Titolo: Come una fenice
Generi:
Drammatico, Generale, Malinconico
Rating: Verde
Avvertimenti: One-shot
Presentazione:
“ Quel
nuovo calore era luce, era vita e quando una mano la raggiunse ripetendole –
Siamo qui! – seppe che era
possibilità e speranza di ricostruire tutti insieme un nuovo mondo fatto di
solidarietà ” Un piccolo squarcio di vita dal punto di vista di chi, in una situazione come quella narrata, non può fare
altro che sperare.
COME UNA FENICE
Neanche il buio infelice
Potrà interrompere questa danza
E Come una fenice
Risorgerà la speranza(*)
Non
credeva che potesse succedere.
Non
ci poteva credere.
Non
ci voleva credere.
Non
a lei.
Non
a loro.
Una
scossa di terremoto quel pomeriggio aveva fatto vibrare la
terra, l’aveva fatta tremare e piegare sotto la sua forza.
Violenta
e imprevedibile la natura si era ribellata ancora una volta contro l’uomo
facendogli capire che non può mai essere l’uomo a comandare con i suoi bisogni
futili e vuoti.
Ciò
che la natura ha creato non può essere sfruttato dall’uomo e se ciò accade le
conseguenze non possono che essere orribili.
Era
tutto buio e lei era intrappolata li, tra un cumulo di macerie, senza riuscire
a respirare, senza avere la più pallida idea di ciò che fosse
capitato ai suoi genitori, ai suoi fratelli, ai suoi amici.
Si
chiese cosa succedesse fuori, quante altre persone come lei erano
nelle sue condizioni, ma non seppe darsi risposte tanto meno avrebbe voluto
pensarci.
Non
sapeva quanto tempo sarebbe rimasta lì, non sapeva se
prima o poi sarebbe uscita da quel piccolo cunicolo che stretta l’aveva
intrappolata e inconsapevolmente salvata dalla frana del tetto della sua stessa
casa, dello stesso luogo sicuro che l’aveva protetta fino ad ora.
La
sua casa, quella che ora altro non era che un cumulo
di macerie distrutte, così come le sue speranze, come i sogni che
le erano stati strappati e che sembravano, ora più che mai, così lontani dal
poter essere realizzati.
Lacrime
irruenti e piene di dolore cominciarono a strabordare dai suoi occhi rossi, per
la polvere che inevitabilmente si trovava a respirare e per le lacrime
trattenute.
Quelle
scie bollenti bruciavano terribilmente a contatto con il corpo caldo e
nonostante volesse cancellare ogni segno di quella sua debolezza con un gesto
della mano, non poteva, non ci riusciva.
Non
era certa di quanto tempo fosse passato, un ora, un
giorno, forse di più, non lo sapeva e tanto meno avrebbe voluto saperlo, non
avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione.
Il
pensiero della mattina, iniziata come tutte le altre si fece spazio con forza
nella sua mente.
La sveglia che suona.
La
colazione.
Quelle noiose ore costretta tra un banco della scuola che tanto odiava.
Non
potette fare a meno di paragonare quella prigionia così sicura
in confronto al posto lugubre in cui ora era costretta.
Al
pensiero della madre che poche ore prima l’aveva riportata a casa dopo la scuola il suo cuore che già lento lottava per rimanere in
vita perse qualche battito, tanto forte era il suo dolore.
Non
era un dolore fisico, si, il corpo le doleva raggomitolato com’era sotto strati
di cemento, ma quel dolore che le
lacerava il petto era ben altro.
Più
violento, impetuoso, straziante, insopportabile.
Non
riuscì a trattenere un singhiozzo, un altro, e un altro ancora.
Qualcosa
si mosse sopra di lei.
Altre
macerie caddero.
E
lei urlò.
Aveva paura.
Non
la stessa paura di un interrogazione a sorpresa, o di
film horror.
Quella
paura era vera, viscerale, le attanagliava lo stomaco, la faceva
tremare da capo a piedi e pregare, pregare per se
stessa, per riuscire a sopravvivere, pregare per le persone che amava e che non
sapeva come stessero o dove fossero.
Cominciò
a canticchiare qualcosa, ma la paura le impediva di emettere alcun tipo di suono.
Ci
riprovò.
Un
rantolio sommesso seguito da un singhiozzo la fece nuovamente tremare.
Cercò
di riuscirci non doveva pensare alla paura, non doveva pensare a quante persone
come lei fossero intrappolate tra le macerie delle
loro abitazioni.
Voleva
pensare invece a quante si erano ritrovate per strada, vive.
A quante altre ora abbracciavano i proprio figli, madri, conoscenti.
Ma
ancora di più voleva pensare a quelli che la stavano cercando, perché qualcuno,
era sicura, la stava cercando.
Doveva essere così.
Non
era a conoscenza dei danni che vi erano all’esterno, tutto ciò che poteva
vedere era il buio che l’avvolgeva, nient’altro.
Pianse
ancora.
A
quel buio si stava abituando e nonostante si ripeteva che non poteva, non
doveva cedere, i suoi occhi erano stanchi e piano cominciava a perdere la sensibilità
del suo corpo.
Lo
stesso corpo che fino a poco tempo fa odiava perché troppo inadatto al mondo
secondo i suoi occhi così abituati alla falsa bellezza.
La
fame era tanta, il bisogno di sentire qualcuno dei suoi familiari abbracciarla
e confortarla oltremisura, la voglia di vedere di nuova la luce
incontenibile, la paura di addormentarsi e non svegliarsi più era ancora più
incontrollabile.
La
massa di distruzione che la sovrastava scricchiolò ancora.
Istintivamente
chiuse gli occhi cercando di coprirsi quanto più
poteva anche se, ben sapeva, inutilmente.
-
C’è qualcuno? – gridò una voce.
Il
mondo le sembrò crollare.
Stava
forse sognando?
Cercò
di gridare, ma non ci riusciva.
Si
sforzò ancora e parlò più forte.
Ancora,
ancora e ancora.
Se
qualcuno era lì doveva sentirla.
-
Sono qui! – gridò più che poteva -
… aiutatemi, vi prego – sussurrò sfinita.
Sentì
quella stessa voce angelica risponderle, chiamare altro aiuto.
L’avevano
trovata.
L’avrebbero
salvata.
C’era
davvero speranza per lei, allora?
Sentì
due mani scavare, a quelle mani aggiungersene altre e poi altre ancora.
Sentiva
gli uomini scavare e una donna urlare un nome. Il suo nome.
-
Mamma … - sussurrò.
Vide
un piccolo spiraglio dinanzi a lei, lì dove quelle mani scavavano per darle la
possibilità di vivere ancora.
Un
raggio di sole la colpì poco sopra le sue labbra.
Sentiva
il suo calore aggiungersi al caldo asfissiante del suo rifugio scavato, ma
riuscì a coglierne la differenza.
Quel
nuovo calore era luce, era vita e quando una mano la raggiunse ripetendole – Siamo qui!
– seppe che era possibilità e speranza di ricostruire tutti insieme un nuovo mondo fatto
di solidarietà.
La speranza è un
prestito fatto alla felicità.
Antoine Rivarol
(*)
Questa sottospecie di poesia è stata inventata da me e scritta sul momento. Per
quanto riguarda il titolo esso si riferisce alla
speranza che come un’araba fenice può sempre rinascere dalle sue ceneri.
Note
dell’Autrice:
Buon Pomeriggio!!!
Volevo
prima di tutto darvi due spiegazioni su questa mia one-shot,
sia sul tema che affronta, sia su quella che vorrebbe
essere la morale.
Innanzitutto
spero che i contenuti siano stati chiari, ho preferito rimanere sul vago senza
spiegare chi sia il protagonista poiché credo sia
giusto che i protagonisti siano tutti
e allo stesso tempo non sia nessuno.
Allo
stesso modo il tempo e il luogo sono imprecisati, si può riferire ad un terremoto recente, come
quello di Haiti, o a quello che poco tempo fa ha colpito l’Abruzzo, così come
si può riferire ad un avvenimento avvenuto decenni fa.
Fortunatamente
io non ho vissuto in prima persona niente di quello che ho narrato, ma scossa
dai recenti avvenimenti ho provato a immaginare quali
potessero essere le paure, i desideri e le speranze di chi, purtroppo,
direttamente o meno ha dovuto fare
i conti con questa situazione.
Ciò
che volevo far capire è che al di là dei nostri
problemi, di tutto ciò che ci rende infelice c’è sempre chi con poco riesce a
trovare alla fine del buio una luce in cui sperare, un aiuto.
Detto
questo vi ringrazio per aver anche solo letto e volevo
ricordarvi che se avete bisogno di chiarimenti o altro potete contattarmi o
lasciarmi una recensione, poiché essendo un “territorio” abbastanza
particolare mi farebbe piacere che esponeste le vostre critiche, i vostri dubbi
e perché no, le vostre impressioni, positive e negative che siano.
Ros