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Autore: Minako_86    24/01/2010    6 recensioni
[...]Ci guardammo, per minuti che parvero anni, profondamente consapevoli e contemporaneamente nemmeno per un briciolo, di quanto saremmo - eravamo già - diventati fondamentali ed irrinunciabili l'uno per l'altra. Se il filo rosso del destino esiste davvero, quella sera io e lei avvolgemmo l'ultimo centimetro sulle nostre dita e arrivammo l'uno all'altra.[...]
Songfic sulle note di "Chiara" di Andrea Bocelli. La prima persona di Nick per raccontare l'incontro di due Anime Gemelle.
Genere: Romantico, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Occhei, stavolta la dedica "vera" non è qui riportata. E' custodita gelosamente da chi di dovere, perchè è giusto così.

 

Qui mi limiterò a spiegare che fa parte del "ciclo" di "Collide", "So This Is Christmast" e quant'altro con quei personaggi. Diciamo che va posta proprio all'inizio di tutto, come si capirà poi, leggendo.=D

 

Stavolta mi sono cimentata con la prima persona del nostro Nicholas. E mi sono divertita.*w* (leggasi giocherò ancora con il punto di vista suo e degli altri due ometti!^O^)

 

Spero vi piaccia, come sempre: un commento costa poco, ma vale moltissimo. Specie per me, che a questa shot tengo da morire.

 

Hope you'll like it!=3 Baciatutte.

 

 

 

~ Chiara { E La Primavera Le Giocava Intorno... }





 

 

Ventuno di marzo.

Primo giorno di primavera. Primo giorno di molte altre cose, in realtà.

 

Aprii l'ampia finestra scorrevole, aspettando di sentire la brezza leggera - contro la schiena - sussurrarmi all'orecchio, complice e maliziosa come una vera primadonna. New York, avvolta in quei primi, tiepidi tepori suscitava su di me un'attrazione irrefrenabile: sentivo - forte e chiaro dentro di me - l'impulso a mollare tutto e perdermi, anche solo per una manciata di minuti, nel febbrile circo della vita che si stava risvegliando.

Guardai distrattamente l'ampia stanza stipata di vestiti, studiando con una smorfia divertita i miei fratelli maggiori gravitare attorno alla ragazza nuova, con tutta la curiosità e quello specifico tipo di interesse. Marta era carina. Giovane, timida e molto, molto bionda. Aveva quel buon gusto tipicamente italiano - prerogativa irrinunciabile per una futura stylist -, soprattutto era gentile, discreta e capace di trattarci, a tutti gli effetti, come persone normali. 

 

Sorrisi, nel vederla arrossire candidamente all'ennesima moina di Joe. Sì, era decisamente perfetta.

 

Poi sbuffai silenziosamente, immaginando quanto tempo mio fratello avrebbe casualmente impiegato, per provare tutti i cambi che gli sarebbero serviti al concerto. Quale scusa migliore per starle vicino l'intero pomeriggio? Decisi impulsivamente come avrei risolto la questione, sentivo che - in qualche modo - era una buona cosa: mi schiodai di slancio dalla finestra e schivai Big Rob con la brillantissima scusa di una diet-coke fresca, al distributore in corridoio.

 

Un momento dopo, le porte scorrevoli si chiudevano con un sottile ronzio. Dritto alla casa base. Punto per me.

 

 

 

La notai, stava là, tra le foglie e i fiori.
Camminai verso lei che leggeva piano.
Mi notò, ma restò ferma sul suo libro...
"Scusi, se siedo qua."  "Prego, si figuri."

 

 

Un pugno nello stomaco.

Fu più o meno quella la sensazione che avvertii, quando i miei occhi si posarono su di lei per la prima volta. Per l'intensità improvvisa e quasi violenta con cui mi colpì. Sotto un albero di pesche appena in fiore, sfogliava un libro dalla copertina tanto consunta che - immaginai - le si sarebbe sbriciolata in mano, da un momento all'altro... Si inumidì le labbra, strisciando lentamente i piedi sulle stecche scrostate della panchina sopra cui si era "arrampicata": teneva le gambe allungate sulla seduta, sicura del suo equilibrio in cima allo schienale e continuava a leggere, assorta, nonostante il vento leggero spettinasse le pagine scritte.

 

Era... bella. In un modo complicato che mi impediva di ignorarla e procedere per la mia via, lungo i giardini dello studio. Al contrario, presi a camminare febbrilmente, fin quando non mi trovai a meno di un metro da lei. Sbirciò le mie intenzioni, prima di portare nuovamente gli occhi indagatori e leggermente scocciati al primo capoverso. Ignorandomi.

 

- Posso sedermi? - Il suo sguardo scuro saettò su di me, facendomi trasalire leggermente.

 

Probabilmente avevo commesso un errore irreparabile, non era il mio forte parlare a ruota libera... Era Joe quello bravo ad improvvisare, io - forse - l'avevo solamente offesa. Troppo precipitoso, Nicholas. Aspettai la sua risposta col cuore in gola, già pronto a chinare il capo e tornare da dove ero venuto, con tanto di coda fra le gambe, per quanto mi suonasse "sbagliato" separare tanto bruscamente la mia strada dalla sua.

 

- Prego. - Mormorò, sorprendendomi.

 

Inarcò il sopracciglio sottile, squadrandomi con aria inquieta mentre mi accomodavo sul legno tiepido. Provai a sorriderle - magari per darmi un'aria più innocua -, ma lei già non mi guardava più.       

 

 


"Mi dica, lei che fa?
E quanti anni ha?"
E la primavera le giocava intorno.

 

 

Le sue mani non stavano mai ferme. Sul momento mi saltò all'occhio, per come torturava quel vecchio volume ingiallito. Cercai di intuirne il titolo, curioso di sapere cosa poteva rapirla in quel modo, disegnandole sulle labbra tanta concentrazione. Raccolsi le gambe contro il petto, prima di issarmici sopra, in equilibrio sulle ginocchia piegate.

Le lettere rosse spiccarono immediatamente sulla trama scura del dorso rigido. "Il Miglio Verde - Stephen King". Arricciai il naso, leggermente sorpreso. Poco più in alto mi aspettavano i suoi occhi nervosi.

 

- Che fai? - Borbottai, in un impacciato tentativo di dissimulare l'imbarazzo per essere stato colto troppo in flagrante.

 

- Mi sembra ovvio. - Dichiarò, sollevando appena il libro. Ok, domanda stupida.

 

- Sì, beh. Lettura insolita, per una ragazza. - Cercai di correggere il tiro, ma a quanto pare la sorte non voleva saperne di mettersi dalla mia. Si incupì. - Io l'ho letto tre volte, però. - Ed era vero, oltre che un buon compromesso per non indisporla ulteriormente. Almeno dal mio punto di vista.

 

- Ah. Lettura insolita, per una celebrità senza cervello...! - C'era una punta di derisione, nella precisa riproposizione delle mie parole. Eppure non provai alcun fastidio.

 

- Quanti anni hai? - Alzò lo sguardo e prese a fissarmi come se stessi mettendo in scena la fiera delle banalità.

 

Irrequieto, mi arrampicai sullo schienale, cercando di ignorare il rossore, il caldo e qualunque altra forma palpabile di imbarazzo. Fu in quel momento, che imparai quanto potesse essere sempre e comunque imprevedibile. Osservai il rossore tingerle le guancie e i suoi movimenti farsi più incerti, mentre sedevo accanto a lei: strinse la prima stecca di legno fino a far impallidire le piccole nocche nervose, inaspettatamente insicura, mentre il libro rischiava di scivolarle di mano e cozzare con la ghiaia polverosa. Le sorrisi, invitandola a parlare senza riserve, semmai avesse iniziato ad averne.

 

- Diciassette. - Rispose, piano. Joe avrebbe precisato immediatamente che era poco più di una bambina. O, forse, solo se non si fosse preso la briga di guardarla negli occhi.

 

- Io diciannove. - Come se avesse potuto non saperlo. A quello pensai solo dopo. - E senz'ombra di dubbio, stai leggendo quel libro con molta più freddezza di me. -

 

Un soffio di brezza scrollò il tappeto di petali ai nostri piedi - prima di incastrarne un paio tra i suoi lunghi capelli scuri - e le scompigliò dispettosamente l'acconciatura. Si sfilò una forcina, permettendo alla primavera di giocare con lei.

 

- Freddezza...? No. - Borbottò. - Non sceglierei mai di leggere qualcosa che non mi emoziona. -  

  

 


Stemmo là come chi sta di là dal tempo.
Mi parlò, le parlai e si fece sera.

Mi mostrò le sue idee circa la bellezza,
l’ascoltai, mi ascoltò e si fece buio.

 

 

- No...! - Ridacchiai, passandomi una mano sul collo. - Non intendevo questo. Pensavo: qualunque ragazza rabbrividirebbe solo all'idea di una sedia elettrica. O di un grande e grosso condannato a morte. -

 

- Per me è molto bello, invece. - La sua voce aveva un suono morbido, mi ipnotizzava: sembrava un raffinato strumento musicale. Accordata apposta perchè mi risultasse impossibile stancarmi di ascoltarla.

 

Inclinai appena il capo - in un silenzioso invito a proseguire - mentre le mie labbra si tendevano in un piccolo sorriso involontario. Da quando in qua sorridi così tanto, Nicholas? Dovevo aver accidentalmente dimenticato la mia espressione posata in studio. Insieme alla giacca e al mio blackberry.

 

- Oh, non fraintendere...! - Esclamò, precipitosamente. - Non trovo "bella" una sedia elettrica, non in quel senso. - Le sue mani si agitarono frenetiche nell'aria davanti al suo viso preoccupato.

 

- Ti ascolto. - Mormorai. L'avrei ascoltata, per tutto il tempo in cui sarebbe stato necessario.

 

- Prendi Delacroix, uno dei miei personaggi preferiti: secondo me è proprio bello. Ma non bello fisicamente: è basso, calvo e pelato. E nemmeno come persona, perchè è un piromane. E' bello quando sta col suo Mr. Jingles. -

 

- Ho capito. - Risposi, concentrato.

 

- E secondo me la bellezza è un punto fondamentale, anche se io ho un modo tutto mio di intenderla. - Per un momento accarezzai l'idea di chiederle se si vedesse bella almeno un decimo di quanto la vedevo io.

 

Poi mi convinsi che sarebbe stato piuttosto sfacciato, nonostante leggessi nei suoi movimenti misurati l'inconfondibile aura di una ragazza troppo insicura e severa, nei confronti di stessa. Avrei voluto dirle che sbagliava, sapevo che glielo avrei detto. Prima o poi.

 

- E' una questione molto soggettiva, penso. - Il mio sguardo si perse fra le nuvole bianche in tacito tumulto, sopra di noi. 

 

- Per me è molto importante che le persone che mi circondano siano belle, perchè adoro osservare. Specie ciò che lo è. - Un'osservatrice, proprio come me. Sperai impulsivamente di rientrare nei suoi canoni, che le piacesse guardarmi.

 

- La gente mi accusa spesso di avere brutti gusti, o comunque gusti strani...! - Si fermò, come a riprendere fiato.

 

- Io penso che tu abbia i tuoi gusti. E tanto basta. - Poggiai i gomiti sulle ginocchia, rilassando un poco le spalle. - Nessuno ha il diritto di cambiarteli o criticarli, solo perchè sono diversi dai suoi. -

 

Sorrise e - da quel preciso momento - persi letteralmente la cognizione del tempo. Non aveva più importanza se facesse più o meno freddo di prima, o come il sole stesse repentinamente calando sull'orizzonte... Al di là di qualsiasi ragionevolezza, volevo soltanto rimanere in bilico su quella vecchia panchina consumata. E parlare con lei. 

 

Le ombre si allungarono vistosamente sul sentiero spazzato dal vento, rapide, fino a sparire quasi completamente. Inghiottite dalla luce gialla di un lampioncino puntellato al prato poco distante: lo vidi accendersi con un leggerissimo ronzio e scoppiettare ritmicamente, prima di stendere il suo alone caldo.

 

Realizzai solo in quel momento che era quasi buio.

 


"Mi dica il nome suo..."
"Mi chiamo Chiara. E lei?"
E la primavera le giocava intorno.


 

 

- Sono le sette. - Mormorai, sovrappensiero. Le lancette del mio cronografo sorridevano beffarde sul lunotto graffiato.

 

- E' tardi...! - Sgranò appena gli occhi, saltando in piedi. Scese veloce dalla panchina e si strinse febbrilmente il libro al petto. La copertina si stropicciò, quasi come il suo sguardo confuso.

 

- Aspetta. - Allungai una mano - per riflesso incondizionato -, anche se era ovvio che non avrei potuto arrivare a raggiungerla, nemmeno volendo. Lei si fermò sui due piedi, come legata da un filo invisibile. - Come ti chiami? -

 

Impensabile. Eppure vero... Dopo ore, conoscevo i suoi pensieri su un'infinità di cose, ma non il suo nome. Mi guardò, stirando appena le labbra arrossate dalla notte di una primavera ancora acerba. Sembrava decisa, ma - in qualche modo - titubante.

 

- Chiara. - Sospirò. Ripescò la forcina da una tasca e la incastrò su un ciuffo ribelle, dopo averlo scostato dal viso leggermente tinto di imbarazzo. - E tu- -

 

- Io sono Nicholas. Nick. - Esclamai, frettoloso. Le parole si ammassarono goffamente. - Chiamami Nick. -

 

- Sì, lo so chi sei. - Annuì, seria. - Lo so bene. -

 

Si spostò di un poco, spezzando il cono di luce artificiale. I riflessi guizzarono veloci sul suo profilo morbido, disegnandone i lineamenti. Scrollò leggermente il capo e i petali che erano stati fatti prigionieri al sole tiepido di quel pomeriggio, caddero svolazzando oltre le sue converse stampate. Fiori coi fiori. Ridacchiai.

 

 


"Scusa, se mi innamorai in un
Istante di te, per l’aria serena che hai.
Ma, dimmi, passi spesso di qua?"
Stemmo là. Mi parlò, le parlai.


 

 

- Senti, Nick. - Rabbrividii, mentre l'espressione e il modo in cui pronunciava il mio nome si imprimevano indelebilmente sotto la mia pelle. - E' davvero tardi, ti staranno aspettando, là dentro. Io devo andare. -

 

- Chiara. - Mi chiesi se il tremito profondo nella mia voce, fosse suonato cristallino a lei quanto per me. Scesi traballando dalla panchina, assordato dallo scrocchiare della ghiaia sotto le scarpe. La rincorsi, febbrile, sebbene stesse appena avviandosi.

 

- Non andartene. -

 

Si voltò, imbarazzata - sorprendentemente - perfino più di quanto lo fossi io, che mi stavo mordendo la lingua da ancor prima di terminare la frase. Ero sempre stato il tipo che parlava poco e solo dopo aver pensato e misurato ogni singola, possibile conseguenza. Pesando anche le virgole. E lei, Chiara, aveva il potere di abbattere quei muri sapientemente costruiti - con anni di pratica - in un solo soffio.

 

Non volevo che se ne andasse. Banale, da un certo punto di vista, ma maledettamente prepotente, come sentimento. Seguii il movimento leggero dei suoi capelli, mentre scuoteva il capo con delicatezza. Sorrise e nel tempo che mi presi per darle una spiegazione, si era voltata di nuovo.

                                                                      

- Chiara...! - E - di nuovo - il filo impalpabile che sembrava legarla, la bloccò a metà strada. - Sul serio, aspetta. -

 

Presi fiato frettolosamente, rischiando di bruciarmi la gola. Completamente perso, al momento non pensavo ai miei fratelli, non pensavo al lavoro che mi aspettava nello studio o a qualsiasi altra ragionevole motivazione per cui avrei dovuto salutarla con un sorriso ed andarmene per la mia strada. Già detto: non volevo.

 

- Non voglio che tu te ne vada. - Mormorai, esitante nel tentativo di decifrare il suo sguardo. Mi sentivo sotto esame. - Non fraintendere...! - Aggiunsi, consapevole della brutta impressione che avrei potuto darle. - E' solo che mi è piaciuto stare con te. Molto. -

 

- Anche a me, Nicholas. -  Amavo incondizionatamente quei suoi incredibili occhi indagatori.

 

- Credo di essermi innamorato del tuo modo di fare. - Mescolai la mia piccola confessione clandestina ad una risata, per essere solo un po' più sicuro di me stesso. - Di come sei. Anche nei miei confronti: tu non hai parlato con Nick Jonas, ma con me. - Sorrisi. - Mi piace... Mi piaci. -

 

- Grazie. - Bisbigliò.

 

Strizzò il dorso consunto del Miglio tra le dita, pallide per lo sforzo, poi si incamminò verso la cancellata che cingeva i prati punteggiati di luci. Procedemmo fianco a fianco per qualche minuto, immersi nel nostro silenzio concentrato.

 

- Mi piacerebbe rivederti. - Dichiarai, tuffando le mani in tasca. Girai su me stesso, abbandonando la schiena contro le inferriate cigolanti. - Passi spesso da queste parti? -

 

- Non... Non so, probabilmente accompagnerò Mar qualche altra volta. Prima dell'inizio dei corsi. - Inclinò appena il capo, senza smettere di osservarmi mentre rifletteva. Il vento carezzava timido le sue guancie arrossate. - Può essere che ci rincontreremo. - Annuì.

 

Mi accorsi immediatamente che in tutto quel groviglio di pensieri c'era un dettaglio assolutamente familiare.

 

- Mar..? - Ripetei, sperando di aver capito assolutamente bene. - Parli di Marta? -

 

 


"Scusa, ma ti seguirei fino alla porta,
se poi mi dici la strada che fai.
O, almeno, se domani verrai.
Se domani verrai..."


 

 

- Lei. - Confermò. - Bionda, occhi azzurri... Arrossisce spesso. -

 

Soffocai una risata leggera, con gli occhi bassi e le labbra che sfregavano sul collo appena sollevato della camicia. Conosceva sul serio la nostra ragazza nuova. In qualche modo eravamo sempre stati legati: quest'unica consapevolezza era in grado di scatenare un senso di leggerezza e sollievo che - per quanto mi riguardava - andava molto vicino alla felicità, quella vera.

 

- Sì, credo sia la stessa Marta. - Annuii, contento. - Puoi tornare di sopra con me, allora. -

 

- No, vado a casa. - Replicò. Il suo tono deciso mi tagliò le gambe e mi lasciò vacillare per qualche momento in uno stato di smarrimento totale. - La aspetto là, credo ne abbia ancora per un po'. Specie se tu sei ancora qui. -

 

- Vivete insieme? - Mormorai, smarrito. Questo andava oltre ogni mia più rosea aspettativa. Pensai subito che sarebbe stato molto carino, andare a trovare Mar. Kevin e Joe sarebbero stati anche d'accordo, lo sospettavo.

 

- Eh. Io, lei e una montagna di scatoloni, per il momento. - Scherzò. - Non molto lontano da qui... -

 

- Posso accompagnarti. - Il cancello tremò impercettibilmente, quando mi scostai. - Solo fino alla porta, per sicurezza. -

 

- Non ce n'è bisogno, sono dieci minuti. - Arrossì quasi più di me, muovendo un piccolo passo all'indietro.

 

D'accordo, sarebbero stati piccoli passi anche per me, allora. Annuii. Abbozzò un sorriso e tentò la fuga, per l'ennesima volta. Riuscì a superare il cancello, mettendo un solido ostacolo fra me e lei. Scattai, leggermente in ritardo.

 

- Chià. -

 

Mi lasciai sfuggire il diminutivo, senza quasi accorgermi. Nemmeno immaginavo quante volte, poi, l'avrei chiamata così. Lei si inchiodò sul posto, tratteneva quasi il fiato. Si avvicinò leggermente all'inferriata, per sentire meglio.

 

- Dimmi almeno, se domani verrai. - Mi sporsi tra una sbarra e l'altra, le strinsi fino a farmi sbiancare le nocche.

 

- Nick...! - Bisbigliò, stupita. Non avrei mai finito di stupirmi per il suono meraviglioso che il mio nome assumeva, sulle sue labbra. Piuttosto le avrei chiesto di ripeterlo all'infinito. - Non so. -

 

- Verrai? - Ripetei, caparbio.

 

Cominciavo a perdere sensibilità alle mani, ma la mia presa non cedeva di un millimetro. Spinsi la guancia contro il puntello di ferro battuto e rabbrividii al contatto con la superficie fredda. Per quanto stupido, quella risposta aveva per me un'importanza assoluta. Ci guardammo, per minuti che parvero anni, profondamente consapevoli e contemporaneamente nemmeno per un briciolo, di quanto saremmo - eravamo già - diventati fondamentali ed irrinunciabili l'uno per l'altra. Se il filo rosso del destino esiste davvero, quella sera io e lei avvolgemmo l'ultimo centimetro sulle nostre dita e arrivammo l'uno all'altra.

 

In quel preciso istante, nacquero Nicholas e Chiara.

 

- Ti rivedrò. allora? - Accennai un sorriso, scivolando sull'incertezza che le leggevo negli occhi. Aspettai. La sua mano strinse l'inferriata, appena sotto la mia e l'aiutò a sporgersi un poco in avanti.

 

- Forse. - Mormorò, piegando leggermente il capo di lato. Un sorriso, poi era sparita.

 

 


"Se domani verrai."

( Chiara - Andrea Bocelli )

  
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