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Autore: niebo    04/02/2010    1 recensioni
Il giovane in smocking tirò fuori dalla tasca sinistra dei pantaloni un pacchetto di sigarette. Ne sfilò una e l’accese con un accendino, preso dall’altra tasca.
“Cosa vuoi da me?!” ripetè con decisione.
“Cosa voglio da te? Semplice.” soffiò fuori dalla bocca una densa nuvola di fumo “Voglio che uccidi una persona.”
[...]“Cosa ti fa credere che ucciderò una persona per te?!”
“Io non lo credo….” Fece un tiro ed espirò di nuovo il fumo “…io sono sicuro che lo farai.”

La storia di sette persone la cui vita è indissolubilmente legata all’avvento dell’Apocalisse.
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Savin' Me Savin’ Me


Il suo respiro era affannoso, ancora scosso dall’incubo che aveva appena fatto. Sognava la morte di Ilian quasi ogni notte, eppure ogni volta si svegliava piangendo, come se fosse la prima.
Chiuse gli occhi, cercando di calmarsi, e asciugandosi le lacrime accarezzandosi le guance.
Erano già passati dieci anni dalla morte dall’amico, ma non se n’era ancora dato una ragione. Gli sembrava fosse accaduto tutto solo il giorno prima.
Si alzò dal letto, ancora un po’ frastornato e si avvicinò al lavandino. La sua “camera”, infatti, comprendeva anche il bagno, che consisteva in un microscopico lavello e in un water mezzo rotto e sudicio, nell’angolo destro della stanza. D’altronde il circo è itinerante, e per questo si era ritrovato a vivere in una roulotte delle dimensioni dello sgabuzzino di un appartamento.
Giunto di fronte al lavandino, si guardò allo specchio. In particolare guardò il proprio viso, che da quel tragico giorno non aveva fatto più trasparire alcuna emozione.
Il suo sorriso era morto con lui.
Ma quando era solo, quando si ritrovava a fare i conti con sé stesso, tutto quello che si teneva dentro lo affogava, in una tempesta di sentimenti e risentimenti.
Si contemplò a lungo, quasi come se stesse osservando un estraneo. Bhe in realtà, si era ritrovato ad essere un estraneo verso sé stesso.
Il vecchio Ulrich se n’era andato. Ilian lo aveva portato via con sé.
Spalancò gli occhi per un momento, e il suo respiro si fece sempre più ansimante.
Mentre ancora si stava fissando allo specchio, senza che la sua espressione cambiasse minimamente, lacrime calde rincominciarono a scorrergli sul viso. Si lasciò ricadere sulle ginocchia, aggrappandosi con entrambe le mani al bordo del lavandino.
Chiuse gli occhi con forza, mentre le lacrime già avevano raggiunto il suo petto nudo, scorrendo incessanti e dolorose, quasi stessero creando dei profondi solchi nella carne sotto la sua pelle.
“Perché…..perchè te ne sei andato…..” disse piangendo “Perché mi hai lasciato solo…”
Battè con forza un pugno sul lavandino.
“Perché mi hai tradito….???”
Aveva iniziato ad alzare la voce e  a stringere sempre di più le proprie mani in pugni.
 “….tu dovevi aiutarmi…..dovevi starmi vicino…..e invece sei scappato….sei fuggito….e mi hai lasciato qui….!!!”
Ormai gridava, tra il pianto.
“Sei un traditore!!! Sei solo uno sporco traditore!!!”
Silenzio.
Sapeva benissimo che non avrebbe ricevuto alcuna risposta, ma ci sperava ancora.
Ci sperava sempre.
Iniziò pian piano a calmarsi. Il respiro cominciò a rallentare, e la presa delle mani ad allentarsi. Smise di piangere e riaprì gli occhi.
“Ilian…..perchè….” disse quasi in un sussurro.
“…..non mi hai lasciato neanche il tempo….”
Richiuse forte le palpebre, quasi spaventato dalle parole che stava per pronunciare.
“…..per dirti quanto ti volessi bene….”
Un ultima lacrima gli scivolò, solitaria, sulla sua guancia.
Non pronunciò altra parola ma, calmatosi, si rialzò.
Ritornò a poco a poco in sé, anche se ancora un po’ intontito dal sogno e dal cocktail di emozioni e pensieri che gli frullava in testa. Sbirciò ancora nello specchio con la coda dell’occhio.
Spalancò gli occhi e la bocca e quasi gli venne un infarto al vedere la sua immagine riflessa.
Qualcosa gli spuntava dalla schiena. Qualcosa.
Rimase impietrito. Qualche secondo dopo ebbe solo la forza di muovere la mano destra in direzione della scapola sinistra.
La toccò. Era un osso. Uno dei tanti che uscivano dai due lati del suo corpo a comporre quelle ali. Quelle terrificanti ali. Non come quelle di una bianca colomba. No….Piuttosto come quelle di un sudicio pipistrello.  Pensò di sognare. Sì….doveva decisamente essere ancora nel bel mezzo del suo sogno. Ma poi le toccò, e le ritoccò di nuovo, con la mano tremante e esitante più che mai. Non erano una finzione. Non erano un assurdo prodotto della sua mente. Erano vere. E uscivano dal suo corpo.
Pensava di essere impazzito. In effetti era abbastanza probabile, data la situazione traumatica che aveva vissuto e che tuttora viveva. Ma nonostante ciò, non riusciva a convincere totalmente sé stesso che quello che vedeva (e toccava) fosse solo un’illusione.
Distolse lo sguardo dallo specchio voltando lentamente la testa, ancora agghiacciato, e vide lì , a lato del lavandino, uno dei suoi coltelli.
Lo afferrò velocemente e, senza esitazione, iniziò a incidersi la scapola sinistra e quell’ala, forse per dimostrare a sé stesso che era tutto vero e che non fosse pazzo, come aveva paura di essere diventato.
O forse solo per paura, per il terrore di ciò che vedeva e di quello che avrebbe significato per lui. Ma anche semplicemente per liberarsene, perché era già stato violentato dalla vita troppe volte e l’ennesimo sgambetto da parte sua non l’avrebbe accettato. Non più. Illusione o no, vero o falso che fosse, il coltello affondava sempre più a fondo nella sua carne e il sangue scorreva copioso lungo tutta la sua schiena. Voleva liberarsene. Dovevano sparire. Qualunque cosa fossero, le avrebbe fatte sparire. Le avrebbe tagliate. Lacrime di dolore, questa volta, gli rigavano il viso, contratto in un’espressione sofferente che, a denti stretti, tratteneva tutta la sofferenza fisica.
Questo dimostrava che esse erano parte di lui. Non erano come quelle ali d’angelo che si indossano a Carnevale, insieme all’aureola e alla veste bianca. Che metti e togli quando vuoi, a tuo piacimento. Questo non era un travestimento. Non era uno scherzo. E Ulrich se ne era reso conto, mentre sentiva il sangue caldo che gli scorreva sulle gambe nude. Ma non avrebbe smesso. Aveva sofferto pene peggiori. Però, nonostante la sua determinazione, non riusciva a frenare le lacrime che, insieme alle gocce di sudore che gli scendevano dalla fronte, si mischiavano con il sangue dolce emesso dal suo corpo ingiustamente martoriato. Ormai però il coltello non affondava più, a causa dell’osso bianco che gli sporgeva dall’ala, anch’essa coperta di sangue rossastro. Respirava a tratti, quasi eccitato dall’emozione di farsi del male. Forse….era questo il punto Forse il suo scopo….non era solo quello di farsi del male? Di placare le sofferenze dell’animo martoriando il proprio corpo? Di coprire il dolore psicologico con il dolore fisico?
“Ulrich!!!”
Qualcuno gridò il suo nome, bussando sommessamente alla porta.
Ulrich si fermò di colpo, e si voltò in direzione della porta. Nel girare la testa, i capelli sporchi di sangue gli segnarono con rosse linee il collo ancora immacolato.
“Che cavolo stai facendo lì dentro?! Dovevi essere già in pista da più di un’ora!!! Muoviti, apri questa porta!!! Subito!!!”
Al sentire quella voce rimase impietrito per qualche secondo, incapace di realizzare la situazione in cui si trovava, né benchè meno cosa dovesse fare.
La voce dell’uomo si alzò di tono, e anche di rabbia.
“Hai sentito quello che ti ho detto?!? Apri questa cazzo di porta, o la buttò giù io!!!!!!”
Fortunatamente quelle grida disincantarono il ragazzo, che si affrettò a nascondere il coltello insanguinato che teneva ancora in mano. Ma  non fece in tempo neanche ad aprire il cassetto che l’uomo che l’aveva chiamato poco prima sfondò la porta, trovandosi davanti quel macabro spettacolo.
Quello che l’uomo vide fu il ragazzo, immobile, semi nudo, al centro della stanza, con un coltello insanguinato nella mano destra, che si era creato delle ferite profonde lungo l’intera schiena, specialmente nella parte alta, in corrispondenza delle scapole. Quello che pensò fu scuramente che Ulrich fosse mentalmente instabile, fuori di testa a tal punto da conficcarsi un coltello nella spalla. Matto. Pericoloso. Ma soprattutto indisciplinato.
Se la sua intenzione era quella di infangare con il sangue il nome di qualcuno (soprattutto il suo, quello del direttore del circo) bhe, non ci sarebbe riuscito.
Ulrich lo fissava, spaventato. Continuava a respirare velocemente, quasi avesse appena finito una lunga corsa. Poi fermò per un attimo il suo respiro sconnesso. Le lacrime si erano gelate sulle sue guance. Dischiuse leggermente le labbra.
“Mi dispiace….”  fu tutto quello che riuscì a dire sull’orlo di una crisi di pianto per l’ansia, sinceramente pentito per quello che aveva fatto. Non aveva proprio paura. Non era spaventato. Si era semplicemente reso conto delle sue azioni.
A vederlo, sembrava un piccolo pulcino indifeso appena uscito dal guscio.
Burk, il padrone, un uomo forte e robusto di corporatura, in un impeto di rabbia, digrignando i denti, si avvicinò a Ulrich e lo afferrò per un polso, stringendoglielo più forte che potesse. Il ragazzo cadde in ginocchio e gemette dal dolore. Ma probabilmente gemette anche perché sapeva cosa lo stesse aspettando.
Il direttore lo trascinò con sé, tirandolo per il braccio, senza dire una parola. Però, tutto sommato, forse era stato meglio così. Le parole avrebbero potuto ferirlo ancora.
Più il direttore tirava e più il giovane si sentiva mancare le forze.
Burk lo lasciò solo al centro della pista, dove tutti gli altri circensi avrebbero potuto vederlo bene. Ulrich si racchiuse in sé stesso, appoggiando la fronte sulle braccia conserte posate sulle sue cosce. La testa era china e i lunghi capelli gli coprivano il viso e le ginocchia, scendendo fino a terra. L’unica cosa nuda e ben visibile era la sua schiena, incurvata.
Sembrava una dura e fredda pietra, posta in solitudine al centro di un campo di grano.
Chiuse gli occhi cercando di liberare la mente da ogni pensiero, anche dal più piccolo e insignificante. Svuotarsi di sé stesso era il modo in cui affrontava il dolore. Come una farfalla che esce dal proprio bozzolo, lasciava che la sua anima volasse via, che lo abbandonasse, così che fosse solo il suo corpo a soffrire, mentre il suo cuore non avrebbe provato alcuna emozione.
Il padrone lo abbandonò lì in quella posizione per qualche secondo, ma subito dopo tornò tenendo in mano una frusta, di quelle che durante gli spettacoli si usano per far trottare i cavalli attorno alla pista.
Tutti gli altri circensi si fermarono, interrompendo le loro attività per vedere cosa stesse succedendo al centro dell’arena.
In quel silenzio, il rumore della suola degli stivali di Burk sul terreno ghiaioso sembrava più forte dell’imminente arrivo di un carro armato.
Ulrich si strinse le spalle, mentre tutto intorno a lui diventava sfocato, come se appartenesse ad un altro mondo. Si sentiva come racchiuso in un bolla di sapone, dalla quale osservava il mondo esterno, che a sua volta osservava lui, intrappolato in quella gabbia inusuale.
Il suono dei passi si interruppe. Il braccio destro del direttore si alzò, per poi ricadere al suono della frusta che fendeva l’aria.
“Ciao piccolo Coltellaio Matto.”
Fu il suo ultimo pensiero prima che la frusta si infrangesse sulla sua schiena nuda.
Al momento del contatto, quando il cuoio squarciò le ferite già aperte che da sé si era procurato, aprì gli occhi, per farvi uscire due lacrime per troppo tempo nascoste dietro le sue palpebre. Quelle gocce però non racchiudevano nulla, nessun sentimento, nessuna emozione. Erano solamente il prodotto, dovuto a un forte dolore fisico, delle sue ghiandole lacrimali. Furono le prime e le ultime. Richiuse gli occhi, come in una sorta di meditazione, mentre il sangue aveva ricominciato a dipingere la bianca tela della sua schiena. Più le frustate andavano avanti più lui sembrava perdere sé stesso, racchiuso come la pietra del campo di grano. Non che non sentisse dolore. Lo sentiva, eccome. E più la frusta affondava nella sua carne più era difficile fingere di non sentire nulla. Tutto sommato però sembrava riuscire d essere abbastanza padrone di sé stesso e delle sue emozioni.
Anche il ricordo di Ilian non lo tormentava più. Solo durante le punizioni sembrava dargli un attimo di tregua. Per questo, piuttosto di rivedere in sogno l’amico morire, avrebbe preferito vivere ogni secondo rimanente della sua vita sotto l’effetto di una frusta.
I circensi intorno ala pista osservavano impietriti la scena, senza la minima intenzione di intervenire per fermarla. Non si sarebbero mai opposti al regista di questo film, avrebbero rischiato il licenziamento. Il copione era stato scritto, ormai.
Burk sembrava impegnarsi veramente tanto questa volta, ci dava dentro senza alcun ritegno. Doveva essere veramente infuriato. Non aveva detto nulla per tutto l’arco del loro “incontro”. Questo perché a suo dire, come pare ormai ovvio, la punizione a parole è solamente una perdita di tempo e di fiato.
Fatto sta che, o per qualche maledetto caso oppure di proposito, colpì in modo estremamente violento la ferita più profonda che Ulrich si era provocato, quella sulla scapola sinistra. In realtà l’aveva già centrata parecchie volte, ma questa volta era stato molto più impetuoso, talmente impetuoso da far ricadere il ragazzo su un fianco, semi incosciente.
Aveva tentato di resistere, di continuare il controllo di sé, ma quel colpo era stato troppo forte. Troppo sangue era uscito, e così anche il suo corpo si stava rifiutando di rimanere con lui, e probabilmente l’avrebbe abbandonato da un momento all’altro.
Al vedere Ulrich a terra, Burk ritenne sufficiente il numero di frustate. Probabilmente, il ragazzo aveva imparato la lezione.
Improvvisamente un soffio di vento entrò dentro al tendone, scuotendolo tutto quasi in balia di una qualche tempesta. La brezza impetuosa raggiunse anche il viso di Ulrich che, al sentire quella fredda carezza, aprì un poco gli occhi, nascosti dai lunghi capelli, e sorrise.
“Alzati prima che il vento ti porti via.” gli disse il direttore del circo mentre l’aria continuava imperterrita ad avvolgerli.
Il ragazzo non rispose, né fece il minimo movimento.
Burk lo osservò dall’alto in basso per un po’, con sguardo severo. Poi però, vedendo che Ulrich restava accasciato a terra immobile, lo prese per il braccio e lo trascinò nella sua stanza. Non appena ebbero abbandonato la pista, il vento smise di soffiare.
Il piccolo Coltellaio Matto, al sentirsi tirato, riaprì gli occhi, lo sguardo perso nel vuoto.
Arrivato a destinazione, il padrone aprì la porta della camera da cui l’aveva prelevato e lo buttò letteralmente dentro, sbattendo l’uscio.
Rimase lì sdraiato a terra per qualche secondo. In seguito decise di raccogliere le poche forze che gli rimanevano per rialzarsi in piedi. Puntò entrambe le mani sul pavimento cercando di sollevarsi, ma ricadde a terra con un tonfo. Riprovò una seconda volta, ma senza successo. La terza volta oltre alla forza delle braccia, usò anche la forza della disperazione, che gli pervadeva tutto il corpo. Finalmente ci riuscì.
Era instabile sulle gambe, come se indossasse dei trampoli. Ma la sua conquista non durò molto.
In quel poco tempo in cui si resse in piedi, però, un interrogativo colpì la sua mente, come il primo fulmine di un temporale.
Burk non si era minimamente spaventato di fronte a quelle ali che lo sovrastavano. Perché? Perché al vederlo non era fuggito terrorizzato urlando “ Un mostro! Un mostro!” o qualcosa del genere? Il sangue l’aveva visto…ma non aveva fatto alcuna affermazione riguardo quelle assurde ali….Perchè???
Ma non ebbe il tempo di darsi una risposta, che subito cadde sul letto privo di sensi, a causa dell’eccessiva perdita di sangue che aveva subito.
  
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