lentamente si avvicinò alla finestra. Scostò il pesante tendaggio di velluto e un refolo d’aria salmastra lo sfiorò delicatamente col suo profumo.

La stellata quella notte era magnifica e illuminava di un chiarore argenteo ed etereo il declivio che dai neri contrafforti gotici del castello scendeva ripido fino alla spiaggia.

Seguì con lo sguardo la stradina lastricata che si snodava serpeggiante giù per la collina e alla fine, a qualche metro dalla riva, immersa fino alla vita nel blu metallico del mare, bellissima come sempre, la vide. Immaginava di trovarla lì, con i capelli raccolti da pettini d’argento a forma di farfalla, vestita solo dei suoi innumerevoli bracciali; sorrise e si domandò se anche lei avesse avuto quella visione.

Per un istante pensò di domandarglielo, ma subito cambiò idea: se alla sua Master fosse stato mandato un qualche messaggio, a tempo debito sarebbe venuto a saperlo.

Alzò gli occhi ametista perennemente socchiusi ad incontrare il volto della luna piena, che splendeva eterna e intoccabile come ogni notte. Come quella notte, cinquecento anni prima, quando aveva ricevuto l’incarico di eliminarli.

Come sempre, i ricordi si fecero rapidamente strada nella sua mente e, come sempre, lui non tentò di ricacciarli indietro.

 

Era stata Zelas-sama a dargli l’ordine, ma lui aveva sospettato che venisse da più in alto… da Lei, forse. E il sospetto era diventato certezza quando gli era stato detto che non avrebbe dovuto ucciderli ma semplicemente sigillarli, facendo in modo che le loro anime non andassero disperse.

Con i primi tre non era stato difficile, in fondo per lui non erano praticamente nulla, ma lei… ecco, all’idea di addormentarla per sempre qualcosa si era mosso dentro di lui. Provava del rispetto per quella ragazzina, aveva concluso dopo molto tempo, perché era l’unica che non l’aveva mai temuto, l’unica ad essersi dimostrata alla sua altezza, se non sul piano magico sicuramente sul piano personale.

Nonostante questo non si era fatto scrupoli: per un demone la cosa più importante è obbedire agli ordini, poi viene tutto il resto e non importa cosa sia, questo “resto”.

Così aveva chiuso gli occhi per sempre anche a lei: l’aveva fatto con tutta la dolcezza di cui era capace, con un lieve bacio in fronte, perché lei si rendesse conto, anche se solo nell’ultimo istante, che per lui era speciale.

Il mazoku sorrise sornione, ripensando all’espressione sorpresa negli occhi sgranati di Lina, un attimo prima che le sue palpebre si abbassassero per l’eternità: si era addormentata con la sensazione di quel contatto inatteso e con quella medesima sensazione forse un giorno si sarebbe risvegliata.

Sì perché, per l’incantesimo che aveva praticato su di loro, Lina e gli altri non erano morti, ma erano divenuti piccole anime senza tempo che avevano chiuso gli occhi sulla vita in una notte d’estate ed ora si trovavano in uno spazio fuori da ogni spazio, senza principio né fine, incommensurabile e sottratto alle comuni leggi che governano l’universo, dove non passava per loro il tempo che passava nel mondo.

 

In seguito si era ritrovato spesso a constatare come la sua vita da allora fosse diventata sensibilmente più noiosa e ripetitiva, incapace di dargli soddisfazione. Certo, c’erano ancora le missioni di Zelas-sama, alcune semplici, altre più impegnative, ma non aveva più trovato nulla che soddisfasse la sua voglia di sfide, che stimolasse la sua curiosità; e poi, incredibile quasi a dirsi per uno come lui, si sentiva in un certo qual modo… solo.

Dopo aver eliminato Lina e i suoi amici non gli era più capitato di frequentare altri esseri umani come era accaduto con loro e così il piccolo vuoto che la loro assenza aveva ritagliato in lui non era mai stato colmato. E ogni tanto, specie in quelle notti di luna, quando lasciava via libera ai ricordi, quel vuoto pungeva…

Scosse la testa, divertito dagli approdi deliranti che raggiungeva la sua mente, e sorrise ancora una volta, intenzionato a rimettersi a letto, lasciando che su quelle vecchie memorie si ridepositasse tutta la polvere che quella luna argentea aveva soffiato via dispettosa.

Ma qualcosa lo bloccò.

 

Non era nella stanza, non era una voce corporea, ma non era neanche nella sua mente, come quando comunicava telepaticamente con la sua Master: era ovunque, dentro e intorno a lui. Non diceva nulla, non articolava suoni o parole, semplicemente era, come l’aria, la luce, il calore: e per il solo fatto di essere trasmetteva quasi empaticamente un messaggio.

Era una voce dal timbro indefinito e indefinibile, dolce e crudele insieme, una voce che raccoglieva in sé tutte e nessuna delle voci che aveva sentito nel corso dei lunghi secoli della sua vita: era Lei.

Il demone si voltò lentamente, non sapendo cosa aspettarsi alle sue spalle. Tenne il capo chinato, la mente aperta e sgombra, e si genuflesse, non osando far nulla.

Come se stesse di nuovo sognando, percepì la voce invitarlo ad alzare gli occhi; con reverenza, Xelloss sollevò lo sguardo e, con sua grande meraviglia, scoprì di non trovarsi più nella sua stanza alla Wolf Pack Island, ma in un luogo indefinibile, che subito comprese essere il Mare del Caos: una distesa sconfinata di luce dorata, nel cui buio accecante si stagliava imperiosa una piccola figura di donna, circondata da essenze luminose, minuscole creature alate dalle fattezze più disparate. Erano le anime delle persone di ogni tempo, passato e futuro, e al centro Lei. Agli occhi del mazoku apparve nell’unica sembianza con cui lui avrebbe potuto riconoscerla: con i tratti di Lina.

E quando la figura parlò, aveva la voce di Lina, sebbene sembrasse sempre provenire da profondità remote.

“Riapri gli occhi ad uno di loro e restituiscilo al mondo da cui l’hai tolto cinquecento anni fa”

 

La somma benevolenza e la somma crudeltà: riportare alla vita una persona nell’istante stesso in cui ha chiuso gli occhi sul mondo in un mondo che non è più il suo. Già perché negli ultimi cinque secoli il mondo si era notevolmente trasformato.

Gradualmente la magia, nera e bianca, era scomparsa e a Draghi e Demoni era stato proibito di manifestarsi apertamente nella loro vera natura tra gli esseri umani. I Dark Lord si erano spartiti il controllo dei vari territori, assumendo il ruolo di sovrani incontrastati, senza mai mostrarsi alla popolazione, mentre i Draghi venivano venerati come dèi cui chiedere grazie e oracoli.

Sailune, antica capitale della magia bianca, scomparsa la principessa Amelia erede al trono, e con lei la dinastia reale, era lentamente decaduta a piccolo borgo di artigiani, arroccato attorno alla vecchia cinta muraria, al cui interno più nessuno osava avventurarsi da generazioni. Della città che Lina aveva conosciuto, restavano solo rovine, disposte lungo le strade che si intersecavano a formare il pentacolo magico con al centro il palazzo reale.

Sailaarg era andata nuovamente e definitivamente distrutta, nell’apocalisse che 450 anni prima aveva esiliato la magia dal mondo. Nessuno sapeva con precisione cosa fosse avvenuto: c’erano solo delle leggende che raccontavano di una donna vestita di luce che era apparsa improvvisamente tra le chiome dell’Ulagoon, l’albero sacro, facendolo seccare con un solo gesto della mano e radendo poi al suolo la città e qualsiasi cosa o persona in tutto il continente che avesse qualcosa a che fare con la magia. Regni interi e intere popolazioni quel giorno erano spariti per sempre dalla carta geografica.

Con la scomparsa dei maghi, l’intero fragile equilibrio di potere su cui si reggeva la Penisola dei Demoni, al di qua e al di là della ex-barriera, era stato sconvolto ed erano avvenuti molti cambiamenti.

E ora Lei voleva scombinare nuovamente le carte. Sì, perché, anche se non lo aveva detto apertamente, Xelloss aveva intuito chi Lei intendesse risvegliare.

Ma si guardò bene anche semplicemente dal pensare una sola di queste cose; si limitò a chiudere gli occhi e chinare il capo in segno di obbedienza.

 

Quando li riaprì, si ritrovò nel luogo in cui tutto aveva avuto inizio.

Era uno spiazzo deserto, circondato da alberi e immerso in un paesaggio brullo, al cui centro si ergeva una statua di marmo bianco, liscio e lucido, dal corpo di donna e dalle fattezze delicate; aveva il viso sollevato, gli occhi socchiusi rivolti alle stelle lontane e sembrava sul punto di spiegare le grandi ali per spiccare il volo. La brezza che quasi incessantemente soffiava fredda da nord sembrava muovere la sua lunga chioma e alzare in pieghe morbide la sua veste, stretta in vita da una stola. Una stola con quattro gemme, un rubino, uno zaffiro, uno smeraldo e una giada.

Le pietre scintillavano più di sempre quella notte, nella luce fredda e distante dell’aurora boreale che stava tingendo il cielo ad oriente; sembravano quasi vive. E in un certo senso lo erano. Il demone inclinò lievemente il capo su una spalla e sfiorò con due dita quelle gemme: lui le conosceva bene, sapeva che non erano state scelte a caso, ma per rappresentare in qualche modo l’anima che racchiudevano.

Lina, il rubino, rosso come il fuoco ribelle e indomabile, rosso come i suoi bellissimi capelli.

Gourry, lo zaffiro, blu come l’acqua, apparentemente cheta ma dotata di una forza travolgente.

Amelia, lo smeraldo, verde come la speranza, quella che la principessina non perdeva mai.

Zelgadiss, la giada, pietra apparentemente meno preziosa ma in realtà dura e tenace, come lui nella sua impossibile ricerca di una cura.

 

Gli occhi di nuovo socchiusi e il suo sempiterno e indecifrabile sorriso ad increspargli le labbra, Xelloss osservò per un attimo la statua, scolpita dal vento nel vento quel giorno lontano e ancora intatta dopo cinque secoli, come se in quella radura il tempo e le intemperie non avessero potere.

Stese la mano e strinse con due dita la gemma; esitò, chiedendosi se avesse interpretato correttamente la sua volontà.

Quando una luce dorata lo avvolse non ebbe più dubbi: staccò la pietra dalla stola e la strinse in pugno, preparandosi ad accogliere colei a cui aveva riaperto gli occhi. Si sarebbe sicuramente domandata perché lei, perché in quel momento, perché da sola, e forse non avrebbe avuto risposte: dopotutto la Madre aveva una natura un po’ capricciosa e l’aveva già dimostrato… ma alla fine ce l’avrebbe fatta.

Lentamente, nella luce che lo circondava, tante piccole luci si unirono a formare quel profilo a lui familiare… lei e quell’ultima espressione sorpresa…

Sorrise.

Bentornata Lina Inverse

 

- The End -

   
 
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