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Autore: samek    29/01/2010    7 recensioni
«In futuro tu dovrai essere tutto questo, perciò ti addestri ogni giorno. Dovrai essere spada e scudo per loro» aveva concluso con un occhiata ammonitrice, gettando sulle sue esili spalle il destino dell’intera Albione.
(Per melancholia)
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Uther
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: Merlin;

Fandom: Merlin;
Pairing: Artù/Merlino;
Prompt: Partire da una parola, associarne altre dieci e scrivere una one-shot che le contenga tutte, compresa quella iniziale. La parola di partenza è SPADA.

Rating: Pg13;
Genere: Introspettivo, Romantico;
Warning: Pre-Slash (“Artù nudo” è un avvertimento? XD);
Summary: «In futuro tu dovrai essere tutto questo, perciò ti addestri ogni giorno. Dovrai essere spada e scudo per loro» aveva concluso con un occhiata ammonitrice, gettando sulle sue esili spalle il destino dell’intera Albione.

(Per melancholia)

 

Note: Questa fic nasce da una sorta di “sfida” che mi ha lanciato la mia adorata socia/mogliettina melancholia dopo aver vinto un giochino sul mio LJ il cui premio era potermi commissionare una fic.

Il prompt che mi aveva dato è questo: “Per questa vincita richiedo una Artù/Merlino ambientata quando vuoi tu, nel senso che è indifferente che Artù sia già re o sia ancora principe. Devi partire da una parola, associarne altre 10 e scrivere una shot che le contenga tutte, compresa quella iniziale. La parola di partenza è SPADA.”

Le parole che ho associato a quella che mi ha dato sono: scherma, addestramento, scudo, cavalieri, giostra, torneo, ferite, armatura e fodero. Le trovate esattamente in quest’ordine all’interno del testo.

 

Spada e Scudo

 

Io sono qui grazie a te.

Tu sei la ragione per cui io esisto.

Tu sei tutte le mie ragioni.*

 

Da bambino, Artù detestava le lezioni di scherma.

Si addestrava con Morgana, la protetta di suo padre - che era qualche anno più grande di lui e quindi più esperta – perché il Re voleva che anche lei fosse in grado di difendersi. Il loro Maestro era un uomo burbero e severo, privo di qualsivoglia gentilezza, che sembrava provare un piacere recondito nell’infierire sul giovane Principe.

Artù non voleva fare del male a nessuno e nemmeno voleva imparare le tecniche per farlo, ma s’impegnava comunque, giorno dopo giorno, con tenacia e costanza, per non deludere suo padre, per dimostrargli di non essere inutile e che, nonostante la morte di sua madre, la propria vita avesse comunque valore. L’impegno, però, sembrava non essere mai abbastanza, ed ogni volta che cadeva sotto i colpi di Morgana, ogni volta che il Maestro rimarcava quanto fosse inetto a lasciarsi battere da una fanciulla, il suo senso d’inadeguatezza cresceva, come un mostro che gli mangiava le viscere, sfamandosi del suo tormento.

Doveva avere circa dieci anni quando Uther lo portò sui bastioni della torre più alta, dopo che lui aveva abbandonato l’addestramento, conficcando con frustrazione la spada nel terreno. Il Maestro aveva riferito l’accaduto al Re e questi era andato a cercarlo, lo aveva ghermito per un braccio e lo aveva trascinato via con sé.

Il piccolo Pendragon aveva avuto paura, pensava che quella volta suo padre non l’avrebbe perdonato per averlo umiliato a quel modo, lo avrebbe picchiato e non avrebbe permesso a Gaius di curare i suoi lividi.

Il sovrano, invece, lo aveva portato in cima al torrione ed aveva spalancato le braccia, come a voler cingere l’intero paesaggio. «Lo vedi tutto questo, figlio mio?» lo aveva interrogato «Tutte le terre che scorgi, sin dove arriva il tuo occhio ed oltre, le ho conquistate con il mio sangue» aveva poi dichiarato, posando le mani sulle merlature «E tutte le persone che le abitano, dipendono da me. Si affidano a me - a noi - per vivere serene ed in pace. Un Re deve fare sempre ciò che è meglio per il suo popolo, deve essere misericordioso ogni volta che può ed inflessibile quando le circostanze richiedono che lo sia» infine si era voltato a guardarlo «In futuro tu dovrai essere tutto questo, perciò ti alleni ogni giorno. Dovrai essere spada e scudo per loro» aveva concluso con un’occhiata ammonitrice, gettando sulle sue esili spalle il destino dell’intera Albione.

 

I doveri dell’Erede al trono non sono facili da rispettare, ma Artù ha imparato a soffocare il proprio volere, in favore di quello di suo padre e del regno.

Deve essere d’esempio per tutti i cavalieri, quindi non può mostrare mai alcuna esitazione o debolezza.

Deve vincere ogni giostra ed ogni torneo, così che il popolo veda quanto è forte il suo Principe.

Deve essere sempre impavido, coraggioso e primeggiare costantemente.

Deve essere… tutto e troppo.

Ma lui non china mai il capo e non si da mai per vinto, perché una volta Gaius gli ha svelato il segreto più importante: «Gli dei non metterebbero mai sul trono un uomo che non sia adatto a regnare» quindi se lui è nato per essere il futuro Re, vuol dire che ha anche le capacità per diventarlo.

Il suo senso d’inadeguatezza, però, sta sempre lì, acquattato nelle sue viscere e pronto a tendergli un agguato ogni volta che commette un errore.

Solo quando, al termine di un’estenuante giornata, Artù si rifugia nelle proprie stanze, può permettersi di lasciar cadere la propria maschera.

Allora Merlino lo accoglie con un sorriso ed un «Bentornato, Sire» mentre è ancora intento a riempire la tinozza per il suo bagno.

Il Principe può lasciarsi spogliare dalle mani esperte del proprio servo ed immergersi nella vasca. Nel momento in cui le dita del suo valletto cominciano a frizionargli la cute e l’acqua calda inizia a distendergli i muscoli, si concede un sospiro di sollievo.

«Sei insolitamente silenzioso» constata quel giorno, mentre Merlino gli passa una pezzuola umida sulle sue spalle.

«Mi sembrate più stanco del solito, pensavo che la mia voce vi avrebbe infastidito» replica l’interpellato, ed il giovane Pendragon si costringe a celare un sorriso. Sì, perché Merlino è l’unico che comprenda cosa si celi dietro alle apparenze e che gli dimostri quelle piccole premure, l’unico che in breve tempo abbia imparato a riconoscere i segnali del suo umore e ad assecondarli. Ogni tanto, però, anche lui sbaglia; infatti, ad Artù, le sue chiacchiere non danno affatto fastidio, al contrario gli permettono di rilassarsi e di sfogarsi su di lui quando combina qualche guaio… il che accade piuttosto spesso.

Così domanda: «Hai assolto a tutti i tuoi compiti?» giusto per avviare la conversazione e non fargli capire che desidera sentirlo parlare.

«Sì, Sire: ho lavato la vostra biancheria, rassettato le vostre stanze, lucidato la vostra armatura, pulito le stalle e strigliato i vostri cavalli» sbuffa, mentre gli passa la spugna anche sulle braccia.

Artù inclina il capo per cercare il suo sguardo, scrutandolo a testa in giù: «Hai portato a passeggio i miei cani?» chiede, inarcando un sopracciglio e, quando il valletto si lascia sfuggire un gemito di disappunto, si raddrizza ed alza gli occhi al cielo «Sei irrecuperabile, Merlino» lo rimbrotta debolmente.

«E voi, delle volte, siete incontentabile» ribatte questi, premendo con i palmi sui muscoli irrigiditi della sua schiena e strappandogli un mugugno indolenzito.

Il giovane Pendragon gli rifila un un’occhiataccia. Così come essere l’Erede al trono comporta molti doveri, essere un valletto reale ne implica altrettanti, ma in fondo è lieto che almeno uno di loro possa lamentarsi di questo.

«Avete le spalle completamente contratte, un massaggio vi farebbe bene» considera il suo servitore personale e, con un cenno d’assenso, il Principe gli ordina di recuperare dell’olio.

Artù si stende supino sul letto, coperto a malapena da un asciugamano sui fianchi, ed assapora con gratitudine le carezze decise delle mani sapienti di Merlino.

«Ho sentito dire che, questo pomeriggio, due reclute si sono ferite durante l’addestramento» butta lì quest’ultimo, ben sapendo che il proprio signore non gradisce il silenzio in quei casi, perché renderebbe tutto troppo intimo ed imbarazzante.

«Sto seriamente ponderando di farli duellare con bastoni e spade di legno, come si fa con i bambini» ironizza con disappunto Artù.

«Vi si rivolterebbero contro in massa, per l’umiliazione» ridacchia divertito il suo servo.

«Se lo meriterebbero. Non hanno costanza, ecco qual è il loro problema. Si adagiano sugli allori, credendo che riceveranno l’investitura solo per il sangue nobile che scorre nelle loro vene, ma non è così che funzionano le cose. Un cavaliere di Camelot deve possedere determinazione e coraggio» asserisce cupamente il futuro sovrano.

«Non tutti sono testarti come voi, mio signore» ribatte Merlino, un po’ sbeffeggiandolo ed un po’ blandendolo.

«Ma senti chi parla: la testa più dura di tutto il regno!» esclama l’altro indispettito.

«Mai quanto voi, Sire» replica serafico.

«Non imparerai mai a rivolgerti a me con il dovuto rispetto, vero Merlino?» domanda retoricamente il giovane Pendragon, posando una guancia su un braccio ed incontrando i suoi occhi blu.

Quel ragazzo è impertinente e lo contraddice spesso, ciononostante è sempre pronto a seguirlo ed Artù ha ormai rinunciato a tacitare la sua lingua tagliente. Tutto ciò che può fare è evitare che il suo servitore idiota si metta nei guai, rivolgendosi in quel modo ad altri, o a lui in pubblico. Se non altro, Merlino è sincero e gli è fedele come nessuno al mondo.

«Oh no, vi annoierei!» risponde infatti, come se conoscesse alla perfezione i suoi pensieri.

«Più in basso… più a destra…» il Principe allora guida i suoi movimenti, tanto per zittirlo.

Non appena lo individuano, le dita di Merlino premono sul nodo di muscoli, strappandogli un gemito afflitto, e poi lo accarezzano con gentilezza, quasi a volersi scusare per quel disagio.

Il suo tocco, è caldo e terapeutico, più rispettoso di quanto lo saranno mai le sue parole, sembra portar via tutta la stanchezza ed ogni preoccupazione, e lo sguardo dell’Erede al trono s’intreccia con intensità a quello del proprio valletto, senza maschere a frapporsi.

Le mani di Merlino paiono perfino riuscire a blandire il mostro che giace nelle sue viscere. E’ come se lui fosse l’unico ad accorgersi che l’Erede al trono è solo un ragazzo, che si riveste d’arroganza per difendersi dal mondo e proprio per questo - per la sua debolezza, per la sua umanità – lo ammiri.

Merlino è quanto di più vicino ad un amico Artù abbia mai avuto, ma non può esserlo davvero, perché è un servo… eppure è molto di più.

Il giovane Pendragon vorrebbe poter sentire quelle carezze ovunque e chiude gli occhi, sopraffatto dai suoi stessi pensieri, abbandonandosi a quelle mani, concedendosi totalmente a loro e lasciando che si prendano cura di lui, e queste lo accompagnano lentamente fra le nebbie oniriche del sonno.

Artù non si accorge delle coperte che vengono rimboccate sul suo corpo, ne’ delle dita leggere che s’intrecciano per un attimo ai suoi capelli ancora umidi.

«Riposate, Sire, quando vi sveglierete farò in modo che troviate la cena ancora calda».

Il Principe deve essere spada e scudo per guidare il proprio regno, ma gli dei hanno scelto per lui un fodero che lo custodisca ed un braccio che lo sostenga.

Il Destino è già deciso.

 

FINE.

 

*La frase d’introduzione è tratta dal film “A Beautiful Mind”.

 

   
 
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