Nameless
Senza nome
Ho
sempre amato i Luna Park.
Da
bambino abitavo vicino ad uno di essi e ci andavo quasi ogni domenica.
Anche
i miei figli amano il Luna Park ed è così deprimente girovagare tra la gente,
gli autoscontri, i chioschi di caramelle, le luci accecanti, senza di loro che
mi pregano di comprare dello zucchero filato o un palloncino colorato. E’ tutto
così vuoto e sbiadito senza la loro allegria e senza la presenza di mia moglie.
Tutto così surreale.
O
forse sono io quello che non riesce ancora a crederci. La mia donna mi ha
mollato e si è portata via i nostri bambini, Clarice
e Jason, abbandonandomi sul lastrico. Sono al verde…E
le poche volte in cui riesco a racimolare del denaro, vengo qui, nel regno
dell’entusiasmo apparente. Così, perché sono masochista e voglio abbandonarmi
ai ricordi di quei giorni luminosi, più di quelle luminarie che mi pendono
sopra la testa.
Mi
guardo intorno un po’ spaesato e noto in lontananza un pagliaccio con la pelle
bianca, il naso rosso e le scarpe a punta che vende palloncini. Lo guardo e
sorrido malinconico, immaginando le voci cristalline dei miei due figli che,
lamentandosi, mi tirano verso di lui. Ho un’improvvisa voglia di prendere uno
di quei palloncini che si muovono nell’aria, giusto per non dimenticare. Così,
mi faccio largo tra la folla ma, quando finalmente credo di averlo raggiunto,
di lui nessuna traccia. Al suo posto c’è una bambina dai lunghi capelli neri e
dall’aspetto gracile. Indossa un vestitino completamente bianco e stringe un
palloncino stranamente nero nella mano destra. Si volta e mi guarda, un po’
triste, con i suoi occhi neri e grandi che mi scrutano nel profondo. Non sembra
essere spaesata, ma la sua espressione continua a trasmettere malinconia, come
se riflettesse il mio stato d’animo.
-Ehi
piccola…Ti sei persa?- le domando, tentando di
sorridere. Lei non risponde e mi fissa ancora, provocandomi un gran senso
d’inquietudine. Piegandomi su di lei, noto la straordinaria somiglianza con mia
figlia Clarice. Mi si stringe un nodo in gola e mi
trema la bocca per l’emozione. Con mia grande sorpresa, lei inizia a piangere,
senza però scomporre i lineamenti del viso, quasi come se le venisse
automatico. Le lacrime le scendono silenziose sulle guance come ruscelli
impetuosi.
-Che
succede? Stai male?- chiedo ancora, un po’ preoccupato, ma lei si limita a
porgermi il suo palloncino.
-Tieni.
Te lo regalo. Ora non piangere più.- mi dice poi. Non capisco del tutto le sue
parole, ma so per certo che non sto piangendo; è lei che lo sta facendo.
Possibile che abbia percepito il dolore della mia anima?
-Sii
felice.- concluse. Accetto l’oggetto e lo vedo confondersi col cielo scuro,
senza riuscire a dire una parola. Abbasso la testa per ringraziarla, ma la
piccola è scomparsa.
Dopo
lo strano incontro, tengo con cura l’insolito palloncino e faccio il percorso
inverso, per poi uscire dal fiume di luci e quindi dal Luna Park. Prima di
andare alla fermata dell’autobus mi volto ancora a guardare quel mondo
luminoso, dove ho lasciato la mia serenità e, col cuore che singhiozza ancora,
regalo il palloncino al vento, che subito lo trasporta nel buio più profondo.
Ed
ecco arrivare il pullman che mi porta sempre verso la mia umile casa. Salgo e
mi siedo distratto su uno dei posti in fondo. Ciondolando la testa per la
stanchezza, guardo davanti a me: sul sedile di fronte vi è la stessa bambina
del Luna Park, che guarda con occhi vuoti la città che scorre al di là del
finestrino. Ma dove sono i suoi genitori? Possibile che viaggi da sola alla sua
tenera età e per di più a quest’ora tarda? A guardarla ancora una volta, mi
mette i brividi con quella veste e quella pelle bianco latte in contrasto con i
capelli e gli occhi nerissimi. Cerco di non pensarci, mi alzo e scendo alla mia
fermata.
Bene,
prepariamoci ad un’altra notte insonne o piena di incubi; sto così male che non
dormo da tre notti…Può darsi che stasera impazzirò
per il troppo sonno. Sembra che tutti i problemi di questo mondo mi siano
sprofondati addosso, schiacciandomi come un insetto, e tante volte ho pensato
di farla finita…Forse lassù non esistono problemi e
la vita è facile e felice. Come mi piacerebbe saperlo. Oltretutto, stasera sono
più depresso del solito: potrei compiere una pazzia.
Scuotendo
il capo, entro in casa, mi tolgo la giacca e mi dirigo subito in cucina: come
mi aspettavo, il frigorifero è vuoto, se non per qualche fetta di prosciutto.
Vada per il panino al prosciutto, dato che non ho molta scelta. Non accendo la
televisione, l’antenna è rotta.
Si
è fatto ormai tardi quando finisco di mangiare la mia modesta cena. Quasi le
undici. Non riuscirò neanche stanotte a dormire, ma tanto vale provare. Dopo
aver preso uno dei miei tanti libri-sonniferi, apro la porta della camera e il
cuore mi salta in gola per lo spavento quando vedo la figura di una persona
seduta di spalle sul letto. Un forte odore di cioccolata mi entra nelle narici.
Subito, indietreggio fino a sbattere con le spalle contro il muro e le mani
diventano gelide per il troppo spavento. Quando si volta, vedo che è la bambina
inquietante del pullman con una tazza di cioccolata fusa in una mano e un nuovo
palloncino nero nell’altra. Come diavolo ha fatto a entrare?! Che vuole da me?!
-E-ehi! Tu chi sei??
Cosa ci fai in casa mia??- chiedo impaurito. Voleva farmi venire un infarto?
Non sono un uomo molto coraggioso e mi impressiono con qualunque cosa.
Figuriamoci come posso sentirmi se trovo una ragazzina spettrale apparsa da non
so dove in camera mia!
-Ciao.- saluta lei
semplicemente. –Hey, ti piace la pioggia?- fa poi con
voce delicata. Sembra un fantasma. Al pensiero, un brivido mi sale sulla schiena.
-P-perché?- balbetto. In
situazioni di perfetta lucidità non avrei mai fatto una domanda così idiota.
Piuttosto le avrei detto di uscire di casa mia, di spiegarmi perché mi ha
seguito, di chiederle cosa le è passato per la testa. Ma in questo momento sono
particolarmente vulnerabile e terrorizzato, quindi non posso fare altro che
rispondere con altre brevi domande o a monosillabi.
-Tra
poco pioverà. Che bello, non vedo l’ora.- risponde rivolgendosi di nuovo alla
porta-finestra che dava sul balcone e facendo dondolare i piedi che non
arrivano al pavimento. Diamine, somiglia davvero tanto a Clarice,
non solo nell’aspetto fisico, ma anche nell’atteggiamento. Mi avvicino cauto e
con le gambe che tremano per poi sedermi al suo fianco. No, non è un fantasma,
è reale, potrei benissimo toccarla.
-C-chi sei?- le chiedo
con i brividi. Lei mi guarda stupita.
-Ci
siamo incontrati poco fa, nel regno dell’entusiasmo apparente.- sorride, mentre
lo dice. Ha pronunciato le stesse parole che ho pensato io qualche ora fa. Ma
che diavolo succede?
-Sì,
ma…avrai un nome…?- dico,
tra l’affermazione e la domanda. Lei sembra pensarci un momento, poi la sua
risposta:
-Nameless.-
-Mi
prendi in giro?- dico, sapendo che Nameless in
inglese significa “senza nome”.
-No,
perché dici questo? Anche il tuo è un nome strano, Mihael.-
Come?
Adesso conosce anche il mio, di nome? Cos’è, una specie di veggente? Forse ciò
che vedo è davvero tutto frutto della mia fantasia. Cerco di non agitarmi
mentre Nameless mi parla ancora:
-Grazie
per la cioccolata. Ce n’è ancora?- con la sua voce vellutata mi incanta.
-Sì…Te la faccio?-
-Grazie.-
Non
so cosa mi spinga a rispondere in questo modo, so solo che, come un robot, mi
alzo e torno in cucina, mettendomi a mescolare latte e cacao, aggiungendo
zucchero e mescolando il tutto. Dopo averlo scaldato faccio ritorno in camera,
ma rischio un mancamento per la seconda volta: la bimba di poco fa sembra
essere cresciuta improvvisamente: braccia più lunghe, fisico slanciato, un
fiume di capelli neri e viso da adulta. Resto spiazzato e per poco non lascio
cadere la tazza per terra.
-Chi
sei?!- urlo nuovamente, confuso più che mai.
-Come
chi sono? Mi sembra di avertelo già detto. Hai fatto la cioccolata?- la voce è
sempre delicata, ma appena più grave. Questa ragazza adesso…assomiglia
terribilmente alla mia ex moglie! Ma che mi succede?! Spaventato, indietreggio
e vado a sbattere contro una mensola, facendo cadere un portafoto in vetro, che
si frantuma.
-Non
essere così teso, Mihael. Perché non parliamo un po’?
Vieni, dai.- e mi invita con la mano. L’altra tiene ancora gelosamente il palloncino.
Dopo parecchi ripensamenti, riesco a sedermi di nuovo accanto a lei, porgendole
con mani tremanti la cioccolata, che si mette a bere golosamente.
-Sei
un’illusione?- le chiedo osservandola, ora più consapevole della mia mente
malata.
-Tu
che dici?- e mi sorride.–Io ti ho dato il palloncino, ma nonostante ciò, tu non
ti sei rallegrato. Per questo ti ho seguito. Non voglio che tu pianga.-
aggiunge.
-Tu
come fai a sapere che non sono allegro? Sei una…specie
di angelo custode?-domando, e mi sento un pazzo.
-Sei
tu a decidere chi sono e quando devo starti accanto. E oggi mi volevi al tuo
fianco.- risponde poggiando la tazza vuota sul comodino.
-Io
non voglio nessuno al mio fianco, a parte i miei figli e mia moglie!- grido,
ora arrabbiato.
-Infatti.
Eccomi qua.- dice subito, e i miei occhi si illuminano di gioia.
-D-davvero? Sei davvero
tu? Sei Anne?- le tocco le mani per accertarmi che sia vera. La sue pelle è
fresca e liscia. –Allora non mi ero sbagliato…Guardati,
sei proprio tu! Sei tornata!- urlo poi, felice, e la abbraccio quasi piangendo,
mentre lei mi accarezza dolcemente la testa.
Inizio
a confessarle che mi è mancata tanto, che non ero più nulla senza di lei e
senza i bambini e che preferirei morire piuttosto che vivere in assenza della
mia famiglia. A quest’ultima affermazione, Anne si fa seria improvvisamente e
guarda fuori dalla porta-finestra. Allora mi scosta delicatamente e si alza per
poi aprire la porta e uscire in balcone. Io la seguo senza pensare.
-Che
belle cose mi hai detto, Mihael.- mi dice ammirando
il cielo nuvoloso che minaccia di scaricare pioggia.
-Io
ti amo, Anne.- dico, ormai pazzo e disperato.
-Davvero?-
-Sì…sì!- piangerei se
avessi ancora lacrime in corpo.
-Allora
vieni con me…- la sua proposta mi sembra la cosa più
bella che abbia mai sentito dopo anni. Sale senza paura sul cornicione, poi si
volta e mi tende una mano, alzando in alto quella col palloncino. Il suo
vestito bianco fluttua e si staglia contro l’oscurità della notte.
-Vieni…E staremo insieme
per sempre.-
Sono
abbagliato dal suo sguardo dolce e accecato dall’amore e vado per prenderle la
mano, ma accade qualcosa di imprevedibile, qualcosa che mi sconvolge e mi
disgusta allo stesso tempo, qualcosa che mi aiuta finalmente a capire come
stanno davvero le cose: la mano che stavo per afferrare si raggrinza
all’improvviso e, quando alzo gli occhi sul viso di Anne, vedo che questo è
segnato da profondi solchi e rughe, mentre gli occhi si sono rimpiccioliti, la
pelle è ingiallita, il vestito bianco che indossava muta diventando nero con un
cappuccio che le copre i capelli ormai grigi. Al posto del palloncino, ora vi è
una grossa falce che scintilla anche al buio. Spalanco gli occhi inorridito;
sì, questa dev’essere per forza una visione! Ritiro
la mano di colpo e, inorridito e spaventato più che mai, mi volto indietro per
entrare in casa più in fretta che posso. Corro, corro come un forsennato e,
nella foga dovuta alla paura della vista di un essere tanto sgradevole,
inciampo e vado a sbattere contro la cassettiera, per poi alzarmi barcollando e
abbandonandomi sul letto, con la testa che mi pulsa dal dolore. Prima di
perdere conoscenza, odo una sottile e stanca voce da donna anziana:
-Hai
fatto la scelta giusta. Se tu morissi, smetteresti di amare la tua famiglia. E’
questo che vuoi? Vivi felice, non desiderare la morte. L’amore è vita. - sento
una sua ruvida mano accarezzarmi la fronte. –La vita è meravigliosa.-
Dopodichè, tutto è buio.
Con
fatica, apro le palpebre pesanti e spalanco gli occhi. E’ mattina. Temo di aver
fatto un incubo, penso mentre mi gratto la nuca dolorante. Esco in balcone e
noto che ha appena smesso di piovere: l’aria è fresca e il cornicione è umido.
Do un’occhiata in strada. Nel mio sogno stavo per buttarmi di sotto…A ricordo, i brividi mi percorrono inevitabilmente le
braccia. Rientro in camera scuotendo la testa e sobbalzo quando vedo sul
comodino una tazza vuota. E’ la tazza di Nameless.
Lei adora il cioccolato. Ma chi è Nameless? E’
esistita davvero o è stato tutto frutto della mia sconfinata immaginazione? Mi
chiedo.
E
subito decido che non metterò mai più piede in un Luna Park.
§
Note dell’autore:
questa è una one-shot che ho scritto a mano qualche
mese fa e che poi ho ricopiato l’altro giorno. Ho intenzione di presentarla ad
un concorso per aspiranti scrittori…Voi cosa ne
pensate? E’ abbastanza originale? Farebbe bella figura? E’ troppo corta?
Aspetto consigli…Grazie!!
Mirokia