Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: eithriadol__    22/01/2010    6 recensioni
“Non voglio venire”, lo interruppe, secco. “Non m’interessa”, aggiunse, atono.
Naruto sbuffò, infastidito; ma sul fondo dei suoi occhi, se si raschiava bene, si vedeva palese l’angoscia e la delusione. Il jinchuuriki di Kyuubi molleggiò sul materasso, senza toccare il corpo inerte di Sakura.
“Non si è mossa per un mese, Sas’ke. Non si muoverà neanche stasera. E non morirà se ti allontani”, mormorò, strofinando il palmo contro il lenzuolo, gli occhi bassi e il tono dimesso.
L’altro non si diede neanche pena di muoversi, o fare qualunque cosa che desse a Naruto un motivo per continuare a parlare.
“Devi uscire, Sas’ke”, berciò poi Naruto, guardando l’Uchiha voltarsi seccamente e sbuffare con fastidio, come una maestra stanca di ripetere le stesse cose ad un bambino insolente ed un po’ tocco. “Non
devo fare niente, dobe”, smozzicò con la bocca impastata.
{SasuSaku}
Genere: Generale, Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Steps in black and pink.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
C’era il fuoco, e la distruzione; c’era l’aria appestata dal fumo e c’era la morte, palpabile, visibile negli occhi dei superstiti; c’era l’acqua sporca di cenere, le case distrutte e il palazzo dell’Hokage colpito da un chidori; c’erano i corpi in terra, l’odore di sangue e sudore che impregnava tutto; c’erano le foglie bruciate, cadute, straziate; c’erano gli shinobi che resistevano, che guardavano ciò che restava di Konoha con la sofferenza nel cuore, e c’erano due ninja che si sorreggevano.
Uno aveva i capelli neri e scompigliati, contusioni in tutto il corpo e gli occhi sanguinanti; l’altro aveva i capelli biondi coperti di cenere, la divisa da chuunin strappata e l’aria distrutta. Non si guardavano neanche.
C’era questo, a Konoha.
Ma a  Naruto, sinceramente, non gliene importava; gli bastava avere Sasuke, sentirlo vicino, il suo braccio attorno al collo e il suo odore che spazzava via la puzza di morto.
Ma c’era qualcosa, però, che mancava.
Naruto lo sentiva sulla pelle, nel posto vuoto accanto a sé. Qualcuno non c’era. Non c’era e questo era inquietante. Sgranò gli occhi, arrestando la marcia. Sasuke gemette, mentre le fratture ululavano la protesta a quel movimento troppo brusco. Gli occhi azzurri del jinchuuriki vagarono sulla distruzione, cercando una familiare chioma di capelli rosa.
Sasuke si tolse del sangue dalle guance con un movimento nervoso della mano. Cercò di guardare attorno ma era tutto un’unica, confusa macchia grigia.
Naruto stava per dare voce a quella domanda che gli chiudeva lo stomaco e appesantiva le ginocchia, quando Sasuke lo precedette, nella voce un’urgenza che sapeva di terrore.
“Sakura?”
L’aveva sentita anche lui, quell’assenza, il vuoto che non era riempito dalla voce squillante della kunoichi.
“...Naruto, Sakura?”, chiese nuovamente, in un ringhio basso e cupo.
L’Uzumaki trattenne il respiro, cercando attorno a sé una figura conosciuta, ma non c’era niente. Sentì dei passi avvicinarsi, il manto di cenere a terra che attutiva i suoni e rendeva l’aria irrespirabile. O forse erano i suoi polmoni, a comprimersi?
Si voltò lentamente, sperando che ci fosse Sakura Haruno, dietro di loro. Ma vide – con lieve delusione ed immenso sollievo – che c’era Kakashi ad arrancare verso i due, il fianco squarciato, bendato alla meglio, e lo sharingan mostrato dalla visiera strappata.
“Naruto!, Sas’ke!”, esclamò, sollevato; l’Uchiha si voltò verso la voce conosciuta, un lieve broncio in volto;  intuì la figura del sensei solo perché lo avrebbe riconosciuto anche ad occhi chiusi – che, in quella situazione, era più o meno la stessa cosa.
“Dov’è Sakura?”, chiese Sasuke, senza preamboli. Kakashi lo guardò stranito, interdetto. Sembrò riprendersi, e nella sua voce risuonò una nota greve e poco rassicurante. Il sensei deglutì un groppo di angoscia e rispose, rauco.
“L’hanno portata in ospedale. La ferita di Kyuubi era troppo grave per essere curata alla meno peggio qui”.
I due shinobi trattennero il fiato, in contemporanea. Naruto perché si rese conto che era stato lui a ferire l’altra, anche se non se n’era reso minimamente conto, l’Uchiha perché la ragazza si era messa in mezzo per salvarlo.
Si portò le mani al volto, strofinando via il sangue, gli occhi neri che si muovevano frenetici alla ricerca di qualcosa di nitido, ma trovarono solo profili sfuocati.
“Naruto”, chiamò, e l’altro si mosse, in modo autonomo. L’ansia del nukenin si sentiva, il jinchuuriki la poteva percepire anche attraverso la pelle. Accelerò il passo, compatibilmente con le ferite di Sasuke, seguito a ruota da Kakashi.
Non morire, pensò spasmodicamente, razza di insopportabile, stupida oca.



Svegliarsi





Caos. Il caos imperava sovrano. L’ospedale di Konoha non aveva mai avuto tanti pazienti in una sola notte e, soprattutto, con una sola ala in piedi; l’altra l’aveva distrutta Kyuubi in uno dei suoi attacchi. Gli occhi neri e quasi ciechi di Sasuke vagavano per i corridoi, senza vedere niente.
C’era uno squadrone di medici che sciamava ovunque, carrelli e piccoli armadietti, lettini persino nei corridoi, puzza di sangue, urla, sospiri di sollievo e pianto di bambino.
Li guardavano tutti esterrefatti; chi  l’eroe di Konoha, chi  l’allievo di Orochimaru. Nei riguardi di quest’ultimo, poi, shinobi e kunoichi si lasciarono andare a epiteti poco educati, detti a bassa voce.
Sasuke però non sentì nient’altro che fastidio per tutti quei mormorii. Il passare inosservato andava a farsi benedire, così.
“Sas’ke-kun!”, esclamò qualcosa di indefinitamente biondo alla sua destra.
“Yama-”, stava per iniziare, scontroso, correggendosi immediatamente. “Ino”, borbottò, ritroso. Era una delle poche a non chiamarlo ‘nukenin’, meglio tenersela stretta, anche se era un’insopportabile oca anche lei.
Si voltò appena verso la donna, cercando di mettere a fuoco, inutilmente, il suo volto. “Sas’ke, che hai fatto agli occhi?”, mormorò la kunoichi con aria preoccupata.
Sasuke liquidò la questione con uno svolazzo della mano, una smorfia infastidita ad arricciargli il naso. Naruto intervenne mentre Ino stava per replicare a quel gesto con un’esclamazione irritata; “Dov’è Sakura?”.
L’altra si immobilizzò. Solo allora il jinchuuriki notò quanto fosse sporca di fuliggine, piena di piccole ferite ed estremamente pallida. Il poco colore che aveva lo perse quando cercò di dare risposta a quella domanda.
“Tsunade-hime ci sta lavorando”, mormorò.
“Non ti ha chiesto chi la sta curando, Yamanaka, vogliamo sapere dov’è”, berciò Sasuke, gli occhi fiammeggianti. Ino lo fissò con astio, mettendosi a marciare in modo marziale verso la fine del corridoio, voltandosi quando vide che non la stavano seguendo. “Idioti, vi ci sto portando, da Sakura” sbottò, aggressiva.
Naruto trascinò l’altro verso la testa bionda che sorpassava lettini, schivava carrelli di medicinali e si destreggiava tra questo e quel medico.
“Siamo arrivati?”, sospirò Sasuke, soffocando un gemito di dolore; le ferite iniziavano nuovamente a sanguinare, e gli occhi gli dolevano incredibilmente.
“Quasi, Sas’ke, quasi”.

~~


La stanza era asettica, odorava di disinfettante e malattia.
Sasuke realizzò soltanto che era molto luminosa, perché le finestre erano spalancate e il sole, che finalmente rischiarava Konoha dopo la pioggia di cenere, sfiorava tutto con una delicatezza timorosa, quasi avesse paura di rompere qualcosa con la sua luce.
La conosceva a memoria, quella stanza. Ci era passato centinaia di volte, in quel mese, e poteva contare - anche se non vedeva nessuno di quei dettagli che gli sembravano insignificanti - ogni mattonella che c’era in terra, ogni crepa dei muri, ogni particolare.
Trentasette giorni. Erano passati trentasette giorni da quando la battaglia era finita, e lui si trovava a girovagare per quell’ospedale decisamente troppo spesso.
Le macchine ticchettavano fastidiosamente. Ti-ti-ti. Era un suono regolare che penetrava il cervello.
Ino lo accompagnò sino alla sedia accanto al letto. Era al centro della stanza, sommerso dal chiarore, e Sasuke pensò, nuovamente, che quella sotto le coperte non poteva essere Sakura.
Le fasciature le coprivano le braccia sino alle spalle, un collare le teneva fermo il collo, gli occhi chiusi, le palpebre immobili. Le labbra gonfie e pallide sembravano ricoperte di neve. I capelli rosa erano ancor più corti del solito, un ammasso arruffato, tagliati per comodità, perché una persona in coma non poteva essere lavata per bene se aveva i capelli lunghi.
“Tutto bene, Sas’ke?”, chiese Ino premurosa, senza guardarlo negli occhi.
Mugugnò un ‘si’, facendo raschiare la sedia a terra e avvicinandosi ancora più al bordo del letto. Si sedette di schianto, gli occhi che vedevano un po’ più chiaramente rispetto al giorno prima, certo meno del giorno dopo.
“Quando toglierete le bende?”, borbottò, atono, sfiorando quell’ammasso di tessuto che ricopriva le braccia di Sakura.
“Quando le bruciature saranno guarite, Sas’ke-kun”, rispose Ino paziente, seguendo l’iter abituale; lui faceva qualche domanda sulla salute di Sakura, poi la congedava con un silenzio compatto, e rimaneva lì accanto alla kunoichi vegetante qualche ora. A volte parlava, qualche volta aveva perfino urlato ed un pomeriggio Naruto l’aveva scoperto singhiozzante – senza lacrime, quelle non le versava per nessuno – con le bende intrise di sangue, perché si agitava tanto che le ferite si erano riaperte.
Era da un mese che andava avanti così.
E Sakura, dormiente, non dava segni di miglioramento, ma d’altro canto neanche peggiorava. E Sasuke, lui sperava.
“Si sveglierà?”, disse l’Uchiha con un tono stranamente calmo, a bruciapelo.
Ino lo guardò con preoccupazione. Balbettò qualcosa di inintelligibile, prima di sospirare stancamente, passandosi le mani sugli occhi cerulei.
“Non ne ho idea, Sas’ke. Non ne ho idea”.
Con la morte nel cuore si girò, allontanandosi da quella stanza che le stava togliendo il respiro.
Sasuke rimase a fissare le palpebre violacee di Sakura per qualche minuto, poi spostò l’attenzione sulla flebo che scompariva nel braccio dell’Haruno.
“Trentasette”. La sua voce era tranquilla, serena. “Sono trentasette giorni che mi tieni sulle spine, Sakura. Non ti pare di aver oltrepassato un po’ il limite? La mia pazienza si sta rapidamente esaurendo. Non è educato far aspettare tanto le persone”.
Sfiorò la sagoma della sua mano attraverso il lenzuolo, annuendo tra sé.
“Effettivamente vi ho fatti aspettare tre anni. Ma io avevo un motivo, una vendetta da compiere. Tu sei qui a vegetare, non parli, non combatti. Sei debole, Sakura”, asserì lui, duro.
Le infermiere non badavano più a quei discorsi a senso unico. Passavano davanti alla porta socchiusa della stanza 401, senza neanche più fermarsi; Uchiha Sasuke continuava a sproloquiare da solo ad un corpo che sembrava ormai inanimato, e molti medici si chiedevano spesso perché non staccassero la spina all’Haruno, che ormai sembrava senza speranze.
Ma Tsunade-hime, ogni volta che quella questione le veniva posta, s’inalberava immediatamente, dicendo che l’ospedale sprecava già abbastanza, che una macchina in più non faceva differenza e che non c’era bisogno di assillarla con richieste che non avrebbero ricevuto risposta. Tutti sapevano che la Sannin detestava l’idea di dover abbandonare la sua allieva migliore.
“Naruto non demorde, neanche lui. Ti porta fiori ogni giorno. È anche vero che l’hai preso a pesci in faccia per anni, però non è carino rispondergli con questo silenzio. Porca miseria, Sakura, quand’è che ti deciderai a riaprire gli occhi?”, sbottò, schiaffeggiandosi il ginocchio con frustrazione.
Inizio a temere per la mia sanità mentale, pensò.
“L’altro giorno sono passato davanti all’uscita di Konoha. Mi sono ricordato della sera in cui sono fuggito ad Oto. Lo so che sembra banale, ma a me non è venuto in mente per la tua dichiarazione. Ho ricordato, dopo un sacco di giorni, qual era il preciso colore dei tuoi occhi. Sono di un verde stupefacente, sai? Nessuno a Konoha ha degli occhi di quella tonalità delle foglie. Erano belli anche pieni di lacrime, e forse allora non lo pensavo, perché non ero ancora capace di capire alcune cose, ma adesso lo sono, e tu, quando desidero per la prima volta vederli, quegli occhi, li chiudi”, esalò, con infinita vergogna. Non sapeva il perché di quella confessione, forse nutriva l’infantile speranza che se l’avesse elogiata per una volta nella vita, forse lei si sarebbe degnata di aprire quegli occhi e ritornare a respirare da sola. “Sakura, maledizione. Sei insopportabile, e ancora più inutile del solito. Non desidero tanto, Sakura. Pretendo che tu ti svegli entro oggi”, ordinò, la voce rotta da qualcosa simile all’ansia.
Ed un altro giorno sfuggiva dalle sue dita.



“Yo, Sas’ke”.
“Mh”.
Naruto entrò ballonzolando nella stanza, la tuta arancione che cozzava curiosamente con i toni pallidi della stanza. Il suo passo molleggiante e leggero, Sasuke lo poté intuire dal suono che i sandali facevano sulle mattonelle. Si sedette sul bordo del letto, e l’altro lo guardò con fastidio, perché era un gesto che non si permetteva neanche lui; stava seduto su quella dannata sedia di plastica, scomoda tra l’altro, a fissare il viso di Sakura, immobile.
“Oggi è il compleanno di Hinata. Non ti va di venire alla festa? Tsunade-hime  si ubriacherà sicuramente, sarà uno spasso, e poi c’è un torneo di poker e non voglio perdermi la Principessa afflitta dalle perd-”, iniziò Naruto, sproloquiando come suo solito.
Ma l’altro  non lo guardava.
“Non voglio venire”, lo interruppe, secco. “Non m’interessa”, aggiunse, atono.
Naruto sbuffò, infastidito; ma sul fondo dei suoi occhi, se si raschiava bene, si vedeva palese l’angoscia e la delusione. Il jinchuuriki di Kyuubi molleggiò sul materasso, senza toccare il corpo interre di Sakura.
“Non si è mossa per un mese, Sas’ke. Non si muoverà neanche stasera. E non morirà se ti allontani”, mormorò, strofinando il palmo contro il lenzuolo, gli occhi bassi e il tono dimesso.
L’altro non si diede neanche pena di muoversi, o fare qualunque cosa che desse a Naruto un motivo per continuare a parlare.
L’Uchiha si voltò seccamente e fece uno sbuffo con fastidio, come una maestra stanca di ripetere le stesse cose ad un bambino insolente ed un po’ tocco. “Devi uscire, Sas’ke”, berciò poi Naruto, guardando
“Non devo fare niente, dobe”, smozzicò con la bocca impastata.
Naruto perse la pazienza, sbuffò con stizza e si alzò, scordando la delicatezza che doveva tenere con Sakura in quello stato, pallida e immobile.
Sembrava un cadavere che faceva da giudice muto in quel perenne litigio che era il rapporto tra Sasuke e Naruto – eppure, quei due finivano sempre con il rappacificarsi, dunque non erano così scemi.
“Razza di teme. Fai quel che cazzo ti pare. E io sto anche qui a perdere tempo a parlare ai sordi”. Si mise le mani sui fianchi, innervosito. Lanciò uno sguardo di fuoco a Sasuke, per poi spostare gli occhi azzurri su Sakura, e si addolcì appena. Le sfiorò il braccio con rinnovata tenerezza, un sorriso comprensivo gli incurvò le labbra. “Sai, Sakura-chan, ammiro la tua pazienza”, annuì Naruto.
Il cazzotto di Sasuke assomigliava di più ad una carezza, e Naruto ridacchiò nervoso quando lo colpì sul fianco.
“Ciao, teme. Quando torno domani non voglio trovarti qui!”, esclamò, per avviarsi poi alla porta.
“Fanculo. Ciao, dobe”.
Attese che i passi dell’altro furono scomparsi in corridoio, confondendosi con quelli morbidi e pacati delle infermiere, poi s’alzò e chiuse la porta, in modo che non ci fossero interruzioni o altre seccature. Detestava quando Naruto cercava di fargli fare una cosa che non voleva, perché poi si finiva sempre male.
L’esempio lampante era il corpo molle di Sakura, steso in quel letto d’ospedale.
Non dovevi finire in mezzo, razza di oca. Non sai stare al tuo posto, osservò tra sé con un disappunto che si mescolava ad una punta di senso di colpa. Se non se ne fosse andato, se non avesse rincorso vendette e stronzate del genere non le sarebbe successo niente. Nessuno si sarebbe fatto male, forse, e Itachi sarebbe ancora vivo.
Itachi.
Sasuke si lasciò crollare sulla sedia, guardando con aria sconvolta il viso della kunoichi, sempre nella stessa espressione indifferente al mondo, la bocca collegata al respiratore, i capelli che si allungavano un po’ ogni giorno.  
Pensò a quante volte li aveva sfiorati, quei capelli rosa, quante volte Naruto glieli aveva scompigliati, quante volte Sakura li aveva fatti svolazzare davanti a lui per mettersi in mostra, quanto li vantava con Ino. Abbassò gli occhi, sconfitto.
Non piangeva mai, però. Aveva imparato a soffrire in silenzio, senza parlare, senza emettere suono, perché gli altri non dovevano essere partecipi del suo dolore. Era egoista, sbagliato, ma l’unico testimone a quell’agonia, ogni giorno, era un ammasso di bende che neanche parlava.
“Maledizione, Sakura”, borbottò per l’ennesima volta, sfiorandole una ciocca color pastello. Deglutì il disprezzo automatico per quel gesto troppo intimo, troppo dolce, che non gli si addiceva affatto. Le labbra si ridussero ad una sottile linea pallida, pensando che almeno quello, una carezza, glielo doveva.
Ci doveva essere lui, in quel letto.


“Ino”, salutò brusco.
“Sas’ke”, rispose lei, tesa. Lo afferrò per un braccio, quando lui stava per varcare la soglia della stanza 401. “No, non oggi, Sas’ke”.
Lui si voltò, stupito e interdetto. “Perché oggi no?”, berciò poi, con sgarbo.
“Sakura non c’è”, annuì lei, deglutendo un groppo d’agitazione.
La speranza, tanto veloce che Sasuke non riuscì a mascherarla, balenò negli occhi miopi dell’altro, mentre un moto d’euforia lo spingeva a poggiare la mano sul braccio della kunoichi. “Si è svegliata! Si è svegliata, non è così?”, chiese, con tono controllato, ma si sentiva effettivamente l’attesa nel suo tono.
“E’ in sala operatoria”.
E il mondo gli crollò addosso. La mano scivolò dal camice della Yamanaka, l’euforia si spense nello stesso modo in cui era arrivata, irruentemente, lo stomaco gli si strinse dolorosamente e la vista già di per sé offuscata si annebbiò ulteriormente.
“Cos-”, iniziò, rauco. Si schiarì la voce, continuando senza sfumature che tradissero niente della paura. “Cos’è successo?”.
Ino respirò a fondo, senza mollare la presa dal braccio dell’Uchiha. Gli occhi neri di lui cercavano una risposta immediata in quelli cerulei dell’altra, ma non vi trovarono niente che soddisfacesse   la fame di notizie; perché poteva sopportare tutto, ma non riusciva ad immaginare che Sakura morisse, era un’idea inammissibile  parimenti con la possibilità – vaga e remota – che Naruto scomparisse. Intollerabile.
“Ha avuto una ricaduta. Non sappiamo precisamente il motivo, Tsunade-hime sta operando. Probabilmente il cuore ha ceduto, ma è ancora incerto. Aspettiamo che finiscano”, disse tutto d’un fiato, con un sorriso tirato e gli occhi lucidi. Ino riteneva intollerabile perdere Sakura, forse più di Sasuke, perché era la sua migliore amica, ed ora era lì, nella sala operatoria, la vita appesa ad un filo, e semplicemente non riusciva ad accettarlo. Perciò sorrideva e sperava.
“Dove...?”.
“La stanza in fondo al corridoio dell’ala ristrutturata”, lo anticipò Ino, lasciando il braccio dell’altro e  continuando a compilare scartoffie come se niente fosse. Ma le sue spalle erano rigide e gli occhi spenti, lo percepiva anche Sasuke.
Il Genio corse verso la sala operatoria, l’andatura rabbiosa e gli occhi pericolosamente cupi.
Naruto era già lì, l’espressione stanca; Kakashi gli sedeva accanto, le spalle crollate verso il basso.
“Sas’ke”.
Si abbandonò sulla seggiola accanto a quella di Naruto.
E, per un istante, fu tutto più sopportabile.

“Come sta andando?”
“Abbastanza bene, Uchiha-san”.
“Abbastanza bene quanto?”
“Tra un paio d’ore uscirà dalla sala operatoria”
Sasuke sbuffò angosciato, e Naruto gli tirò un’amichevole pacca sulla spalla.
Due ore.

Dormivano. Tutti e tre.
Kakashi, l’occhio scoperto chiuso e le sopracciglia corrugate anche nel sonno, il capo appoggiato malamente sulla propria spalla e le braccia incrociate sul petto.
Naruto, la testa bionda appoggiata sulla spalla di Sasuke, la bocca aperta e l’espressione serena, le mani strette attorno alla manica della divisa di Sasuke, un gesto eco di una vecchia paura, cercando di trattenerlo anche se non ha (“c'era”) alcuna forza, in quello stato di beatitudine sonnolenta.
E poi Sasuke, il capo crollato in giù, i capelli scompigliati e che coprivano gli occhi neri, le mani strette a pugno, le gambe divaricate in posizione comoda per alzarsi immediatamente, le spalle molli e il respiro regolare, profondo e rauco.
Tsunade non se la sentì di svegliarli. Anche se c’era ancora un sole labile e vago che colpiva i loro polpacci, erano crollati. L’operazione era durata molto più del previsto, perché Sakura si era dimostrata ‘insopportabile’ anche da operare. L’ex Hokage sospirò, accarezzando i capelli di Naruto con affetto e guardando con materna severità Sasuke. C’era un eco della loro amicizia perfino in quelle pose scomposte, tesi l’uno verso l’altro.
Il corridoio deserto echeggiò dei passi della Principessa Tsunade, che, tra sé, ridacchiava.

“Cosa vuol dire non ci ha svegliati perché eravamo carini?”, berciò Naruto, gli occhi cisposi di sonno, sulla soglia della stanza 401.
“Naruto”, lo interruppe seccamente Sasuke, ma il jinchuuriki non lo ascoltò.
“Razza di vecchiaccia!”
“UZUMAKI!”, tuonò Tsunade, le mani sui fianchi, imponente nella sua costituzione giunonica, reprimendo un sorrisetto di scherno. “Smettila di urlare o ti spacco le gambe, razza d’idiota”, sbottò la Sannin, mettendosi di traverso tra loro e la porta che apriva sulla stanza di Sakura.
“Narutobaka, stai zitto”, borbottò Sasuke con fastidio, tirandogli una gomitata. Poi smozzicò con fatica un “Come sta?” vergognoso, perché lo imbarazzava dover mettere a nudo il fatto che si era effettivamente preoccupato di Sakura, e che gli importava molto più di quanto faceva credere. Ma in fondo erano ben tre mesi che andava e veniva dalla stanza della kunoichi della Foglia, quindi Konoha sapeva già bene dell’apprensione di Sasuke nei confronti di Sakura.
“Ditemelo voi”, fu la risposta sibillina di Tsunade, che aprì la porta con teatralità.
Vi fu un momento di silenzio siderale, poi una voce arrochita da mesi di silenzio e debole spezzò la tensione densa e palpabile.
“Naruto, Sasuke”.
La realtà investì i due con forza: Sakura era lì, era viva, gli occhi verde smeraldo aperti e lucidi, vivi, la bocca libera, senza respiratori, le guance pallide tese in un sorriso sbiadito, eppure euforico.
Il primo a riprendersi fu l’Uzumaki, che lanciò un lacerante “SAKURA-CHAAAAN!”, scaraventandosi verso la compagna di team, incredulo, gli occhi azzurri tersi e limpidi, traboccanti gioia e felicità, quanta Tsunade non ne vedeva da quando Naruto aveva visto Sasuke sveglio e vivo.
E il sopracitato stava immobile, sconvolto, sulla soglia. Gli occhi neri erano sbarrati, l’espressione del viso tirata e incredula. Fece un passo avanti, poi un altro. E con la stessa irruenza di Naruto si fiondò su Sakura, e senza preoccuparsi del fatto che era reduce di ore sotto ai ferri, la strinse con forza.
“Sas...ke...kun”, mormorò lei, stupita e imbarazzata da quell’atto di affetto che, da  quanto ricordava (e non era neanche certa di ricordare tutto), non aveva mai donato a nessuno. , mentre l’altro si allontanava, rosso di vergogna. Con evidente disappunto per quel gesto – che imputava a Sakura, ovviamente – pronunciò un faticosissimo “Sakura”, e dentro, sotto  l’indifferenza, c’era sollievo, gioia, felicità, così tanta da far tremare le gambe e chiudere lo stomaco. Il suo sguardo fuggiva quello dell’altra, rivolgendosi verso la parete, estremamente interessato.
“Sakura-chan! Ci hai fatto venire un colpo!”, esclamò Naruto gesticolando, i capelli biondi che si muovevano nell’aria e sembravano raggi di sole, e tutto il calore che emanava, lo emanava per due, perché Sasuke non parlava.
“Mi dispiace tanto”, rispose lei sarcastica, ma sorrideva. “Sai, almeno voi avete mangiato. Ho una fame pazzesca”.
“Vado a-”, iniziò Tsunade, rimasta sulla porta.
“Vado a prenderti qualcosa da mangiare”, la interruppe Sasuke, borbottando un ‘ci vediamo dopo’ a Naruto e Tsunade. Appena fuori dalla porta, lanciò uno sguardo fugace alla stanza.
C’erano Sakura, Naruto. E fuori c’era Kakashi. E tutti gli altri.
 Ma c’era Sakura, si ritrovò a pensare, bloccandosi per un istante. Pensò che forse era solo una sorta di modo per ringraziarla, pensare così di lei. Però si rese immediatamente conto che non era gratitudine, era molto peggio.
Ma andava bene così, per il momento.



Note sparse.
Mh. Shot cui sto lavorando da un bel po’. Non mi soddisfa molto il risultato finale, ma dato che ce l’avevo nel pc da parecchio, ho deciso di postarla.
Siate clementi.
Ahn, si. Un grazie enorme a Beat, l’impareggiabile beta, che ha corretto questa storia.
Grazie, darling (L).
  
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: eithriadol__