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Autore: Gavriel    19/01/2010    0 recensioni
Salirono le scale fino alla porta del terrazzo, a cui si accedeva attraverso una scaletta a chiocciola nella biblioteca al quinto piano, e La spinse la porta. La luce delicata del tramonto invernale inondò i loro visi, mentre uscivano sullo spiazzo da cui si poteva osservare tutta la cittadina di Portaroen, le casette bianche di neve tinte di rosa dal tramonto. Sulla loro destra iniziava il tetto, dietro un’inutile ringhiera superabile con un salto. E appollaiata sulle tegole, beatamente sdraiata al sole c’era Celia la gemella di Neli. Le due ragazze erano identiche, gli stessi capelli biondo chiarissimo, la stessa forma delle sopracciglia, del naso, della bocca. L’unica differenza visibile era che Neli aveva gli occhi grigi e Celia verde chiaro. Questa storia l'abbiamo scritta tempo fa io e due amici
Genere: Romantico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3

Gatto, demone, lupo

(ovvero controllate sempre i vostri animali domestici)

Raspi di edera incorniciavano il cielo del mattino fatto quando il gruppetto, molto più animato di prima, giunse alle porte, invase dal rampicante, di Nalier, il primo centro abitato dopo Portaroen.
Nalier era famosa in tutto l’Oen per i pinnacoli dedicati a ogni divinità conosciuta e non, sparsi in tutta la città, come funghi troppo cresciuti. Erano 112, di varie altezze, ma mai inferiori ai tre metri, in pietra e completamente decorati con iscrizioni e bassorilievi riferiti alle gesta del dio che rappresentavano. In cima a ogni colonna di non più due metri di diametro, stagliati sul cielo azzurro e senza una nuvola, molti bambini e ragazzi li guardavano affacciati dalla colonnina con sguardi curiosi o sorridenti. Infatti periodicamente i conventi di tutta la nazione mandavano i propri novizi per un paio di settimane o più a starsene da eremiti sopra la colonnina per imparare a stare in pace col mondo e con loro stessi.
Era strano vedere dei poco più che bambini già in grado di affrontare una prova così dura e osservarli sorridere, quasi sapessero qualcosa che tutto il mondo ignorava.
- Guardate! E’ lì che saremmo finiti...- disse La facendoli riemergere dai propri pensieri.
Stava indicando un enorme edificio in pietra bianca, di forma circolare che si stagliava tra le case di pietra grigia di Nalier. Era completamente circondato da un alto muro di pietra e molti i stendardi verdi e oro pendevano da tutti i finestroni che si intravedevano oltre le mura. Sopra l’ingresso di ferro battuto c’era una imponente scritta in oro:
“Scuola secondaria di Arti e Magie di Nalier”
- Così era qui che ci avrebbe spedito la vecchia rospa- commentò Neli fermando.
- Abbiamo fatto bene… da qui non si usciva più…- ribadì Celia.
- Ci puoi scommettere- concluse Malia.
A mezzogiorno si fermarono ad una taverna dove mangiarono a malavoglia qualcosa. Avevano in programma di ripartire qualche ora dopo pranzo, in modo da far riposare i cavalli, così Celia decise di fare un giro per le viuzze circostanti.  
La città si era improvvisamente svuotata, la vetrine e le bancarelle avevano chiuso per metà la saracinesca e i venditori ambulanti avevano cessato le loro urla: Nalier si era fermata per il pranzo.
Ad un tratto l’occhio le cadde su di una porta. Non era propriamente una porta era un’entrata coperta da un velo verde-azzurro. Sopra il lato più alto con una grafia disordinata era tracciata una scritta violacea, come se fosse stata scritta con le dita intinte nell’inchiostro:  
Elis
Con una punta di apprensione scostò la tenda logora ed entrò. Era una sola stanza, dal soffitto basso, arredata da un tavolino e da un grande scaffale pieno zeppo di barattoli di vetro contenenti varie erbe e spezie varie. Era un erboristeria.
“Benvenuta”
Era una voce strana, come un miagolio. Chi aveva pronunciato quelle parole era un grosso e grasso gatto nero acciambellato su un cuscino rosso, posato sull’unico tavolo, tra pergamene, penne e piume.
-Sei un gatto?- chiese Celia quasi spaventata.
Il gatto per tutta risposta drizzò le orecchie senza aprire gli occhi. Allora Celia pensò un cosa strana: proprio mentre sonnecchiava beata era stata svegliata da una scocciatrice… ma questo era ciò che pensava il gatto! E anche quando aveva sentito ‘benvenuta’!
- Sai parlare?- chiese sempre più sbigottita.
E di nuovo si diede la risposta da sola. Sono passati tanti anni… ora sono un gatto…non ricordo più il sapiens…
Il gatto si era alzato e ora la guardava con curiosità.
E poi le arrivò finalmente un pensiero netto, non confuso con gli altri suoi pensieri come prima.
“D’accordo basta scherzare con te. Chi sei? Sei la seconda sapiens con cui riesco a comunicare.”
- Mi chiamo Celia- rispose lei incerta se il gatto riuscisse a capire le sue parole.
“ No, no non capisco il sapiens…devi parlarmi come prima. Non so come tu ci riesca ma devi riprovarci”
Celia si concentrò.
“Mi chiamo Celia” pensò con tutte le sue forze.
“ Piacere Elis; come fai a capirmi?”
“Non lo so”
Il gatto si fermò a riflettere, così Celia lo potè osservare meglio. Era davvero molto grosso, tutto nero, con un occhio azzurro e uno verde chiaro. Per l’occhio azzurro passava una profonda cicatrice, tanto profonda che il pelo non era più ricresciuto lasciando una scia rosa che attraversava gran parte del muso.
“ Perché quando ti ho chiesto se sapevi parlare hai detto che non ricordi più la mia lingua?” chiese Celia.
“ Hai mai visto uno spirito?” chiese invece di rispondere.
“ Sì. Era un mio professore.” rispose Celia ricordando la scuola.
“ Bene. Quando un essere umano muore può scegliere se rimanere sotto forma di spirito o reincarnarsi in un animale a propria scelta; ma comunque resterà spirito o animale per l’eternità. Io ho fatto questa scelta e a volte mi chiedo se ho fatto bene” spiegò il gatto impassibile.
“ E per chi non vuole diventare né uno né l’altro?”
“ Beh, chi ha coraggio può decidere di_ Elis deglutì _... può decidere di morire”
E detto questo si zittì di colpo. Celia capì che aveva detto qualcosa di sbagliato e si accovacciò per terra vicino al gatto.
“ Elis scusa, non volevo, mi dispiace tanto…”
“ Non importa, fa niente”
“ Davvero?” chiese incerta se l’avesse perdonata.
Il gatto non rispose ma spalancò gli occhi, fissandola come chi ha capito improvvisamente qualcosa.
“ Uno dei tuoi orecchini! Dammi uno dei tuoi orecchini!” boccheggiò.
Celia si tolse velocemente uno dei due orecchini di metallo battuto e lo mise davanti al gatto.
Questi ci appoggiò sopra la zampa e chiuse gli occhi.
“ La tua gemella! Tu hai una gemella! Voi siete LORO!” fece agitatissimo.
“ Zitto!_ lo zittì Celia preoccupata_ non lo dire!”   
“ Celia nessuno ci può sentire. Non stiamo palando ad alta voce_ disse paziente il gatto_ comunque, mi farebbe molto piacere conoscere tua sorella.”
Celia uscì a razzo dalla bottega di Elis e tornò alla locanda. C’era Malia che leggeva un libro seduta su una poltrona, mentre La e Neli erano intenti a giocare a Saltapicco, un gioco di carte.
- Neli vieni!- sparò senza fiato.
Neli guardò interrogativa Celia, poi mollò le carte che aveva in mano e la seguì.
 Arrivate alla bottega scostarono la tenda e entrarono. Elis zampettava sul pavimento, ma quando le ragazze entrarono saltò di nuovo sul cuscino.
- Un gatto?- chiese Neli divertita accarezzando la testa a Elis.
- Non è un gatto normale. Si è reincarnato in un gatto.- spiegò Celia.
Neli smise di colpo di accarezzare Elis.
“ Perché volevi vederla?” chiese Celia al gatto.
Il gatto non rispose ma saltò giù dal cuscino e tirò con delicatezza il bordo dei pantaloni di Neli, che si abbassò- Ehm…buongiorno?-
- Non ti capisce. Non può parlare con gli umani.- disse Celia.
- E tu come sa queste cose?- chiese Neli.
- Io riesco a capirlo; non so come faccio e non lo sa neanche lui. _ aggiunse subito Celia_  Sento i suoi pensieri.-
Intanto il gatto aveva sfilato il braccialetto d’argento che Neli portava al polso da quando Celia ricordava, e vi aveva appoggiato sopra la zampa.
“ Come pensavo. Tua sorella… come si chiama?”
“Neli”
“ Gran bel nome. Neli ha il dono della Vista. Può in determinate circostanze prevedere il futuro che la riguarda. Solo quello che la riguarda.” Spiegò Elis lasciando Celia a bocca aperta.
“ Posso dirglielo?” chiese.
“ Certo” rispose il gatto acciambellandosi.
- Neli… Elis dice che… tu hai il dono della Vista. Puoi prevedere il futuro che ti riguarda.” disse non senza difficoltà.
Neli si sedette a terra scioccata. Un ricordo le tornò in mente. Il sogno che aveva fatto la notte prima dell’ultimo giorno al Collegio: quello in cui aveva visto Malia… non era un sogno, era una visione. Ora tutto si spiegava.
- Perché non mi hai detto del sogno?- chiese Celia.
- Non m… già non te lo ho mai detto, Celia! Come sai del mio sogno?- esclamò Neli.
- Mi… è come se avessi sentito i tuoi pensieri! Le tue sensazioni, quello che hai pensato ora… Elis!- balbettò Celia spaventata. Le erano entrate nel petto le sensazioni della sorella, aveva sentito nella mente i suoi pensieri, la sua confusione, i suoi ricordi, per un attimo aveva sentito quello che sentiva Neli.
“ Calma. Celia, tu hai l’Occhio, il dono gemello_ sorrise per il gioco di parole (ma i gatti sorridono?) _sai leggere nella mente delle persone…o di chi è stato un persona. Per questo mi capisci.-
Celia non ce la fece e si lasciò cadere di fianco a Neli. L’Occhio, la Vista…
Poi la porta si oscurò distraendole dai loro pensieri. Una donna piuttosto grassottella entrò.
“ Salve” disse rivolta alle ragazze. Poi agitò la mano per salutare Elis e gli indicalo scaffale con i barattoli di erbe. Evidentemente era una cliente abituale perché sapeva come comportarsi.
Elis si sedette e agitò la coda assentendo. La donna si avvicinò alla scaffalatura e osservò alcuni barattoli lucidi, contenenti varie erbe. Poi ne indicò alcune e quando il gatto miagolò ne estrasse alcune che mise dei sacchetti di carta presi da una pila pronta sul tavolo di fianco a Elis.
Poi contò alcune monete e le fece cadere davanti al gatto. Elis le squadrò e miagolò di nuovo. La donna sbuffò e ne fece cadere un’altra. Dopo che Elis ebbe emesso un basso miagolio soddisfatto la donna salutò e uscì.
Neli avrebbe voluto rimanere ancora dal gatto ma Celia temeva che si facesse troppo tardi per cui passò ai saluti.
“ Dobbiamo andare Elis. Grazie di tutto.” disse al gatto.
“ Solo un secondo. Mi scriveresti un listino prezzi? E’ sempre difficile dire ai clienti il prezzo.”
Celia sorrise e sotto dettatura mentale del gatto scrisse un listino che affisse alla parete dietro al tavolo.
Poi mentre stavano uscendo  Neli le mormorò qualcosa all’orecchio.
“ Neli chiede se… ti può prendere in braccio.” comunicò al gatto alzandogli occhi al cielo.
Elis sorrise a sua volta e si lasciò accarezzare in braccio a Neli facendo le fusa soddisfatto.

Allontanandosi dal centro di Nalier si scopriva il volto buio della città. La vie ampie del centro erano a poco a poco sostituite da quelle strette e sporche della periferia, mentre i palazzi diventavano sempre più alti e decadenti.
Ora la gente camminava a capo basso, badando solo ai fatti suoi senza dare confidenza a nessuno e tipi loschi, mendicanti, bambini laceri che litigavano per un tozzo di pane si affacciavano qua è là tra le vie sudice.
Neli e Celia camminavano sempre più velocemente desiderose di lasciarsi al più presto alle spalle la periferia e tornare dai loro amici.
Sulla loro destra correva l’alto muro difensivo che circondava la città e qualche metro più avanti un capannello di gente bisbigliante ne fissava la sommità con aria tetra.
Nonostante tutto si feramarono lì anche loro curiose.
Dieci metri più in alto, in cima al muro sedeva un bambino. Doveva avere sei o sette anni e aveva dei folti capelli, neri come il corvo e ricci e due inquietanti occhi rossi. Era magrissimo ma a differenza dei bambini che si aggiravano tra quelle vie era pulito e indossava una maglietta e dei pantaloncini a mezza gamba di lino candido, con preziosi ricami neri sui bordi. Teneva in mano una chitarra troppo grande per lui e suonava una melodia triste, le piccole dita che si muovevano veloci sulle corde e piedini nudi che dondolavano al tempo.
Ridacchiava, scoprendo gli innaturali denti aguzzi, mentre il suo sguardo vagava per la folla intimorita dalla sua figurina esile. Quando poi vide Celia e Neli scoppiò in una vera e propria risata aspra e rasposa, dondolandosi pericolosamente avanti e indietro. Rideva come poteva ridere un serpente prima di mordere un topolino.
- Signore e signori_ esordì con la voce roca e acuta al tempo stesso_ la mia canzone di oggi-
La folla si zittì mentre intonava:

“ Mentre il tramonto ucciderà il sole
Lo ucciderà lei parlandogli d’amore
Lo aveva avvelenato
Mostrandogli una vita non sua
Sognata ma non sua
Passata, non più sua

E il vento soffia forte
La neve cade lieve
E nulla resterà

Non maledirtelo perché tanto non servirà
Un posto all’inferno lui lo ha già
Ma forse una lacrima, forse una sola
Sulla sua tomba si spenderà
Forse un ricordo forse uno solo
Sul suo ricordo si spenderà

E il vento soffia forte
La neve cade lieve
E nulla resterà

Non maleditelo
Perché non servirà
Un posto all’inferno
Lo ha già
Ma forse una lacrima
Forse una sola
Sulla sua morte si spenderà
Forse un sorriso
Un bacio rubato
Sul suo ricordo tornerà

E il vento soffia forte
La neve cade lieve
E nulla resterà

Lo aveva imparato che la felicità
È corona di ortica e di lillà
Ma sappiate che sempre ci sarà
 Chi tra le sue braccia il suo pianto salverà

 Udite la mia voce?
Ormai canta nel vento
Ma dentro il vostro cuore
Resterà lo sgomento!

Ma il vento soffia forte
la neve cade lieve
e nulla resterà”

Finì l’ultimo accordo e poi disse:- Ricordatelo signori perché tutto questo si avvererà!-
E detto questo scoppiò a ridere e si lasciò cadere all’indietro, oltre il muro di cinta, scomparendo alla loro vista.
Celia trattenne a stento un urlo.
- Ah, non ti spaventare…il figlio del Demone non può ferirsi. È comparso il pomeriggio dell’ultimo dell’anno di quindici anni fa e da allora arriva tutti i pomeriggi a cantare- spiegò un vecchietto traballante a cui mancava la metà dei denti_ quando ha finito si butta all’indietro. Nessuno ha mai visto come arriva o come se ne va, quelli che si sono appostati si sono addormentati o proprio in quel momento hanno starnutito o cose del genere. E se nessuno lo va ad ascoltare tutti quelli che passano davanti al muro per le due ore seguenti rimangono incollati a con i piedi a terra finché non ritorna il pomeriggio dopo._ sputò a terra_  E quel piccoletto è sempre così magro e piccolo, da quel pomeriggio di quindici anni fa, sempre uguale, sapete? Ma d’altro canto cosa ci si può aspettare dal figlio di un Demone? …Ehi voi due siete vive?- chiese improvvisamente sventolando davanti alle gemelle la mano rugosa.
Neli e Celia erano paralizzate da un po’, paralizzate da una frase del vecchietto.
L’ultimo dell’anno di quindici anni fa erano nate loro.

In seguito all’incontro con Elis e il figlio del Demone il quartetto era ripartito, dopo aver spiegato per filo e per segno la visita all’erborista a La e Malia.
- Quindi sei un’indovina?- chiese La a Neli con un ghigno.
- Non sono un’indovina. Ho il dono della vista, è diverso.- ribattè lei filosoficamente.
- Sei un’indovina- disse Malia.
Era quasi metà pomeriggio e le lame di luce si aprivano qua e là nel boschetto di betulle nel quale erano entrati. Il passo era rallentato perché a Nalier avevano fatto provviste per i giorni successivi, e i cavalli erano notevolmente appesantiti.
Era piacevole lasciarsi accarezzare dal sole tiepido, seduti pigramente sul dorso di un cavallo che camminava placido, mentre i suoi zoccoli affondavano nel soffice manto nevoso.
Ma dopo due ore di cavalcata allo stesso ritmo ai ragazzi passò di mante la bellezza del paesaggio, sostituita dal dolore alle gambe e dalla noia del boschetto interminabile.
Così quando apparve il lupo erano tutto fuorché pronti.
Era balzato fuori da un cespuglio ringhiando minacciosamente, per nulla intimorito dai cavalli scalpitanti. Il cavallo di Celia si era imbizzarrito di fronte alla bestia e la ragazza aveva fatto fatica a cadere senza non rompersi qualcosa.
- Celia!- urlò Neli.
La balzò giù da Briom e senza pensarci troppo Evocò una spada. Quando sentì il metallo tra le dita si stupì da solo, non credeva di avere così tanta energia e prontezza di riflessi da Evocare qualcosa,  ma non c’era il tempo di complimentarsi con se stessi.
Il lupo balzò in avanti, puntando La che non si lasciò sorprendere e respinse l’attacco. Il lupo non si ferì ma fu sbalzato in là dall’urto ma anche la spada di La volò lontano.
Il lupo si rialzò scrollandosi e avanzò verso il ragazzo disarmato, i bei occhi arancioni dell’animale spalancati. Nello stesso istante in cui La si rialzava e il lupo balzava contro di lui, Neli urlò ‘No!’ ma non fece mai in tempo a fare qualcosa.  
Poi un lampo saltò fuori da un cespuglio lanciandosi contro il lupo che aveva attaccato La, togliendoglielo di dosso.
Il lampo si rivelò essere un ragazzo che atterrato sul lupo gli puntò contro la gola la punta del bastone che teneva in mano. Sembrava che il bastone terminasse direttamente con la lama di ferro, che era in realtà abilmente incastonata.
Il lupo uggiolò e una volta liberato dal corpo del ragazzo che lo premeva contro terra se la diede a gambe tra gli alberi.
Il ragazzo si voltò e aiutò Neli a rialzare La che sanguinava abbondantemente sangue dal braccio destro, dove l’animale era riuscito a morderlo.
Celia, che si era rialzata con l’aiuto di Malia, e Neli incrociarono il suo sguardo per un istante. Forse fu solo un gioco di luce, ma negli occhi verde scuro del nuovo ragazzo balenò un’ombra che dipinse la sua espressione di terrore e sorpresa, un lampo fugace subito scomparso, che aveva oscurato per un secondo il suo sorriso, come di chi vive per un istante un incubo.
Non era un gioco di luce, si disse Celia, quella era paura vera.  
 
- Il mio nome è Niel - disse il ragazzo sorridendo a Malia.
Era alto poco più di La, con i capelli ricci e rossi e degli occhi verde scuro che Celia non riusciva a smettere di fissare.
- Dove state andando? Se non sbaglio la Valle dei Lupi è piuttosto pericolosa d’inverno, non trovate?-
- Siamo già nella Valle dei Lupi? Non…AH!- esclamò La mentre Neli stringeva di più la fasciatura del suo braccio sogghignando quando lui si lamentava.
- Noi stiamo andando…umpf…-
- Stiamo andando a trovare nostra zia Baily - concluse Celia tappando la bocca a Malia, ormai in stato adornate di fronte a Niel, che continuò.
- Suppongo quindi che abbiate bisogno di una guida. Non mi sembrate molto esperti della zona.- disse con aria esperta.
- Ma tu chi sei?-
- Ve lo ho detto. Mi chiamo Niel Miznir, ho 16 anni e sono figlio di Heraen il taglialegna. Non vivo con mio padre durante il giorno, giro per la Valle; e la maggior parte della volte incontro degli svitati come voi- concluse sorridendo. Malia si sciolse definitivamente.
Nelle ore seguenti proseguirono il viaggio in compagnia di Niel e chiacchierando trovarono che lui e La si facevano sempre più chiusi tra di loro e sempre più ciarlieri con le ragazze.
Quando Niel li invitò a passare la notte nelle tende che aveva portato, per poi ripartire la mattina dopo e quando tutti si furono ritirati nelle enormi tende bordeaux Neli ebbe la netta impressione che se qualcuno non fosse intervenuto, prima della fine del viaggio Malia e Niel si sarebbero anche potuti sposare se fosse dipeso dal parere di lei.
  
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