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Autore: bravesoul    07/02/2010    4 recensioni
Gli occhi si chiudono, le palpebre scivolano sulle pupille, rubando al mondo la vista delle tue iridi perfette.
La bocca si apre, i muscoli della faringe si contraggono, alla disperata ricerca d’aria e ossigeno.
La fame d’aria, la chiamano, senza sapere quanto questo nome sia adatto.
...
Oggi, ti dici tra uno spasimo e l’altro, oggi è san Valentino.
Oggi è la festa in cui gli innamorati si scambiano piccoli doni, piccole promesse per un’eternità di piacere o semplicemente di futili bugie costruite malamente.
E' solo un incantesimo

Questa fic partecipa al Contest indetto dal forum "KakaxSaku Forbidden Love".
Genere: Dark, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kakashi Hatake, Sakura Haruno
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Titolo: Ghost of Love
Numero di parole: 3929
Rating: Arancione

NdA: Non so se questa sia un’ Au o no. Cioè, probabilmente no, ma siccome era poco importante ai fini della mia storia non è ben chiaro nemmeno a me. Ok, leggetela come se non lo fosse, ma se vi ispira da Au, c’è la possibilità che lo sia.  Diciamo che è totalmente surreale e da dove sia uscita non lo so neppure io. Leggetela, leggetela con il cure e poco con la ragione, perché si parla di amore, morte e sofferenza.  Ma, soprattutto, perché difficilmente qualcuno di noi ha mai provato qualcosa come la voce narrante.

I versi in inglese sono presi da una canzone dei “ Rasmus” : Ghost of Love, che è stata la mia musa per tutto il testo, nonché mi è sembrata subito mia.

 Ecco il link del testo e del video della canzone, chissà che non conquisti anche voi.--> http://www.youtube.com/watch?v=89Fa9F6ACD4

Questa fic partecipa al contest su Kakashi Sakura indetto da “ Forbidden Love forum” . se vi piace la fiction potete ( dovete XD) votarla sul sito… ecco il link^^   www.kakasaku.forumfree.it nella sezione  contest - italia

San Valentino…  diciamo che è un San Valentino senza cioccolatini e dolci, perché, ho il brutto difetto di essere alquanto cinica .

Spero vi piaccia, anche perché dentro questa fic, c’ ho messo davvero l’ anima.

 

 

A Deja, che ascolta pazientemente ogni delirio.

Perché ci vuole pazienza con me.

 

Ghost of Love

 

Gli occhi si chiudono, le palpebre scivolano sulle pupille, rubando al mondo la vista delle tue iridi perfette.

La bocca si apre, i muscoli della faringe si contraggono, alla disperata ricerca d’aria e ossigeno.

La fame d’aria, la chiamano, senza sapere quanto questo nome sia adatto.

Dispnea.

L’ugola va su e giù, spinta dalla tua ansia di respirare, spinta dalla carenza d’ossigeno che i polmoni malandati non possono più sopportare.

Ancora, ancora aria.

Stringi i pugni, afferrando così i lembi del lenzuolo di carta verde dell’ospedale.

Le vene si gonfiano, mentre tu, inutile, annaspi alla ricerca di nutrimento e vita.

La mascherina d’ossigeno pare inutile, solo un pezzo di plastica posto a far prolungare la tua agonia, un’agonia cronica, che non potrà mai avere fine, perché non ti illudi in proposito.

E, ancora, le sopracciglia si aggrottano, una goccia di sudore - una tra le tante - scivola per la tua fronte, passando per il collo, finendo sotto la vestaglia, fondendosi al tuo corpo caldo e sudato.

In questo momento il tuo cervello impazzisce, vorrebbe solo averla accanto.

Eppure, eppure sai che non è possibile, perché tu stesso l’hai scacciata.

L’hai scacciata per il suo bene, perché lei è una bambina, non può stare con un vecchio come te, un vecchio destinato ad una morte atroce e dolorosa, per di più.

Fuori dalla tua camera, dal tuo sudario, la gente sorride, si scambia biglietti d’amore, cioccolatini e baci. Oggi, ti dici tra uno spasimo e l’altro, oggi è san Valentino. Oggi è la festa in cui gli innamorati si scambiano piccoli doni, piccole promesse per un’eternità di piacere o semplicemente di futili bugie costruite malamente.  Oggi, 14 febbraio, è il giorno in cui le avresti dovuto fare un bellissimo regalo, tra un colpo di tosse e un altro. Avreste riso della tosse da vecchio, che non se ne andava mai.

E, invece, sei inchiodato ad un letto, a malapena vivo, a malapena senziente, a malapena essere umano.

E, puoi percepirlo, il tuo medico se la starà spassando - come avresti fatto tu, d’altronde - con l’infermiera del piano, con una donna qualsiasi. Solo per godere della vita che ancora gli passa tra i capelli, solo per godere dell’energia che pervade il proprio corpo giovane.

E tu, tu che non sei neppure troppo più vecchio di lui, tu sei costretto ad una squallida mascherina d’ossigeno, ad uno squallido letto d’ospedale, a stancarti per ogni squallido respiro.

Di nuovo, stringi quella coperta, appoggi la testa stancamente sul cuscino, tenti di respirare, di placare la fame d’aria che ti attraversa, spingendoti a quel singolo traguardo.

Respirare, sorridi amaro.

E’ un processo involontario, per le persone normali.

Il diaframma si alza e si abbassa da solo, i polmoni ricevono O2  e restituiscono CO2, e tutto sembra possibile, grazie a quel solo gas - nemmeno raro - che ti permette di vivere.

Non per te.

Per te è una sfida anche solo raggiungere ed agguantare un po’ di quella torta così ambita.

E lei, lei era per te l’ossigeno che non riuscivi a ricevere.

Lei era la sazietà per quella fame, lei era la panacea per quel male indotto dal fumo, dalle particelle PM10, dai prodotti chimici e da chissà cos’altro.

[L’hai mandata via tu.

Lei sarebbe rimasta.

Ti sarebbe accanto, ora.]

Ti basta il ricordo, sussurri. Ti basta ricordare quelle labbra sulle tue, quella mano amica che ti teneva la tua, asciutta e magra, nei momenti di crisi respiratoria. L’hai scacciata: non potevi permettere che si innamorasse di un uomo costretto a morire come una larva.

Apri gli occhi, di scatto. Nel tuo delirio ti è parso di percepire la sua presenza. [Della bambina]

Ti è parso, per un secondo, di sentire la sua voce flautata per la stanza, illuminarti e placare la fame.

Delirio del cervello in carenza di ossigeno, ti dici.

[I am near you.
You don’t see 
me]

Spalanchi gli occhi bicromatici, cercando, quasi follemente, l’origine di quel sussurro nella stanza. Senti il cuore aumentare le pulsazioni, senti i polmoni quasi collassare. L’ossigeno non è abbastanza…

Dimentichi di allargare la bocca e tentare di respirare. In quel momento di pura irrazionalità e non-lucidità, la cerchi con tutto te stesso. Cerchi l’immagine, perché la presenza tu… la percepisci.

[Can you feel me
Closer than close…]

 

E la senti, ti dici. Gli occhi non la vedono, gli occhi sono fallaci.  Non puoi fare affidamento su di essi. Allora alzi un braccio, a fatica, lo stacchi dalle lenzuola di carta, tasti il vuoto, sperando di trovarvi qualcosa di consistente.

Sperando di trovare anche solo il ricordo di un tocco, di una familiare percezione fisica.

La bocca si apre, per istinto.

I muscoli del diaframma si contraggono, i polmoni si espandono per accogliere l’aria necessaria.

La fame d’aria…

Improvvisamente, l’aria non arriva.

Allora i tuoi rantoli si fanno disperati, le mani si agitano in aria, il sudore cola inesorabile per la tua fronte, gli occhi si fanno opachi.

Manca poco, lo sai.

Tenti di respirare, i rantoli aumentano di intensità, il corpo si contrae nello sforzo, gli occhi si spalancano senza vedere davvero.

[Does it hurt?
Does it burn?]

E gridi, gridi senza voce.

I polmoni paiono andare a fuoco, come quando tieni la testa troppo tempo sotto l’acqua e l’intero corpo spinge per riemergere, il tuo corpo intero pare perdere la concezione spazio-tempo.

E tu, la tua mente, avete solo due cose davanti.

Li senti, i “bip” dell’elettrocardiogramma diventare alti, il loro suono stridulo riempirti le orecchie.

Senti le voci concitate dei medici, delle infermiere sorprese nei loro “san Valentino” scintillanti, le senti venire verso di te.

Senti qualcuno gridare qualcosa che ti suona come un “non mollare, dannazione!”

Ma tu, tu non li ascolti davvero.

I tuoi occhi anelano solo a quell’immagine fallace della donna amata [bambina] che il cervello ti propone, come effetto delle allucinazioni.

Fa male?

Brucia?

Sì, rispondi, mentre le scariche del defibrillatore fanno sussultare il tuo corpo quasi atono.

Brucia, brucia non poter raggiungere quel corpo.

[Do you know what you’ve lost?
Are you scared of the dark?]

Lo sai cosa hai perso?

Hai perso tutto.

Eppure lo hai fatto per lei.

Hai fatto di tutto per proteggerla, per te sarebbe stato eternamente più facile averla al fianco e poter stringerle le mani nei momenti di crisi.

Sai cosa hai perso.

Hai perso l’ossigeno, lo stesso per cui stai annaspando.

Chiudi gli occhi, tanto sai che l’immagine che vedi è solo il riflesso di quello che sta per accadere.

No, non ti fa paura il buio.

Alla fine, il buio, sarebbe solo una liberazione.

Eppure, sentiresti come se volessi scappare.

Non ti fa paura il buio, purché plachi la fame… nulla ti fa più paura della fame.

Eppure non vuoi del tutto sfuggire alla fame, perché questa è parte di te. Perché se scappassi… sarebbe come arrendersi, come dimenticare per sempre quel sorriso angelico ed infantile, quel corpo troppo giovane.

Il buio non ti fa paura, la cosa che ti fa paura, davvero paura è il non poterla ricordare, il dissolvere quel ricordo fatato che ti tiene a malapena in vita.

Ma, per quanto la tua forza di volontà possa essere forte, si deve piegare alle carenze del tuo corpo.

Il cuore si ferma, le scariche di defibrillatore possono poco, il tubo che ti hanno cacciato in gola a viva forza può ancora di meno.

E, allora, fiaccato, affamato, chiudi gli occhi, ti concedi all’oscurità per qualche singolo secondo.

Ma a te, quei secondi, paiono ore, paiono una vita intera.

 


[L’hai persa, stolto.

E’ stata tutta colpa tua.

Hai perso l’ossigeno, mortale.]

 

14 febbraio.

Quella data rimbomba per la tua mente, o per qualsiasi cosa ci sia al suo posto.

Hai chiuso gli occhi, l’ossigeno non serve più.

Il petto non fa più male.

Non c’è dolore, non c’è fame.

Solo un buio infinito, in cui il tuo corpo galleggia, si muove senza sforzo, nuota con ampie bracciate.

Non c’è.

Non c’è quasi  più il ricordo di lei, è solo sotto la scorza, è come un incantesimo debole che corre per le tue vene, senza intaccare davvero la superficie, senza davvero sfiorarti.

Apri gli occhi, solo per vedere dove stai andando, solo per vedere cosa c’è dopo la fame.

Ed è solo il buio.

Poi, d’un tratto, percepisci la luce, la luce sopra di te.

E, quasi solo per provare la piacevole sensazione di muoverti liberamente, senza ausilio di macchine o di ossigeno, ti muovi verso quella luce.

Ti immergi nella luce.

Trai una possente boccata d’aria in quella luce.

E poi, solo una luce tanto forte da stordire il resto.

Chiudi gli occhi, per un solo secondo, ti dici. Solo per non rimanere troppo abbacinato.

Eppure, quel semplice movimento ti fa stancare.

E la fame, possente, ritorna. Ritorna il ricordo, ritorna il dolore, ritorna lei.

Il naso percepisce un odore di rose, volti il collo, tastando morbido.

Non vuoi aprire gli occhi, in qualche strano modo sai che, se li aprissi, tutto sarebbe semplicemente peggio.

Perché ora c’è la fatica, c’è la fame, fottuta bastarda, ma è qualcosa di lieve e sopportabile. Non vuoi che peggiori, perché potrebbe solo peggiorare, lo sai.

Eppure, eppure quel tocco morbido sulle guance, quella vellutata essenza che ti stuzzica, quel profumo tanto familiare…

Ti ricorda lei.

E c’è solo una cosa per cui sfideresti la fame, anche se l’hai scacciata, anche sei hai cercato di negare tutto quello che provavi, provi e per sempre proverai per lei: Sakura, la bambina.

Allora apri gli occhi, scacci la paura.

Le mani tastano qualcosa di morbido e quasi scivoloso, qualcosa di vellutato e al contempo fragile.

Le dita vengono punte da qualcosa di sottile e doloroso, qualcosa che al solo pungere sa di terra, profumo,  e fragilità.

Sorridi di sbieco, mentre i tuoi occhi tentano di aprirsi e di mettere a fuoco quel luogo, se così si può chiamare.

Come non riconoscere le cose che stai toccando? Sono rose. Rose, a questo pensiero il tuo sorriso diventa più amaro e quasi sussulti, scosso da un colpo di tosse fatale. Le rose, belle e fragili, tanto spavalde eppure così misteriose da non mostrare mai il loro significato. Le rose: passionali, ambigue, magiche eppure così  moriturae, cosa ti ricordano, povero folle?

Te stesso.

Allora ridi, ridi isterico, spalanchi gli occhi. La luce entra dalla pupilla, si riflette sulla retina, il cervello capta quelle immagini.

Un campo sterminato di rose, rose rosse come il sangue, intense.

Rose con le spine.

Un albero di ciliegio spunta, piccolo. E’ ancora giovane, deve avere al massimo un anno o due.  E, sorridi ancora più amaro di prima, è l’unica cosa diversa da rose, in quel delirio immenso e senza fine.

Che sia questo il tuo inferno?

Inferno e non vita, perché ricordi con estrema precisione il fatto di aver perso coscienza, lì in ospedale, quindi supponi di essere morto.

E se ti sbagliassi?

Hai ragione. Che importanza avrebbe, in fondo.

 

[Now that you’re gone
All that remains]

 

Ora che te ne sei andata, ora che l’hai scacciata, non ti rimane più nulla.

E la fame, insaziabile, ritorna con forza e violenza.

Inizi a rantolare, alla folle ricerca d’aria. Quel profumo di rose non fa che peggiorare l’arsura che ti controlla. Tenti di sederti, ma non c’è nulla su cui appoggiarsi.
Le pulsazioni accelerano, serri i pugni, perché non c’è assolutamente nulla da serrare. Non ci sono fatiscenti coperte di carta, non ci sono mascherine d’ossigeno asfissianti. Sei solo, solo con la malattia, solo con la quasi-vita, non troppo lontano dalla quasi-morte.

D’un tratto alzi gli occhi, costringendoti a respirare, costringendoti a distrarti dalla fame, chissà che non se ne vada da sola.

E lo vedi.

 

[Is the ghost of love
Deep in my mind
I hear the chains
Of the ghost of love]

 

E’ come lei. Solo che non è lei, lo sai. E’ più alta, più grande, più matura. I capelli rosa le scendono sino alla vita, gli occhi verdi sono più maturi e consapevoli, gli zigomi sono più affilati, le labbra più carnose.

Sembra semplicemente più grande.

E questo, lo sai, non è affatto possibile.

Deve essere qualcos’altro. Ma come, la tua mente suggerisce sarcastica, un grande genio come te non riesce a risolvere l’arcano?

- Chi… sei? - Rantoli, allora.

Se non puoi conoscere le risposte, allora meglio chiederle. Non sopporti l’ignorare le cose, ti sa di stupido oltre che incredibilmente controproducente. Eppure, talvolta, hai preferito non sapere, o fingere di non farlo.

La sconosciuta, o meglio la troppo conosciuta, si avvicina a te, senza espressione, senza agitarsi, composta, innaturale.

Non sussulta ai tuoi rantoli, non sussulta alla fatica enorme che hai fatto solo nel pronunciare quelle due parole.

- Sono il fantasma dell’amore. -

[Non lo capisci, umano?

Sono quella che ti ha ancorato alla tua miserabile vita.

 Io  sono quel desiderio impagabile, io sono la nostalgia assoluta.

Io sono la sete, sorella della fame.

Io sono la voce dei tuoi deliri.

Io sono il ricordo.

Io sono i rimpianti.

Io sono la lei che vorresti.]

 

Quante parole sussurra, quante parole percepisci senza davvero sentire.

Tenti di alzarti, per raggiungerla.

Non ce la fai.

Le gambe non reggono nemmeno il peso fragile del tuo ancor più fragile corpo. Allora atterri sulle ginocchia, sfiorando le spine. Eppure non hai vestiti, non hai nulla. Hai solo la percezione del corpo e non di cosa vi sia sopra.

I capelli argentati ti piovono sugli occhi, rubandoti parte della sua immagine.

Lei si avvicina, tu protendi una mano per toccarla, per sentire quella pelle tanto simile alla sua.

E non la senti.

La tua mano, carne seppur poca, passa per l’immateriale, sfiorando l’essere, rendendoti una specie di demiurgo.

E, d’un tratto, capisci.

Lei non esiste, non almeno del senso stretto di esistere. Non è un’entità fisica, non viaggia per il mondo.

E’ solo lì, nella tua mente malata, è solo lì il 14 febbraio, da sola con te ed il giardino di spine.

- Tu… esisti solo... -

- Nella tua mente. -  Il fantasma sorride, dolce, senza perdere quell’espressione di calma e serenità forse solo apparente.

Tenti di avanzare, verso l’enormità immateriale, per comprendere. Perché hai fame ed intuisci che quella potrebbe essere una cura. I muscoli si contraggono, l’aria entra a malapena. Persino parlare è uno sforzo paragonabile a una maratona.

E fa male.

[You are falling
Down and dirty]

Le ginocchia avanzano, vuoi fonderti con quella proiezione della tua mente.

Serri i pugni, schiacci le rose, le mani si feriscono con le spine, serri i denti, le sopracciglia si contraggono, il tuo volto esprime una sofferenza indicibile.

E, dopo pochi istanti, anche le ginocchia cedono in uno scatto malvagio.

 


[You’ll be crawling
Lower than low…]

 

Gattonerai più in basso che in basso, striscerai. Anzi, no. Tu strisci già. Non te ne fotte più nulla della dignità: a questo ti ha portato la malattia. Tu vuoi solo che questo dolore finisca, tu vuoi abbracciare la pace, tu vuoi vivere, non vuoi soccombere. In questo momento non pensi più, è solo l’istinto animalesco che ti porta a voler raggiungere l’immateriale fantasma, è solo l’istinto che ti fa cadere nella trappola delle sue invitanti malie.

Non ti vuoi fermare.

[Umano, non strisciare.

Io sono la sete.

Io sono l’immateriale moria, non sono io la risposta.

Tu cerchi la fame, la mia sorella materiale.

Sai che giorno è oggi?]

Ma sei costretto a fermarti.

Il fantasma ti guarda, non sei nemmeno sicuro che abbia parlato davvero.

Allora, tra i rantoli le rispondi, la voce soffocata.

- Oggi... è il 14 febbraio. - Non ce la fai a dire di più, anche se vorresti. Tu tossisci, la vista si annebbia, tossisci tanto che salgono le lacrime dallo sforzo. E ancora rantoli, e il tuo respiro lieve e sibilante riempie l’aria e lo spazio.

[Voi sciocchi umani lo chiamate San Valentino.

Che nome stupido.

E’ solo un giorno come gli altri.

Di certo la morte non si ferma, oggi.

Di certo la vita non cambia, oggi.

Eppure vi ostinate a festeggiarlo con caparbietà.

Oggi stai morendo.

Ieri stavi morendo.

Sono due anni che stai morendo.

Oggi nulla cambierà in meglio.]

Sorridi, amaro.

E’ solo un giorno come tanti altri. Il fantasma, la pazzia, ha ragione. Cos’è cambiato mai nella tua vita, il 14 febbraio? E’ sempre stato un giorno del cazzo, un giorno in compagnia dei rimorsi, del fumo e del lavoro. Anche da bambino.

Eppure, ora, vorresti averla accanto.

I tuoi occhi rilucono, oltre la patina lucida indotta dalla sofferenza.

Vuoi qualcosa da quel fantasma, non sai nemmeno cosa.

Tu, umano, vuoi la cura.

Te ne frega che sia per la sete o per la fame, per l’immateriale o il materiale, vuoi solo finire di annaspare.

 

 

[Avevi la cura, umano.

Era la sorella fame.

Era LEI.]

You are falling
Cruel and thoughtless

[Crudele.

Senza pietà.

Le parole scivolano.

Stai, cadendo, nevvero Kakashi?

Il demiurgo cade.

Il materiale e l’immateriale con lui.

Crudele.

Senza scrupoli.

Questo è il mondo.

Rantola.]

Annaspi, lo shock ti blocca la respirazione, il diaframma rimane come bloccato. Tutto si ferma, gli occhi si sgranano, attoniti. Ti rannicchi su te stesso, cercando di respirare. Ma non ce la fai, è il corpo stesso che è annichilito da tutto questo.

 

 

[Can you sleep?
Can you breathe?

Puoi dormire, puoi respirare?]

Non puoi respirare, ora. In generale non puoi respirare da solo, ti serve la mascherina d’ossigeno. Non puoi dormire, la malattia, la BCPO, altrimenti nota come bronco pneumopatia cronica ostruttiva, non ti fa nemmeno dormire.

Tossisci, rantoli, non dormi.

Perché se dormissi tutta la macchina corpo si fermerebbe.

No, né ora né mai puoi respirare o dormire.

[When you know what you’ve done?
Tell me where will you run?]

E ora, ora che sai che hai allontanato la cura, anche se per il suo bene, ora che sai che era lei la cosa davvero importante, ora che sai che sei stato tu a condannarti in questo sogno parallelo… puoi fare qualcosa di diverso?

Puoi correre?

Figuriamoci, non sei manco in grado di respirare.

La tua mente incalza. Suvvia, respira!

Ma non puoi.

E’ come se tutto si fosse bloccato, come se la fame non esistesse manco più, ora che non esiste la necessità di sfamarsi, è come se non esistesse la necessita di vivere.

Rantoli, annaspi, gli occhi escono fuori dalle orbite, il sudore cola, le mani artigliano qualcosa che sa di carta.

Gli spasmi muscolari attraversano il corpo.

Quasi ti contorci per il dolore, per la mancanza d’aria.

Sono i secondi che preludono l’arresto cardiaco.

Sono i secondi di puro dolore.

Ma a te, a te paiono secoli di agonia.

E il fantasma, ti guarda, immobile.

Forse vorrebbe salvarti.

E tu, tu vorresti gridare di non stare immobile a guardare.

Ma non ce la fai.

 

[I’m barely breathing
Can’t hold on
I’m dying
I must be bleeding
Won’t be long…]

 

Sai che manca poco.

Non puoi parlare.

Non puoi sussurrare.

Non puoi gridare.

Puoi solo chiudere gli occhi spalancati.

Puoi solo lasciare il corpo rilassarsi.

Puoi solo smettere di tossire sangue.

Puoi solo lasciarti andare.

Stai morendo.

E fa male.

Senti il cuore che non batte più.

Senti la fame vincere e lasciarti vuoto.

Le mani mollano la carta.

Le palpebre si rilassano, le ciglia argentee ti rubano la visuale, ti rubano l’ultimo scorcio di luce prima del buio.

E la vedi.

Per l’ultimo secondo il fantasma dell’amore ti guarda, senza batter ciglio.

Una lacrima le cola per le guance, o forse lo credi soltanto.

Le ciglia cadono, le palpebre scivolano sulle pupille, rubando la vista delle tue iridi perfette al mondo.

 

 

- Carica a 300, libera! -

Il torace viene sollevato dalla violenza della scarica del defibrillatore.

L’infermiera ti inserisce l’aria nei polmoni tramite un AMBU.

- Carica a 350, libera! -

Ennesima scossa, il dottore pare non sentire le infermiere affermare che è tutto finito.

Ennesima scarica.

Il dolore percorre il tuo corpo.

Un dolore atroce.

Apri gli occhi di scatto, vorresti gridare.

Ma non ce la fai.

Sei troppo debole.

Gli occhi si sgranano, nel vedere chi sia il dottore.

Il fantasma…

No.

E’ lei.

Non è possibile.

Tu l’hai scacciata!

Non è lei il tuo dottore…

[Sicuro?

Umano, è l’incantesimo nei recessi della tua mente.]

Ti guarda, con quegli occhi verdi che paiono sondare l’anima.

E’ lei, è sempre la stessa.

Negli occhi c’è forse un ombra di consapevolezza in più, null’altro.

E la fame, la fame c’è ancora, sedata da un palloncino AMBU e da una tracheotomia.

Lei ti guarda, quasi raggiante, uno sguardo ai monitor.

Un paio di ordini urlati, che non senti nemmeno.

Sei troppo debole per continuare a guardarla, ma non puoi staccarti da quell’immagine.

Lei ti fissa.

Stringe all’improvviso una tua mano pallida e magra.

Qualcosa ti scivola tra le dita, qualcosa di suo.

Sei troppo debole per girare il collo e capire cosa sia.

- Non me ne andrò, razza di idiota. Non me ne andrò manco se mi scaccerai di nuovo. Io ho una volontà. Io ho un desiderio, devi rispettarlo. Non mi interessa che pensi, non mi interessa se ti consideri vecchio. Io ti amo, ti amo da far schifo. Non mi interessa se la gente penserà che sono una troia che se la fa col suo superiore. Io posso andare avanti, nonostante tutto. Ma non posso tollerare di perderti, come stava per succedere poco fa, non posso tollerare che tu ti lasci morire. Tu sei il mio ossigeno, tu sei la mia aria. Tu sei quello che mi fa andare oltre. -

Tu la guardi, sorridi di quell’innocenza, la stessa che vorresti avere tu.

Eppure la fame non c’è più.

Non c’è il disperato bisogno d’aria.

Non c’è più la lotta per la sopravvivenza.

Ti eri illuso che non ti amasse, sbagliavi.

Come sbagliavi riguardo alla tosse, come sbagliavi nel credere che fosse solo una cazzata che sarebbe  andata a posto da sola.

Ti sentivi invulnerabile.

L’immateriale non ti sfiorava.

Sbagliavi.

Ora lo sai, ora che fissi quegli occhi verdi al limite delle lacrime.

Ora che il corpo fa tanto male da urlare.

Ora che le ferite in missione paiono una cazzata.

Ora.

Allora sorridi, per quanto ti sia possibile con quel tubicino in bocca, gli occhi si piegano in una smorfia dolce, il sudore scivola per il collo.

Rantolerai ancora, lo sai.

La tua agonia sarà ancora straziante.

Ma andrai oltre, ti lascerai tutto alle spalle.

Chiudi gli occhi, allora, ti godi il contatto con quella mano.

Il corpo fa male.

Il cuore batte per inerzia.

I polmoni stanno per collassare.

Eppure, in qualche modo, sai che sopravvivrai.

Il 14 febbraio è una data come tante.

Per te, ora, è importante.

Chi se ne frega di San Valentino, è solo una festa.

Questo è il giorno della tua rinascita.

Questo è il giorno in cui le tue mani hanno serrato queste lenzuola con disperazione e hanno lottato strenuamente.

Non importa, il dolore resterà.

Le medicine, l’ossigeno, lo schifoso puzzo d’ospedale.

La schifosa lotta per l’ossigeno.

Il letto.

Il guardare con invidia quello che c’è fuori.

Ma un giorno tornerai a lottare per una vita diversa, per missioni, per sangue e dolore.

Un giorno tornerai alla tua vita di prima.

Lo sai, è una certezza.

Tu ce la farai.

Potrai fare di nuovo l’amore.

Potrai semplicemente respirare con naturalezza, senza urlare dal dolore.

Allora chiudi gli occhi e ti abbandoni al sonno.

Perché lo sai.

In un modo o nell’altro…

Risorgerai da queste ceneri.

E di questo… non rimarrà che il fantasma.

Eternamente immateriale.

E questo, non fa mai male.

[ E’ solo un incantesimo. ]

 

 

  
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