Eros e Psyche
La mia gioia raggiante
durò molto
a lungo. Era una gioia che mi scaldava dentro come il sole mi scaldava
la pelle.
Sentivo una grande frenesia di vivere e di cantare all’Amore
e volteggiare
danzando per tutto il bosco, ma ero chiusa in una casa vuota dove non
vedevo
mai nessuno e non parlavo mai con nessuno, sebbene il mio sposo mi
lasciasse
tante consolazioni materiali e doni d’oro.
Ogni volta che veniva c’era un
oggetto nuovo, alcuni sembravano di provenienza assai remota, e avevano
i
colori e il profumo dell’Oriente.
Non ero mai stata abituata a vivere lussuosamente
e, seppur fossi grata di tutto, me ne disinteressavo completamente.
Dopo tutto
quel tempo conobbi ormai a memoria ogni corridoio e avrei saputo
descrivere con
precisione millimetrica ogni statua o mosaico o ampio soffitto decorato.
“Che assurdità” pensavo
“proprio
quando la vita mi si apre davanti vengo chiusa qui dentro, e queste
ricchezze
per me non sono nulla…non sono buone conversatrici, ne
mi consolano per l'assenza del mio amato più di quanto facciano le voci aree...”
Una notte il mio sposo venne a
trovarmi e, come tante volte aveva fatto già prima di
quella, abbandonò
pesantemente il suo carico sferragliante ai suoi piedi e mi si
avvicinò.
Io balzai su dal letto e a
tentoni, con le mani tese, lo cercai nella stanza buia.
Il mio amore si divertì a
sfuggirmi costringendomi a seguire le sue risatine scherzose.
Alla fine mi acchiappò lui.
Prima di andarsene, quando l’alba
ormai si avvicinava in punta di piedi schiarendo le montagne ad Oriente e tingendo le nuvole di un rosa
soffuso, mi disse
molto seriamente
-Anima mia, ascoltami
attentamente- mi prese il viso in una mano vedendo che mi si chiudevano
gli
occhi dal sonno –un orribile destino minaccia la tua vita. Le tue
sorelle non credono
alla notizia che tu sia morta e tuttavia temono di sbagliarsi,
perciò ti stanno
cercando e ben presto arriveranno anche alla rupe da dove sei giunta
tu. Se mai
sentirai i loro pianti giungerti attraverso il vento del buon Zefiro tu
non
rispondere. Anzi, non preoccuparti affatto di vederle. Se mi
disobbedirai per
me sarà un grande dolore e per te la rovina-
Il sonno sparì dai miei occhi,
li spalancai per lo stupore e il dispiacere, guardandolo come una bambina che ha
appena
ricevuto uno schiaffo e non sa nemmeno lei per quale ragione.
-No! Permettimi di vederle, ti
prego! Non può far nulla, non cambierà niente se
arrivano qui. Che rovina
potrebbero essere per me le mie sorelle?!-
-No Psiche, adesso dormi-
L’alba cominciava ad illuminare
ogni cosa. Mio marito si staccò velocemente da me. Io feci appena in tempo a vedere la sua ombra che si
proiettava
sul pavimento contro la luce del sole che era già sparito
dalle mie braccia.
Trascorsi il giorno tra lo
scoramento, mentre le voci attorno a me, in ogni momento di maggior sconforto, mi sussurravano attorno
ripetendo che ogni cosa era fatta per il mio bene.
Per tutto il pomeriggio continuai
a ripetermi che ora veramente mi sentivo finita, affondando in un
abisso sempre
più profondo e buio di malinconia.
Piansi e mi lamentai; non potevo
neanche confortare le mie sorelle, anzi, non potevo neppure vederle. Le
mie
sorelle! Le mie amate sorelle.
Tra gli strascichi sgualciti del
peplo mi trascinai verso la mia stanza, sbattei la porta e strillai
alle voci
di stare zitte.
Mi gettai sul letto tra i cuscini. Oh mi sentivo davvero finita e seppellita dentro quel palazzo! Volevo uscirne! Non avrei potuto rimanere
là senza
anima viva, io non ero una bestia tenuta in gabbia per il divertimento di
nessuno!
Perché forse era questo che il mio sposo voleva da me!
Scacciai quel pensiero e scoppiai in
lacrime nuovamente, ma per il rimorso: che il mio sposo mi amasse non
c’era
nessun dubbio, e il mio cuore si stava stringendo di più per
essermi permessa
di pensare una cosa simile di lui.
Ma se lui era divino, io ero
umana, mortale, limitata, e non avevo bisogno solo di me stessa e di
lui, ma
anche della mia famiglia, delle mie sorelle.
Mi addormentai e venni svegliata a notte fatta
dal mio amato. Da come mi rimproverò capii che doveva avere
una faccia molto
scura e delusa.
-Psyche, non ostinarti, non è
possibile che tu pianga così. Non ti basta già
tutto quello che hai? Vuoi
davvero non rivedermi più solo perché hai voluto
vedere le tue sorelle?-
Diedi una scossa alla testa per
dire no.
-Vorrei morire mille volte
piuttosto che questo! Ma capisci che per me tutto quello che
c’è in questa casa
non è importante. Non è nemmeno mio. E quindi non
ho nulla! A parte te.
Permettimi di vederle- supplicai ed esagerando per convincerlo lo
minacciai con
voce scorata che sarei morta se non mi avesse accontentato.
-Allora fa il tuo male, Psyche, ti
ricorderai del mio serio avvertimento solo quando sarà
tardi!- si arrese torvo.
-Se fossi un mortale capiresti ciò
che ti lega ai parenti, amore- dissi piano e con dolcezza, come quando
si
accarezza un gatto.
-Sei tu che a causa della tua
semplicità e del tuo buon cuore sei affezionata a loro e ai
tuoi genitori, ma
bada che dovrai pentirti di questa tua gentilezza. Loro non lo
farebbero per te-
-Non dire sciocchezze!-
Con mille scuse e parole amorevoli
lo supplicai di perdonarmi questo dolore e gli assicurai che non
sarebbe
successo nulla.
-Ci saranno pessime conseguenze- disse affatto convinto.
Alcuni giorni dopo, come previsto,
mi arrivarono alle orecchie i pianti delle mie sorelle: si erano gettare sul bordo
della rupe
e piangevano e si battevano il petto e invocavano gli dei di aiutarmi
ovunque
io fossi.
Ero talmente commossa che mi
sembrò di avere un grande cuore, tanto da poter dare amore a
tutto il mondo, e volli
riversarlo tutto sulle mie amate sorelle.
Tutto si sarebbero aspettate
tranne che alle loro invocazioni per la sorella Psyche qualcuno
rispondesse
–eccomi!-
Stupite e ancora in lacrime, si guardarono intorno.
-Sentite anche voi che sono viva e
che vi sto rispondendo. Perciò non piangete come se fossi
morta-
-Dove sei?- rispose la mia sorella
più grande asciugandosi gli occhi con i veli.
-Voi non riuscite a vedere il
palazzo, agli occhi degli uomini si confonde con la collina sotto
questa rupe,
ma tra poco ci riabbracceremo, forza asciugatevi le lacrime-
L’altra mia sorella strillò quando
il vento forte la spinse verso la rupe e la sollevò come con
me molto tempo fa.
-È Zefiro, non siate allarmate-
Le fece volteggiare verso quella
discesa che finiva nella collina verde coperta di un letto di fiori.
Ordinai alla casa –Fatti vedere
dagli altri mortali!- e questa apparì come il palazzo
d’oro che era.
Le mie sorelle rimasero con la
bocca aperta ancor più a vedermi venirle in contro che
all’apparizione del
palazzo.
-Scusate se Zefiro è stato un po’
brusco, di solito è un vento gentile e caldo nei giorni di
primavera, è un buon
dio- dissi affrettando il passo.
Abbracciai la prima sorella,
rimasta impietrita ed in lacrime, ma la seconda mi restituì
l’abbraccio
saltellando sul posto.
Mi feci seguire dalle due, tutte
eccitate da quelle ricchezze che avevano davanti ai loro occhi.
La prima delle mie sorelle era
educata, manierosa e sempre composta, matura e piena di tatto fin
dall’infanzia, ma a volte si avvertiva in lei una certa
secchezza.
L’altra invece aveva un carattere
ridanciano e allegro, piuttosto frivolo, ma chi non ne conosceva i
difetti,
come la vanità, poteva dire di lei che era solo un'innocua
farfalla che rallegrava il
mondo.
-Questa è casa mia- dissi
timidamente –potrete tornare quando vorrete, mi alleviereste
solo molta
solitudine- sorrisi brillando di gioia, e così dicendo le
accompagnai per tutto
il palazzo.
Non si stancavano mai di
meravigliarsi di tutto: feci risuonare le voci alle loro orecchie, le
ristorai
con un bagno delizioso e con una mensa degna di tre dee.
Ma quando si furono saziate di
quella abbondanza, non mi accorsi che cominciarono segretamente a
covare un
senso di invidia.
Da allora mi domandarono tutto con
un tono meno entusiastico ed estasiato.
Mi chiesero di mio marito, ma io
fui ben attenta a non farmi sfuggire proprio nulla, e come avrei
potuto!, non
l’avevo mai visto!
Dissi che era un bellissimo giovane,
che di solito era occupato a cacciare. Per timore di lasciarmi sfuggire
qualcosa le mandai via troppo in fretta, forse con l’aria un
po’ troppo
evidente di aver qualcosa da nasconderle, e per farmi perdonare le
ricolmai
di regali d’oro.
Le affidai a Zefiro, invitandole a tornare al più presto, ma
non risposero al saluto.
-Come stanno i nostri genitori?-
chiesi con la voce piena di riguardo, perché mi dispiaceva
che fino ad allora
non avessero saputo che ero viva.
Eravamo in un salottino, sedute a
chiacchierare.
Gli occhi della seconda sorella
cadevano continuamente su una statua di marmo di Zeus che teneva in
mano, come
per scagliarlo, un fulmine d’oro.
Non potevo certo sapere che
nemmeno loro avevano fatto sapere nulla di me ai nostri genitori.
-Oh davvero meglio, gli ha fatto
tanto piacere sapere che sei viva. Come piangevano di gioia!
D’altronde chi ti
conosce non può volerti che bene- disse la maggiore.
-Sono stati in uno stato pietoso
da quando ti hanno abbandonata sulla rupe. Di cent’anni
più vecchi! Ringraziamo
gli dei che non siano morti di crepacuore- trillò
l’altra.
-Sono contenta- risposi.
-Però- la maggiore prese un gran
respiro come per prendere coraggio ed introdurre un argomento triste
–quando ci
hanno chiesto di tuo marito non abbiamo potuto raccontargli molto-
Sentì un brivido freddo tra i
capelli e a stento mi trattenni per non mostrare la mia paura
improvvisa.
Presi a raccontare, sciogliendomi
man mano che sciorinavo un'altra storiella, completamente diversa dalla
prima,
che nella mia semplicità avevo dimenticato: mio marito era
un ricco mercante,
di mezza età, già un po’ brizzolato, ed
era piuttosto impegnato in viaggi, per cui non
lo vedevo spesso.
Le ringraziai, ma le mandai via di
fretta, sempre piene di regali d’oro, e con l’aiuto
del solito vento risalirono
la rupe e tornarono alle loro case.
Un giorno le vidi scendere dalla
parete di roccia vertiginosamente verticale per trovarle in lacrime.
-Psyche!- mi abbracciarono,
angosciate come se mi fossi appena salvata per miracolo da un pericolo
mortale
–Psiche! Noi già avevamo capito da un pezzo quello
che stavi passando, ma
temevamo di dirtelo per non guastare la tua felicità! Ci
dava tanta gioia
vederti allegra e serena come non eri mai stata!-
Confusa e atterrita, mi allontanai
dai loro abbracci, invitandole con più calma possibile a
entrare.
Loro mi
camminavano dietro continuando a spremersi a forza le lacrime dagli
occhi.
Le feci accomodare su due
seggiole.
A quanto pare ero minacciata da
qualche cosa. Lo sapevano loro, ma non lo sapevo io!
Angosciata chiesi loro di
spiegarmi che sventura mi stesse puntando il dito contro, pronta a
colpirmi.
-Avevamo già capito, noi- ripeté
la seconda –lo sapevamo dalle storie sconnesse che raccontavi
su tuo marito, un
uomo prima giovane, appena uscito dall’adolescenza, come
dicevi, che poi in una
seconda versione è invecchiato velocemente fino ad essere
già brizzolato!...Oh no, non essere dispiaciuta, o
spaventata, non ti portiamo rancore, sorella-
Tirai un sospiro, le spalle mi si rilassarono
sentendo che le veniva sollevato di dosso quel fardello.
-Sapevamo che i casi erano due-
continuò la maggiore –Il primo era che tu fossi una bugiarda
che si inventava una storia
sull’altra. Ma non abbiamo neppure pensato di accusarti di
questo, perché
conosciamo, come sorelle, la tua bontà- le
scoppiò un singhiozzò in mezzo al
discorso in modo un po’ teatrale.
-L’unica ragione rimasta per
spiegare le tue bugie era che non avessi mai visto il volto di tuo
marito, è
così?-
Io chinai il capo annuendo.
-È vero- mormorai –ma, non ha mai
voluto!- mi difesi.
-Lo immaginavamo- continuò con
ansia- e abbiamo scoperto perché. Ti ha colpito un orribile
sciagura! La verità
è che fai l’amore con un orribile mostro!-
In silenzio, allibita, con gli
occhi un po’ più grandi dallo stupore, le fissai
con molta paura.
Le sorelle allora videro il varco
aperto nel mio animo, e ne approfittarono per insinuarmi dentro ancora
più a
fondo il terribile dubbio.
Mentre parlavano mi dimenticai a poco
a poco di tutte le promesse fatte al mio sposo e dell’amore che
provavo per lui,
accantonato subito in un angolo dal terrore.
-È un serpente terribile, con la
gola spalancata che cola di veleno mortale, e che si avvolge in cento
spire, ma
che al tuo tocco ha le sembianze di un uomo- disse la prima -Ricordati
ciò che
aveva predetto l’oracolo: che eri destinata ad un mostro crudele! Molte persone hanno detto di averlo
visto aggirarsi
in cerca di creature da divorare; animali, uomini, bambini. Altre ci
hanno
raccontato di averlo visto fare il bagno nel fiume qui vicino!-
-Vieni a vivere con noi, senza
pericolo- la interruppe la seconda –non restare in questo
deserto, tutte le
notti in compagnia di quel drago velenoso!-
-Sorelle, io non so che dire, ma
siete proprio sicure!? Non pensate che quella gente abbia mentito? Che
questa
storia sia solo una favola che è stata raccontata loro da
bambini? Io..io amavo
sinceramente mio marito…-
-Dovrà ben conoscere l’arte
dell’inganno quel serpente!- disse la seconda con una voce
che sembrava piena
d’odio –non è una storia!
Perché altrimenti non farsi vedere e non volere che
tu esca? Non ci sono pericoli o bestie feroci in giro, tranne lui-
Mio marito diceva sempre che ero
semplice, tenera ed ingenua nel mio animo, e forse era fin troppo vera
e grave
questa mia ingenuità.
Che stupida che ero stata!
Un mostro, era! Un serpente, che con la sua voce incantatrice mi aveva cantato tante belle cose, a cui, senza dubbi, io avevo sempre creduto.
Ormai ero completamente convinta.
-Cosa devo fare?- le supplicai. La
mia testa era una tempesta di panico, vergogna e voglia di piangere.
-Ci abbiamo pensato a lungo- disse
la prima – e siamo arrivate a questa soluzione…-
Si alzò dalla sedia, si avvicinò,
mi prese per le spalle, in atto di grande serietà, e
facendomi coraggio disse:-
Nascondi sotto il letto un rasoio- affilò lo sguardo per
controllare se
esitassi al pensiero di ucciderlo, ed esitai -…no, non
essere impaurita, non è
un assassinio a sangue freddo come pensi tu, che sei tanto dolce e non
faresti
male neppure ad una zanzara, se ti infastidisse- mi carezzò
la guancia – è solo
difesa, legittima difesa-
Diedi una scossa alla testa per
dire di si: stavo per scoppiare a piangere senza freni.
-Lasciami finire- disse
riafferrandomi a due mani –poi devi mettere una lucerna piena
d’olio in un
contenitore ben chiuso, in modo che la luce non si veda. Dopo che ogni
cosa
sarà pronta aspetta che quello si sia trascinato sul letto,
muovendosi sulle
sue spire, come fa sempre, ed aspetta ancora, fino a che non si
sarà
profondamente addormentato. Poi muovendoti piano, tira fuori il rasoio
e con
l’aiuto della luce della lucerna, che rivelerà
l’inganno tenuto sempre nascosto
dal buio, prendi la mira per colpirlo tra capo e collo-
Era buio nella stanza, aprii la
porta
producendo un lieve cigolio.
Mi insultai mentalmente mentre
introducevo il corpo nel poco spazio della porta aperta e tastai
intorno per
cercare la sponda del letto.
Sentivo un respiro pesante, un po’
roco, segno che il mio sposo, non trovandomi, si era
addormentato
attendendomi.
Sempre a tentoni, cercai nel buio
ancora più impenetrabile che c’era sotto il letto, tra le lenzuola cadute per terra,
il rasoio e la scatola con
dentro la lucerna.
In ginocchio, le tirai fuori
cercando, nelle tenebre, di non affettarmi la mano da sola con la lama
affilatissima.
Molto cautamente aprii il
coperchio della scatola con dentro la lucerna accesa, e subito un
fascio di
luce tremolante apparì sul muro e sul pavimento alle mie spalle, con la
mia ombra stagliata
contro.
Potei impugnare meglio il rasoio e
mi preparai a compiere il delitto.
Presi la lucerna dal contenitore,
la sollevai alta per avere una vista chiara su tutta la stanza e mi
guardai
intorno.
Il letto era rimasto nel semibuio,
ma quando alzai il lume sul mio sposo per vedere che razza di dio o
mostro
fosse mi si mozzò il fiato per un secondo.
Avevo avuto un soprassalto e la
lucerna mi era tremata in mano fin quasi a rovesciarsi.
Avevo trovato il mostro più mite e
dolce di tutte le bestie: Eros, la divinità che presiedeva
al sentimento stesso
che io avevo infranto, osando pensare di uccidere il mio sposo.
Atterrita, abbandonai la presa
sulla lama, che cadde ai miei piedi, nel buio.
Ero spaventata dal mio piano e,
afferrandomi i capelli con la mano libera, cercavo di capire quali
sentimenti
deliranti e stupidi, insieme alle mie sorelle, avessero cercato di farmi
uccidere
il mio amore!
Presa da terrore isterico, mi abbassai a cercare la lama per
piantarmela nel cuore dalla vergogna, ma era finita più
lontano di quel che
pensavo, e avevo una mano impegnata a reggere la lucerna.
Ma ecco che, disperata, guardando
la bellezza del divino Eros, riprendevo sempre più animo.
Aveva i capelli biondi, che alla
lucerna si infuocavano, umidi di ambrosia. Tutto il suo corpo era
bianco, di
latte, ed era nudo sul letto. Sulla schiena, piegate e rilassate
c’erano le ali
bianche e le piumette che stavano alle estremità tremolavano
scherzosamente
senza posa.
Il cuore mi si gonfiò a dismisura
di amore.
Accanto al letto, con la coda dell’occhio,
vidi i suoi infallibili strumenti, quelli che gettava da parte quando
entrava
ogni volta.
L’arco, la faretra e le frecce.
Per una curiosità insaziabile, che
il mio sposo mi aveva sempre rimproverato come il mio peggior difetto, le presi
in una
mano, osservandole, prima l’arco, poi la faretra.
A quel punto estrassi una freccia
e toccandola con la punta dell’indice per vedere quanto fosse
appuntita mi ferì
piuttosto profondamente, nonostante l’avessi appena sfiorata.
La cosa strana fu che mi sembrò di
aver ricevuto una puntura anche al cuore.
Succhiando la ferita per alleviare
il dolore alzai gli occhi su Eros e subito toccai la vetta
più vertiginosa dell’amore:
lo smodato delirio della passione.
Oh, era talmente bello che appena
l’avevo illuminato anche la fiamma era sembrata rallegrarsi
alla sua vista, e balenare
più splendente!
Lo accarezzai su una guancia, lo
volevo accarezzare tanto da spellarlo, e mi avvicinai per baciarlo.
Ma la lucerna che mi aveva aiutato
a vederlo, traditrice, schizzò dalla punta della sua fiamma
una goccia di olio
bollente, che cadde sulla spalla del mio amore.
Il dio sentendosi scottare spalancò
gli occhi e balzò in piedi, vide confuso l’oltraggio di
ogni promessa di fedeltà della
sua Psyche, e quando capì, lanciatomi appena un occhiata, senza rivestirsi prese di
fretta
il volo.
Ma io, prima che fuggisse del tutto, mi appesi alle sue gambe abbracciandogli le ginocchia.
Sollevandosi sempre di più mi fece
scivolare verso le caviglie e, quando ormai eravamo già per
le vie buie e
nuvolose del cielo, mi reggevo ai suoi piedi, uno per mano, come una miserabile appendice.
Eros diede forti scossoni alle
gambe per liberarsi di me, ma io non cedetti, almeno finché
le forze delle
braccia non mi abbandonarono.
Mi abbattei al suolo, facendo una
caduta dall’altezza che era poco meno di quella di un albero.
Ma il mio sposo, gentile, non mi
lasciò così buttata per terra. Si
appollaiò sul ramo di un cipresso là vicino
e dall’alto mi osservò con un viso commosso e
insieme tristemente rassegnato.
Dopo aver piagnucolato per un po’
con la faccia a terra, mi puntellai faticosamente
sui gomiti.
-Non volevo!- singhiozzai –Mi hanno
ingannata! Raggirata! Mi avevano convinta che eri una serpe dalle cento
spire,
non te ne andare, ti supplico, non te ne andare! Non te ne andare!!-
strillai
trascinando quelle ultime parole in un grido piagnucoloso.
La puntura della freccia ora mi
confondeva il cervello e mi rendeva isterica.
Eros mi guardò commosso e
impietosito dall’effetto che una punta magica aveva scatenato.
La passione per il
dio della passione, provocata dalla punta della freccia, si congiungeva all'amore per lui già presente dentro di me, facendomi impazzire, come un largo affluente che si getta in un fiume quasi in piena e lo
fa
straripare, distruggendo tutto intorno.
-Proprio io- sospirò lui appoggiandosi
al tronco e alzando gli occhi alle nuvole –io che dovevo
punirti, sono volato da
te e sono diventato tuo marito!-
-Punirmi!!- strillai farneticando, fuori dai gangheri –non
sono già stata punita abbastanza?!-
-Non era questo il modo né il
momento in cui mia madre avrebbe voluto punirti- disse tentando un
sorriso
birbante, in un modo che sembrava dire "io so, e tu no, ma proprio questo tenerti sulle spine mi da gusto!".
Poi sospirò di nuovo, parlando pazientemente al
cielo –Voleva che con le miei frecce scatenassi in te la
più violenta e cocente
passione per l’uomo più brutto e sfortunato del
mondo, in questo modo nessun
uomo degno avrebbe goduto della tua bellezza e tu e la tua famiglia
sareste stati
disonorati e svergognati. Voleva punirti per il motivo che avevi sempre
temuto.
Non per causa tua, ma perché gli uomini hanno creduto che tu
fossi bella come
lei.-
I miei occhi allucinati si
accesero di furia. Mai prima di allora ero stata pazza d’odio
per gli dei!
-Perché non mi hai piantato quella
maledettissima freccia nella schiena e non l’hai fatta finita
abbandonandomi per
sempre!- urlai prostrata a terra.
-Ho agito con leggerezza!- rise di
sé -Sono stato incauto: proprio io, il famoso arciere, ho fatto cadere per sbaglio una freccia che mi
ha
ferito il piede, e mi sono perdutamente innamorato di te-
Si voltò verso di me con occhi
amorevoli –Solo due cose ti avevo chiesto: di non vedermi
mai, altrimenti sarei
stato costretto ad andarmene, e di non incontrare le tue sorelle. Hai
disobbedito e tentato di tagliarmi il capo. Proprio quello di un dio!
Proprio
il capo che porta gli occhi innamorati di te!-
Io ero ancora stesa sull’erba a
pancia in giù, con la bocca spalancata e la faccia
congestionata di pianto e
isteria.
-Ma cosa volete voi dei da me!-
singhiozzai poggiando spossata la fronte a terra e battendo prima
forte, poi
debolmente, il pugno contro l’erba –Cosa ho
fatto!!? Ma perché non ho un
aspetto umano! Non è colpa mia! Afrodite! Mi hai dato in dono la grazia
solo per tormentare una tua figlia della bellezza?!-
Battei forte la fronte contro la terra,
poi la sollevai un po’ e mi rivolsi a Eros, mio marito,
guardandolo con odio -Ecco come
provvedete voi odiosi dei agli uomini! So che godete a vederci distrutti, nel fango, come vermi! Ammettetelo! Eh!!?
Ditelo!!
Non sono una donna, non sono neanche viva, se sto mentendo!- strillai e
tornai
a sbattere la fronte contro la terra.
-Sei il dio dell’amore! Aiutami! Sono
innamorata di Eros, della passione, di Amore! Aiutami! Non lasciarmi qui! Non
dovrei
esserti invisa, amore mio-
-Dì grazie alle tue egregie
consigliere, che hanno tramato, invidiose di te, per ridurti nel fango
e senza
sposo. Loro saranno punite presto con un castigo terribile, tu te la
caverai
soltanto con la mia fuga-
Detto questo si sollevò
rapidamente in aria sulle sue grandi ali piumate.
Mi sollevai sui gomiti, alzando faticosamente il capo per
seguire il suo volo finché le ali non lo portarono
abbastanza lontano da farlo
perdere nel cielo e nelle nuvole e renderlo invisibile.
E mentre cercavo ancora quel punto,
tra i miei pensieri dissennati e labili passò la folgore
dell’ispirazione.
La freccia mi aveva istillato una vena
di follia sufficiente per permettermi di tornare sull’idea
del suicidio.
Quello di cui avevo bisogno era
un fiume profondo, buttarmici e annegare: e voltandomi
intorno notai che ne avevo uno proprio a un passo.
Continua…
Michelegiolo:
Questa storia è in un ritardo indecente, purtroppo la
passione nello scriverla
languiva ed io non trovavo la voglia di scrivere, più che il
tempo materiale.
Spero che questo capitolo sia di tuo gradimento.
Owarinai
yume: Sono contenta che le descrizioni ti piacciano, la
descrizione del
castello, lo ammetto (per purissima onestà), è in
larga parte attinta dall’opera
di Apuleio, il resto è mio, e me ne prendo il merito con
tutti i diritti
(nessuno lo aveva mai messo in dubbio nd tutti) (uffi, noiosi nd io).