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Autore: Francine    09/07/2005    4 recensioni
Che ci faceva lì?
Ma, dov’era
?
Forse al Santuario? Ma da quando in qua ad Atene c’è necessità di coprirsi tanto?, pensò sgranando gli occhi di colpo, E poi quando mai Mask mi ha portata con sé?
Fece per alzarsi di scatto, quando un lancinante dolore al fianco le mozzò il respiro nei polmoni e la costrinse ad accasciarsi sul pavimento, un braccio posato sul letto.
Si toccò istintivamente la parte, notando la punta delle dita sporca di sangue.

Che cosa?, si chiese allibita, mentre la stanza attorno a lei cominciò a girarle vorticosamente intorno e a scurirsi.
Il narciso, bianco nel nero puro della stanza, si allontanava piano piano, svanendo all’orizzonte.
Rimase qualche secondo a fissare l'oscurità; sbatté le palpebre, per sincerarsi di avere gli occhi aperti.
Era nel buio più profondo e silenzioso.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Un, deux, trois' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Notturno
 


Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
silenzïosa luna? (Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, Canti, 1835)


 

La Luna splendeva alta e solitaria nel cielo di Settembre; sotto la sua pallida luce, la casa in cima alla collina si stagliava, irriconoscibile, contro il nero della notte.
Rovi dalle ciclopiche dimensioni attorniavano la costruzione, avviluppandosi attorno ad essa in molteplici spirali; avvolto in una di queste, il corpo del vecchio padrone di casa, Tonio, giaceva esanime sul prato all’inglese madido di rugiada, linfa, sangue.
Al primo piano, Milo di Scorpio fissava dalla soglia della stanza di Françoise il cadavere della ragazza che, da disteso a terra, gli occhi sbarrati, andava lentamente acquisendo volume.
Sorrise.
In poco meno di un attimo, il leggiadro corpo della sua compagna divenne il nerboruto e possente fisico di un guerriero, il quale non perse tempo e si lanciò diretto contro il proprio avversario.
Milo, rimasto in guardia aspettandosi una mossa simile, scattò come un automa, scansandosi di lato e lasciando che l’intruso lo superasse. L’ago scarlatto si conficcò tra le scapole dell’uomo, strappandogli un urlo di dolore.
Il Saint dell’Ottava Casa fissò, con disprezzo misto ad ira, il proprio avversario contorcersi sotto il dolore della seconda puntura.
«Non ci girerò troppo intorno…», disse scuotendo il capo con noncuranza. «Dimmi dov’è Françoise!»
Una sinistra, quanto sguaiata risata, fu la risposta che ebbe.
«Intendi forse quella sgualdrina d’una traditrice?», chiese l’uomo alzandosi e sovrastando Milo con la propria mole.
«Dalle tue parole posso dedurre che tu faccia parte della cricca di Loki…», rispose il paladino di Athena ricambiando lo sguardo, per nulla intimorito dalla stazza dell’avversario.
«Ma che bravo…», fece il gigante lisciandosi l’ispida barba rossa che gli incorniciava il volto. «Mangi pane e volpe, per caso?», e, detto ciò, si lanciò come un treno contro Milo, schiacciandolo contro la parete.
Lo Scorpione lo lasciò fare, posando entrambe le mani sulle spalle dell’avversario: immediata, la Cuspide Scarlatta si aprì un varco tra le vive carni, colpendo il nemico sul collo.
L’avversario scattò istintivamente all’indietro, lasciando la presa su Milo.
«Maledettissimo insetto…», bestemmiò l’omone massaggiandosi il minuscolo punto lasciato scoperto dalla propria corazza.
«Te lo ripeto per la seconda volta…», fece Milo avanzando con fare nervoso, la luce lunare alle spalle. «Dov’è Françoise?»
«E perché dovrei darti quest’informazione?», chiese l’altro con fare indisponente.
«Perché credo che tu abbia cara la vita!», rispose secco Scorpio.


 
L’immensità del cielo stellato l’abbracciava in tutta la sua estensione.
Orione brillava caldo su di lei, mentre all’orizzonte s’alzava timida la Croce del Nord, e l’Aurora Boreale stendeva le sue dita cangianti sulle distese ghiacciate della Siberia Orientale.
Il silenzio l’avvolgeva col suo manto impalpabile: il vento non soffiava a sferzarle gelido il viso, mentre la luna l’osservava, silente e solitaria, al centro del firmamento.
Non sentiva freddo, avvolta nel suo cappotto imbottito che sapeva essere foderato di panno rosso. La testa, protetta da un cappuccio del medesimo colore, la percepiva fresca, leggera, come se fosse nata in quello stesso istante.
Il suo sguardo si perse a contemplare il meraviglioso spettacolo che la Natura generosa le stava offrendo, quando una voce a lei familiare la destò.
«Hai intenzione di far compagnia ai blocchi di ghiaccio eterno?»
Dall’uscio di un izbà coloratissima, le apparve l’alta figura di suo fratello Camus, vestito di caldi panni invernali, stagliarsi contro il nero del cielo notturno.
«Spiritoso!», fece lei canzonandolo e cacciandosi le mani in tasca.
Lui sorrise, raro momento d’intimità con lei.
«La cena è pronta», disse il ragazzo accostando al collo l’ampio scollo del pesante maglione che indossava, unito ad un paio di pantaloni dal caldo color ruggine.
«Arrivo, arrivo…», rispose lei, alzando un’ultima volta gli occhi verso le stelle, che parevano augurarle la buonanotte.
Percepì suo fratello bofonchiare qualcosa alle sue spalle, quindi rientrare in casa, lasciandole l’uscio aperto. Annusò l’aria: c’era odore di zuppa di grano, che le solleticava naso e appetito. Soddisfatta, si fregò le mani e si diresse verso casa.
Non era mai stata molto abile a camminare sul ghiaccio; anzi, il suo più che un moto, era un vero e proprio slittamento verso la casa.
Ma sono io, o è la casa che si sta spostando?, si chiese mentre tentava di avvicinarsi senza successo all’izbà.
La casa era lì, l’uscio aperto che faceva fuoriuscire una calda luce dorata.
Porc… Sto facendo perdere un sacco di calore alla casa! Camus mi ammazzerà!!, pensò maledicendo la propria incapacità di procedere in linea retta.
D’un tratto, però, s’accorse che la costruzione si stava allontanando, scivolando verso il fondo buio della notte.
Si bloccò, in posizione semieretta, una ciocca di capelli che danzava languidamente abbandonata nel vento.
«Camus?», chiamò per sincerarsi della realtà delle cose e per farsi venire a prendere dal fratello.
Come mai non era ancora apparso sulla soglia, sgridandola perché stava facendo disperdere del prezioso calore alla casa?
E come mai la casa stessa stava scivolando inesorabile verso il nulla?
E perché suo fratello non le rispondeva?
«CAMUS!!», urlò in preda al panico, iniziando a correre verso l’izbà.
Un sinistro scricchiolio sotto di lei la costrinse a guardare verso i propri piedi: notò con orrore che, sotto i pelosi doposcì gialli, il ghiaccio si era aperto in una sottile crepa che si andava allargando.
Saltò a sinistra, in direzione della casa, ma il ghiaccio fu più lesto di lei, lasciandole rapidamente solo un’esile lastra di ghiaccio su cui posare i piedi.
La casa, intanto, spariva sempre più velocemente.
«Camus!!», urlò poco prima di perdere l’equilibrio e cadere in acqua.
 
«Sveglia! Sveglia!»
Una sensazione di estremo fastidio la costrinse a riaprire gli occhi.
Dapprima sfocato, poi via via sempre più nitido, riconobbe un narciso bianco che si stagliava solitario in un vaso dall’alto fusto. La finestra posta dietro al fiore, posato su un tavolo, lasciava entrare in casa i caldi raggi del sole.
Confusa, si mise a sedere sul letto, scostando di poco la leggera coperta azzurra che le copriva le gambe.
Girò la testa a destra e a manca, prendendo lentamente nota degli oggetti che incontrava man mano.
Un tavolo rotondo con sopra il narciso.
Un cassettone a setti scomparti.
Delle mensole in legno scuro, stipate ordinatamente di libri.
Una porta massiccia.
Uno specchio intero in cui si vide riflessa.
Shura di Capricorn.
Un armadio in radica.
Lo scrigno dell’Armatura d’oro.

Il suo cervello le impose di voltarsi a destra.
«Ma?», chiese la ragazza fissando Shura che, con aria tra il divertito e il perplesso, l’aveva osservata fare una lenta panoramica della stanza.
«Ti piace l’arredamento, gaviota?», domandò lui, con uno di quegli ampi sorrisi che dedicava solo a lei.
«Che ci faccio qui?», chiese Françoise per poi pentirsi della sua uscita poco intelligente.
Shura piegò la testa di lato.
«Dormivi così bene… al tuo solito posto, dove sai che ti è tassativamente vietato stare…», rispose incrociando le braccia con malcelato divertimento.
Lei arrossì.
«Ma ne sei sicuro?», chiese titubante, ricordando ben altri fatti, ma temendo di averli soltanto sognati: sicuramente Shura l’avrebbe presa in giro, dicendole che le mancava il fratellone o cose simili.
«Claro que sì!», rispose Shura inarcando un sopracciglio. «Eri distesa sotto l’olivo sacro a sonnecchiare al sole! Eppure sai che non dovresti essere qui, né tantomeno che è una cosa saggia mettersi a dormire all’aria aperta di questa stagione! Proprio tu che soffri così tanto il freddo, poi!»
«Ma perché, che mese è?», chiese ingenuamente.
«Gaviota, sicura di non aver battuto la testa?», insistette lui posando una mano sulla fronte della ragazza.
«Sto bene!», ruggì lei, seccata da quel gesto e dal trattamento infantile che l’amico le stava usando. «Che mese è?»
Il ragazzo tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia ed allungò le gambe; poi, indicò il proprio maglione bianco, dal tipico lavoro norvegese, i pantaloni di velluto a coste color ruggine e, per, ultimo, l’elegante narciso bianco.
«Che razza di risposta è?», chiese Françoise aggrottando le sopracciglia.
«Quando sbocciano i narcisi?», proseguì Shura.
«Che razza di domanda è?», s’inalberò lei, stringendo esasperata, la coperta tra le mani.
Shura sospirò.
«Quel fiore me l’hai dato tu. Mi hai detto di interrarlo entro Ottobre e di esporlo in pieno sole», rispose scimmiottando la voce della ragazza nell’enunciare i termini tecnici.
«Hai anche detto», aggiunse incrociando nuovamente le braccia, «che sarebbe sbocciato tra la fine di Febbraio e l’inizio di Marzo…»
«Quindi?»
«Oggi è il primo Marzo», le disse finalmente il ragazzo con un sospiro.
Françoise guardò la coperta stesa sulle sue gambe.
«Devo essermi addormentata…», concluse, iniziando a raccontare all’amico l’avventura che le era capitata.
Shura sdrammatizzò con una solare risata.
«Vedi che succede a vivere per troppo tempo con quel pazzo di Death Mask?», le disse posandole una mano sulla spalla. «Finisci per bramare di tornare a vivere in una casa sperduta assieme a quell’orso di tuo fratello!»
Quindi, senza badare all’occhiata assassina che gli aveva lanciato la ragazza, si alzò e si diresse verso la porta.
«Dove vai?», gli chiese allarmata da un sesto senso.
«Ad avvertire il tuo maestro che ti sei svegliata…», rispose il ragazzo ridendo e sparendo avvolto dalla luce esterna.
Come la porta si richiuse, Françoise provò un brivido lungo la schiena.
Si sfregò le braccia, scoprendo che indossava anch’ella il medesimo abbigliamento sfoggiato da Shura e da suo fratello, in sogno. Deve essere un abbinamento di moda…, si disse la ragazza osservando prima i vestiti e poi quel narciso dal lungo gambo che era rimasto a farle compagnia.
Si coprì con la leggera coltre e si adagiò sui cuscini alle sue spalle, attendendo la sfuriata di Death Mask, che, come ben sapeva, non avrebbe tardato ad arrivare.
Sicuramente inizierà a dirmi che sono un’idiota, una cretina, che lì non ci sarei mai e poi mai dovuta arrivare…
Sospirò, ripassando mentalmente gli insulti che il proprio mentore le lanciava ogni volta che ne combinava una delle sue.
Uffa, però pure Shura! Che gli costava coprirmi con Mask?, pensò, aggrottando le sopracciglia e incrociando le braccia al petto.
Sapeva che era inutile lagnarsi, e non solo perché Shura era ormai andato in cerca del suo maestro, ma anche, e soprattutto, perché Shura era fatto così…
«Mister precisione…», lo canzonò sprofondando tra i cuscini e fissando la porta dalla quale, e sapeva che era solo questione di minuti, sarebbe apparso un adiratissimo Death Mask.
Sentì il ticchettio dell’orologio riempire il silenzio plumbeo in cui era precipitata la stanza; fuori, le fronde di un ciliegio erano un vero e proprio tripudio di evanescenti fiori rosa che si stagliava contro un pulitissimo cielo azzurro.
Rapido e letale, un pensiero s’insinuò nel suo cervello.
Se questa è la stanza di Shura… allora …oddio, pensò, arrossendo a mano a mano che la sua intuizione prendeva corpo, …questo è il letto di Shura!!
Arrossì come un pomodoro maturato al caldo sole di Sicilia, come le mostrò lo specchio davanti a lei.
Ma per quale stramaledettissimo motivo mi ha portato qui?, si chiese scostando la coperta e alzandosi a sedere sul letto.
Qualcosa non le quadrava.
Perché, sebbene Shura gliel’avesse raccontato, non ricordava assolutamente alcun olivo a cui piedi si era sdraiata per farsi un sonnellino?
IO, freddolosa come sono, che mi sdraio al sole di Marzo?, si chiese portandosi una mano sotto il mento.
Che ci faceva lì?
Ma, dov’era ?
Forse al Santuario? Ma da quando in qua ad Atene c’è necessità di coprirsi tanto?, pensò sgranando gli occhi di colpo. E poi quando mai Mask mi ha portata con sé?
Fece per alzarsi di scatto, quando un lancinante dolore al fianco le mozzò il respiro nei polmoni e la costrinse ad accasciarsi sul pavimento, un braccio posato sul letto.
Si toccò istintivamente la parte, notando la punta delle dita sporca di sangue.
Che cosa?, si chiese allibita, mentre la stanza attorno a lei cominciò a girarle vorticosamente intorno e a scurirsi.
Il narciso, bianco nel nero puro della stanza, si allontanava piano piano, svanendo all’orizzonte.
Rimase qualche secondo a fissare l'oscurità; sbatté le palpebre, per sincerarsi di avere gli occhi aperti.
Era nel buio più profondo e silenzioso.
«Dove sono?», si chiese sentendo le forze defluire da lei lentamente.
«Camus!», provò a chiamare, tendendo una mano verso il buio davanti a sé.
Nessuna risposta.
«Shura!»
Nessuno.
«Mask!»
Niente.
Si sentì persa, e anche le ultime, residue forze parvero abbandonarla. Non sentiva più le gambe, ma solo un blocco di ghiaccio attanagliarle il corpo dallo stomaco in giù. Non era ne in acqua, né dentro la terra: sembrava piuttosto, che stesse vagando nello spazio.
Senza neppure il conforto delle stelle, rifletté mentre constatava l’assoluta oscurità del luogo in cui si trovava.
 
Milo fissava con disprezzo il cadavere del proprio avversario giacere a terra privo di vita.
«Maledizione!», imprecò stringendo i pugni fino quasi a sanguinare.
Non era riuscito ad impedire al suo nemico di suicidarsi.
«Sorte beffarda!», biascicò tra i denti. «Avvelenarsi, pur di non morire per mano mia, per il veleno dello Scorpione…», aggiunse esaminando i segni inequivocabili dell’azione del cianuro ingerito dall’avversario.
«Pensavo che gli sgherri di Loki sapessero morire con onore…», commentò acido superando il cadavere e cercando in giro tracce della presenza di Françoise.
Nulla.
La ragazza pareva essersi letteralmente volatilizzata.
«Ma dove diavolo può essere andata in quelle condizioni?», si domandava Milo lambiccandosi il cervello nel tentativo di scoprire che fine avesse fatto la sua compagna.
Maledisse la propria incapacità per non essere stato in grado di carpire all’avversario alcun ché circa la sorte occorsa all’amica, se non qualche improperio circa la sua virtù.
Françoise, dove cazzo sei?, pensò mentre un rivolo di sudore gli rigava le tempie.
 
«Che stai facendo? Se ti lasci andare, morirai di sicuro!»
Aprì di poco gli occhi: davanti a lei, il buio ammantava un’immagine sfocata del viso gentile di Camus, che la guardava con espressione severa.
«Fratello?», chiese lei per sincerarsi di non esser vittima di una qualche allucinazione provocata dal freddo pungente che le intrappolava metà del corpo.
Il volto sorrise.
«Avanti, alzati!», fece una voce che la ragazza sentì risuonare all’interno della propria mente.
Si fregò gli occhi con una mano: accanto a Camus, era apparso il viso sorridente e rassegnato di Shura.
«Shura…», sussurrò lei, sorridendo di rimando.
«Avanti! Raccogli tutte le tue forze, gaviota!», la esortò Capricorn tendendo una mano verso di lei.
Françoise provò a toccare l’amico, ma non riuscì neppure a sollevare il suo braccio destro. L’osservò: l’arto giaceva immobile al suo fianco e, per quanti sforzi facesse, non si spostava di un solo millimetro.
Guardò i volti dei suoi cari.
«È finita?», chiese, con un sorriso a fior di labbra, ai due ragazzi, che le risposero scuotendo il capo.
«Non ancora, mon petit chou!», le disse la voce di suo fratello, mentre la figura parve muoversi un poco.
«Ma come posso fare?»
«Possibile che tu abbia già dimenticato?», la rimproverò Camus mentre Shura continuava a fissarla.
I baveri delle due armature d’oro che entrambi indossavano brillarono di una calda luce dorata.
«Il cosmo…», le disse la voce di Shura. «Brucia il cosmo che è dentro di te!»
«Fai esplodere il big bang che alberga nel tuo cuore! Fa’ ardere la fiamma della tua vita!», l’esortò Camus prima di sparire nel buio assieme a Shura.
«No! Ragazzi... aspettate!!», urlò loro Françoise con quanto fiato aveva in gola, «ASPETTATE!!»
Brucia il tuo cosmo!, sentì risuonare nuovamente nella sua testa; ma questa volta a parlare era stata la voce di Athena. Si voltò intorno, cercando dove mi potesse essere la sua dea; le apparve in tutta la sua maestà, avvolta da una luce dorata, lo scudo della Giustizia nella sinistra e lo scettro di Nike ben saldo nella destra.
«Mia dea…voi…», sussurrò la ragazza mentre sgranava gli occhi per vedere meglio la figura divina che la sovrastava.
Avanti, raccogli le tua forze e raggiungici!, proseguì Athena con un dolce sorriso degli occhi cerulei.
«Ma io vi ho tradito!», protestò Françoise, le lacrime agli occhi. «Come…?»
Userai la tua vita per rimediare agli sbagli commessi!, sentenziò la divina fanciulla volgendo lo scettro nei confronti della ragazza. Brucia il tuo cosmo, abbiamo bisogno di te!
Cancer annuì e chiuse gli occhi, concentrando le proprie energie all’altezza del plesso solare.
Ardi mio cosmo… brucia ancora di più e raggiungi i limiti estremi della mia costellazione!
Milo, spazientitosi per non essere riuscito a trovare la compagna, e preoccupatosi circa la sorte che le era potuta occorrere, varcò a grandi passi la soglia della villetta, annusando l’aria.
«Dove sei?», chiese al vento che gli scostò leggero i lunghi capelli oltre le spalle. All’improvviso, percepì il cosmo di Athena chiamarlo e poi sparire subito dopo, per lasciar posto ad una grande emanazione dorata proveniente dalla casa. Rientrò come una furia e salì le scale a rotta di collo, seguendo la scia di luce dorata che lo condusse fino all’armadio della stanza di Françoise.
Pazzesco! Ce l’ho avuta sotto al naso per tutto questo tempo!, pensò il ragazzo forzando la serratura e trovando la compagna legata e imbavagliata all’interno dell’armadio.
 
 
 

   
 
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