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Autore: ross_ana    30/01/2010    4 recensioni
Edward ha lasciato Bella... e sono passati due anni e mezzo da quello che lei considera il giorno più brutto della sua vita... ma le cose sono cambiate e Bella non è più la stessa.
Introspettivo, triste
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Isabella Swan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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 Dedicato alle mie MERAVIGLIOSE amiche di chat, Anna, Simo e Mari. Vi voglio bene fanciulle :)

 
 
Erano mesi ormai che non piangeva più per lui.
Erano passati mesi dall'ultima volta che aveva versato delle lacrime per quell'amore terminato, finito, non più corrisposto.
Da allora tanti dubbi le avevano attanagliato il cuore, si era persino chiesta se in verità lui l'avesse mai amata, ma ogni volta la risposta che il suo cuore le suggeriva era diversa, perchè ogni giorno era leggermente diversa la disposizione del suo animo che continuava a farsi quella domanda.
Lei non se ne rendeva conto, perchè continuava a soffrire, ma piano piano, aveva cominciato a stare meglio, senza che se ne rendesse veramente conto.
L'amore si era affievolito, si era trasformato, si era annichilito.
E lei, dalla sofferenza più pura, era passata ad uno stato di apatia perenne. Non sapeva ancora cosa fosse meglio, perchè quando soffriva desiderava solo che quel dolore si allontanasse da lei e dal suo cuore, ma quando aveva smesso di soffrire... quando aveva smesso di provare qualsiasi emozione... allora non sapeva più se era meglio.
Dopo mesi di lontananza forzata, di sogni continui anche ad occhi aperti... aveva capito che non era più la stessa, che qualcosa dentro di lei era cambiato... e a cambiare erano stati proprio quei sentimenti che aveva così tanto creduto eterni.
Allora, se anche lei aveva smesso di amarlo, perchè soffriva ancora?
Perchè lui ancora le mancava. Le mancava irrimediabilmente. Le mancava inesorabilmente.
Ma non l'avrebbe più perdonato, non avrebbe dimenticato quanto dolore lui le aveva fatto provare, quanta sofferenza gratuita le aveva regalato, quante lacrime amare le aveva fatto versare.
Fosse tornato qualche mese prima, forse l'avrebbe accolto ancora a braccia aperte, ma ora no. Ora no perchè lei era cresciuta, era diventata una donna, era cambiata.
Sorrideva agli altri e mostrava a loro la sua parte più solare, quella sempre allegra e contenta. Ma era poi la sua parte reale? O era solo quello che gli altri volevano vedere di lei? O per meglio dire, era solo quello che lei voleva mostrare agli altri?
Non importava più. Era diventata così maledettamente brava a fingere di stare bene che nessuno si sarebbe potuto accorgere di nulla. Nessuno avrebbe potuto notare le ombre che si nascondevano ancora dietro i suoi occhi. Nessuno avrebbe potuto percepire la differenza tra il suo volere e il suo agire. Perchè lei non permetteva a nessuno di entrare nel suo mondo. Quello che si era costruita intorno come una barriera protettiva. Quel mondo che le sembrava tanto una prigione da cui bisognava evadere, ma al contempo una cella sicura in cui poter essere se stessa, senza paura di essere giudicata.
Tutti la vedevano così ormai: l'anima delle feste, il sorriso costante in ogni momento, la portatrice di allegria in ogni situazione... ma lei l'anima non l'aveva più. Lei sentiva che la sua anima era stata lacerata quando quelle parole che tanto temeva le si erano infrante addosso come onde furiose su uno scoglio.
-Non ti amo più.
Fine di un mondo. Fine di una vita. Fine di un'anima.
Anima trivellata di proiettili, sanguinante e piena di ferite troppo grandi per potersi rimarginare.
O almeno così credeva.
Poi piano piano avevano cominciato a chiudersi, a pulsare meno, a non sanguinare più copiosamente... e si erano cicatrizzate. Con il tempo. Il tempo che le ferite le cura tutte. E non è una bugia. Il tempo cura davvero tutte le ferite. Le cicatrizza.
Ma sta proprio lì il problema: le cicatrizza. Ma non le fa scomparire.
Le lascia lì, in attesa. In attesa di qualcosa di migliore, qualcosa di più dolce, qualcosa che si adagi sopra ad esse e le faccia scomparire alla vista.
E finchè quel qualcosa non arriva, restano lì, e ogni tanto scoppiano. Perchè le cicatrici sono così: ogni tanto si riaprono e riprendono a sanguinare, anche se per poco. Ma quel poco è sufficiente a far fuoriuscire di nuovo tanto sangue, tanto veleno, tanto dolore.
Proprio come quella cicatrice che aveva sul ginocchio... una volta era scivolata e aveva sbattuto proprio nell'esatto punto dove una volta erano stati messi sei punti. Quella cicatrice si era riaperta e aveva cominciato a bruciare.
Non era stato intenso come la prima volta, ma aveva fatto pur sempre male.
E allo stesso modo funzionano le cicatrici del cuore.
Basta una canzone, un film, una frase detta nel momento sbagliato... e puff... le cicatrici si riaprono, e lei... lei si ritrovava rannicchiata sotto la coperta, nel buio soggiorno di casa sua, a tentare di cacciare indietro le lacrime e di mandar giù quel magone che per l'ennesima volta le si era formato in gola.
E tutto perchè per un'altra volta, inconsapevolmente, aveva pensato a lui. Sognato lui. Desiderato lui.
Lui che l'aveva incantata con i suoi modi di fare, lui che l'aveva stregata con la sua bellezza, lui che l'aveva soggiogata con le sue promesse, lui che l'aveva illusa con le sue parole, lui che l'aveva umiliata con le sue bugie, lui che l'aveva uccisa con la verità.
Quella semplice verità che per lei aveva rappresentato la fine del mondo.
-Non ti amo più.
Quelle parole continuavano a rimbalzarle in testa, non accennavano a scomparire, e lei non accennava a dimenticarle. Lei non voleva dimenticarle. Perchè quelle parole avevano segnato la fine della sua felicità, avevano segnato la fine di tutta la sua vita, quella vita piena che avrebbe voluto continuasse per sempre, e allora si era giurata che avrebbe fatto tesoro di quell'arma che le era stata così brutalmente conficcata nel cuore, nell'anima e anche nella testa.
Non si sarebbe più fatta ingannare da nessuno, e a nessuno avrebbe mai più concesso anche solo una parte di sé. Quella vera.
Lei si rendeva conto che questa decisione era per certi versi controproducente. Lo aveva capito nel momento in cui altre persone le si erano avvicinate, e lei le aveva respinte senza mezzi termini e mezze misure. Lo aveva capito quando qualcuno con l'animo veramente buono aveva cercato di donarle il suo amore, e lei lo aveva respinto brutalmente. Lo aveva capito quando vedeva le sue amiche stringersi ai propri fidanzati, e aveva quasi provato un pizzico di gelosia. Gelosia per quella felicità e quella spensieratezza che loro provavano, e che a lei era stata negata per sempre.
Non era giusto.
Ma non importava.
Probabilmente avrebbe preferito vivere nell'agonia dell'apatia per sempre, piuttosto che dover provare ancora una volta il dolore dell'abbandono, dell'addio, del rifiuto.
Non lo odiava, non lo aveva mai odiato, neppure per un secondo, e sapeva che non lo avrebbe odiato mai. Quella certezza scaturiva dall'affetto profondo che le era rimasto nel cuore nei suoi confronti. Perchè si, quell'amore che aveva provato, che l'aveva fatta volare in alto fino su in cielo e che poi l'aveva fatta cadere da quell'altezza senza preavviso, e senza protezioni, era talmente grande e talmente profondo che non avrebbe mai avuto la forza e il coraggio di trasformarsi in qualcosa di malevolo.
Con il tempo si era annidato in un angolino del suo cuore, e aveva preso le sembianze di qualcos'altro.
Lei per lui avrebbe messo la sua vita in gioco, se ce ne fosse stato bisogno si sarebbe fatta operare senza anestesia per donargli un polmone, o un rene, o il fegato... ma non il cuore.
Il cuore ormai era sigillato, ed era l'unica parte di se a cui lui non avrebbe mai più avuto accesso.
Il cuore era l'unica parte di se a cui nessuno avrebbe mai più avuto accesso.


Era solita fare così: quando c'era qualcosa che non andava, apriva una pagina di word e cominciava a scrivere quello che le passava per la testa, così non avrebbe più corso il rischio di tenersi tutto dentro, e di far diventare il suo dolore grande come lo era stato un tempo.
Adesso viveva nella sua apatia, e scrivendo avrebbe riversato le sue emozioni in una pagina asettica di computer, permettendo alla sua testa, e al suo cuore, di crogiolarsi nel nulla.
Era un po' di tempo ormai che non piangeva più per lui, e da quando aveva cominciato a contare i giorni si era resa conto che era tutto merito dei suoi sfoghi, perchè parlando con qualcuno il dolore viene condiviso, quasi dimezzato. E lei lo aveva fatto.
Ne aveva parlato con la sua più cara amica, ne aveva parlato con sua madre, ne aveva parlato con suo padre. Ne aveva parlato con gli estranei, ne aveva parlato con una persona incontrata per caso un giorno al parco. Ne aveva parlato su internet con un'amica di chat.
Si era sfogata.
Aveva affidato a ognuno di quelle persone un pezzo di dolore, come se fosse stato decomponibile, e lo aveva fatto finchè a lei non ne era rimasta più nemmeno una briciola.
Solo il ricordo. Il ricordo e la cicatrice. Perchè queste due cose non avrebbe potuto mai affidarle a nessuno, ma era già un passo avanti, no?
E se lui fosse tornato, adesso, o un giorno lontano, avrebbe trovato un'altra persona. Un'altra lei.
Più matura, più forte, diversa. E libera dal dolore. Libera dall'odio che non aveva mai provato, e libera anche dall'amore che l'aveva uccisa.
   
 
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