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Autore: kiku77    25/01/2010    5 recensioni
seguito di "ALLA RICERCA DELLA FELICITA'"
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Kumiko Sugimoto/Susie Spencer
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ciao! Grazie infinite per le vostre recensioni al cap di ieri e grazie a tutte le persone che hanno letto! Scusatemi se stasera non rispondo singolarmente alle recensioni ( anche se vorrei), ma non ho abbastanza tempo …..Mi riservo di tornarci appena possibile…

Buona lettura!

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Genzo arrivò puntuale negli uffici legali della società dei suoi genitori. Era stato convocato per la lettura del testamento. Era l’ultima cosa da fare e poi insieme a Tsubasa e Sanae, sarebbe volato a Barcellona: la preparazione stava per cominciare.

Era stordito dall’alcool e molto nervoso. Non dormiva ormai da giorni. Maya era rimasta a villa Wakabayashi, prima di ripartire per i suoi impegni di lavoro, ma lui non era riuscito a sfiorarla.

Aveva provato a fare il numero di Kumiko molte volte, ma prima che potesse suonare libero, aveva buttato giù.

Il senso di paralisi, ormai era diventato come il dolore alla mano: non si rendeva conto se fosse reale o se fosse una proiezione della sua fantasia. Pensava a lei continuamente, ma non riusciva ad agire; allo stesso modo, non aveva fatto niente per riconciliarsi con il padre. I loro brevi discorsi avevano  riguardato questioni di lavoro e nessuno dei due aveva anche solo lontanamente provato a parlarsi e a spiegarsi. Chissà per quanto ancora avrebbero continuato a scappare……

Entrò nella sala riunioni, dove suo padre vestito molto elegantemente, l’aspettava già da dieci minuti. Lui era sempre in anticipo. L’avvocato salutò il portiere e una volta che ebbe preso posto, aprì il documento sigillato.

Lo lesse lentamente senza interrompersi. La stesura del testamento, il modo in cui era stato formulato, rispecchiavano la personalità della Signora Wakabayashi al millesimo: tutto era semplice, chiaro, fluido, scorrevole. Non c’erano punti oscuri, trappole o vincoli.

Ovviamente tutto il patrimonio in denaro e i beni immobiliari erano stati lasciati a Genzo. Le sue quote societarie passavano al figlio e il signor Wakabayashi ne avrebbe avuto la gestione fino a quando Genzo non avesse deciso qualcosa di diverso.

Il portiere aveva ascoltato, così come suo padre: era tutto nelle previsioni e sembravano non esserci sorprese.

“Ci sono tuttavia due punti che sono stati aggiunti durante il soggiorno della signora ad Amburgo….” disse l’avvocato, proprio mentre i due uomini che aveva di fronte cominciavano a rilassarsi.

“Legga…legga pure avvocato” lo invitò il Signor Wakabayashi.

L’avvocato si schiarì la voce e prese nuovamente la parola.

“Lascio la mia villa di Miami a Sanae Nakazawa e Tsubasa Ozora”, e l’avvocato s’interruppe come a fare una breve pausa ma dal discorso si era capito che non era finita lì.

Genzo sorrise: fu felice, anzi felicissimo che sua madre avesse pensato a quella splendida casa sul mare per i suoi amici. Avrebbe poi aggiunto certamente qualcosa lui in denaro per i bambini. Era il minimo che potesse fare per coloro che a tutti gli effetti considerava la sua famiglia.

“ e….lascio villa Wakabayashi, di cui sono unica e indiscussa proprietaria, a Kumiko Sugimoto…..”

Ci fu silenzio.

“A chi?” chiese il padre di Genzo, non riuscendo ad abbinare il nome a nessuna delle persone che conosceva.

“Lascio villa Wakabayashi, di cui sono unica e indiscussa proprietaria, a Kumiko Sugimoto…”

Genzo non aveva fatto una piega.

Aveva ascoltato e ora sentiva suo padre che gli chiedeva chi fosse “questa Kumiko” e sembrava in preda ad una crisi di nervi.

“Genzo vuoi rispondermi?”

“E’ la ragazza che era con noi ad Amburgo….”

Il signor Wakabayashi, rimase a pensare un attimo, poi si ricordò.

“Ah…sì….ma chi è, si può sapere? No, perché la villa….equivale ad un patrimonio, Genzo… cerchiamo di ragionarci con questa ragazza…..non vorrai veramente lasciarle la villa…?” fece lui, quasi cercando di convincere tutti, che la cosa migliore fosse trovare un accordo.

“Il testamento parla chiaro…” disse il legale della madre di Genzo.

“Allora.. si può sapere chi è?”

Genzo era ancora in preda alla sua paralisi emotiva: in quel momento le venne in mente lei, con i suoi capelli raccolti e i tulipani in mano. Come poteva spiegare a suo padre chi era? Cos’avrebbe dovuto dire?

 “E’ l’unica donna che ho saputo toccare, è l’ unica ragazza che ho desiderato veramente baciare….” Avrebbe voluto dire. Ma lui non avrebbe capito. Suo padre era un infedele, un cinico.

“Lei è…..non è nessuno……” Fu più facile del previsto. Fu così facile che quasi avrebbe voluto provare a ripeterlo, per convincersi.

“Beh… se è così…con il fatto che tua madre era malata ed era alla fine, potremmo offrirle una cifra in denaro per vedere se rinuncia. Che ne pensi?” chiese suo padre, guardando sia Genzo che l’avvocato.

“Certo certo….  si può fare… ma l’offerta dev’essere realistica…..” disse il legale.

“Diamine! Possiamo anche offrirle l’esatto equivalente… per quello non è un problema….allora, sei d’accordo?” chiese infine rivolgendosi a suo figlio.

Genzo era cresciuto a Villa Wakabayashi: lì c’erano tutti i suoi ricordi più cari. Quella casa significava molto per lui. In quel momento si sentì quasi tradito da sua madre, per aver scelto proprio quel bene da destinare a Kumiko. Non si capacitava della cosa. Perché non aveva scelto un‘ altra cosa? Magari la casa a Parigi, o i molti gioielli? Sentiva, che non era una casualità: sua madre era troppo intelligente. Attraverso quel gesto, stava cercando di dirgli qualcosa, ma lui era troppo chiuso per capire. Era troppo scuro.

“Genzo…ma cos’hai? Parlo con te e non mi rispondi neanche….”

“Scusa….sì sì…d’accordo…. Vado subito da lei….ditemi quant’è l’offerta e fatemi un assegno.”

“Sarà meglio che sia presente anche lei, non trova?” disse il signor Wakabayashi, rivolgendosi all’avvocato.

“Ovvio” fece lui.

Furono chiamati due periti e fu stimata un’offerta in denaro. Kumiko non avrebbe potuto rifiutare, pensava Genzo. In fondo a cosa le sarebbe servita quella casa?

 

 

Quando entrarono in pasticceria, erano le prime ore del pomeriggio. Non c’era molta gente: qualche studente, alcune signore a prendere il tè e due, tre persone in fila a ritirare dei dolci.

La vetrina era bellissima: piccoli dolcetti con i ribes dominavano di bianco e rosso il primo piano mentre sullo fondo, c’erano  torte di mele e ciambelle alla pesca. Genzo ebbe una sensazione positiva, come se fosse a casa, in un ambiente familiare. Ovunque poteva percepire il tocco di Kumiko: la sua pulizia, il suo senso dell’estetica, il suo accostare i profumi e i sapori.

Spontaneamente chiuse gli occhi.

Ikeda faceva avanti e indietro e sembrava un po’ nervoso.

“Scusa..” disse Genzo per attirare la sua attenzione.

“Sì…..prego…..” disse il ragazzo con gentilezza, ma appena si rese conto che quello davanti a lui era Genzo, si fece più serio e cupo. Lui sapeva che se Kumiko stava male era a causa sua.

“Dovrei vedere Kumiko….”

Ikeda squadrò prima uno poi l’altro, con diffidenza.

“un attimo…” disse.

Entrò nel laboratorio. I ragazzi erano andati a casa perchè avevano la pausa; Kumiko era intenta a disporre le rose sulla torta alla panna. Era la quinta che provava a fare. Ancora non sembrava affatto soddisfatta del risultato. Le prime erano venute troppo dolci. Poi troppo amare. E le rose affondavano subito dentro la panna. Aveva addirittura pensato di farle di carta, così come era successo ad Amburgo. In quei giorni non aveva parlato molto, chiudendosi nel suo segretissimo mondo interiore e stava provando in tutti modi a mettere in atto il suo piano: cancellare completamente Genzo dalla sua vita; dimenticare prima il suo odore, poi il suo volto e il suo corpo; cancellare il sesso e infine l’amore. Era un piano perfetto. E lei, che nella vita aveva già sofferto e aveva già applicato queste “tattiche” su di sè, aveva la certezza che ce l’avrebbe fatta. Bastava la volontà: il tempo e il distacco avrebbero fatto il resto. Era stata dai Furosawa a prendere le rose e aveva restituito la chiave della casa delle orchidee: promise a se stessa che le aveva guardate anche troppo, che le aveva sognate e desiderate fino all’inverosimile. Era tempo di tornare alla realtà, alla sua ginestra che, certamente non era bella quanto loro, ma resisteva a tutto e i suoi fiori silenti lasciavano almeno una possibilità alla sopravvivenza.

“Scusa….” disse timidamente Ikeda.

“Vattene…. devo pensare….vai a casa Ikeda…ci sto io qui….” disse Kumiko.

“Di là ci sono delle persone che hanno bisogno di te…..”

“oh cristo….” fece lei….” Falle entrare… e vattene…..” disse molto scocciata.

Ikeda aprì la porta a metà e fece entrare Genzo con l’altro signore.

“Non è giornata….vi avverto…” suggerì loro.

Kumiko era girata di spalle, seduta su uno sgabello. La linea del collo era un po’ incurvata, come se stesse cercando qualcosa e si capiva all’istante che era lì solo fisicamente, ma che con la testa era in un altro posto.

“Salve….” fece l’avvocato.

Kimiko non rispose.

“Come vede…sono un po’ impegnata…..se si può dare una mossa….” disse.

“Sempre il massimo della simpatia….” disse allora Genzo, ridendo e divertito.

Kumiko, al suono di quella voce, fu come riportata sulla terra.

Si girò di scatto e diventò tutta rossa, perché aveva una canottiera molto, molto scavata e le si vedeva il reggiseno. Nel suo laboratorio, quando era sola con Ikeda (che considerava un fratello), era abituata a lavorare spesso quasi nuda, soprattutto se provava a fare delle cose nuove.

A tutti e due gli uomini l’occhio ricadde subito lì, sulla scollatura e lei se ne accorse immediatamente.

Cercò imbarazzata un grembiule e se lo legò al petto in un attimo.

“Cosa volete…….ho molto da fare….”

Genzo la ritrovò come l’aveva “lasciata” le ultime volte: bella, troppo bella per non tentare di toccarla. Si sforzò con tutto se stesso di sembrare freddo e distaccato. E nemmeno quando vide la torta alla panna, fu tradito dalle sue emozioni.

“Ecco….” disse il legale” oggi c’è stata la lettura del testamento della Signora Wakabayashi….”

Kumiko si sedette di nuovo e si sistemò i capelli, temendo di essere inguardabile.

“E quindi?.....cosa c’entro io…..?”

“C’entri eccome” disse Genzo con un sorriso un po’ tirato in volto.

“Ah sì?…wow…io in un testamento non c’ero mai stata…..che onore!” continuò Kumiko, disinvolta ed ironica, per nascondere l’agitazione alla vista di Genzo.

“La signora le lascia Villa Wakabayashi…” disse l’avvocato.

Kumiko sorrise “ certo….come no! Mi lascia la villa…..” si ripeté.

“Guarda che non c’è niente da ridere….”fece Genzo, questa volta serio.

L’avvocato le diede il foglio indicando la parte che la riguardava. Kumiko diventò subito triste. Poi le venne da sorridere al pensiero della dolcezza di quella donna.

“Come lei potrà immaginare… la villa è un luogo speciale per Genzo…così…..”

“Non la voglio….” disse lei interrompendolo “non voglio niente da voi. Apprezzo molto il gesto di generosità della Signora, ma…non saprei che farmene di una villa….”

L’avvocato diede un’occhiata a Genzo come ad esprimere un sentimento di vittoria. Era stato più facile del previsto.

“ecco… infatti se lei è d’accordo, il signor Wakabayashi vorrebbe corrisponderle l’equivalente in denaro, così per non andare contro al volere del testamento”

Kumiko scosse la testa.

“Io non me ne intendo molto di cose legali, ma mi sembra un bel pastrocchio. Genzo, tua madre voleva lasciarmi la villa, non dei soldi…..” disse guardandolo.

Lui , appena lei lo incrociava con lo sguardo, si sentiva più debole. Non riusciva a sostenere la cosa in quel modo. Non rispose.

“comunque….non voglio neanche i soldi… non voglio niente…io con gli Wakabayashi ho chiuso….” disse con il tono più distaccato possibile. “Dentro di me non c’è più niente degli Wakabayashi….io sono asciutta…dentro” aggiunse.

Genzo gelò. L’avvocato invece non capì.

“Signorina forse lei non si rende conto….”

“Mi rendo benissimo conto…. Mi dica cosa devo fare.”

L’avvocato la fissò e si accorse che lei era veramente determinata.

“Ce l’ha un avvocato?” le chiese.

“Io ho un ottimo avvocato…” disse lei, sicura e granitica, infilando un dito nella panna.

Genzo impazziva dal desiderio di toccarla, adesso.

“Deve farsi scrivere una dichiarazione in cui afferma che rinuncia sia alla Villa che alla contro offerta in denaro…. Pensa di riuscirci per stasera? Sa, domani Genzo parte per Barcellona e suo padre per New York…”

“Stasera avrai la tua dichiarazione, così puoi andare a parare i rigori con il cuore più leggero, Genzo…” disse Kumiko spavalda.

Lui deglutì e se ne andarono.

Appena rimase sola, Kumiko, per reazione, scoppiò a piangere.

 

S’infilò le scarpe in fretta e raggiunse casa Nakazawa, dove raccontò tutto al padre di Sanae.

“Ma perchè? Perché hai detto così? Quelli ti offrivano un sacco di soldi…!” imprecò il signor Nakazawa.

“Proprio lei mi viene a fare la morale sui soldi?” chiese Kumiko ironica.

“….ma io sono io…ormai sono vecchio…sono un nonno….a proposito..ma dille qualcosa a Sanae…come si fa con tutti questi bambini? Mia moglie sta impazzendo…..” disse.

“Signor Nakazawa, stavamo parlando di me, non di Sanae! Sanae, lo sa anche lei com’è fatta no?....”

“Già….dicevo… tu sei così giovane…quei soldi ti farebbero comodo! Perché vuoi farti sfuggire un’occasione del genere? Dammi il numero di Genzo che gli parlo io … dico che abbiamo ragionato e ci abbiamo ripensato….”

“A parte che non ce l'ho.…. e poi... l’ho già detto anche a lui…con loro ho chiuso…io con quella famiglia ho chiuso….” disse lei.

“Dì un po’….ma non è che tu e Genzo?....” per alcune cose il Signor Nakazawa, sapeva fiutare ciò che la gente non diceva.

Kumiko diventò tutta rossa.

“Senta… mi prepari il documento così lo firmo e glielo vado a portare. Prima mi libero di questa cosa, meglio è” disse risoluta.

“Lontano dai guai non ci sapete proprio stare voi donne, eh?....” disse l’avvocato mentre al computer digitava le frasi “io, Kumiko Sugimoto rinuncio….”ecc ecc…..

Quando ebbe finito, Kumiko si diresse alla villa. L’aveva sempre vista da lontano ma non c’era mai stata.

Attraversò il grande e lungo viale alberato. Poteva capire facilmente perché la madre di Genzo l’aveva associata a lei: le aveva parlato molto del suo amore per i fiori e quel giardino era pieno di ogni ben di dio.

Parcheggiò e andò a suonare.

Non le aprì la domestica; le aprì Maya.

Lì per lì, ci rimase male e cercò di nascondere l’imbarazzo e il disagio.

Maya la guardava dall’alto al basso e si vedeva che era infastidita dalla presenza di Kumiko.

“Sì?” chiese, come a fare finta di non sapere chi fosse (invece se la ricordava, con i suoi tulipani, al funerale…)

“Ciao..io …io cercavo Genzo….”

“Entra entra…” disse, atteggiandosi a padrona di casa.

Varcando il salone, scorse Genzo che era tutto preso a giocare alla play station.

“Sono ore che gioca…” disse Maya sconsolata, sembrando un po’ più umana.

“Genzo?... c’è la tua amica…..”

Genzo sembrava non aver ascoltato.

“La ragazza dei tulipani…..”

Allora Genzo si fermò e si girò.

Lei era vestita da lavoro e sulla maglia aveva delle macchie di vari colori.

Lui si alzò un po’ impacciato.

“Ecco qui la dichiarazione” disse Kumiko allungandogliela.

Lui si avvicinò, la prese e la lesse.

“Va benissimo…..cos’ha detto il padre di Sanae?” chiese Genzo.

“….che sono una stupida….ovvio” disse lei.

“Ti saluto Wakabayashi… e vedi di farle due, tre parate per il verso….non  mi far vergognare Tsubasa… perché la squadra deve andare bene: loro hanno messo su la fabbrica dei bambini e lui deve guadagnare tanti soldi….” Kumiko era ubriaca e le parole le uscivano senza che lei le potesse controllare.

Era quasi alla porta, quando la sua attenzione fu catturata dalla grande vetrata laterale: da lì si vedeva l’altra parte del giardino.

Si fermò e si girò per accertarsi che non si stesse sbagliando. Senza alcun riguardo, aprì la porta-finestra e andò a vedere di persona. Maya guardò Genzo come a chiedergli perché non intervenisse.

Allora lui andò da lei.

“Che c’è? Cos’hai?”

Kumiko fissava gli alberi che aveva di fronte.

“Sai cosa sono?” chiese lei.

Genzo ridendo disse di no.

“Sono alberi di frangipani…..lo sai che sono molto rari in Giappone?Qui da noi ce ne sono solo un paio al tempio….chissà come fanno a resistere…devi avere proprio un bravo giardiniere…..” disse lei, accarezzandone il tronco e annusandolo appoggiando il petto e le braccia sulla pianta.

Genzo avrebbe voluto raggiungerla e toccarla, nello stesso esatto modo in cui lei toccava la corteccia di quello che ai suoi occhi era uno dei tanti alberi del suo giardino. Ma rimase lì, al suo posto.

Lei si staccò e raccolse qualche fogliolina caduta per terra e qualche seme.

“Questi li posso prendere?…..chissà che tua madre non mi faccia davvero un bel regalo…..provo a piantarlo anch’io stanotte…..” disse a se stessa più che a lui.

Genzo non rispose.

“… lo prendo per un sì….” disse lei.

Riprese la via dell’uscita e risalì sul suo furgoncino tutto scassato.

“Adesso è davvero finita. Con Genzo ho chiuso” disse ad alta voce, fissando la strada e  mettendo in moto.

 

   
 
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