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Autore: Tetide    21/01/2010    4 recensioni
D'Artagnan & C. ai giorni nostri: loro sono poliziotti a Parigi, tra di loro c'è Aramis che ha una sorella gemella sensibile e coraggiosa, che sarà capace di portare imprevedibili sviluppi nel dipartimento: sarà lei, infatti, a svelare le losche trame di un giudice corrotto e prepotente, di nome Mansonne.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5- Trust in me CAPITOLO 4
TRUST IN ME


“Costance, tesoro, ti giuro che proprio non ne avevo idea!”,
“… Ed hai accettato! Certamente, capisco benissimo!”,
“Ma no!! Non ho accettato! Semplicemente, vi sono stato costretto! Anche Aramis vi è stato costretto, e sì che è il capo!”.
Alla fine D’Artagnan si era deciso: meglio dire tutto a Costance subito, anziché inventarle delle stupide frottole; non sarebbe stato onesto nei suoi confronti, e poi, non sarebbe servito a nulla.
“Mah! Per lo meno mi conforterà vederti spesso, quando dovrò stare vicino a quell’individuo! Sai che lo studio mi ha nominata auditrice principale?”,
“Davvero? Congratulazioni!” il ragazzo era ben felice di potere cambiare discorso,
“Congratulazioni, sì… tutti credono che dovrei esserne orgogliosa… ma io, al solo pensiero di stare vicino al quel tipo, mi sento male!!”.
Lui le si avvicinò, circondandole le spalle con un braccio “E dài! E’ un’esperienza come un’altra! E vedrai che ti tornerà utile, in futuro”.
Lei sospirò, abbassando la testa in avanti.
“E poi, ci sarò io vicino a te! Non dovrai temere nulla: se quello ti si avvicina troppo, gli spacco il muso!” il ragazzo mimò un pugno scherzoso.
Costance sorrise debolmente.
Il tramonto stava arrossando la Senna ed i tetti di Parigi: era uno spettacolo meraviglioso, che i due ragazzi contemplavano dalla terrazza di un bar.
Costance guardò negli occhi il suo affettuoso fidanzato, e i due si scambiarono un lungo bacio.

                                            **********

“Colonna, alt!”, dalla sua auto, in testa alle altre, Aramis ordinò di fermarsi attraverso il vivavoce di comunicazione interno delle auto dei gendarmi.
Tutte le auto si fermarono, comprese quelle della polizia, poco più dietro.
Al centro del gruppo, letteralmente imbottigliata tra le auto della scorta armata, stava la Rover del giudice Mansonne, che osservava la scena con quel suo ghigno viscido.
Tutti i componenti la squadra scesero dalle macchine, facendosi intorno al giudice per proteggerlo da eventuali attacchi; poi, il gruppo si incamminò verso la scalinata del Palazzo di Giustizia.
Aramis camminava proprio accanto a Mansonne, e, sebbene quell’individuo gli facesse ribrezzo, stava svolgendo il suo compito in modo ineccepibile.
“Tenente!” fece sottovoce il giudice, rivolto proprio a lui,
“Cosa vuole?”,
“Ecco, io… volevo chiederle se verrebbe a cena nella mia suite all’Hotel Lafayette, stasera. La sua solerzia merita assai di più di un misero stipendio da gendarme!”.
Il ragazzo capì che l’uomo voleva andare a parare verso uno dei suoi soliti tentativi di corruzione, e si mise sulla difensiva.
“La ringrazio, ma preferirei di no: mi troverei solo a disagio, in quel tipo di ambiente”,
“Suvvia, tenente! Un’occasione speciale ce la meritiamo tutti, prima o poi! E poi, potrebbe portare la sua fidanzata, la cosa le farebbe senz’altro piacere”.
Aramis strinse i denti; quel maiale le tentava proprio tutte, pur di riuscire ad accattivarselo! Ora metteva in mezzo anche Francine! Lei non l’avrebbe mai portata nella stessa stanza con quel tizio. Assolutamente no! Dato il tipo, quello l’avrebbe palpeggiata non appena lui si fosse allontanato, magari per andare in bagno!
“La mia fidanzata non c’è, in questi giorni: è via per lavoro!” mentì,
“Non c’è problema: io rimarrò a Parigi ancora un paio di settimane, poi tornerò quando si aprirà la seconda fase del processo”.
Il giovane gendarme era diventato livido: quello non voleva saperne di mollare la presa! Ma che accidenti voleva, stavolta?
Nel frattempo, erano entrati nella grande aula dove si sarebbe tenuta l’udienza, che ebbe inizio di lì a poco.
E fu durante quell’udienza che Aramis capì il perché di tanta gentilezza sospetta: durante quella seduta, infatti, si fecero nomi grossi coinvolti nello scandalo degli appalti, e si parlò perfino di coinvolgimenti nella Magistratura ; ma, sorprendentemente, l’ex-sindaco Luigi Capeto fu rinviato a giudizio senza nemmeno l’obbligo di essere trattenuto in prigione.
Tutti erano sbalorditi: tutte le prove erano contro di lui, l’evidenza c’era eccome, ciononostante Mansonne non aveva ancora inflitto alcuna condanna né a lui, né agli altri imputati; che volesse ottenere qualcosa da loro?
Mentre ritornavano alle auto, Aramis capiva che doveva esserci sotto qualcosa di ancora più grosso del previsto, e si convinse che Mansonne doveva esserci dentro fino al collo. In fondo, lui veniva dalla Normandia, da Nantes, dove si trovava la sede legale di quella ditta, la “Maschera di Ferro Inc.”, ed era evidente che il tizio che aveva firmato tutti i permessi ed i documenti più compromettenti di quella società-fantoccio era un prestanome, di cui non si era riusciti ancora ad accertare l’identità: avevano detto che era scappato all’estero poco prima dell’incriminazione dei dirigenti. Ma adesso, Aramis iniziava a pensare che quel prestanome potesse essere proprio Mansonne.
E’ evidente, pensava, con il potere che gli veniva dalla sua posizione di giudice ha potuto chiedere di presiedere al processo per insabbiare tutto, e coprire i soci! E’ sicuramente così, e ne cercherò le prove presto!
Ma Mansonne sembrò leggergli nel pensiero, poiché tornò a parlargli.
“Tenente” il suo tono, stavolta, era molto cupo “immagino che come ogni buon gendarme, lei sappia dedicarsi solo ed esclusivamente al suo lavoro di scorta, senza ficcare il naso in faccende che non sono di sua competenza…”,
“Se mette in dubbio la mia professionalità, perché mi ha voluto a capo della sua scorta?”.
Il giudice non lo ascoltò nemmeno, e proseguì.
“Ed immagino che sia lei che i suoi uomini abbiate avuto occhi ed orecchie coperti, in aula oggi. Non è così?”.
Aramis non seppe cosa dire; sentiva una fortissima rabbia salirgli dentro, ma sapeva bene di non poter reagire; l’altro lo incalzò.
“Cosa mi risponde?”,
“Faccio soltanto il mio lavoro, signore!” disse, secco.
Mansonne tornò a rabbonirlo; gli si avvicinò e gli parlò quasi nell’orecchio, a voce bassissima “Credo che, quando tutto sarà finito, lei riceverà un bel regalo, tenente. Potrebbe comprarsi una bella macchina, che ne dice?”.
Lui sentì il sangue salirgli alla testa “Non mi piacciono le macchine; ho una moto, e mi basta!”.
Già, era vero: le macchine non lo facevano impazzire; lui amava le moto grosse e potenti, per poterle guidare con il vento sulla faccia, libero…
Renée era come lui.
Insieme, si erano sempre divertiti tantissimo, in moto. Sempre. O quasi.
Una sola volta, lei non c’era stata. Lui era solo, quella volta.
Ricordava benissimo quando era successo, anni prima: nel periodo in cui sua sorella stava preparando l’esame di ammissione all’Università, e non aveva voluto seguirlo in America, preferendo rimanere a studiare. Ma lui era partito ugualmente, verso quel grande e sconfinato Paese, per vagare tra le rocce rosse dei suoi immensi deserti, dove la libertà si respirava veramente, su chilometri e chilometri di strade deserte, dove non c’era anima viva: solo lui e la Harley Davidson che aveva affittata a Las Vegas per fare il viaggio più memorabile di tutta la sua vita.
Ricordò benissimo come stava in quel periodo, e non stava bene affatto: la sua rottura con la sua precedente fidanzata, alla conclusione del liceo, lo aveva letteralmente buttato sottoterra, e per mesi era stato chiuso in casa senza voler fare nulla, nonostante le proteste degli amici, di Renée ed anche dello zio, che proprio in quell’occasione gli propose di entrare nella sua gendarmeria.
Poi, la decisione: un viaggio per dimenticare, per ricominciare. E quale posto migliore dei deserti Americani, la terra degli sconfinati orizzonti?
Ricordava ancora benissimo la sera in cui aveva anche provato a tirare qualcosa, incitato da un gruppo di centauri incontrati in un bar per motociclisti; si era seduto con loro per stare un po’ in compagnia ed esercitare il suo Inglese che, all’epoca, stentava molto a farsi capire; poi, com’era prevedibile, una birra dietro l’altra, si lasciò andare, ed iniziò a raccontare dei suoi guai sentimentali a quei perfetti sconosciuti, che gli proposero la sola panacea che conoscevano, cioè la coca. Non aveva fatto neanche un tiro completo, che si alzò e diede di stomaco sul pavimento, tra le risate di tutti gli altri; stette male una notte intera, e da allora, giurò a sé stesso che mai più si sarebbe avvicinato a roba simile. E decise di non dire niente a Renée.
E quella fu l’ultima volta che cercò la compagnia di altri centauri: per tutto il resto del viaggio, esercitò il suo Inglese solo con normali turisti, in fuga vacanziera dalle grandi città del loro Paese.
Un sorriso sardonico gli uscì da sotto i baffi (che non aveva nemmeno!), al ricordo di quei tempi; la voce di Mansonne lo riportò alla realtà.
“Non mi risponde, tenente?”,
“Non desidero alcun regalo, grazie!”, così dicendo, allungò il passo e si allontanò da lui.
Il giudice risalì in auto con una smorfia dipinta sulla faccia; Aramis si avvicinò al capo della polizia, il capitano Rochefort.
“Che tipo deprecabile!” gli sussurrò,
“Ci ha provato anche con te, eh?” rispose quello,
“Perché, anche con te?”. L’altro sorrise.
“Lo fa con tutti. Crede che il denaro compri tutto!”,
“Allora è un vizio!” sibilò Aramis risalendo in macchina.

                                      **********
Qualche sera più tardi, Renée ed Athos sedevano insieme in un pub, davanti a due bicchieri di vino bianco.
Per la prima volta dopo tanto tempo, lei sorrideva, sollevata.
Athos, quando voleva, sapeva essere davvero divertente. E poi, si vedeva che gli piacevano davvero tanto le donne, nel senso che le amava e le rispettava, proprio come suo fratello Aramis.
“… E davvero ha detto questo? Che fifone!!! E pensare che è un gendarme!”, rideva la ragazza,
“Sì, proprio così! Maurice è uno che se la fa sotto anche se vola una mosca di troppo, ecco perché l’hanno messo negli uffici! Io quel noioso lavoro di routine non lo potrei mai fare: ho bisogno dell’azione!!” rispose il suo accompagnatore,
“Mi sembra di sentire mio fratello!” Renée bevve un sorso di vino “Anche lui è naturalmente portato all’azione”,
“Tu ed Aramis siete molto uniti, vero?”; il viso di lei si fece serio.
“Moltissimo, da quando eravamo molto piccoli: lui è stato tutta la mia famiglia, ed io la sua, dopo la morte dei nostri genitori”,
“Scusa, non è per farmi gli affari vostri, ma… non c’era vostro zio con voi?”,
“Oh, lui era diverso! Zio Armand era premuroso, gentile, attento… ma non poteva essere un vero genitore, perché non ci ha visto nascere, né muovere i primi passi od iniziare ad andare all’asilo. Io ed Ara, invece, siamo stati sempre l’uno accanto all’altra, come in simbiosi: siamo una cosa sola”,
“Inseparabili” disse Athos in un sussurro,
“Già. Inseparabili” rispose lei.
La ragazza mandò giù un altro sorso di vino, poi riprese a parlare “Sai cosa si dice dei gemelli? Che hanno le stesse sensazioni, belle o brutte, sentono perfino le stesse cose: se uno soffre, allora soffre anche l’altro”,
“E con voi è così?”,
“In un certo senso sì: sai, una volta, quando eravamo ragazzini, Aramis cadde dalla bicicletta e sbatté la testa, facendosi un bernoccolo; beh, non ci crederai, ma a me venne un forte mal di testa, e nello stesso punto del suo bernoccolo, per di più!”,
“Accidenti! Allora, ciascuno deve riguardarsi, per il bene dell’altro!”.
Scoppiarono entrambi a ridere.
Poi Athos, ritrovata un’espressione seria, le disse: “Renée… il vostro rapporto è bellissimo, ma… cosa farai quando lui si sposerà con Francine o andrà a vivere con lei?”,
“Mi terrò la casa!” scherzò lei; ma Athos era serio.
“Vuoi davvero rimanere sola? Non vuoi trovare anche tu qualcuno che ti voglia bene e che scaldi la tua vita?”.
Renée si rabbuiò, ed Athos capì di aver parlato troppo: era passato ancora troppo poco tempo dalla sua rottura con François.
“Scusami, non volevo rattristarti. Parlo sempre a sproposito”,
“No, non preoccuparti. E’ che… adesso come adesso non riesco proprio a credere di potere ancora…”,
“Amare?” le posò una mano su quella di lei “Lo so che è difficile ed ora ti sembra impossibile, ma vedrai che succederà di nuovo: quando meno te lo aspetti”.
Lei lo guardava, gli occhi lucidi.
“Abbi fiducia nel tuo amico Athos” sorrise.

                                                     **********

“Finalmente!!! Da tanto attendevo questo giorno!!” Aramis stava letteralmente cantando, nel suo studio,
“Che succede, amico?” fece Porthos che era entrato in quel momento con un tazzone pieno di caffè,
“Succede che il processo viene sospeso per chissà quanto! E quel Mansonne se ne torna a casa, almeno per un po’!”.
“E quando lo hai saputo?”,
“Stamattina, appena arrivato: me lo ha comunicato D’Artagnan, il quale lo ha saputo direttamente dal comando. Era fuori di sé dalla gioia: adesso potrà vedere la sua Costance senza trovarla tesa e spaventata come una corda di violino! Era ora!!”,
“E quando lo riprenderanno, il processo?” Porthos aveva iniziato a sorseggiare il suo caffè,
“Mah! Probabilmente dopo Natale. Quello che conta è che per un po’ non saremo obbligati a vedere la sua faccia qui intorno”.
Il biondo tenente si sedette alla sua scrivania e prese in mano il telefono.
“Pronto, Fran? Ci vediamo stasera?” Aramis era davvero su di giri.

Quella sera, dopo avere fatto l’amore a casa di lei, la coppia se ne stava oziosamente nel letto, le luci spente, a fumare una sigaretta in due.
La sola luce che rischiarava la penombra era quella che entrava dalla strada, e quella dei fari di qualche macchina che di tanto in tanto passava per la via, disegnando arabeschi di luce in movimento sul soffitto.
“Come sta Renée?” chiese Francine al fidanzato,
“Meglio: Athos ci sa fare! E’ tornata a studiare ed ha anche ripreso a lavorare, sai?”,
“Sono contenta per lei. E per te” si alzò, girandosi su un fianco “ma a dirla tutta, sono un po’ arrabbiata per noi due”,
“Perché mai?” l’uomo si volse a guardarla,
“E’ da un secolo che mi dici che dobbiamo andare a fare una piccola vacanza romantica noi due soli, e poi non hai mai tempo!”, gli saltò con le mani sul petto,
“Hai ragione” Aramis tirò un’altra boccata “ed è ora di rimediare! Tanto più che, ora, devo festeggiare la lontananza di quel Mansonne! Prendiamoci un paio di giorni solo per noi, ed andiamo a sciare sui Pirenei!”,
“Ohhh, così sì, che mi piaci!!!” gli schioccò un bacio nell’incavo del collo “E quando partiamo?”,
“Subito dopo Natale, non appena avrò preso le ferie e dopo aver passato la Vigilia ed il giorno di Natale con Renée: non posso lasciarla da sola quel giorno”,
“Hai ragione, amore! Sei proprio buono, tu!! Ah, che uomo ho trovato!” la ragazza gli si rotolò sopra,
“Ora non te ne approfittare!” rispose lui spegnendo la sigaretta nel portacenere sul comodino ed afferrandola per i fianchi nudi per farla accomodare meglio su di sé.
Le luci dei fari delle auto in strada illuminarono presto una coppia presa in un focoso amplesso.

                                              **********

“Ho detto cinquecento al mese, e non di più!!” Athos era esasperato,
“Ed io ti dico che non bastano! Ho da ristrutturare la casa, io!!” Milady, la sua ex-moglie, strillava a voce alta. Davanti a loro, un attonito avvocato Richelieu.
“Sei un’emerita spendacciona, Milady!”,
“E tu un fior di spilorcio!”.
“Signori, vi prego!” intervenne l’avvocato “Capisco che gli animi siano accesi, ma cerchiamo almeno di restare nei toni civili”,
“Guardi che la colpa è anche sua” sbottò Athos rivolto proprio a lui,
“Mia?”,
“Certo: se lei pagasse di più questa sanguisuga, lei non mi darebbe il tormento!”.
Seduta fuori dallo studio, Renée ascoltava, un po’ divertita. Aveva accettato di accompagnare Athos per calmarlo un po’, dopo (la richiesta di lui era stata questa!), ma non poteva fare a meno di pensare a quanto la situazione fosse comica.
La porta si aprì, ed un corrucciato Athos ne uscì.
“Non finisce qui, Athos!” gli gridò dietro lei,
“Và a quel paese! So che adesso stai con quel Rochefort della polizia. Perché non vai a chiederli a lui quei soldi?”.
Prese Renée per il braccio, ed uscirono.
Mentre camminavano per strada, la rabbia di Athos, lentamente, sbolliva.
“Tutto bene?” fece Renée. Lui rispose con un cenno affermativo della testa.
“Non dovresti prendertela così, sai… in fondo, si tratta solo di soldi!”,
“Sì: di soldi che non so dove andare a prendere!”,
“Senti, Athos, forse io un’idea l’avrei: il padre della ragazza di uno dei colleghi di Ara è avvocato: credo si chiami Bonacieux, o qualcosa di simile. Vuoi che provi a parlargli?”.
Athos, si fermò, stupito.
“Bonacieux? Il padre di Costance?”,
“Allora lo conosci?”,
“Sì, lo conosco, ma non sapevo che fosse avvocato”,
“A dir la verità, adesso è in pensione; ma non credo che per questo non sappia più fare il suo lavoro”.
Athos ci rifletté su.

Ciao, rieccomi qua!!
Scusate il ritardo, ma questo capitolo è stato particolarmente impegnativo, per motivi di tempo... carente! Ad ogni modo, eccolo qua!
Desidero ringraziare tutti coloro che stanno seguendo questa storia, ed in particolare:
Bay: grazie sempre del tuo appoggio e dei tuoi complimenti, e complimenti per la tua traduzione!
Ninfea 306: grazie per i complimenti, spero di meritarli, anzi ce la metto davvero tutta!
Lady Lina 77: davvero trovi che io sia veloce a scrivere? Io mi vedo lentissima... per lo meno, non veloce come vorrei. Quanto alla storia tra Renée ed Athos... staremo a vedere!
Un bacio a tutti, a presto!
Tetide.
 



  
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