Gelem
solo
un soffio è ogni uomo che vive,
come ombra è l’uomo
che passa;
solo un soffio che si agita...
(Salmo
39:6:7)
13/04/1945
Il Rabbino Shaoul Tewich
viveva ormai da due anni nella foresta di Ettesberg. Per la
precisione, dal tre marzo del 1943, da quando, insomma, i suoi
documenti falsi non erano più riusciti a garantirgli
sicurezza.
Nonostante il campo di Buchenwald fosse ormai nelle
mani dei prigionieri da diversi mesi e i nazisti fossero fuggiti, lui
aveva preferito restare nella foresta a vigilare assieme a
Gelem.
Gelem, sentinella acuta, lavoratore instancabile,
guerriero invincibile.
Era ormai abituato a pensare al
suo corpulento amico in questi termini. Mai lo avrebbe reputato
capace, solo un'anno prima, di tutte le formidabili imprese di cui si
era reso partecipe.
Shaoul non aveva mai capito molto bene perché
Gelem seguisse i suoi ordini sempre e comunque, praticamente alla
lettera.
Eppure non era stupido. Affatto.
Era in grado di
prendere decisioni autonomamente, e lo aveva fatto, sin dalla prima
volta, quando, di sua spontanea volontà e sprezzante di ogni
pericolo, assaltò il campo di notte, da solo, riuscendo a liberare
tre bambini, che si portò in braccio per quattro chilometri, fino al
loro nascondiglio nella foresta. Si diceva, al campo, che durante
quella operazione avesse ucciso quattro uomini delle SS, compreso un
ufficiale.
Uno dei bambini, debilitato e cianotico, morì il
giorno seguente. Gli altri di polmonite, durante l'inverno. Ordinò a
Gelem di non cercare di salvare nessun altro dal Campo. Non avevano i
mezzi per sostentarli.
Tuttavia, da quel momento, il Rabbino si
era reso conto delle potenzialità di Gelem. Tutte le sue azioni,
quando non lavorava sotto esplicito ordine di Shaoul, erano orientate
a salvare i destini ormai miserabili delle persone rinchiuse nel
campo: sabotava i forni, distruggeva le rotaie dei treni che
portavano i prigionieri. Era anche riuscito a dare fuoco al tremendo
Block 50, dove i nazisti perpetravano orribili esperimenti a danno
dei prigionieri. Ogni tanto depredava i magazzini e distribuiva di
nascosto il cibo ai prigionieri, per poi portarne una piccola parte
allo stesso Shaoul.
Nessuno, tedesco o ebreo, capiva come facesse
(e nessuno, tra i nazisti o gli internati, aveva idea di chi compisse
i sabotaggi), e lo stesso Rabbino non si capacitava come la sua
imponente mole gli consentisse di muoversi come il più furtivo dei
felini.
Solo il Shabbat si riposava. Ed in esso era ancor
più ferreo dello stesso Rabbino, che, a causa di questi tempi
malvagi, era costretto a prendersi qualche licenza. Rimaneva immobile
nella baracca per tutta la giornata. Su questo, e solo su questo, era
inamovibile.
Inamovibile come una roccia.
Shaoul
si dispiaceva, di tanto in tanto, del mutismo del suo compagno.
Durante questi mesi di stenti, di combattimenti brutali e di pericolo
incombente, avrebbe di gran lunga preferito avere qualcuno con cui
parlare (qualcuno che, effettivamente, dopo qualche mese era giunto,
portato a spalla dallo stesso Gelem), e, soprattutto, avrebbe voluto
scoprire quali misteriosi pensieri si potevano celare dietro quel
volto inespressivo dalla fronte spaziosa.
Grezzo, quasi
caricaturale. Gli occhi due microscopiche fessure tonde. La bocca,
costantemente chiusa, poco più di una linea a tagliare il volto. Il
naso storto, schiacciato, spezzato, quasi da pugile.
Un
volto come forgiato dalle mani di un bambino, o di un artista
incapace.
A parte lo stesso Shaoul e un'altra decina di
persone, nessuno sapeva dell'esistenza di Gelem. Probabilmente
neppure i nazisti stessi.
Il suo amico era una sorta di fantasma.
Forte, veloce, letale, silenzioso.
Aveva ucciso più
duecentoquaranta tedeschi e compiuto innumerevoli sabotaggi prima che
quelli si decidessero ad abbandonare il campo, senza peraltro sapere
chi o cosa li avesse decimati. Era una macchina per uccidere.
Quando
il campo venne liberato e cominciò l'autogestione dei prigionieri,
Gelem non volle andare a vivere lì assieme agli altri, e Shaoul, pur
prendendo contatti con il campo e spiegando ad alcuni di loro cosa
avesse convinto i tedeschi a fuggire, rimase con lui, convinto che
quel gigante dipendesse in qualche maniera da lui.
Il suo flusso
di pensieri venne interrotto da Yoel, il suo principale contatto con
il campo. Lo vide posteggiare il sidecar e correre verso la foresta,
trafelato, nella sua direzione.
-Rabbi, rabbi- disse il
ragazzo, non appena lo vide -Un convoglio, sta arrivando un
convolglio militare!-
Quando gli fu vicino, Shaoul lo invitò a
calmarsi, a prendere fiato e a spiegarsi meglio.
-Un convoglio
militare, rabbi, lo ha avvistato Yaacov non più di venti
minuti fa. Viene in direzione del campo-
Shaoul si allarmò, ma
cercò di mantenere la calma.
-Tedeschi?- chiese
semplicemente.
-No, non credo- rispose quello senza esitare -Hanno
veicoli mai visti prima e uniformi verdi. Forse sono russi, forse
americani, forse inglesi... erano troppo lontani, Yaacov non ha
saputo dire di più-
Il Rabbino si sentì sollevato. Ormai tutti
sapevano che era questione di tempo prima che i nazisti venissero
sconfitti. Una notizia come quella era attesa fin da quando i
tedeschi avevano abbandonato Buchenwald. Contemporaneamente, però,
un'ombra scura gli si pose sul cuore.
-Vieni, rabbi, ti
accompagno al campo, vorrai accoglierli-
Shaoul sospirò
massaggiandosi le tempie.
-No, Yoel, vai tu, vi raggiungerò fra
qualche minuto. Devo terminare delle questioni.
Il giovane non
stava più nella pelle e non insistette: probabilmente non vedeva
l'ora di osservare da vicino gli alleati.
Salutò e tornò verso
il sidecar. Shaoul aspettò a muoversi fino a che il mezzo non
scomparve dietro la prima curva. Solo allora sussurrò:
-Gelem-
Il
colosso di argilla, alto quasi quattro metri, comparve al suo fianco
uscendo dalle ombre in assoluto silenzio.
Era totalmente nudo,
anche se privo di tratti sessuali distinguibili, e la superficie
lucida marroncina del suo corpo sgraziato rifletteva la luce del
pallido sole di aprile. Sulla fronte larga aveva incisa la parola
“Emet”.
Verità
Il rabbino cominciò a
parlargli, con gli occhi lucidi e la voce rotta.
-Lo sai cosa
significa questo, vero?-
Il Golem non rispose. Si limitò a
muoveri di fronte all'uomo e ad inginocchiarsi, portando la sua
fronte all'altezza del volto di Shaoul.
-Proteggi il popolo
ebraico fino alla fine, vero?- l'uomo sorrise, amaro. -Sai anche tu
che non posso permettere che scoprano la tua esistenza.- Mentre
parlava, il rabbino si chinò a terra e raccolse un sasso appuntito
di medie dimensioni.
-Ora che non c'è più pericolo per il popolo
ebraico, sei diventato tu, il pericolo- strinse il sasso in mano fin
quasi a farla sanguinare. -Se venissero a sapere di te, nuove
persecuzioni si abbatterebbero sulla nostra gente... e non basteresti
di certo tu solo a fermarle. La verità che tu hai impressa
sul volto non deve essere rivelata. I popoli della terra non sono
ancora pronti-
Il golem, ancora, non fece nulla, se non inclinare
leggermente la fronte mostrando la scritta al suo creatore.
Il
rabbino aveva le lacrime agli occhi quando con un solo colpo deciso,
scalfì con il sasso la fronte del gigante, cancellando la prima
lettera.
“Met”
Morte
Il rabbino
piangeva ormai senza freni, quando il colosso si sciolse in una
informe pozza di argilla.
Perdonami, Dio, per aver creato
il Golem
Perdonami cento volte, Gelem, per averti
ucciso.
Note dell'autore
La parola ebraica
“Gelem” (“materia inanimata”) è probabilmente all'origine
della parola “Golem”, leggenda ebraica ambientata a Praga di cui
tutti avrete certamente sentito parlare.
Mi son permesso questa
licenza (e non solo), ipotizzando una nuova creazione del Golem (un
essere di argilla il cui scopo è proteggere il popolo ebraico)
proprio quando gli ebrei vivevano il loro momento più buio.
Altre
note storiche^^:
Il campo di Buchenwald venne realmente
abbandonato dai nazisti mesi prima dell'arrivo degli alleati (il
13/04/'45). Ovviamente, dubito seriamente che fu per causa di un
Golem. Durante quei mesi venne autogestito da un comitato
internazionale formato dagli stessi prigionieri.
Non credo di
dover spiegare anche i significati di parole ebraiche come “Shabbat”
o “Rabbi”.