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Autore: YuuniChan    22/01/2010    3 recensioni
Ogni singola notte egli pregava che tutto ciò fosse stato solo un terribile incubo. Una volta svegli ci si rendeva conto, con un grosso sospiro di sollievo, che era l’ inconscio a creare quelle scene strazianti che popolavano gli incubi di tutti i sonni. E lui supplicava sempre, tutte le notti, di ritrovare al mattino gli occhiali arancioni e irrimediabilmente inutili sul comodino, simbolo della sua presenza.
Quella notte non fu da meno.
Genere: Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kakashi Hatake, Obito Uchiha, Rin, Yondaime
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa fan fiction è stata scritta senza alcuna pretesa,ma un omaggio a Kakashi, che amo profondamente, ma soprattutto ad Obit

Questa fan fiction è stata scritta senza alcuna pretesa,ma un omaggio a Kakashi, che amo profondamente, ma soprattutto ad Obito, che ritengo un grandissimo personaggio. Mi è piaciuto, in particolare, descrivere il senso di colpa di Kakashi immediatamente dopo la tristissima morte di Obito (chi non ha pianto almeno un po’ durante quella scena?)

Spero piaccia, nonostante la lunghezza. Grazie mille ^^ (soprattutto grazie degli errorucci che mi segnalate)

 

 

 

 

My Life Without You

 

 

 

 

{ After all this time
I never thought we'd be here
never thought we'd be here
when my love for you was blind
but I couldn't make you see it
couldn't make you see it
that I loved you more than you'll ever know
a part of me died when I let you go
}

 

(Blind, Lifehouse)

 

 

 

 

Ogni singola notte egli pregava che tutto ciò fosse stato solo un terribile incubo.

Una volta svegli ci si rendeva conto, con un grosso sospiro di sollievo, che era l’ inconscio a creare quelle scene strazianti che popolavano gli incubi di tutti i sonni.

E lui supplicava sempre, tutte le notti, di ritrovare al mattino gli occhiali arancioni e irrimediabilmente inutili sul comodino, simbolo della sua presenza.

Quella notte non fu da meno.

 

Il sole era andato a sonnecchiare già da molto tempo. Per la precisione, era già passata la mezzanotte, e Kakashi non riusciva ancora a prendere sonno.

Il prezioso occhio, l’unica reliquia lasciata, bruciava da morire, anche se lui non capiva se fosse la ferita, il rigetto del trapianto e semplicemente le lacrime che proprio non scendevano, ma che restavano in gola, ferme in un nodo doloroso.

Chiuse gli occhi. Se non avesse voluto vedere, c’erano i ricordi. E se non avesse voluto sentire, c’era la sua voce fantasma che rimbombava nella testa.

Se non avesse voluto più vivere, c’era la promessa di proteggere Rin.

Ovunque si girasse c’erano le tracce di un legame acerbo, o fin troppo maturo, dal quale si sentiva ormai dipendente, incatenato. Dal quale era stato ucciso, e per cui non riusciva a rinascere.

Sentiva ancora l’aroma del tè verde che Rin gli aveva preparato poco prima, invano.

La vita di Kakashi ad una settimana dalla morte di Obito si svolgeva in un via vai tra letto e bagno, tra febbre e vomito, antibiotici e garze.

Si sentiva vuoto, perso. E sentiva il vuoto dentro e fuori, ed un freddo glaciale che gli gelava le ossa.

Si strinse di più nelle coperte, cercando di ricacciare il nodo alla gola che gli provocava un dolore assurdo dal petto in su.

 

“Se me lo permetti…io vorrei essere il tuo occhio. E’ questo il mio regalo per te, Kakashi”

 

“Kakashi? Kakashi svegliati”

Una voce dolce e timorosa si affacciò dall’entrata della tenda.

Il ragazzo dai capelli grigio chiaro, voltò le spalle alla persona che lo chiamava nell’oscurità. Per un attimo aveva sperato che fosse la voce del ragazzo distratto che gli chiedeva quasi tutte le sere di prestargli le coperte.

La delusione gli lasciò l’amaro in bocca, e ancora una volta furono le memorie di ciò che aveva lasciato che succedesse a renderlo rigido e distante. La gola cominciò a bruciare. E gli occhi pungevano come se fossero stati pieni di spilli.

Rin si mosse nel buio a piccoli passi. Aveva paura di disturbarlo. Una terribile paura di recargli più fastidio che sollievo.

“Kakashi…c’è qualcosa che non va? Mi hai chiamato parecchie volte…scusami se non sono venuta subito…è che….”

Kakashi si destò dall’immobilità. Sentiva il corpo intorpidito e la testa pesante. Nonostante le numerose coperte tremava di freddo. Si appoggiò sui gomiti e tentò di aprire gli occhi.

Tutta la stanza parve vorticare su e giù, Rin divenne deformata, i mobili si allungarono e dal lontano il cielo sembrò scendere sul prato. Ricadde sul cuscino.

Rin gli poggiò una mano sulla spalla, ma lui si ritrasse.

Non sopportava più alcun contatto fisico. Aveva quasi perso la sensibilità della pelle, ed era terribile, per lui, sentire il lieve tocco della ragazza.

Rin non se lo meritava. Kakashi lo sapeva benissimo, ed era uno dei motivi per cui non voleva che lei si avvicinasse troppo.

Avrebbe potuto infettarsi.

Era o non era feccia? Aveva lasciato andare via Obito. Non aveva potuto tirarlo fuori di lì. Aveva visto il sangue sgorgargli dalla bocca, l’aveva visto sorridere mentre moriva, donare se stesso per lui, per la feccia, per colui che era disposto a sacrificare i propri amici per la buona riuscita di una missione.

“Aveva ragione…io sono spazzatura” mormorò impercettibilmente con il viso premuto sul cuscino.

Rin lo guardò. Gli occhi le si riempirono di lacrime.

“Non dovresti perdere tempo con me, lo sai…” aggiunse di nuovo a voce bassissima.

Tirò su col naso e cercò di dormire. Ma la presenza di Rin nella stanza era pressante. Kakashi sentì un dolore al petto.

“Devi prendere le tue medicine ora, Kakashi…” cominciò dolcemente Rin, con la voce ancora rotta dalle lacrime.

Lui non le rispose nemmeno. Non si girò. Rimase voltato di spalle nella speranza di essere lasciato solo.

Quando riaprì gli occhi vide l’ombra di un profilo sorridente e un paio di occhi scuri che lo fissavano.

Urlò in preda al panico.

 

Riuscì appena a sentire la voce di Rin da dietro la tenda che parlava terrorizzata con Minato-sensei. Gli unici suoni erano le loro voci e il fruscio delle foglie.

“S-sensei…Kakashi non vuole le medicine. Ha la febbre alta e comincia a d-delirare…io…”. La sentì scoppiare a piangere.

Rin piangeva molto spesso ormai. Era diventata sensibilissima e si era attaccata così tanto alla responsabilità di badare a Kakashi, da perdere intere giornate accanto al suo letto, attendendo anche solo un cenno, anche solo una parola di conforto, di cui lei aveva bisogno forse ancora più di lui.

“Dovrebbero essere gli effetti di cui mi avevi parlato, Rin…”

“Io…io vorrei fare qualcosa per lui…ma…lui non…”

“Non preoccuparti Rin. Ci penso io adesso. Va’ a dormire, hai già fatto del tuo meglio.” disse Minato con voce rassicurante, probabilmente sorridendole, tranquillo.

Kakashi sapeva che Minato-sensei non dormiva da parecchi giorni. Restava fuori la sua tenda quasi di guardia e spesso, durante le sue notti insonni, lo sentiva camminare su e giù, allenarsi, leggere o pregare. Sebbene fosse un ninja di straordinaria abilità, Minato Namikaze non si era lasciato sfuggire nemmeno una parola sulle numerose regole infrante nell’ultima settimana. Soprattutto per quanto riguardava le regole comportamentali sistematicamente dimenticate ogni giorno. La regola che vietava di piangere.

 

Quando Kakashi vide la mano del maestro muoversi dietro la tenda per cercare l’entrata, il ragazzo sentì il cuore balzargli in gola. Non voleva essere visto in quello stato, sconvolto, distrutto, febbriciante. Non voleva che Minato-sensei lo vedesse così…

Tirò le coperte fin sulla testa. Alzò il cuscino per coprirsi. Strinse i denti. Non pianse, si maledì anche per questo. Sarebbe stato molto meglio se avesse pianto.

“Hey, ti nascondi?” chiese Minato sorridendo, sedendosi sullo scomodissimo sgabello su cui Rin aveva passato decine di notti, accanto al suo letto.

Kakashi sbiancò sotto le lenzuola. Si strinse ancora di più il cuscino sul viso. Sentì il labbro tremare e il respiro del maestro farsi più pesante.

“Kakashi…avanti” disse con voce più autorevole “Non è da te comportarti così”

Minato sollevò le coperte sotto le quali si era nascosto il suo allievo più talentuoso di sempre. Aveva le guancia arrossate, l’occhio visibile era lucido e rosso, l’altro era nascosto dalle bende, le labbra tremavano. Minato gli sfiorò lo fronte con una mano, preoccupato. Kakashi stavolta non si ritrasse. Non ne aveva la forza.

“Hai la febbre altissima. Dovresti prendere le medicine che ti ha prescritto Rin” disse Minato addolcendo il tono.

“Non voglio più quella roba…non voglio più vedere nemmeno l’ombra di quelle porcherie” replicò Kakashi con la voce strozzata dalla pressione al petto e alla gola.

Passarono vari minuti nel silenzio più assoluto. Si sentivano solo i singhiozzi di Rin dall’altra parte del campo, e il solito, monotono, costante fruscio degli alberi.

“Cosa pensi che ti direbbe Obito se ti vedesse così?” chiese Minato guardandolo negli occhi. Sapeva che, pronunciando il suo nome, avrebbe toccato un tasto dolente. Vide la pupilla di Kakashi dilatarsi al buio, e il respiro del suo allievo diventare ansimante.

“Lui non c’è…non può dirmi niente…niente più” rispose con un tono così piatto da stupire Minato, anche se egli sapeva bene che il reprimere qualsiasi tipo di emozione era sempre stato un tratto caratteristico della personalità di quel ragazzo.

Kakashi vide con la coda dell’occhio il maestro prendere qualcosa dalla tasca.

“Ho un regalo per te, Kakashi…” disse con un sorriso triste “Sai, quando una persona diventa jonin, i regali non sono mai troppi. I miei compagni me ne fecero ben quattordici, pensa…”

Non ho bisogno di alcun regalo. Perché non mi lasciate solo? Voglio solo dormire. Voglio dimenticare tutto…

“Ti piacerà…” gli assicurò Minato, posando qualcosa di non troppo pesante sulle coperte, vicino le sue ginocchia. Kakashi allungò le mani per tastare cosa fosse.

Le dita, che ormai avevano perso sensibilità, sfiorarono una superficie plastificata che diventava elastica e morbida alle estremità. Aveva la forma di un paio di grossi occhiali da sub. Kakashi guardò Minato-sensei con un misto di terrore e incontenibile felicità.

Gli sembrò che si fosse squarciata la gola nel momento in cui vide gli occhiali arancioni che sognava ogni notte di poter trovare accanto al suo letto, ogni singola notte, pregava solo per vedere quegli occhiali, solo per poter parlargli anche un’ultima volta. Si alzò sui gomiti, cercando il suo viso oltre la tenda.

Dal modo in cui Kakashi alzava lo sguardo stupito dagli occhiali al suo viso, Minato capì di aver alimentato una straziante, seppur lontana, speranza.

“Obito non c’è più, Kakashi…” sussurrò, guardando il volto del giovane ninja diventare una maschera di tristezza e delusione.

Kakashi si morse il labbro, sentì le lacrime che inondavano gli occhi. Si portò il braccio all’altezza del naso, per nascondere un pianto che aveva cercato di trattenere da quando quel masso enorme aveva schiacciato il suo migliore – il suo vero, primo, autentico amico. Lui non aveva potuto salvarlo. Una vita di sconfitte, un’esistenza passata nella disperazione, repressa sì, ma pur sempre struggente.

“Non c’è niente di vergognoso nel piangere, Kakashi…” disse Minato accarezzandogli i capelli. Mentre sentiva i suoi singhiozzi rompere il silenzio della notte, vide il suo petto abbassarsi ed alzarsi tra le lacrime, e quella maschera di ferro distruggersi in mille pezzi in poco più che un attimo.

Il maestro non tentò  di consolare l’allievo né con parole di circostanza né con  dei semplici colpetti alla schiena. Lasciò solo che si liberasse almeno in parte dell’inferno bruciante che aveva dentro.

Non rifiutò neanche di togliergli la benda all’occhio quando Kakashi glielo chiese. Fece tutto ciò che il suo ragazzo gli chiese di fare, quasi come se i ruoli si fossero invertiti.

“Sta attento e non sforzarti troppo” fu l’unica cosa che gli disse seguendolo con lo sguardo, angosciato.

A Kakashi tremarono le gambe quando si alzò dal letto. Sentì il vuoto sotto di sé e le ginocchia non riuscirono a reggere il peso di quella nuova allucinazione. Dovette aggrapparsi alla fune che legava l’estremità della tenda per non cadere.

Stringendo ancora gli occhiali di Obito, riuscì ad arrivare allo specchio, ansimando. Vide la sua immagine riflessa e non gli sembrò reale che fosse ancora lì, vivo, di potersi guardare negli occhi, di potervi leggere la vergogna e il dolore.

Aprì l’occhio sinistro, il suo occhio, lo Sharingan. La cicatrice era ancora pulsante, e la pupilla sembrava perdersi nel rosso dell’iride, senza via di fuga, circondata da due gocce scure che si alternavano.

Il mio regalo per te, Kakashi…

Kakashi appoggiò una mano allo specchio e intravide Rin che guardava le stelle.

Una lacrima scese rapidamente dall’occhio sinistro alla guancia, fin sotto il mento, bagnandogli le labbra.

E’ lui che sta piangendo, pensò Kakashi, guardando gli occhiali arancioni che il suo amico portava sempre, che erano un espediente per celare le lacrimucce, un nascondiglio, quasi la stessa maschera che portavano entrambi, ma in maniera differente. Non era mai riuscito a dimostrargli quanto fosse importante per lui. Non era mai stato in grado di incoraggiarlo, di consolarlo, di aiutarlo. Non era stato in grado di salvarlo, di farlo sentire protetto, amato.

 

Vivi per me, Kakashi

Se quella voce fosse stata un altro risultato della febbre, Kakashi non lo sapeva. Sì asciugò frettolosamente l’ultima lacrima con il dorso della mano e gettò lo sguardo alla figura accovacciata di Obito che, si infilandosi le gocce negli occhi, e con un gran sorriso sulle labbra, lo salutava con una mano sulla fronte, come un vecchio comandante che incontra dopo anni un compagno d’avventura.

Kakashi ripeté il gesto dell’amico e sorrise malinconicamente.

Per te, sempre…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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