The voice of silence…
Capitolo 1°
“Draco, vuoi muoverti da qui e salire insieme a me sulla nave oppure preferisci rimanere a guardare tu solo sai cosa?” lo incitò Cloe, la sorella, con un sorrisetto sardonico in volto, le mani incrociate al petto ed il peso del corpo spostato su una gamba. Era questo il loro moderno modo di parlare, e se qualcuno li avesse sentiti di sicuro non avrebbe definito questo, “modo di parlare”, ma lo avrebbe definito più battibecco tipico di sorella/fratello. Eppure c’era un qualcosa di affettuoso in quel modo di fare, in quelle parole, in quei gesti, c’era affetto, ma dimostrato in modo molto implicito, quasi come facevano i poeti ermetici nelle loro poesie per esprimere i propri sentimenti, poche parole ma essenziali. Il supposto Draco si voltò verso la ragazza, inarcò il sopracciglio e rispose anch’egli con lo stesso sorrisetto riservatogli dalla sorella.
“Cos’è questo veleno che mi sta raggiungendo dalla tua direzione?”
“Tu che dici?”
“Io dico che non è neppure la metà di quello che sai fare quando ti metti con tutte le tue forze!”
“E se ti dicessi che sei un brutto furetto platinato senza cervello ed hai la pelle da femminuccia la tua opinione sul mio “veleno” cambierebbe?”
“Mh… fammi un po’ pensare… NO, credo proprio di no, non supererai mai il sottoscritto!” le rispose il biondino, avvicinandosi alla ragazza e bloccandosi proprio vicino a lei.
“Allora, vuoi muoverti da qui e salire insieme a me sulla nave oppure preferisci rimanere a guardare tu solo sai cosa?” le disse con un sorriso canzonatorio dipinto in volto.
“Come vuoi… ” gli disse prendendolo a braccetto e cominciando a dirigersi a passo sostenuto verso la nave “comunque sei un cretino!”.
Ormai il sole era quasi totalmente tramontato, lasciando dei suoi caldi e luminosi raggi solo qualche striatura rossiccia che andava ad alternarsi con il colore azzurro scuro del celo creando un’armoniosa mescolanza di colori. Sicuramente sarebbe stato molto positivo per i passeggeri poter assistere a quel tramonto, soprattutto perché se non avesse calmato la loro eccitazione per la partenza, almeno li avrebbe rassicurati che il giorno successivo sarebbe stato bel tempo, dato che la prima cosa a cui si da molta importanza durante un viaggio in mare è lo stato della temperatura, dei venti ed altri gerghi marinareschi incomprensibili. Peccato che proprio quando la natura ci da la possibilità di poter assistere ad uno spettacolo come quello, noi non cogliamo mai l’occasione al volo, questo perché secondo le persone presenti sulla nave, era sicuramente più importante andare nella propria camera e vestirsi per la cena anziché stare fuori a vedere il celo che può essere osservato in qualsiasi altra ora del giorno. Ignoranti, stupide persone ignoranti che si atteggiano ad essere nobili quando non apprezzano le cose più belle della vita come poter assistere al tramonto del sole o al suo risveglio o a qualsiasi altra cosa la natura ci offra. Forse è un po’ esagerato dire così, ma se l’argomento di cui si sta parlando è drammatico di certo non si può renderlo allegro! Comunque sia, ormai tutti i passeggeri erano sulla nave, nelle loro camere ben arredate ed eleganti a sistemare le valigie, mentre l’imbarcazione aveva cominciato a solcare il mare già da un bel po’ di tempo. Peccato che gli unici consapevoli del fatto che ormai si era completamente lontani da terra e quindi in balia delle onde e che se qualcuno avesse avuto l’intelligente idea di voler tornare a casa avrebbe dovuto fare un bel tratto di mare a nuoto con il rischio di imbattersi in uno squalo o qualche altro pesce pericoloso, erano solo gli addetti alla sala macchine, costretti a dover perennemente tenere sotto controllo le condizioni metereologiche e del mare, che noi conosciamo come fonte di allegria e pura bellezza, ma che in verità può causare più danni di quanti si potrebbe immaginare. Eppure, nonostante gli uomini siano consapevoli dei pericoli che può causare questa apparente distesa d’acqua calma che sprigiona pace e tranquillità, continuano a sfidarla ed a cercare di solcare le sue onde, continuano a cercare di imprigionarla in mille modi differenti, dall’uso delle dighe, all’invenzione dei battelli, dei velieri, dei sommergibili e dei ponti. Nessuno aveva ancora scoperto però, che imprigionare l’acqua è come voler frenare una forza inimmaginabile, pari alla forza centrifuga o all’attrito presente nei conduttori di elettricità; in un certo senso la si potrebbe paragonare alla forza dell’amore se fosse astratta e poco comprensibile come esso. E sinceramente la finale del match tra uomo ed acqua sicuramente dichiarerebbe la vittoria della materia liquida e cristallina, come ce ne hanno dato prova i numerosi straripamenti dei fiumi che soprattutto gli egiziani cercavano di trattenere nelle loro “culle”, ovvero nei loro letti. Sta di fatto, che ormai il sole non era più la caratteristica principale del celo, in quanto aveva appena deciso di fare un tranquillo bagno nelle profondità tenebrose e scure dell’oceano, e l’ora di cena si stava avvicinando a passo esorbitante. Camerieri in ritardo intenti a correre per raggiungere le cucine e donne delle pulizie affaccendate a riporre negli sgabuzzini che si trovavano a distanza di cinque metri l’uno dall’altro nel corridoio principale, cominciavano già a notare i primi passeggeri che si dirigevano ridendo e scherzando verso la sala da pranzo della nave. Probabilmente la fame accecante espressa al meglio dal borbottare continuo della loro pancia li aveva convinti ad uscire dalle loro camere per poter sopravvivere, non tanto per non “morire di fame”, ma soprattutto per poter fare la crociera e per non perdere i loro soldi. Che idiozia. Che stupidaggine. Che assoluta stupida idiozia! I pochi presenti nella sala da pranzo, quando entrarono in quello stupendo spazio circolare rimasero a bocca aperta per lo stupore. Probabilmente da quel giorno avrebbero fatto più attenzione al tramonto, questo perché la bellezza di quel luogo aveva risvegliato le loro menti quasi irreparabilmente annebbiate. O forse no. O forse tutto sarebbe continuato ad andare avanti come sempre, con un bel sole rosso fuoco destinato a sprofondare nell’oceano in completa solitudine. O forse sarebbe stato accompagnato dagli occhi di ghiaccio di un bel biondino che avrebbe cercato di rimediare la sua solitudine accompagnando ipoteticamente il sole nel suo letto. Chi lo sa, per ora l’unica cosa indubbia era che la sala in pochi minuti si era riempita zeppa di persone, probabilmente l’attacco di fame acuta si era rivelato essere un’epidemia che non dava scampo a nessuno, neppure al più temerario dei temerari. Si potevano individuare dappertutto persone impegnate a cercare un tavolo libero, chi lo aveva già trovato e parlava animatamente con il proprio compagno vicino, camerieri che sfrecciavano ad una velocità esorbitante per poter soddisfare tutte le esigenze, anche le più impossibili, dei passeggeri, e ragazzi che cercavano di districarsi dall’abbraccio dei propri genitori che non facevano altro che presentare i propri figlioli ai presenti. A proposito di ragazzi, figli e figlioli, quell’anno stranamente il numero dei giovani che accompagnavano i genitori era notevolmente salito, anzi, probabilmente quella era la prima volta che partecipavano persone minori di 50 anni alla crociera. Così, colpito da chissà quale idea geniale, un cameriere autorizzato decise di preparare un tavolo riservato unicamente ai ragazzi, in modo da non obbligarli a dover passare una intera serata ad ascoltare le stupide conversazioni dei propri genitori. Si chiamava Jack, il cameriere intendiamoci, era un ragazzo di all’incirca 20 anni appena compiuti, abbastanza alto ma non di certo un grattacelo, con un taglio di capelli sbarazzino e un viso molto simile ad un uovo di pasqua incartato. Portava con finta eleganza uno smoking nero ma si poteva notare la sua sbadataggine proprio dal nodo del cravattino, che più che una cravatta, sembrava un cappio per affogarsi così com’era legato. Evidentemente non aveva avuto la possibilità di chiedere a nessuno di essere aiutato nell’ardua impresa. I ragazzi gliene furono grati quando ad uno ad uno andò a chiamarli allontanandoli dai propri genitori, mentre questi ultimi probabilmente lo avrebbero fulminato con il solo sguardo se solo non fossero stati più impegnati a parlare tra di loro. In tutto, quando presero posto ognuno alla rispettiva sedia, i presenti erano 32, e nessuno avrebbe creduto che quelli fossero ragazzi, nel senso che nessuno avrebbe creduto che potessero rimanere in silenzio come facevano in quel momento. Alcuni imbarazzati prestavano molta attenzione all’elegante tovagliato, altri mostravano un particolare interesse mai scoperto prima di allora per il rivestimento in legno pregiato del pavimento e altri ancora mostravano un’aria sbruffona e sfacciata osservando tutti i minimi particolari di chi li circondava. Due ragazzi invece, stavano per conto loro, con uno sguardo freddo come il marmo greco poggiato con eleganza sul proprio piatto di fine porcellana tenendo le braccia incrociate e lo sguardo fisso. Draco e Cloe Malfoy. La prima portata fu servita al loro tavolo dopo all’incirca 15 minuti di puro e insano silenzio, e da allora la tristezza del silenzio si ruppe. Questo perché intelligentemente qualcuno aveva pensato di inventare le posate con un materiale che vibrando produceva rumore. Incredibile, incredibile come tutti, nessuno escluso di quelli presenti a quel tavolo desiderasse con tutto il cuore allontanarsi dai propri genitori per divertirsi… e invece? Ma certo, invece tutti pensavano fosse meglio dare il via ad un concertino posate-sinfonico anziché fare vibrare le proprie e naturali corde vocali. Imbarazzo mescolato a noia si aggirava per il grande spazio circolare insinuandosi tra i più strani pensieri dei ragazzi, una miscela del tutto esplosiva se mescolata al freddo polare del cuore di ghiaccio di uno in particolare di loro. E stranamente come attirata da una potente calamita, la miscela esplosiva immaginaria raggiunse proprio il diretto interessato. Si alzò dal proprio posto senza causare alcun rumore, sembrava che i suoi movimenti fossero leggeri e senza peso, e con un piccolo cenno salutò cordialmente tutti uscendo a grandi falcate dalla sala da pranzo, lasciando sbigottita la sorella. Fu da allora, non si sa per quale motivo, che i ragazzi cominciarono a dialogare. Ovviamente non parlarono molto, ma abbastanza per potersi conoscere. Era come se l’inquietudine e l’ansia di quel ragazzo avesse contagiato chiunque gli stesse attorno, abbandonandoli proprio nel momento in cui la causa di tutto quello aveva intelligentemente pensato di abbandonare il tavolo. Un alone di mistero lo circondava, come una fitta nebbia che faceva si che nessuno riuscisse a penetrare nei suoi più segreti sentimenti. Segreti mai svelati, ma dei quali forse un giorno qualcuno ne sarebbe venuto a conoscenza. O forse no.
Una bella ragazza, dai boccoli rame era appena uscita dal portone della sala da pranzo, dirigendosi lentamente verso la passerella. Le stava scoppiando la testa e sicuramente rimanere in quel caos non le avrebbe fatto bene come prendere una boccata d’aria fresca al chiaro di luna. Successivamente però, si accorse che la boccata d’aria fresca non era propria fresca, cioè spiegandosi meglio, la boccata d’aria fresca era congelata. E lei, che aveva avuto la brillante idea di uscire con indosso solo una magliettina, ne stava subendo le conseguenze. Quando raggiunse il ponte si soffermò sulla figura che le si stagliava davanti. Stranamente a tavola non lo aveva neppure visto, e per un momento constatò l’ipotesi che fosse diventata ceca. Le parve molto strano trovare un ragazzo di quell’età ad ammirare il mare. Suo fratello ad esempio era dentro che si divertiva con gli altri, e ci aveva già provato con ben tre ragazze fino a quando lei si era alzata con una banale scusa uscendo dalla sala. Gli si avvicinò un po’ di più cercando di essere il più lenta possibile e non intaccare con la sua finta eleganza la sua concentrazione. Era senz’altro uno strano ragazzo, ma era senz’altro uno stupendo ragazzo. I capelli biondissimi si muovevano leggermente al ritmo del “fresco” venticello, dei quali una piccola parte andavano ad offuscargli la vista accarezzandogli la fronte e le gote, la pelle diafana sembrava quasi luminosa, come la luce della luna di quella sera, e la sua compostezza ed anche si può dire la sua freddezza nello sguardo che intravide la ammaliavano. Solo in quel momento poi si accorse di essere accanto a lui poggiata sulla ringhiera ad osservarlo. E solo in quel momento si accorse di avere lo sguardo incatenato a quello intenso e magnetico del biondino. Voltò il viso dandosi della stupida mentre lo vide portare nuovamente il viso verso il chiaro di luna. Stupida! Fu quello che si ripeté per almeno dieci minuti di seguito, fino a quando non notò che lui era rimasto esattamente dove si trovava da chissà quanto tempo. Chi sei straniero? Era la domanda che si ripeté mentalmente. Nonostante la sua testa stesse scoppiando la presenza di quel ragazzo sembrava la stesse aiutando nell’ardua impresa di calmarsi dopo il battibecco avuto con il fratello in sala da pranzo. Era come essere accompagnati dalla voce del suo silenzio, una voce apparentemente fredda distante, ma che sembrava avesse qualcos’altro che lei non riusciva a capire cosa fosse. Erano così tante le frasi mai dette da quella voce silenziosa che lei non riusciva ad apprendere pienamente tutto il significato di quelle parole. Probabilmente non avrebbe mai capito cos’è che aleggiava nella mente di quel ragazzo strano, o forse si, o forse non lo avrebbe mai più rincontrato.