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Autore: Aurora Barone    07/02/2010    1 recensioni
Ripropongo una storia che avevo scritto all' età di 14 anni, si può dire che è stata la mia prima storia, anche se prima ne esisteva un'altra versione, comunque questa è la versione che sto revisionando. Un crimanale e una ragazzina che subisce molestie dal padre adottivo si incontrano per caso in sgradevoli circostanze.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Il prossimo sarà il capitolo finale!=)

Yoko:

Ormai giunte in classe, iniziò la lezione di giapponese e poi ad un'ultima ora comparve il prof di matematica,quando lui propose l' esercizio che Reika aveva svolto nel fogliettino poggiato sopra la scatola dei biscotti, lei sbiancò di colpo.

“Ragazzi sono certo che qualcuno di voi è in grado di svolgere quest' esercizio!” disse chiamando un po' tutta la classe in causa per vedere se qualcuno gli rispondesse con un si, ma tutti dicevano di non esserne in grado, poi l'ultima persona che chiamò fu Reika. Lei come gli altri disse di non esserne in grado, lui la guardò con un espressione incerta, poi chiamò me, io lessi e rilessi l' esercizio alla lavagna, lui con sarcasmo affermò “Figuriamoci non sai fare neppure una disequazione, figuriamoci un esercizio come questo!”

Avrei tanto voluto rispondergli male, ma sapevo di non poterlo fare, così rimanevo in silenzio trattenendo la rabbia, dopo si rivolse a Reika dicendogli di provare a fare l' esercizio, lei con imbarazzo si alzò continuando ad affermare di non saperlo fare, mentre lui la incoraggiava a provarci. L' aveva scoperta, pensai non appena si fece insistette e quando Reika con imbarazzo raggiunse la lavagna, lui rimase in silenzio, mentre lei continuava a fingere di non saperlo fare.

Poi lasciò alla classe un altro esercizio, mentre continuava a perseguitare Reika costringendola a svolgere quell' esercizio alla lavagna, lei incomincio a sbagliare di proposito l' esercizio, lui guardò gli errori della sua alunna con un espressione bizzarra, poi dopo averla corretta spiegandole come avrebbe dovuto eseguirlo disse “ Sono proprio buoni i biscotti fatti in casa” affermò con un espressione seria che tratteneva un sorriso, poi osservò con la coda dell'occhio Reika ormai paonazza,mentre tutti gli altri studenti osservavano confusi il professore.

Quando suonò la campanella, Reika conservò tutti i libri pronta a darsi alla fuga, ma il professore la chiamò in disparte dicendo che doveva parlaRle, lei guardò con sguardo di supplica dalla miaparte per indurmi a non lasciarla da sola con il professore, ma lui mi osservò con quello sguardo che significava sparisci,così l' aspettai fuori dalla porta. Udii la voce del professore e quella di Reika ma non riuscii a capire cosa si stessero dicendo, poi poggiai l' orecchio nel muro per poter origliare meglio,poi sentii la voce del professore chiamarmi “Akiyame!” ringhiò notando il mio orecchio appiccicato al muro. Io mi ricomposi e lui se ne andò, poi vidi uscire Reika dalla porta della classe con un espressione confusa e turbata teneva la scatola di biscotti ormai vuota. Mi guardai attorno, per vedere se era ancora nei paraggi, non appena mi accorsi che se ne era andato, gli chiesi curiosa che cosa fosse successo, lei disse semplicemente che si era limitò a restituirle la scatola di biscotti ringraziandola per il pensiero, ma suggerendole di darli la prossima volta a qualcuno di veramente speciale e non ad un austero professore come lui, poi la sentii dire tristemente “Mi sa che mi ha rifiutata...”

Ormai fuori dalla scuola,aspettai insieme a Reika l' arrivo di Kyo che mi doveva venir a prendere come di consueto, mentre lei aspettava i suoi genitori chiamandoli al telefonino, ma a quanto pare avevano il cellulare spento, la sentii per la prima volta bestemmiare contro i suoi genitori, poi sentii dei ragazzi urlare “Ma quello non è Nageshi,?! Che ci fa nel cortile della nostra scuola?!”

Poi lo vidi giungere verso di me, era proprio lui mio padre, che tentava di deviare le persone che lo tempestavano di domande, chiedendogli se non fosse veramente lui. Lo osservai perplessa, avrebbe dovuto venirmi a prendere Kyo non lui, poi quando incrociai lo sguardo di Reika che mi osservava interrogativa dissi “Lui è...” ma per quanto mi sforzassi non riuscivo proprio a pronunciare quella parola, così alla fine dissi “è mio zio”, poi Nageshi chiese a Reika se volesse un passaggio, ma lei con gentilezza rifiutò.

Salii silenziosamente in macchina, si trattava di quel rottame che aveva comprato Kyo, infatti Nageshi fece qualche commentino sprezzante dicendo “Ma che ha per la testa quel ragazzo, comprare una macchina come questa, forse non è neppure sicura...”Poi incominciò a cimentarsi nella guida con un espressione un po' preoccupata impressa sul volto, poi gli chiesi “Come mai non è venuto Kyo?”

“Ho detto di volerti venire a prendere io, dopotutto sono io tuo padre...che c'è per caso ti dispiace che sia venuto io a prenderti e non Kyo?”

“No, sono soltanto un po' stranita...tutto qui!” affermai in estremo disagio, dopo un po'piombò il silenzio e quell' atmosfera silenziosa si fece pesante.

“Com'è andata a scuola?” disse per rompere il ghiaccio.

“Bene...” affermai non del tutto convinta,più che altro ripensavo allo sguardo sconsolato di Reika "Mi deve aver rifiutato"la sua voce risuonava nbelle mie orrecchie, mettendomi angoscia, era vittima di un amore non corrisposto.

Ormai di ritorno a casa, pranzammo in prodigioso silenzio, Toshio guardava dalla parte del fratello, mentre Saichi guardava lui, mentre io e Kyo ci osservavamo quasi di nascosto, distogliendo lo sguardo non appena Nageshi ci osservava parlando, poi Kyo accese la tv e come al solito il telegiornale parlava di Keitawa e Nageshi, dopotutto le elezioni erano ormai vicinissime.

Kyo sembrava imitare il modo di mangiare di mio padre, poi sorseggiò un po' d'acqua, mentre mio padre di colpo disse “Guardandoti bene, tu somigli tanto a qualcuno che conosco...” Kyo si affogò con l' acqua non appena sentii questa frase.

Mio padre non era al corrente che Kyo fosse figlio di Keitawa e se lo avesse scoperto non osavo immaginare quale sarebbe stata la sua reazione, poi guardò la tv fissando il volto di Keitawa e poi quello di Kyo, lui allora cambiò canale.

Dopo il pranzo, mio padre mi propose di uscire insieme, dovevamo recuperare tutti quegli anni trascorsi in lontananza,però allo stesso tempo, volevo rimanere sola almeno un momento con Kyo, ma dovetti rinunciarci, mio padre era sempre tra i piedi oppure c'era Toshio e Saito.

Ormai fuori di casa, mio padre prese un taxi rifiutando di dover utilizzare quel cartoccio comprato da Kyo, nonostante lui lo avesse assicurato che la macchina fosse sicura, ma mio padre si impuntò e tra i due lui riusciva sempre ad averla vinta, o più che altro Kyo glie la dava sempre vinta, lo assecondava sempre, in un modo quasi snervante e non me ne spiegavo la ragione.

Ok, era mio padre, ma quelle attenzioni e cordialità, mi sembravano a dir poco esagerate e ingiustificate.

Quando arrivammo a destinazione, lui mi disse “Sai non è una casualità che io abbia spinto Kyo a portarti ad Okinawa...”

“Che significa tu hai spinto Kyo a portarmi ad Okinawa?” gli chiesi perplessa.

“Non te l' ha detto, io ti ho affidata a lui...l' ho pagato per questo”

“Aspetta...Cosa?” chiesi piuttosto alterata.

“Pensavo te l' avesse detto,ma non hai motivo di prendertela...” affermò tranquillamente.

“Cioè lui era il mio babysitter!” affermai furiosa.

“Ecco, cerca di capire tu ti fidavi soltanto di lui e poi non potevo lasciare che rimanessi a Tokyo con Keitawa e poi non potevo neppure dichiarare che tu fossi mia figlia, perché poi la stampa ne avrebbe parlato, insomma un macello dopo l' altro, quindi ho pensato che solo dopo le elezioni ti avrei riportato a casa, ma in quell' arco di tempo dovevi stare da qualcuno e siccome di Kyo ti fidavi, ho pensato che fosse la cosa migliore...”

“Non sono arrabbiata con te, ma con lui!” affermai nervosa.

“Perchè? C'è forse qualcosa fra di voi?” chiese sospettoso.

“No, nulla cioè solo una profonda amicizia...” esclamai mentendo. Ero sicura che non avrebbe approvato il nostro rapporto sentimentale, perché io ero la sua figlia quattordicenne e lui era un ragazzo ventiduenne e per giunta ex spacciatore.

“Comunque ti dicevo, non è un caso che ti abbia fatto venire ad Okinawa, perché sai tua madre in passato viveva qui, infatti è qui che l' ho fatta seppellire quando ho saputo che era morta...”

Osservai il luogo in cui dov'eravamo, era un cimitero pieno di alberi, gigli bianchi sparsi un po' ovunque, si udiva anche il cinguettio degli uccelli e in quel luogo regnava la pace, era come un luogo lontano dal mondo, non si sentiva neppure il ridondante rumore del viavai delle macchine, perché sorgeva lontano dai centri abitati.

Dopo aver camminato a lungo arrivammo dinnanzi alla sua tomba, con il cuore in gola lessi il nome inciso nella lapide era proprio quello di mia madre “Kyoko Fudaka”poi un sorriso triste mi si stampò in viso, ero in parte contenta perché il suo corpo era conservato in quella tomba e non era finito sull' immondizia o rimasto abbandonato per strada in attesa che qualcuno lo portasse via prima che si putrefacesse.

Osservando la sua tomba per la prima volta, fu come se avessi realizzato soltanto in quel momento che lei fosse morta, lo sapevo già però quella lapide non lasciava trasparire alcun dubbio, era la prova indelebile che lei non era più con noi.

Una lacrima solcò il mio viso, poi ne seguirono altre, come una pioggia violenta e incessante,mio padre vedendomi in quello stato si scusò per avermi portato lì, ma io gli dissi che non avesse di che di scusarsi, anzi ero felice di aver potuto vedere “mia madre” non più sul ciglio di una strada, ma in una tomba come tutti gli altri defunti, perchè anche lei ne era degna, nonostante il suo lavoro.

Mi aveva voluto bene, nonostante io rappresentassi un problema per il suo lavoro e non avesse neppure i soldi per mantenermi, poiché non aveva neppure una casa, viveva per strada, lei decise comunque di tenermi con sé, non mi abbandonò, non abortii, rimase con me donandomi il suo affetto e i soldi che raccimolava li spendeva solo ed esclusivamente per me. A volte mi portava anche da una qualche sua amica che viveva in una sorta di bordello vecchio stampo, io rimanevo in una stanza vuota con un letto dove altri uomini avevano consumato prima che io arrivassi lì, quello che mia madre mi ordinava di fare era di non uscire mai da quella stanza e se qualche uomo entrava nella stanza dovevo urlare.

Quando non lavorava mi portava sulla spiaggia ad osservare il mare durante il tramonto, a volte giocava con me ad acchiapparello, io correvo velocemente per non farmi catturare, lei correva a fatica, poi a volte perdeva l' equilibrio come se si sentisse male, una volta si ferii ed io mi avvicinai a lei per darle un fazzoletto per asciugare la ferita, ma lei mi allontanò urlandomi contro che dovevo starle lontano, quando faceva così non la capivo, sapevo solo che stava sempre male e persino il suo lavoro non sembrò più procedere come prima.

“Tua madre ha contratto l' aids e pure glie l' avevo sempre detto di stare attenta e di non fidarsi delle richieste dei clienti che le davano più soldi per farlo senza preservativo..” la sua espressione era cupa e un po' in soggezione nel parlare di certo cose con me.

“Se l' amavi perché non le hai fatto abbandonare quel suo modo di vivere?” gli chiesi incerta.

“Io provenivo da una buona famiglia e i miei genitori non volevano che io frequentassi una prostituta, fecero di tutto per impedirmi di vederla, ma io andavo da lei sempre e comunque, solo che non potevo di certo ospitarla a casa, io vivevo con i miei e poi lei non voleva complicarmi la vita. Penso che per questa stessa ragione non mi abbia detto di te e mi abbia allontanato da lei per evitare che lo scoprissi”disse sommessamente.

Mia madre era sempre stata una donna forte, testarda e che non voleva mai essere fonte di problemi per gli altri, quindi sicuramente doveva essere andata come diceva mio padre, aveva preferito crescermi da sola senza l' aiuto di mio padre, per evitare di dovergli creare dei problemi in famiglia.

Poi mi raccontò che il giorno in cui conseguii la laurea e riuscii ad acquistare una casa e a non dipendere più di tanto dai suoi genitori, le tornò in mente mia madre, erano passati ormai anni da quando non si vedevano, però il tempo non riusciva di certo a cancellare i sentimenti che lui nutrisse per lei e aveva conseguito la laurea e studiato duramente anche per lei, per non dover più dipendere dai suoi genitori, così da poter vivere finalmente insieme a lei. Ma era incerto, non sapeva se correre da lei oppure lasciar perdere dopotutto erano ormai passati anni e anni, ormai doveva essersi dimenticata di lui, così alla fine ne passarono altri ancora sino a che un giorno d'inverno, non le tornò in mente con un insistenza tale, da non riuscire più a far a meno di pensare al suo volto.

Quel giorno si decise, prese la macchina per dirigersi lungo quella strada dove spesso aveva visto mia madre, ma quella volta non la vide più camminare avanti e indietro percorrendo quella strada, così scese dalla macchina, cercandola ovunque, poi trovò il suo corpo inerme steso sul pavimento,era ormai ghiacciato.

“Se solo mi fossi deciso prima ad andarla a trovare, forse lei non sarebbe morta...ma come uno stupido, ho pensato soltanto a me stesso, alla paura di venir rifiutato da lei” disse piangendo.

Io lo osservai tristemente, lui non aveva alcuna colpa, non poteva di certo essere al corrente di me e che mia madre avesse contratto l' aids, così tentai di tranquillizzarlo dicendo che non era affatto colpa sua, ma lui continuava ad incolparsi per tutto quello che fosse successo e poi mi disse “Anzi, hai ragione fai bene a non volermi ritenere tuo padre...dopo il male che ho fatto a tua madre...”

Io con le lacrime agli occhi, lo strinsi a me, anche lui piangendo ricambiò l' abbraccio, poi comprammo dei fiori per mia madre, delle rose bianche, da quel che diceva mio padre erano i suoi fiori preferiti. Parlammo per molto tempo di lei, tra sorrisi e lacrime, ricordando con nostalgia i momenti e i ricordi passati con lei, che neppure la morte avrebbe potuto portare via.

Ormai di ritorno a casa, vidi Kyo intento a giocare a scacchi con Toshio, mentre Saito si limitava ad osservarli e a consigliare ogni tanto qualche mossa a Toshio che non era un granchè con gli scacchi, mentre Kyo rimproverava Saito per i suggerimenti che dava al fratello per metterlo in difficoltà.

“Grazie Saito, grazie a te, questa sarà la prima volta che riuscirò a battere Kyo a scacchi!”

Mi sedetti su una sedia accanto a mio padre che osservava silenziosamente la partita, poi si voltò un attimo verso di me, mettendo per un momento da parte il gioco, Toshio se ne accorse e non appena fece la sua mossa lo chiamò più volte infastidito, mi guardò malamente come se volesse fucilarmi con il suo solo sguardo.

Kyo stava decidendo che mossa fare, io di scacchi non ne capivo un granchè quindi non sarei stata di certo un bravo suggeritore. Poi si intromise mio padre suggerendo la mossa da fare a Kyo, Saito si voltò sorpreso verso il suo datore di lavoro dicendo ad alta voce “Adesso, si che non abbiamo alcuna possibilità di vincere” Toshio lo guardò interrogativo chiedendogli la ragione, mio padre rispose per Saito dicendo “ Sono stato io ad insegnargli a giocare a scacchi...” Saito rise dicendo “ E' impossibile batterla...” affermò guardando mio padre.

Insomma la partita stava diventando una sfida fra quattro persone, Kyo, Toshio e i due suggeritori, mentre io rimanevo ad osservare con indifferenza, non amavo gli scacchi e nessun gioco di quel tipo, stavo semplicemente aspettando il momento in cui avrebbero smesso di giocare.

Kyo ormai preso dalla partita rifiutava pure i consigli di mio padre, dicendo di sapere ciò che faceva, io lo guardavo pensando “ Si tratta solo di una partita di scacchi, perché mai prenderla così seriamente...” mentre mio padre lo osservava con un espressione incuriosita, mentre Toshio adottava tutti i suggerimenti di Saito.

Dopo una mezzora, finalmente quella partita terminò, fece scaccomatto Kyo con un espressione esageratamente compiaciuta per i miei gusti, si trattava solo di un banale gioco, non capivo perché ci tenesse così tanto a vincere, Toshio demoralizzato uscii di scena portandosi dietro Saito.

Poi mio padre propose a Kyo di fare una partita insieme a lui, io sbuffai rumorosamente sperando che si rendessero conto che mi stavo rompendo le scatole e così avrebbero rinunciato alla partita, ma non mi degnarono neppure di un 'occhiata, erano troppo presi dal gioco.

Mentre Kyo eseguii in gran fretta la sua mossa, mio padre disse “Sai da come gioca una persona a scacchi si capisce molto del carattere di una persona...”

Kyo lo osservò perplesso chiedendogli “E' lei cosa ha capito di me, dal mio modo di giocare?”

“Che sei troppo istintivo e passionale, fremi troppo dalla voglia di vincere da non riuscire a riflettere attentamente su quel che fai...”

In quello stesso istante mio padre fece scaccomatto lasciando a Kyo una certa amarezza, mio padre lo guardò divertito dicendo con una certa complicità “ Impara ad essere meno istintivo e passionale nella vita e imparerai a giocare a scacchi...”

Kyo si voltò furtivamente verso di me, quando mio padre accese la tv per vedere se c'erano notizie su Keitawa, io lo osservai sorridendo, lui ricambiò il mio sorriso, poi mio padre si voltò verso di noi, guardandoci con aria sospetta “Che avete da sorridere?”

Kyo smise di sorridere dicendo “No, nulla soltanto una battuta di Toshio che ci faceva sorridere, tutto qui!”

Dopo quella lunga giornata dove mio padre era sempre fra i piedi, per carità gli volevo bene, però da quando c'era lui, non riuscivo più ad avere neppure un secondo di pace con Kyo, avrei voluto rimanere sola con lui, riempirlo di baci e di carezze.

Dopo cena, ormai stremati e pronti per andare a letto, io mi rigirai più volte sul letto, era troppo grande per una sola persona, poi non appena chiusi gli occhi vidi il volto di Keitawa farmi sussultare di paura,così nel buio pesto attraversai il lungo corridoio, poi entrai nella stanza in cui vi erano i tre divani, dove in uno era disteso mio padre, nell' altro Kyo e nel terzo Saito, ma in mezzo al buio era difficile capire quale fosse quello dove vi era Kyo.

Lo chiamai a bassa voce, poi sentii la sua voce bisbigliare “Che c'è Yoko?”

“ Non riesco a prendere sonno...” mormorai.

“Ah...capisco...” disse sottovoce.

“Kyo potresti dormire con me?” gli chiesi supplichevole . Lui alzò un po' la voce dicendo “Ma che sei impazzita! Se tuo padre ci scopre nello stesso letto cosa potrebbe pensare?”

Io mi avvicinai verso dove proveniva la sua voce, poi toccai qualcosa,poi capi che si trattava del suo petto, poi spostai la mano raggiungendo il suo braccio, stringendolo forte per trascinarlo via,alla fine si lasciò convincere da me.

Ci muovevamo cercando di fare meno rumore possibile, poi ormai giunti nella mia stanza ci baciammo con fervore, come se fossero passati anni dall'ultima volta che ci eravamo baciati, poi però mi rammentai di quel che mi avesse detto mio padre, lui si era occupato di me solo per denaro, così improvvisamente gli morsi le labbra per mettere fine al bacio. Lui discostò le sue labbra dalle mie chiedendomi che cosa mi fosse preso.

“E' vero che ti sei occupato di me, perché mio padre ti ha dato in cambio dei soldi?”

“Si, però io non l' ho fatto per i soldi, quelli neppure li ho usati, ci ho comprato solo quel ferro vecchio...”

“Sei un bugiardo!” affermai infuriata.

“Non ho alcuna voglia di litigare, te l' ho già detto non l'ho fatto per i soldi e poi se fosse stato per quello credi che avrei fatto l' amore con te, di certo tuo padre non mi pagava per fare questo genere di cose con sua figlia, non credi?”urlò senza accorgersene.

Dopo un po' udii dei passi, di colpo ci zittimmo tutti e due, poi sentii bussare alla porta,Kyo si nascose sotto il letto, mentre io mi decisi ad aprire, mi ritrovai faccia a faccia con mio padre che diceva di aver sentito qualcuno urlare, entrò nella stanza senza che potessi fermarlo, poi disse “Lo so perfettamente che sei qui, è inutile che ti nascondi!” disse infuriato.

Io guardai mio padre fingendo di non avere idea di cosa stesse parlando e dicendo che ero sola nella stanza, poi controllò ogni parte della stanza e poi si chinò sotto il letto per vedere se lì c'era Kyo, alla fine lo trovò trascinandolo con violenza fuori.

“Ho sentito perfettamente ogni parola, io ti ammazzo!” ringhiò mio padre, mentre Kyo si alzò dal pavimento,tentando di spiegare che c'era un malinteso, ma ad un certo punto capì che era inutile continuare a negare l' evidenza.

Io spaventata osservavo mio padre fuori di sé, era pronto per uccidere Kyo, lo si leggeva da quello sguardo severo che non ammetteva giustificazioni e né repliche di qualunque sorta,mentre Kyo si fece di coraggio dichiarando, “Ok d'accordo quel che ho detto è la pura verità, non c'è alcun bisogno di continuare negarlo e ammetto di aver sbagliato poiché lei mi ha affidato sua figlia ed io ho fatto qualcosa che non avrei dovuto fare, però io...”

Mio padre non gli diede neppure il tempo di finire il discorso e gli mollò un pugno in pieno volto, mentre lui sorpreso rimase immobile, mentre mio padre si avventava ancora contro di lui urlandogli parole ingiuriose sia contro di lui che contro Saito che non aveva tenuto sotto controllo la situazione come avrebbe dovuto.

Io agitata e spaventata non sapevo che fare, mentre Kyo veniva bastonato da mio padre senza reagire, avrebbe potuto farlo se avesse voluto, ma la sua espressione era angosciata, come se fosse pentito anche lui di quel che avesse fatto e si sentisse di meritare tale punizione.

Kyo fini per terra, stremato dai colpi che riceveva da mio padre, mentre lui gli urlava di rialzarsi, Kyo a fatica si rialzò ormai dolorante e pieno di graffi e ferite ovunque, mentre io lo osservavo preoccupatissima, dandomi della sciocca perché non riuscivo a far nulla, se non a rimanere ferma a guardare mentre lui veniva picchiato con violenza.

“Io amo sua figlia!” urlò rialzandosi.

Mentre mio padre gli mollò ancora un altro pugno, pronto ad ucciderlo per la frase appena pronunciata, mentre Kyo disse con un certo impetto“Mi colpisca pure quanto vuole, ma non mi pentirò mai di ciò che ho fatto perché io amo vostra figlia!”

Mio padre fu pronto a scagliarsi ancora una volta contro di lui, ma mi parai di fronte a lui per poter proteggere Kyo e dissi piangendo “Non è colpa sua, sono stata io a volerlo!”

Mio padre in un primo momento rimase stupito dalle mie parole, poi però tornò ad assumere quella sua espressione severa dicendo“Sei così ingenua Yoko, ti sei soltanto lasciata ingannare da questo lurido verme e credo pure di aver capito chi sia in realtà questo bastardo!” mentre Kyo mi diceva di non impicciarmi e di farmi da parte, anche mio padre disse la stessa cosa, ma io non volli ascoltare nessuno dei due,erano così maschilisti, perché quella faccenda miriguardava in prima persona, quindi non potevo lasciare che si uccidessero per colpa mia e volevo che tenessero in considerazione anche i miei sentimenti, non soltanto i loro.

Dopo un po' mio padre si calmò, smise di voler picchiare Kyo, ma disse deciso più che mai che domani stesso mi avrebbe riportato a Tokyo. Io lo guardai contrariata supplicandolo di non farlo, ma lui non volle sentire storie e Kyo rimase in silenzio, senza scomporsi nemmeno un po' contro la decisione di mio padre, sembrava essersi arreso e accettare la mia partenza come se fosse la sola cosa giusta da fare.

“Tanto primo o poi saresti dovuta tornare a Tokyo” affermò mio padre con una certa freddezza.

“Si, ma...” affermai trattenendo a stento le lacrime.

L' idea di lasciare Kyo non mi piaceva affatto, lui era stato colui che mi aveva salvato la vita, che mi aveva ascoltato e consolato quando ne avevo avuto bisogno. Lo amavo tantissimo, avevo fatto l' amore con lui di mia volontà, non mi aveva costretto a fare nulla che non volessi, quindi non riuscivo ad accettare la contrarietà di mio padre, solo perché tra di noi vi fosse una certa differenza di età non significava che non fossimo fatti per stare insieme, perché il nostro rapporto andava oltre tutto questo. Ma mio padre vedeva il nostro rapporto superficialmente come tutte le persone che ci guardavano dall' alto e in basso pronti a giudicare aspramente il nostro rapporto.


Kyo:

Capivo perfettamente la rabbia di suo padre, mi sentivo in parte colpevole, però un' altra parte di me, si credeva innocente e riteneva di aver fatto la cosa giusta, perché amavo Yoko, quindi perché mai avrei dovuto pentirmi di aver fatto l' amore con lei.

Era una ragazzina, però io non le avevo fatto del male, anzi le avevo dato il mio amore, le avevo fatto scoprire cosa significasse essere amati facendole riacquistare fiducia negli altri, quindi perché mai avrei dovuto pentirmi?

Ma se pur una parte di me la pensava così, l' altra si sentiva la coscienza sporca, mi sentivo un sudicio depravato che non aveva saputo assecondare i suoi desideri carnali, così queste due parti di me entravano continuamente in conflitto, poi però prevalse la prima che disse con decisione “Mi colpisca pure quanto vuole, ma non mi pentirò mai di ciò che ho fatto perché io amo vostra figlia!”

Ero pronto a ricevere un altro pugno, un altro spintone, non mi importava avrebbe potuto picchiarmi per quanto volesse, ma i sentimenti che nutrivo per Yoko non sarebbero cambiati.

Dopo Yoko si immischiò parandosi davanti a me per difendermi dal padre che era pronto a farmi a pezzi, Nageshi si fermò per non colpire sua figlia. Lei disse tra i singhiozzo “Non è colpa sua, sono stata io a volerlo!”

“Sei così ingenua Yoko, ti sei soltanto lasciata ingannare da questo lurido verme e credo pure di aver capito chi sia in realtà questo bastardo!” affermò il padre furibondo.

Io le dissi di farsi da parte, anche il padre disse la stessa cosa, ma lei non volle darci ascolto così il padre si limitò col dire che il giorno seguente l' avrebbe riportata a Tokyo. Yoko lo supplicò di non farlo poi fini anche per agitarsi.Io rimasi immobile e in silenzio, non trovai neppure la forza di obbiettare, non riuscivo a credere che il giorno seguente Yoko sarebbe uscita dalla mia vita e del resto sapevo che per legge lui era suo padre e lui era il solo a poter disporre della sua vita, mentre io non ero nessuno, non potevo far nulla e forse dopotutto quella era la sola cosa giusta da fare, dopotutto lei era una quattordicenne ed io un ventiduenne ex delinquente, quale futuro poteva mai darle un tipo come me?

Il padre rispose alle continue repliche della figlia dicendo che tanto primo o poi avrebbe dovuto tornarci a Tokyo. Yoko avrebbe voluto continuare a controbattere che non era d'accordo, trattenendo a stento le lacrime, ma non ebbe più la forza di di dir nulla, poi il padre uscii dalla stanza dicendo che se tra 10 minuti non mi vedeva sdraiato sul divano, sarebbe entrato nella stanza di Yoko per uccidermi.

Io annui con il capo amareggiato da quella sgradevole situazione, poi quando il padre uscii capì che quelli erano gli ultimi 5 minuti che ci rimanevano da poter passare insieme, così l' abbracciai per un'ultima volta, mentre lei infuriata mi disse “Perchè non hai detto nulla? Tu vuoi che torni a Tokyo?”

“Yoko non c'è altra soluzione è lui tuo padre...non io, io non sono nessuno, per la legge sono solo un pedofilo che ti ha molestato...” affermai costernato.

“Allora questo è un addio?” mi chiese disperata.

“Si” affermai cercando di non apparire troppo triste.

Lei mi mollò un sonoro schiaffo con rabbia e sconsolatezza, mentre io mi voltai per uscire dalla stanza, massaggiandomi la gota colpita.

“Ci tieni veramente molto a me da quel che vedo...” affermò con amarezza.

Mentre io finsi di non udirla uscendo dalla porta, ma Yoko mi seguii insultandomi dicendo che ero soltanto un codardo che scappava di fronte le difficoltà, ma io finsi ancora una volta di non sentirla continuando a camminare, poiché ero sicuro che se mi fossi girato e avrei incrociato il suo sguardo non avrei trovato la forza per poter rinunciare a lei.

“Ti odio! Mi hai fatto credere che ci tenessi veramente a me e invece!” affermò piangendo.

Io non mi voltai, ma mi fermai dicendo “ Odiami se questo ti fa sentire meglio, ma non soffrire per qualcuno che non ti ha amato abbastanza...”

“No, tu non mi hai mai amato, altrimenti ti saresti opposto alla decisione di mio padre!” esclamò con ferocia.

“Si, hai perfettamente ragione, volevo soltanto scoparti tutto qui” affermai con freddezza, almeno così sarebbe stato meno doloroso il distacco, se mi avesse creduto uno stronzo, ne avrebbe sofferto meno.

“Come?” chiese scossa dalle mie parole.

“Non fingere di non aver sentito. Hai capito perfettamente! Volevo soltanto divertirmi, del resto sei soltanto una bambina, cosa credevi? Che facessi seriamente?” dissi con una risata sadica e sferzante.

“Allora tutto quello che hai detto prima, era soltanto una bugia?” mi chiese sconvolta.

“Certo, volevo soltanto che tuo padre non mi denunciasse, quale era la mia sola preoccupazione!” affermai freddamente.

Yoko non disse più nulla, ma sentii i singhiozzi che tratteneva a stento, mentre io avanzavo per tornare a stendermi su quel divano. Ormai arrivato lì vidi il padre di Yoko che mi attendeva con una luce accesa, poi non appena mi vide arrivare si mise a dormire, mentre Saito dormiva profondamente senza essersi accorto di nulla, io mi rigirai più volte in quello scomodo divano, diverse volte, senza riuscire a dimenticare il volto di Yoko in lacrime, ma ero certo di aver fatto la cosa giusta, dopotutto avrebbe sofferto solo ora, poi mi avrebbe odiato e poi si sarebbe dimenticata una volta e per tutte di me ed ero certo che a Tokyo avrebbe conosciuto qualcun altro, un ragazzo della sua età di buona famiglia che si sarebbe preso cura di lei e che suo padre avrebbe di sicuro approvato.

Ma l' idea che conoscesse qualcun 'altro se da una parte mi rendeva felice, perché ero certo che era la sola cosa giusta da fare, dall'altra mi angustiava, non volevo che ci fosse qualcun altro che potesse abbracciarla,toccarla e baciarla, avrei voluto essere il solo a poterlo fare. Ma quell' altra parte di me mi diceva di non dover essere egoista che avrei dovuto pensare solo e soltanto al suo bene e quindi avrei dovuto accettare l' idea che stesse con qualcun altro che potesse renderla felice.

Il giorno seguente, fui svegliato dalle urla del padre di Yoko, che aveva trovato un bigliettino poggiato sul suo letto dove c'era scritto “Addio, non voglio uccidermi, ma voglio soltanto stare lontano da tutti e due, sia da te papà che da lui... Non mi fido di voi uomini, siete tutti così falsi e sudici,ah ho preso dei soldi dai vostri portafogli, forse tornerò a Tokyo quando mi sarò calmata, ma nutro forti dubbi in merito.”


   
 
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