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Autore: Mirokia    04/02/2010    1 recensioni
-C-chi sei?- le chiedo con i brividi. Lei mi guarda stupita.
-Ci siamo incontrati poco fa, nel regno dell’entusiasmo apparente.- sorride, mentre lo dice. Ha pronunciato le stesse parole che ho pensato io qualche ora fa. Ma che diavolo succede?
-Sì, ma…avrai un nome…?- dico, tra l’affermazione e la domanda. Lei sembra pensarci un momento, poi la sua risposta:
-Nameless.-
-Mi prendi in giro?- dico, sapendo che Nameless in inglese significa “senza nome”.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nameless  

Senza nome

 

Ho sempre amato i Luna Park.

Da bambino abitavo vicino ad uno di essi e ci andavo quasi ogni domenica.

Anche i miei figli amano il Luna Park ed è così deprimente girovagare tra la gente, gli autoscontri, i chioschi di caramelle, le luci accecanti, senza di loro che mi pregano di comprare dello zucchero filato o un palloncino colorato. E’ tutto così vuoto e sbiadito senza la loro allegria e senza la presenza di mia moglie. Tutto così surreale.

O forse sono io quello che non riesce ancora a crederci. La mia donna mi ha mollato e si è portata via i nostri bambini, Clarice e Jason, abbandonandomi sul lastrico. Sono al verde…E le poche volte in cui riesco a racimolare del denaro, vengo qui, nel regno dell’entusiasmo apparente. Così, perché sono masochista e voglio abbandonarmi ai ricordi di quei giorni luminosi, più di quelle luminarie che mi pendono sopra la testa.

Mi guardo intorno un po’ spaesato e noto in lontananza un pagliaccio con la pelle bianca, il naso rosso e le scarpe a punta che vende palloncini. Lo guardo e sorrido malinconico, immaginando le voci cristalline dei miei due figli che, lamentandosi, mi tirano verso di lui. Ho un’improvvisa voglia di prendere uno di quei palloncini che si muovono nell’aria, giusto per non dimenticare. Così, mi faccio largo tra la folla ma, quando finalmente credo di averlo raggiunto, di lui nessuna traccia. Al suo posto c’è una bambina dai lunghi capelli neri e dall’aspetto gracile. Indossa un vestitino completamente bianco e stringe un palloncino stranamente nero nella mano destra. Si volta e mi guarda, un po’ triste, con i suoi occhi neri e grandi che mi scrutano nel profondo. Non sembra essere spaesata, ma la sua espressione continua a trasmettere malinconia, come se riflettesse il mio stato d’animo.

-Ehi piccola…Ti sei persa?- le domando, tentando di sorridere. Lei non risponde e mi fissa ancora, provocandomi un gran senso d’inquietudine. Piegandomi su di lei, noto la straordinaria somiglianza con mia figlia Clarice. Mi si stringe un nodo in gola e mi trema la bocca per l’emozione. Con mia grande sorpresa, lei inizia a piangere, senza però scomporre i lineamenti del viso, quasi come se le venisse automatico. Le lacrime le scendono silenziose sulle guance come ruscelli impetuosi.

-Che succede? Stai male?- chiedo ancora, un po’ preoccupato, ma lei si limita a porgermi il suo palloncino.

-Tieni. Te lo regalo. Ora non piangere più.- mi dice poi. Non capisco del tutto le sue parole, ma so per certo che non sto piangendo; è lei che lo sta facendo. Possibile che abbia percepito il dolore della mia anima?

-Sii felice.- concluse. Accetto l’oggetto e lo vedo confondersi col cielo scuro, senza riuscire a dire una parola. Abbasso la testa per ringraziarla, ma la piccola è scomparsa.

Dopo lo strano incontro, tengo con cura l’insolito palloncino e faccio il percorso inverso, per poi uscire dal fiume di luci e quindi dal Luna Park. Prima di andare alla fermata dell’autobus mi volto ancora a guardare quel mondo luminoso, dove ho lasciato la mia serenità e, col cuore che singhiozza ancora, regalo il palloncino al vento, che subito lo trasporta nel buio più profondo.

Ed ecco arrivare il pullman che mi porta sempre verso la mia umile casa. Salgo e mi siedo distratto su uno dei posti in fondo. Ciondolando la testa per la stanchezza, guardo davanti a me: sul sedile di fronte vi è la stessa bambina del Luna Park, che guarda con occhi vuoti la città che scorre al di là del finestrino. Ma dove sono i suoi genitori? Possibile che viaggi da sola alla sua tenera età e per di più a quest’ora tarda? A guardarla ancora una volta, mi mette i brividi con quella veste e quella pelle bianco latte in contrasto con i capelli e gli occhi nerissimi. Cerco di non pensarci, mi alzo e scendo alla mia fermata.

Bene, prepariamoci ad un’altra notte insonne o piena di incubi; sto così male che non dormo da tre notti…Può darsi che stasera impazzirò per il troppo sonno. Sembra che tutti i problemi di questo mondo mi siano sprofondati addosso, schiacciandomi come un insetto, e tante volte ho pensato di farla finita…Forse lassù non esistono problemi e la vita è facile e felice. Come mi piacerebbe saperlo. Oltretutto, stasera sono più depresso del solito: potrei compiere una pazzia.

Scuotendo il capo, entro in casa, mi tolgo la giacca e mi dirigo subito in cucina: come mi aspettavo, il frigorifero è vuoto, se non per qualche fetta di prosciutto. Vada per il panino al prosciutto, dato che non ho molta scelta. Non accendo la televisione, l’antenna è rotta.

Si è fatto ormai tardi quando finisco di mangiare la mia modesta cena. Quasi le undici. Non riuscirò neanche stanotte a dormire, ma tanto vale provare. Dopo aver preso uno dei miei tanti libri-sonniferi, apro la porta della camera e il cuore mi salta in gola per lo spavento quando vedo la figura di una persona seduta di spalle sul letto. Un forte odore di cioccolata mi entra nelle narici. Subito, indietreggio fino a sbattere con le spalle contro il muro e le mani diventano gelide per il troppo spavento. Quando si volta, vedo che è la bambina inquietante del pullman con una tazza di cioccolata fusa in una mano e un nuovo palloncino nero nell’altra. Come diavolo ha fatto a entrare?! Che vuole da me?!

-E-ehi! Tu chi sei?? Cosa ci fai in casa mia??- chiedo impaurito. Voleva farmi venire un infarto? Non sono un uomo molto coraggioso e mi impressiono con qualunque cosa. Figuriamoci come posso sentirmi se trovo una ragazzina spettrale apparsa da non so dove in camera mia!

-Ciao.- saluta lei semplicemente. –Hey, ti piace la pioggia?- fa poi con voce delicata. Sembra un fantasma. Al pensiero, un brivido mi sale sulla schiena.

-P-perché?- balbetto. In situazioni di perfetta lucidità non avrei mai fatto una domanda così idiota. Piuttosto le avrei detto di uscire di casa mia, di spiegarmi perché mi ha seguito, di chiederle cosa le è passato per la testa. Ma in questo momento sono particolarmente vulnerabile e terrorizzato, quindi non posso fare altro che rispondere con altre brevi domande o a monosillabi.

-Tra poco pioverà. Che bello, non vedo l’ora.- risponde rivolgendosi di nuovo alla porta-finestra che dava sul balcone e facendo dondolare i piedi che non arrivano al pavimento. Diamine, somiglia davvero tanto a Clarice, non solo nell’aspetto fisico, ma anche nell’atteggiamento. Mi avvicino cauto e con le gambe che tremano per poi sedermi al suo fianco. No, non è un fantasma, è reale, potrei benissimo toccarla.

-C-chi sei?- le chiedo con i brividi. Lei mi guarda stupita.

-Ci siamo incontrati poco fa, nel regno dell’entusiasmo apparente.- sorride, mentre lo dice. Ha pronunciato le stesse parole che ho pensato io qualche ora fa. Ma che diavolo succede?

-Sì, ma…avrai un nome…?- dico, tra l’affermazione e la domanda. Lei sembra pensarci un momento, poi la sua risposta:

-Nameless.-

-Mi prendi in giro?- dico, sapendo che Nameless in inglese significa “senza nome”.

-No, perché dici questo? Anche il tuo è un nome strano, Mihael.-

Come? Adesso conosce anche il mio, di nome? Cos’è, una specie di veggente? Forse ciò che vedo è davvero tutto frutto della mia fantasia. Cerco di non agitarmi mentre Nameless mi parla ancora:

-Grazie per la cioccolata. Ce n’è ancora?- con la sua voce vellutata mi incanta.

-Sì…Te la faccio?-

-Grazie.-

Non so cosa mi spinga a rispondere in questo modo, so solo che, come un robot, mi alzo e torno in cucina, mettendomi a mescolare latte e cacao, aggiungendo zucchero e mescolando il tutto. Dopo averlo scaldato faccio ritorno in camera, ma rischio un mancamento per la seconda volta: la bimba di poco fa sembra essere cresciuta improvvisamente: braccia più lunghe, fisico slanciato, un fiume di capelli neri e viso da adulta. Resto spiazzato e per poco non lascio cadere la tazza per terra.

-Chi sei?!- urlo nuovamente, confuso più che mai.

-Come chi sono? Mi sembra di avertelo già detto. Hai fatto la cioccolata?- la voce è sempre delicata, ma appena più grave. Questa ragazza adesso…assomiglia terribilmente alla mia ex moglie! Ma che mi succede?! Spaventato, indietreggio e vado a sbattere contro una mensola, facendo cadere un portafoto in vetro, che si frantuma.

-Non essere così teso, Mihael. Perché non parliamo un po’? Vieni, dai.- e mi invita con la mano. L’altra tiene ancora gelosamente il palloncino. Dopo parecchi ripensamenti, riesco a sedermi di nuovo accanto a lei, porgendole con mani tremanti la cioccolata, che si mette a bere golosamente.

-Sei un’illusione?- le chiedo osservandola, ora più consapevole della mia mente malata.

-Tu che dici?- e mi sorride.–Io ti ho dato il palloncino, ma nonostante ciò, tu non ti sei rallegrato. Per questo ti ho seguito. Non voglio che tu pianga.- aggiunge.

-Tu come fai a sapere che non sono allegro? Sei una…specie di angelo custode?-domando, e mi sento un pazzo.

-Sei tu a decidere chi sono e quando devo starti accanto. E oggi mi volevi al tuo fianco.- risponde poggiando la tazza vuota sul comodino.

-Io non voglio nessuno al mio fianco, a parte i miei figli e mia moglie!- grido, ora arrabbiato.

-Infatti. Eccomi qua.- dice subito, e i miei occhi si illuminano di gioia.

-D-davvero? Sei davvero tu? Sei Anne?- le tocco le mani per accertarmi che sia vera. La sue pelle è fresca e liscia. –Allora non mi ero sbagliato…Guardati, sei proprio tu! Sei tornata!- urlo poi, felice, e la abbraccio quasi piangendo, mentre lei mi accarezza dolcemente la testa.

Inizio a confessarle che mi è mancata tanto, che non ero più nulla senza di lei e senza i bambini e che preferirei morire piuttosto che vivere in assenza della mia famiglia. A quest’ultima affermazione, Anne si fa seria improvvisamente e guarda fuori dalla porta-finestra. Allora mi scosta delicatamente e si alza per poi aprire la porta e uscire in balcone. Io la seguo senza pensare.

-Che belle cose mi hai detto, Mihael.- mi dice ammirando il cielo nuvoloso che minaccia di scaricare pioggia.

-Io ti amo, Anne.- dico, ormai pazzo e disperato.

-Davvero?-

-Sì…sì!- piangerei se avessi ancora lacrime in corpo.

-Allora vieni con me…- la sua proposta mi sembra la cosa più bella che abbia mai sentito dopo anni. Sale senza paura sul cornicione, poi si volta e mi tende una mano, alzando in alto quella col palloncino. Il suo vestito bianco fluttua e si staglia contro l’oscurità della notte.

-Vieni…E staremo insieme per sempre.-

Sono abbagliato dal suo sguardo dolce e accecato dall’amore e vado per prenderle la mano, ma accade qualcosa di imprevedibile, qualcosa che mi sconvolge e mi disgusta allo stesso tempo, qualcosa che mi aiuta finalmente a capire come stanno davvero le cose: la mano che stavo per afferrare si raggrinza all’improvviso e, quando alzo gli occhi sul viso di Anne, vedo che questo è segnato da profondi solchi e rughe, mentre gli occhi si sono rimpiccioliti, la pelle è ingiallita, il vestito bianco che indossava muta diventando nero con un cappuccio che le copre i capelli ormai grigi. Al posto del palloncino, ora vi è una grossa falce che scintilla anche al buio. Spalanco gli occhi inorridito; sì, questa dev’essere per forza una visione! Ritiro la mano di colpo e, inorridito e spaventato più che mai, mi volto indietro per entrare in casa più in fretta che posso. Corro, corro come un forsennato e, nella foga dovuta alla paura della vista di un essere tanto sgradevole, inciampo e vado a sbattere contro la cassettiera, per poi alzarmi barcollando e abbandonandomi sul letto, con la testa che mi pulsa dal dolore. Prima di perdere conoscenza, odo una sottile e stanca voce da donna anziana:

-Hai fatto la scelta giusta. Se tu morissi, smetteresti di amare la tua famiglia. E’ questo che vuoi? Vivi felice, non desiderare la morte. L’amore è vita. - sento una sua ruvida mano accarezzarmi la fronte. –La vita è meravigliosa.-

Dopodichè, tutto è buio.

 

Con fatica, apro le palpebre pesanti e spalanco gli occhi. E’ mattina. Temo di aver fatto un incubo, penso mentre mi gratto la nuca dolorante. Esco in balcone e noto che ha appena smesso di piovere: l’aria è fresca e il cornicione è umido. Do un’occhiata in strada. Nel mio sogno stavo per buttarmi di sotto…A ricordo, i brividi mi percorrono inevitabilmente le braccia. Rientro in camera scuotendo la testa e sobbalzo quando vedo sul comodino una tazza vuota. E’ la tazza di Nameless. Lei adora il cioccolato. Ma chi è Nameless? E’ esistita davvero o è stato tutto frutto della mia sconfinata immaginazione? Mi chiedo.

E subito decido che non metterò mai più piede in un Luna Park.

 

§

 

 

Note dell’autore: questa è una one-shot che ho scritto a mano qualche mese fa e che poi ho ricopiato l’altro giorno. Ho intenzione di presentarla ad un concorso per aspiranti scrittori…Voi cosa ne pensate? E’ abbastanza originale? Farebbe bella figura? E’ troppo corta? Aspetto consigli…Grazie!!

 

Mirokia

 

   
 
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