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Autore: Camelia Jay    04/02/2010    3 recensioni
Jenice, allegra, gentile, riflessiva, con il cuore spezzatole da un ragazzo.
Kyle, freddo, distaccato, misterioso, nessuno che sappia nulla di lui.
Come reagirà Jenice, quando scoprirà la verità sul suo compagno di classe? E cosa farà, quando il suo migliore amico di sempre l'abbandonerà per il successo? Si accorgerà di Kyle, o scoprirà che non può vivere senza l'amico ventiquattrenne?
Adesso conoscevo il colore dei suoi occhi, che ogni giorno sembravano affascinarmi sempre di più, e quelle tristi e profonde occhiaie che aveva sotto di essi erano finalmente scomparse.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lonely'
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{ Capitolo secondo }

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Ciò che desideravo di più in quel momento era che l’intervallo arrivasse per andarmi a prendere un bicchierino di cioccolata calda alle macchinette, o anche un caffé. Quel giorno in classe era stata presa una decisione di “rivoluzione”: eravamo sempre stati da soli in banco e nessuno si era mai lamentato, però ad un tratto, proprio quel giorno, un’insegnante aveva proposto di unirci in coppie, e nessuno aveva obiettato. L’avrei fatto io, non che i miei compagni mi stessero antipatici, è che si stava così bene in banco da soli… e anche se avessi detto la mia opinione, di sicuro quella di una persona sola non sarebbe di certo valsa.

Pur andando d’accordo quasi con tutti, non me la sentivo di condividere il banco con qualcuno. Pensavo di essere diversa da tutti, a non voler condividere il banco con un compagno.

Come un raggio di sole dentro ad una caverna, la campanella suonò segnando la temporanea fine delle lezioni e con gioia tutti si alzarono in mezzo a sbattimenti di sedie e urla, chi inizia a tirarsi il cancellino della lavagna, sporcando tutto di gesso bianco, chi esce dalla porta spintonando violentemente gli altri, persino le ragazze apparentemente più docili talvolta, quando avevano fretta, si univano alla massa. Sulla porta bianca della classe era appeso un foglio, dalla parte esterna, l’avevo appeso io, mettendo tutti i nomi e cognomi degli studenti della classe da una parte, in una colonna, mentre le altre colonne rappresentavano le materie e una crocetta inserita nella casella del corrispondente alunno rappresentava un’interrogazione, così tutte le volte l’insegnante non doveva ricordarsi chi era stato interrogato e chi no, invece, e poi anche gli studenti potevano regolarsi e farsi un’idea della situazione. Tutti pensavano fosse una buona idea, ma il foglio ormai non era aggiornato quasi mai, ed era mezzo a penzoloni per aria e un po’ scarabocchiato e mal messo, il nastro adesivo che stava lentamente cedendo. L’ultimo pezzettino di nastro rimasto lì, infatti, si staccò facendo cadere il foglio a terra lentamente, che aggraziatamente volteggiò fino a toccare il pavimento.

“Accidenti a me e a quando ho proposto quest’idea…”. Stavo alzandomi per andare a riappenderlo correttamente, ma arrivò qualcuno da fuori della classe.

Era Kyle Gray, si fermò davanti ad esso squadrandolo, io ferma come una stupida in piedi di fronte al mio banco, lui raccolse il foglio mal ridotto studiandolo un po’, sia il fronte che il retro. Da quel che ricordavo, lui aveva una crocetta in tutte le materie, quindi era stato interrogato in tutto. Era proprio bravo, uno studente modello, si direbbe. Osservavo le sue mosse, senza prevedere cosa avrebbe fatto.

Lui alzò le spalle, non so se si era accorto o no che io ero lì presente, accartocciò il foglio e lo lanciò, con una mira eccellente, nel cestino. Il mio povero foglio, ci avevo messo tanto impegno…

– E… ehi! – cominciai con voce leggermente sgomenta – Perché l’hai fatto?!

Lui alzò in modo molto lento lo sguardo, con puro disinteresse nei miei confronti, le mani in tasca, per poi guardare nuovamente il cestino:

– Nessuno lo usava. A cosa serve mettere un foglio delle interrogazioni, se nessuno si fa interrogare e lo aggiorna?

Parlò con voce calma, tranquilla, irritante allo stesso tempo, e leggermente arrogante, per poi andarsene. La prima volta che parlavo con lui, e già mi aveva fatto una brutta impressione.

“Certo che potrebbe almeno guardarmi in faccia quando mi parla… uffa, che nervi!”.

Me ne uscii dalla classe per andare a prendere qualcosa di caldo, per calmarmi.

 

Ero appoggiata al termosifone, sopra di esso stava una finestra che si affacciava sul quartiere, nulla di speciale, non si riusciva nemmeno a vedere l’orizzonte… mi soffermai a guardare le automobili che giravano per la strada in fretta, senza un momento di pace. Racchiudevo tra le mani il bicchierino di plastica con dentro il caffé bollente, aspettando che si raffreddasse.

– Jenice, l’intervallo non è infinito, bevi in fretta quel caffé! – riconobbi quella voce e tornai sulla Terra.

– Ehi Sharon! Non ti avevo vista… – le dissi trangugiando un sorso di caffé bollente che mi andò giù scorrendo veloce tra le membra… – Allora?

– Allora? Allora te lo chiedo io! Come mai sei sempre qui… e guardi il vuoto, da sola?

Che ingenuità, che serenità, nei suoi occhi verde smeraldo.

– Vedi… in questo periodo penso spesso a lui e…

Lei sobbalzò leggermente, sbarrando gli occhi.

– Non dirmi che ti piace ancora, Jenice… pensavo che l’avessimo superata, questa cosa, poi sono dei mesi che non si fa più vedere!

– Ma certo che no! Cosa vai a pensare? Però… il fatto che il mio cuore è stato suo per così tanto tempo… mi sembra di aver buttato via cento anni di tempo prezioso… e poi come faccio a non avere questi rimpianti?

Non riuscii proprio a capire se Sharon fosse più sconcertata o ripugnata.

– Certo che anche lui mi sorprende…

Mandai di nuovo giù un sorso di caffé, mentre lei si appoggiava al termosifone di fianco a me.

– In fondo lui non ne sapeva quasi niente… forse non immaginava che io fossi seria.

E di nuovo sorseggiai, sentendo il calore che mi avvolgeva le membra, e continuai a parlare mentre fissavo gli angoli più remoti del cielo:

– Non dargli colpe che non ha, semplicemente mi ero innamorata di lui… quando mi ha fatto quella cosa però, è cambiato tutto, era inevitabile… – continuai.

Lei sorrise, mi guardò con i suoi grandi occhi, e mi strinse una mano:

– Però sai… – e sghignazzò – vorrei che mi notasse, una volta ogni tanto, in fondo è carino, te l’ho sempre detto!

– Bah, smettila Sharon… tutte queste fantasie! Non sai nemmeno dove possa trovarsi in questo momento…

E ridacchiai, quando la campanella suonò di nuovo. L’intervallo era finito, dovevamo occuparci di quello spostamento di banchi.

Mentre mi dirigevo nell’aula pensai che per uno strano scherzo del destino sarei finita vicino proprio a qualcuno della mia classe vicino al quale non sarei voluta stare. Andava sempre a finire così. Del mio caffé era rimasto solo il bicchierino di plastica e quel bastoncino, sempre in plastica, che serviva a mescolare lo zucchero. Gettai tutto nel cestino, riguardando il mio povero malcapitato foglio delle interrogazioni. Non importa, ne avrei rifatto un altro presto, la prossima volta che ci sarebbe stata una lezione noiosa che nessuno voleva ascoltare, e mi sarei assicurata che Kyle Gray non gli avesse messo le mani addosso. Intanto a passo lento la professoressa ritornò in classe, con un barattolino di vetro tra le mani e dei bigliettini al suo interno.

– Qui ci sono i vostri nomi, adesso unite i banchi, così possiamo cominciare con l’estrazione.

L’insegnante era sorridente, lo era sempre. Aveva circa una sessantina d’anni, ma li portava abbastanza bene. Era una abbastanza ottimista, che se qualcuno prende un brutto voto, lei dice sempre che è recuperabile, che basta studiare un po’ di più o farsi dare una mano… spesso serviva, con alcuni studenti che a volte andavano male.

Cominciammo ad unire i banchi, a due a due. Come sempre il fracasso era di casa, come succede in molte classi.

– Chi viene a fare l’estrazione? – chiese con la sua solita gentilezza l’insegnante, sedendosi comodamente sulla sua sedia e cominciando a squadrarci tutti, uno per uno.

Poi guardò me, con uno sguardo che mi fece capire all’immediata che aveva deciso chi doveva venire. Mi diressi verso la cattedra, ormai convinta che il destino ce l’avesse con me, e mi avrebbe presto fatto un dispetto. Ventidue bigliettini di carta bianchi e ripiegati se ne stavano in quel barattolo vitreo, aspettando che la mia mano li raccogliesse uno per volta. In men che non si dica la mia mano si era già immersa in quel mare di piccoli foglietti.

   
 
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