Mesi e mesi di ritardo, ma vedete, nella mia testa
c’è tutto, sulla carta qualcosa, ma sul
pc…nulla.
Il vuoto più desertico, la tristezza
più infinita e la pagina bianca che mi fissava austera.
Insomma avevo il blocco delle tecno-scrittrice, se
l’avessi potuto scrivere con la macchina da scrivere
(sì, come la signora Fletcher) sarebbe stato tutto diverso.
Invece il computer, boh non so, mi da una strana
sensazione….vabbè leggete pure o pochi che ne
avete il coraggio! ^^ (scusateeeeee >_<)
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Capitolo
21
Caen
stava seduto su una sedia di legno torturandosi le mani.
Il
mantello, lungo e scuro, lo avvolgeva toccando terra e incorniciando le
gambe della sedia, davanti a lui si stagliava un alto e infinito tavolo
color ebano illuminato da rade e deboli lanterne.
Sul
tavolo una vicina all’altra in ordine millimetrale stavano
imponenti gabbie di reti fitte tanto da non vederci traverso ed
etichette su cui erano indicate infinite date e altrettanti nomi.
Gabbie
per le anime, una lunga, infinita fila di trappole, terribili trappole,
che stringevano nelle loro spire milioni di vite.
Legata
a una piccola gabbia, proprio davanti a lui, illuminava fredda e
imperiosa una fiamma celeste che si agitava bloccata da una sottile
catena d’argento.
Una
stretta allo stomaco gli impediva di toccarla in qualsiasi modo, era
stata parte di Amy, e quasi un pezzo di Josh.
Era
stata una ragazza, prima, un essere umano, che aveva provato
sentimenti.
Amore.
Odio. Felicità. Tristezza.
Era
stata viva.
Questi
pensieri un tempo non lo sfioravano nemmeno, prima per lui quelle anime
erano solo un mezzo, un qualcosa per la Madre, nulla di più.
I
loro pensieri, i loro ricordi, anche quando lo attraversavano, per lui
erano vuoti, inutili, come se non esistessero.
Anche
quando li cancellava e se li vedeva passare tutti davanti come se lui
stesso li avesse vissuti, non provava nulla, era esterno a tutto, non
capiva l’oppressione che provavano dentro le Gabbie per le
anime, non capiva i dolori e le felicità che avevano avuto
in vita.
Era
forte, molto più forte, ma ora era diverso, ora non era
più così.
Una
voce lo richiamò alla realtà facendolo
sussultare: -Caen, Va tutto bene?Che stai facendo?
Il
rosso si voltò, l’espressione scioccata, sentiva
di essere come colpevole, non stava eseguendo il suo compito, non stava
lavorando.
Aveva
gli stessi movimenti di un bambino scoperto mentre ruba la marmellata
che non dovrebbe mangiare, mani alzate, occhi sgranati e il volto
tirato in una smorfia di paura.
La
voce che lo aveva chiamato apparteneva alla figura esile di una donna,
infagottata in un mantello color cresimi che mostrava un aderente
corpetto nero e degli attillati calzoni dello stesso colore percorsi
dalla caviglia al fianco da una cerniera.
I
capelli, lunghi, biondi e striati di mesh verdi, le incorniciavano un
volto magro e dal mento sfuggente.
-Ah,
Irea sei tu…- Caen riprese a respirare, non si ricordava
quando aveva smesso.
Lei
gli dedicò uno sguardo glaciale e indecifrabile -Devi
portare tu le anime ai sacerdoti, la ragazza che lo faceva è
stata assegnata alle prigioni.
La
donna s'interruppe un attimo, la sua espressione spenta e indecifrabile
si accese in un sorriso malizioso -Cosa stavi facendo?
Il
rosso cercò di mantenere la calma, nessuna emozione doveva
trasparire dalla sua espressione.
-Nulla-
sperò che la sua voce non lo tradisse in alcun modo e non
tremasse mentre lo diceva.
Irea
lo fissò negli occhi e rimase un attimo interdetta -Caen, ma
i tuoi occhi…cioè…sono sempre stati
così?
Il
Depuratore si limitò a fare una breve smorfia contrariata
-Certo uno nero e uno azzurro, come i tuoi sono uno azzurro e uno
marrone.
Lei
continuò a guardarlo negli occhi ancora, non era convinta,
era certa che, anche in quella penombra, uno dei suoi occhi fosse
grigio, non nero.
Poi
improvvisamente fu attratta da altro, alle spalle del ragazzo, e i suoi
occhi scrutarono l’anima di Katia che si dimenava nella sua
catena -Ma, non hai ancora finito?Ormai è mattina.
-Sì
lo so... - si scusò Caen, non poteva dire che non
c’è l’avrebbe mai fatta -Lo
farò tra poco.
-Ok,
ma poi portala con le altre alla Signora, perché tra poco
sarà Quel giorno.-
sottolineò le parole con enfasi, era un grande avvenimento,
anche se era permesso solo ai Sacerdoti di assistervi.
Irea
lo salutò -Beh, io vado, tu finisci e porta tutto ai
sacerdoti, dovrebbero trovarsi nella biblioteca.
Caen
si limitò ad annuire mentre lei se ne andava, sarebbe
riuscito a cancellare l’anima di Katia?
Doveva
farlo, perché lui era una marionetta e la mano che lo
calzava gli diceva di farlo.
Josh
uscì da scuola sollevato, quasi felice, un giorno, il primo
della sua nuova vita, era passato.
Un
giorno normale, neutro, un giorno come prima ne erano stati tanti.
Sorrise
camminando, sì, dopotutto gli andava bene anche
così, tutto poteva ricominciare senza tragedie, senza
problemi…
-Josh?-
la voce di Amy lo richiamò e lui si voltò
sorridendole.
Anche
lei rispose al sorriso -Ah allora non sei arrabbiato con
me…io dicevo di sì, oggi sei sempre stato
scortese, perché?
Josh
la fissò in silenzio, perché?
Perché mi sembra impossibile che tu sia tornata davvero,
perché è successo un disastro e tu non lo sai,
perché tutto questo sembra impossibile.
-Perché
avevo mal di testa- mentì lui
Amy
sorrise e lo superò -Bene, sono felice che non sei
arrabbiato con me!
Improvvisamente
Josh si voltò indietro e smise di camminare, la ragazza si
voltò -Beh? Perché ti fermi?
E
poi lo notò, Harry stava arrivano correndo verso di loro e
sorrideva rivolto a Josh, questo era troppo strano, com’era
possibile?
-Da-da
quando siete amici voi due?- balbettò Amy sgranando gli
occhi poi continuò con aria investigativa -Cosa avete
combinato mentre non c’ero?
I
due ragazzi risposero prontamente in coro -Niente di speciale...- .
La
ragazza rabbrividì -Ah! Parlate anche in coro! Siete
posseduti!- Josh si stufò e la sorpassò
indifferente infilandosi le mani in tasca.
-Smetti
di parlare a vanvera e cammina, scema…- sibilò
continuando a camminare senza voltarsi verso di lei.
-Aspetta!-
sbuffò lei correndogli dietro seguita da quello strano e
sorridente Harry.
Strano,
c’era qualcosa di troppo strano e anormale in tutta quella
situazione, perché erano tutti così lunatici?
Le
immagini lo perforavano, lo dilaniavano strappandogli un lembo per
volta, lentamente, per farlo soffrire.
Sentiva
il cuore esplodergli, mentre gli batteva frenetico nel petto, immagini
su immagini si sommavano formando un’intera vita.
Una
lacrima brillò nell’angolo degli occhi chiusi di
Caen, il mantello era agitato e gonfiato da un vento invisibile e la
fiamma dell’anima di Katia gli danzava rossa tra le dita
formando una luce che lo avvolgeva soffocandolo.
La
fiamma s'ingrossava agitandosi mentre la sua luce scemava penetrando
nelle mani di Caen.
Le
immagini gli arrivavano gelide, forti come schiaffi, tristezza
infinita, tremenda, lancinante.
Lacrime,
una vita senza senso, malattia, morte….
No,
no, basta!
Caen non resistette più, allargo le mani e la fiamma
guizzò via cadendo leggera a terra.
Ormai
vuota l’anima si aggrappava alle poche immagini che le
rimanevano, non voleva sparire, non voleva dimenticare tutto, non
voleva…
Il
ragazzo era in ginocchio a terra, i capelli rossi che gli ricadevano
davanti agli occhi, un fremito che lo agitava e le mani tremanti,
nervose.
Cercava
di ricordarsi come faceva prima, come poteva dimenticare
così facilmente la vita di una persona?
Si
rialzò in piedi e riprese fra le dita l’anima,
riusciva a sentirla implorare disperata, aggrapparsi a quelle poche
memorie che le rimanevano e fissarlo chiedendogli in silenzio
pietà.
Ma
lui non poteva fermarsi, terminò velocemente
l’incantesimo cercando di non pensare a nulla, di svuotare la
mente e lasciar passare quelle ultime immagini velocemente.
L’anima
tremò ancora qualche secondo fra le sue mani, poi si
accasciò e continuò a bruciare in silenzio,
grigia, vuota e ormai morta.
La
ripose in una gabbia per le anime e il nome della ragazza apparve
sull’etichetta in una grafia dolce e arzigogolata.
-Beh
è ora di portarvi dai Sacerdoti- commentò
prendendo due gabbie per il manico e chiudendosi la porta dietro.
Camminò
solo per quel buio innaturale, in quel luogo regnava eterno come se
fosse sempre notte, un’infinita notte senza luna
né stelle né finestre per poterle vedere.
Seguì
il corridoio quasi correndo, camminando a grandi passi, prima finiva,
meglio era, ormai mattina inoltrata.
Guardò
l’orologio che portava sempre al polso, erano le sette ormai
da parecchi minuti, suo fratello doveva essersi appena svegliato.
Camminò
ancora seguendo le porte con lo sguardo, se si ricordava bene, doveva
essere una porta di metallo argenteo.
Ed
eccola, più piccola e meno vistosa delle altre, di un
metallo lucente e brillante sebbene non potesse riflettere alcuna luce
se non quella di qualche torcia.
La
aprì con una spalla cercando di non fare cadere le gabbie
dalle mani.
-È
permesso?- chiese appena fu dentro.
Il
soffitto non era molto alto e le pareti erano impregnate
dall’odore di muffa e di vecchi libri, la calda luce delle
fiamme delle troppe torce per un luogo tanto angusto donava
all’ambiente ombre di un nero assoluto e luci rosso sangue.
Si
guardò attorno, il luogo sembrava deserto, però i
sacerdoti spesso erano come ombre invisibili, sottili e malvagi, loro,
fedeli servi della Madre, illuminati dalla sua luce più
grande.
Così
recitavano i testi che parlavano di loro, testi encomiastici che
elogiavano le loro lodi e ne narravano le loro gesta.
Tutti
i Dominatori erano costretti a leggerne alcuni durante la loro vita.
Aspettò
ancora un attimo in silenzio, l’unico suono era il crepitare
del fuoco delle torcie.
-Signori
Sacerdoti?- ancora nessuna risposta.
–Scusate
avrei le gabbie per le anime, dovete …?-
incominciò ad avanzare per la stanza a passi cauti
guardandosi attorno furtivo, c’era qualcosa di strano in
quella situazione.
Prima
di riuscire a terminare la frase inciampò in uno scatolone
di libri e sbatte contro una libreria che si
trovava davanti a lui.
Il
mobile traballò pericolosamente, Caen cercò di
tenerla ferma, ma una pila di libri bianchi gli cadde comunque addosso.
Bianchi?
Non
ricordava dei libri candidi nella libreria Ne raccolse uno, e se lo
rigirò fra le dita: un’appariscente croce rossa ne
segnava la copertina La libreria eretica!
Ma
allora aveva sbagliato, un errore madornale, tremendo, mortale.
Rimise
velocemente al loro posto i libri, aveva sbagliato porta, lì
era vietato anche solo entrare figuriamoci toccare o, peggio ancora,
leggere i tomi proibiti.
Li
stava impilando alla rinfusa nel mobile quando un piccolo libro nero
attrasse il suo sguardo, Nero?Perché
un libro di magia si trova qui?
Lo
raccolse, e lo fissò a lungo, sembrava un libro
normalissimo, iniziò a sfogliarlo titubante.
Si
trattava di un manoscritto, anzi un diario, era riempito di date,
schizzi e appunti, la calligrafia era minuta, spesso frettolosa e
sporca ma dolce.
Perché
si trovava in quella libreria?
Si
sedette a terra e sotto la luce color tramonto della torcia
iniziò a leggere:
“Diario di Sofia giorno uno”
Aveva
già sentito quel nome? Incurante delle regole la
curiosità lo vinse e si vide trasportato in un mondo a lui
proibito, aprendo le porte a un segreto che doveva rimanere tale.
Josh
tornò a casa esausto, ma in fondo era felice, Amy era con
lui no?
Era
viva, cosa c’era di più importante di questo?
Non
importava che non avesse più i ricordi con lui, non
importava che avesse dimenticato tutto.
Eppure,
quando finalmente pensava di essere riuscito a dirle chi era veramente,
eccoli di nuovo da capo, senza passi in avanti senza nessun ricordo
della verità, che vagava nell’oblio delle false
memorie create da Caen.
Si
sedette sul divano e si ritrovò a fissare il soffitto nero
superandolo ed entrando in un mondo tutto suo, un mondo che pareva
felice, ma trasudava angoscia.
Perché
non era umano?
Il
destino gli aveva donato un passato triste e un terribile futuro, se
solo quelle menzogne fossero durate per sempre…
Sapeva
che era impossibile, impossibile come desiderare di essere umano,
impossibile come l’amore tra lui e Amy…
Si
coprì gli occhi con le mani, mentre sentiva una tristezza
infinita ricadergli addosso pesante e insostenibile per le sue sole
spalle.
Avrebbe
voluto che qualcuno lo sostenesse con lui, Amy magari, o
chissà…
Sentì
la manica della camicia sfiorargli la ferita alla spalla destra con
leggerezza.
Come
stava il tatuaggio?
Non
aveva più controllato da tempo.
Iniziò
a sbottonarsi la camicia lentamente come se ogni bottone potesse
distoglierlo da quei pensieri.
Si
tolse la maglia con cautela e si passò una mano sulla
ferita: la crosta era leggera come al solito eppure sembrava
più ampia, era come se non volesse guarire mai, anzi, pareva
peggiorare.
Guardò
il tatuaggio, ormai cancellato, né rimaneva solo un angolo a
bordo spalla, gli sembrava uno spettacolo devastante, come se tutta la
sua vita fosse sempre stata racchiusa in quei sottili segni neri sul
suo braccio.
Strano,
improvvisamente si sentiva stanco, gli occhi pesavano e il corpo voleva
cadere e abbandonarsi.
Le
palpebre si chiusero lentamente mentre un nero infinito copriva la luce
della stanza.
Una
voce suadente e allo stesso tempo metallica e rimbombante gli suonava
in testa, un ricordo della sua infanzia, qualcosa che da tempo aveva
dimenticato.
Vedeva
un volto, un sorriso dolcissimo, delle mani guantate che lo
abbracciavano e quella voce che gli sembrava così familiare
gli parlò calorosa ma allo stesso tempo fredda, distante
-Non
preoccuparti- mormorava la donna stringendolo a
se–Andrà tutto bene Josh -
Il
suo nome gli risuonava in testa milioni di volte sempre più
forte sempre più reale sempre più vicino.
-JOSH!!!-
una voce lo risvegliò dal suo sonno facendolo sobbalzare
proveniva da sotto la sua finestra.
Il
ragazzo si rimise in fretta la camicia e si sporse guardando in basso,
Amy lo fissava sorridente agitando la mano –Josh, finalmente!
È un sacco di tempo che ti chiamo!Dormivi?
-Emh…sì.
-Come
i vecchietti…- commentò lei sorridente
–Dai verresti con me al compleanno di Leo? Lo festeggia sta
sera!
-Co-cosa???
Ma perché non mi ha avvertito quello scemo?Non ho nemmeno un
regalo!
-Dai
non ti preoccupare ho io un regalo, gliel’ho daremo insieme
ok?
-Arrivo
subito Amy!
Josh
chiuse la finestra e s’incamminò verso
l’armadio, cos’era quello strano sogno?
Eppure
per quanto s’impegnasse non riusciva a ricordarsi il volto di
quella donna, chi era?La Madre?
Possibile
che avesse vissuto con lei quando era piccolo?Non riusciva a ricordare,
quando ancora faceva le elementari con Amy aveva deciso di cancellare
ogni suo ricordo di quando era piccolo.
E
così era successo.
Eppure
solo adesso si rendeva conto di quanto gli servivano quei ricordi.
Harry
camminava per strada perso nei suoi pensieri, si era fermato troppo
tempo nei negozi e ormai si era fatto buio.
Il
cielo sfumava da un blu cobalto a sfumature rosate e dorate, erano
bellissime, le nuvole riflettevano quelle luci colorate e affascinanti
come fossero batuffoli di morbido e candido cotone.
Un
quadro, un quadro che lui trovava meraviglioso
Riprese
a camminare più svelto, era tardissimo, forse sua madre era
addirittura arrivata a casa e lo attendeva perché doveva
aver già finito di far la spesa almeno da un’ora.
Lei
l’aveva chiamato chiedendogli quel favore circa due ore
prima, si era distratto pensando che fosse ancora presto ed era andato
al parco.
Strinse
a se le due borse di cartone che portava in braccio e riprese a
camminare verso la meta più in fretta, il buio avanzava
velocemente.
Improvvisamente
si accorse di aver preso la strada più buia e più
isolata per arrivare a casa, accidenti, a quell’ora non era
sicuro.
Beh,
lui sapeva difendersi.
Continuò
a camminare quando un mugolio lo distrasse.
Dopo
un attimo di esitazione andò nella direzione da dove
proveniva lo strano suono.
I
lampioni finivano, la luce era minima, la calda e colorata luce del
tramonto illuminava i contorni delle case, case grigie, alte che gli
mostravano solo un rettangolo di cielo dorato.
Il
mugolio continuava disperato, simile ad un singhiozzo, parole confuse,
dette con voce strozzata, come se qualcuno gli impedisse di parlare.
Ma
che stava succedendo?
-No…non
lo fare…ti prego- era la voce di una donna, poteva essere in
pericolo.
Harry
cominciò a correre in direzione della voce e allora lo vide.
Tra
un misto di orrore e sorpresa vide un uomo che strozzava una ragazza,
la teneva sollevata da terra tra le sue dita.
Le
braccia dell’uomo erano muscolose e tese dallo spasmo, il
castano era dietro di lui, vedeva il volto della donna tirato in una
smorfia di dolore, gli occhi chiusi, le mani strette sopra quelle
dell’uomo nel vano tentativo di allentare quella presa ferrea.
Uno
stupratore? Harry
fissò il mantello dell’uomo No,
peggio, un Cacciatore.
-Perché
non sei stata buona stupida?- disse feroce la voce del Dominatore
–Se fossi stata ferma sarebbe stato più facile
toglierti l’anima.
La
ragazza stava perdendo i sensi e si accasciava morbidamente tra le mani
dell’uomo senza più alcuna protesta.
Le
braccia che allentavano la presa e le cadevano lungo i fianchi.
Il
Cacciatore la lasciò cadere a terra senza alcun riguardo
–Finalmente hai ceduto- diede un calcio al corpo inerme di
lei –E ora…-
Le
sue mani iniziarono a brillare di una luce fredda e potente.
Harry
non poteva rimanere lì a guardare, ma se fosse intervenuto,
avrebbe sicuramente ucciso l’uomo, sentiva già un
odio, una furia ceca crescere dentro di se, il suo occhio sinistro
bruciava rosso e insanguinato.
Non
poteva resistere, doveva fare qualcosa, ma cosa? Si era ripromesso di
non uccidere più nessuno, non voleva…
Eppure,
si stritolò le mani in una morsa fino a far diventare le
nocche bianche
Fece
un passo in avanti e il suo piede destro sbatte contro una bottiglia di
plastica che rotolò rumorosamente per la strada.
Il
Cacciatore distratto dal rumore si voltò verso di lui,
l’incantesimo nelle sue mani si spezzò e si
avvicinò a grandi passi verso Harry.
-Ma
cosa abbiamo qui?- disse con un ghigno feroce –Uno spione?O
un povero sfortunato?
Harry
non si fece spaventare e sostenne il suo sguardo con rabbia, il suo
occhio sinistro fremeva ma rimaneva grigio, le sue mani non riuscivano
a non tremare, ma lui doveva trattenersi.
L’uomo
era alto, taurino e vigoroso, la pelle era stranamente olivastra e gli
occhi brillavano chiari su quel viso così scuro, un azzurro
e l’altro quasi dorato.
-Lasciala
stare.- dichiarò il castano con meno sicurezza di quanto
pensasse.
Il
Dominatore rise beffardo –Abbiamo un coraggioso è?
Cosa vorresti farmi uccidermi? Sei proprio uno stupido.
Le
mani di Harry si mossero quasi contro la sua volontà, furono
veloci,anche troppo, prima che lui potesse anche solo ragionarci
avevano aggrappato il collo dell’uomo e lo strinsero con
forza.
Una
parte del ragazzo voleva dirgli di smettere, ma il suo grido fu coperto
dal ruggito della rabbia repressa che provava verso i Cacciatori.
-Con
me non si scherza capito?- ringhiò con rabbia
–Vuoi provare anche tu quello che ha provato lei?
Il
suo occhio si accese insanguinato e violento, fissava con un odio
innaturale l’uomo –Assassino che non sei altro sei
solo un bastardo-, continuò Harry senza lasciare la presa
del collo dell’uomo.
-Tu…tu…-
mormorò il Cacciatore con voce strozzata
–Sei..un…Predatore?
Un
sorriso enigmatico e feroce si dipinse sul volto del castano, ma
lasciò il collo del Dominatore che
s’inginocchiò a terra tossendo.
-Sappi
che non ti ucciso solo per pietà- mentì Harry
mentre prendeva in braccio la donna e recuperava le borse della spesa
–Se ti rivedrò ancora non so se ti
andrà tanto bene.
Il
Cacciatore lo guardò con odio, ma non osò
muoversi da dove si trovava.
Harry
chiuse gli occhi, aveva di nuovo sbagliato, non avrebbe dovuto, per
poco non lo aveva ucciso, gli mancava pochissimo.
Era
un mostro, lui non era diverso da loro non era nient’altro
che un mostro.
*Milli
Lin*