Titolo: Ghost of Love
Numero di parole: 3929
Rating:
Arancione
NdA: Non so se
questa sia un’ Au o no. Cioè, probabilmente no, ma
siccome era poco importante
ai fini della mia storia non è ben chiaro nemmeno a me. Ok,
leggetela come se
non lo fosse, ma se vi ispira da Au, c’è la
possibilità che lo sia.
Diciamo che è totalmente surreale e da dove
sia uscita non lo so neppure io. Leggetela, leggetela con il cure e
poco con la
ragione, perché si parla di amore, morte e sofferenza. Ma, soprattutto,
perché difficilmente qualcuno
di noi ha mai provato qualcosa come la voce narrante.
I versi in inglese
sono presi da una canzone dei “ Rasmus” : Ghost of
Love, che è stata la mia
musa per tutto il testo, nonché mi è sembrata
subito mia.
Ecco
il link del testo e del video della
canzone, chissà che non conquisti anche voi.--> http://www.youtube.com/watch?v=89Fa9F6ACD4
Questa fic partecipa
al contest su Kakashi Sakura indetto da “ Forbidden Love
forum” . se vi piace
la fiction potete ( dovete XD) votarla sul sito… ecco il
link^^ www.kakasaku.forumfree.it nella sezione contest - italia
San Valentino… diciamo che è un
San Valentino senza
cioccolatini e dolci, perché, ho il brutto difetto di essere
alquanto cinica .
Spero vi piaccia,
anche perché dentro questa fic, c’ ho messo
davvero l’ anima.
A
Deja, che ascolta
pazientemente ogni delirio.
Perché
ci vuole pazienza
con me.
Ghost
of Love
Gli occhi si chiudono, le palpebre scivolano sulle pupille, rubando al mondo la vista delle tue iridi perfette.
La bocca si apre, i muscoli della faringe si contraggono, alla disperata ricerca d’aria e ossigeno.
La fame d’aria, la chiamano, senza sapere quanto questo nome sia adatto.
Dispnea.
L’ugola va su e giù, spinta dalla tua ansia di respirare, spinta dalla carenza d’ossigeno che i polmoni malandati non possono più sopportare.
Ancora, ancora aria.
Stringi i pugni, afferrando così i lembi del lenzuolo di carta verde dell’ospedale.
Le vene si gonfiano, mentre tu, inutile, annaspi alla ricerca di nutrimento e vita.
La mascherina d’ossigeno pare inutile, solo un pezzo di plastica posto a far prolungare la tua agonia, un’agonia cronica, che non potrà mai avere fine, perché non ti illudi in proposito.
E, ancora, le sopracciglia si aggrottano, una goccia di sudore - una tra le tante - scivola per la tua fronte, passando per il collo, finendo sotto la vestaglia, fondendosi al tuo corpo caldo e sudato.
In questo momento il tuo cervello impazzisce, vorrebbe solo averla accanto.
Eppure, eppure sai che non è possibile, perché tu stesso l’hai scacciata.
L’hai scacciata per il suo bene, perché lei è una bambina, non può stare con un vecchio come te, un vecchio destinato ad una morte atroce e dolorosa, per di più.
Fuori dalla tua camera, dal tuo sudario, la gente sorride, si scambia biglietti d’amore, cioccolatini e baci. Oggi, ti dici tra uno spasimo e l’altro, oggi è san Valentino. Oggi è la festa in cui gli innamorati si scambiano piccoli doni, piccole promesse per un’eternità di piacere o semplicemente di futili bugie costruite malamente. Oggi, 14 febbraio, è il giorno in cui le avresti dovuto fare un bellissimo regalo, tra un colpo di tosse e un altro. Avreste riso della tosse da vecchio, che non se ne andava mai.
E, invece, sei inchiodato ad un letto, a malapena vivo, a malapena senziente, a malapena essere umano.
E, puoi percepirlo, il tuo medico se la starà spassando - come avresti fatto tu, d’altronde - con l’infermiera del piano, con una donna qualsiasi. Solo per godere della vita che ancora gli passa tra i capelli, solo per godere dell’energia che pervade il proprio corpo giovane.
E tu, tu che non sei neppure troppo più vecchio di lui, tu sei costretto ad una squallida mascherina d’ossigeno, ad uno squallido letto d’ospedale, a stancarti per ogni squallido respiro.
Di nuovo, stringi quella coperta, appoggi la testa stancamente sul cuscino, tenti di respirare, di placare la fame d’aria che ti attraversa, spingendoti a quel singolo traguardo.
Respirare, sorridi amaro.
E’ un processo involontario, per le persone normali.
Il diaframma si alza e si abbassa da solo, i polmoni ricevono O2 e restituiscono CO2, e tutto sembra possibile, grazie a quel solo gas - nemmeno raro - che ti permette di vivere.
Non per te.
Per te è una sfida anche solo raggiungere ed agguantare un po’ di quella torta così ambita.
E lei, lei era per te l’ossigeno che non riuscivi a ricevere.
Lei era la sazietà per quella fame, lei era la panacea per quel male indotto dal fumo, dalle particelle PM10, dai prodotti chimici e da chissà cos’altro.
[L’hai
mandata via tu.
Lei
sarebbe rimasta.
Ti
sarebbe accanto, ora.]
Ti basta il ricordo, sussurri. Ti basta ricordare quelle labbra sulle tue, quella mano amica che ti teneva la tua, asciutta e magra, nei momenti di crisi respiratoria. L’hai scacciata: non potevi permettere che si innamorasse di un uomo costretto a morire come una larva.
Apri
gli occhi, di scatto. Nel tuo delirio ti è parso di percepire la sua presenza. [Della bambina]
Ti è parso, per un secondo, di sentire la sua voce flautata per la stanza, illuminarti e placare la fame.
Delirio del cervello in carenza di ossigeno, ti dici.
[I am
near you.
You don’t see me]
Spalanchi gli occhi bicromatici, cercando, quasi follemente, l’origine di quel sussurro nella stanza. Senti il cuore aumentare le pulsazioni, senti i polmoni quasi collassare. L’ossigeno non è abbastanza…
Dimentichi
di allargare la bocca e tentare di respirare. In quel
momento di pura irrazionalità e non-lucidità, la
cerchi con tutto te stesso.
Cerchi l’immagine,
perché la presenza
tu… la percepisci.
[Can
you feel me
Closer than close…]
E la senti, ti dici. Gli occhi non la vedono, gli occhi sono fallaci. Non puoi fare affidamento su di essi. Allora alzi un braccio, a fatica, lo stacchi dalle lenzuola di carta, tasti il vuoto, sperando di trovarvi qualcosa di consistente.
Sperando di trovare anche solo il ricordo di un tocco, di una familiare percezione fisica.
La bocca si apre, per istinto.
I muscoli del diaframma si contraggono, i polmoni si espandono per accogliere l’aria necessaria.
La fame d’aria…
Improvvisamente, l’aria non arriva.
Allora i tuoi rantoli si fanno disperati, le mani si agitano in aria, il sudore cola inesorabile per la tua fronte, gli occhi si fanno opachi.
Manca poco, lo sai.
Tenti
di respirare, i rantoli aumentano di intensità, il corpo si
contrae nello sforzo, gli occhi si spalancano senza vedere davvero.
[Does it
hurt?
Does it burn?]
E gridi, gridi senza voce.
I polmoni paiono andare a
fuoco, come quando tieni la testa
troppo tempo sotto l’acqua e l’intero corpo spinge
per riemergere, il tuo corpo
intero pare perdere la concezione spazio-tempo.
E tu, la tua mente, avete
solo due cose davanti.
Li senti, i
“bip” dell’elettrocardiogramma diventare
alti, il
loro suono stridulo riempirti le orecchie.
Senti le voci concitate dei
medici, delle infermiere sorprese
nei loro “san Valentino” scintillanti, le senti
venire verso di te.
Senti qualcuno gridare
qualcosa che ti suona come un “non
mollare, dannazione!”
Ma tu, tu non li ascolti
davvero.
I tuoi occhi anelano solo a
quell’immagine fallace della donna
amata [bambina]
che il
cervello ti propone, come effetto delle allucinazioni.
Fa
male?
Brucia?
Sì, rispondi,
mentre le scariche del defibrillatore fanno
sussultare il tuo corpo quasi atono.
Brucia, brucia non poter
raggiungere quel corpo.
[Do
you know what you’ve lost?
Are you scared of the dark?]
Lo sai cosa hai perso?
Hai perso tutto.
Eppure lo hai fatto per lei.
Hai fatto di tutto per
proteggerla, per te sarebbe stato
eternamente più facile averla al fianco e poter stringerle
le mani nei momenti
di crisi.
Sai cosa hai perso.
Hai perso
l’ossigeno, lo stesso per cui stai annaspando.
Chiudi gli occhi, tanto sai
che l’immagine che vedi è solo il
riflesso di quello che sta per accadere.
No, non ti fa paura il buio.
Alla fine, il buio, sarebbe
solo una liberazione.
Eppure, sentiresti come se
volessi scappare.
Non ti fa paura il buio,
purché plachi la fame…
nulla ti fa più paura della fame.
Eppure non vuoi del tutto
sfuggire alla fame,
perché questa è parte di te. Perché se
scappassi… sarebbe
come arrendersi, come dimenticare per sempre quel sorriso angelico ed
infantile, quel corpo troppo giovane.
Il buio non ti fa paura, la
cosa che ti fa paura, davvero paura
è il non poterla ricordare, il dissolvere quel ricordo
fatato che ti tiene a
malapena in vita.
Ma, per quanto la tua forza
di volontà possa essere forte, si
deve piegare alle carenze del tuo corpo.
Il cuore si ferma, le
scariche di defibrillatore possono poco,
il tubo che ti hanno cacciato in gola a viva forza può
ancora di meno.
E, allora, fiaccato,
affamato, chiudi gli occhi, ti concedi
all’oscurità
per qualche singolo secondo.
Ma a te, quei secondi,
paiono ore, paiono una vita intera.
[L’hai persa, stolto.
E’ stata tutta
colpa tua.
Hai perso
l’ossigeno, mortale.]
14
febbraio.
Quella data rimbomba per la
tua mente, o per qualsiasi cosa ci
sia al suo posto.
Hai chiuso gli occhi,
l’ossigeno non serve più.
Il petto non fa
più male.
Non c’è
dolore, non c’è fame.
Solo un buio infinito, in
cui il tuo corpo galleggia, si muove
senza sforzo, nuota con ampie bracciate.
Non c’è.
Non c’è
quasi più
il
ricordo di lei, è solo sotto la scorza, è come un
incantesimo debole che corre
per le tue vene, senza intaccare davvero la superficie, senza davvero
sfiorarti.
Apri gli occhi, solo per
vedere dove stai andando, solo per
vedere cosa c’è dopo la fame.
Ed è solo il buio.
Poi, d’un tratto,
percepisci la luce, la luce sopra di te.
E, quasi solo per provare la
piacevole sensazione di muoverti
liberamente, senza ausilio di macchine o di ossigeno, ti muovi verso
quella
luce.
Ti immergi nella luce.
Trai una possente boccata
d’aria in quella luce.
E poi, solo una luce tanto
forte da stordire il resto.
Chiudi gli occhi, per un
solo secondo, ti dici. Solo per non
rimanere troppo abbacinato.
Eppure, quel semplice
movimento ti fa stancare.
E la fame,
possente,
ritorna. Ritorna il ricordo, ritorna il dolore, ritorna lei.
Il naso percepisce un odore
di rose, volti il collo, tastando
morbido.
Non vuoi aprire gli occhi,
in qualche strano modo sai che, se li
aprissi, tutto sarebbe semplicemente peggio.
Perché ora
c’è la fatica, c’è la fame, fottuta bastarda,
ma
è qualcosa di lieve e sopportabile. Non vuoi che peggiori,
perché potrebbe solo
peggiorare, lo sai.
Eppure, eppure quel tocco
morbido sulle guance, quella vellutata
essenza che ti stuzzica, quel profumo tanto familiare…
Ti ricorda lei.
E c’è
solo una cosa per cui sfideresti la fame, anche se l’hai
scacciata, anche sei hai cercato di negare tutto quello che provavi,
provi e
per sempre proverai per lei: Sakura, la bambina.
Allora apri gli occhi,
scacci la paura.
Le mani tastano qualcosa di
morbido e quasi scivoloso, qualcosa
di vellutato e al contempo fragile.
Le dita vengono punte da
qualcosa di sottile e doloroso,
qualcosa che al solo pungere sa di terra, profumo,
e fragilità.
Sorridi di sbieco, mentre i
tuoi occhi tentano di aprirsi e di
mettere a fuoco quel luogo, se così si può
chiamare.
Come non riconoscere le cose
che stai toccando? Sono rose. Rose, a questo pensiero il tuo sorriso
diventa
più amaro e quasi sussulti, scosso da un colpo di tosse
fatale. Le rose, belle
e fragili, tanto spavalde eppure così misteriose da non
mostrare mai il loro
significato. Le rose: passionali, ambigue, magiche eppure
così moriturae,
cosa ti ricordano, povero folle?
Te stesso.
Allora ridi, ridi isterico,
spalanchi gli occhi. La luce entra
dalla pupilla, si riflette sulla retina, il cervello capta quelle
immagini.
Un campo sterminato di rose,
rose rosse come il sangue, intense.
Rose con le spine.
Un albero di ciliegio
spunta, piccolo. E’ ancora giovane, deve
avere al massimo un anno o due. E,
sorridi ancora più amaro di prima, è
l’unica cosa diversa da rose, in quel
delirio immenso e senza fine.
Che sia questo il tuo
inferno?
Inferno e non vita,
perché ricordi con estrema precisione il
fatto di aver perso coscienza, lì in ospedale, quindi
supponi di essere morto.
E se ti sbagliassi?
Hai ragione. Che importanza
avrebbe, in fondo.
[Now that you’re gone
All that remains]
Ora che te ne sei andata,
ora che l’hai scacciata, non ti rimane
più nulla.
E la fame,
insaziabile, ritorna con forza e violenza.
Inizi a rantolare, alla
folle ricerca d’aria. Quel profumo di
rose non fa che peggiorare l’arsura che ti controlla. Tenti
di sederti, ma non
c’è nulla su cui appoggiarsi.Le pulsazioni accelerano, serri i pugni,
perché non c’è assolutamente
nulla da serrare. Non ci sono fatiscenti coperte di carta, non ci sono
mascherine d’ossigeno asfissianti. Sei solo, solo con la
malattia, solo con la
quasi-vita, non troppo lontano dalla quasi-morte.
D’un tratto alzi
gli occhi, costringendoti a respirare,
costringendoti a distrarti dalla fame,
chissà che non se ne vada da sola.
E lo
vedi.
[Is the ghost of
love
Deep in my mind
I hear the chains
Of the ghost of love]
E’
come lei. Solo che
non è lei, lo sai. E’ più alta,
più grande, più matura. I capelli rosa le
scendono sino alla vita, gli occhi verdi sono più maturi e
consapevoli, gli
zigomi sono più affilati, le labbra più carnose.
Sembra semplicemente
più grande.
E questo, lo sai, non
è affatto possibile.
Deve essere
qualcos’altro. Ma come, la tua mente suggerisce
sarcastica, un grande genio come te non riesce a risolvere
l’arcano?
- Chi… sei? -
Rantoli, allora.
Se non puoi conoscere le
risposte, allora meglio chiederle. Non
sopporti l’ignorare le cose, ti sa di stupido oltre che
incredibilmente
controproducente. Eppure, talvolta, hai preferito non sapere, o fingere
di non
farlo.
La sconosciuta, o meglio la
troppo conosciuta, si avvicina a te,
senza espressione, senza agitarsi, composta, innaturale.
Non sussulta ai tuoi
rantoli, non sussulta alla fatica enorme
che hai fatto solo nel pronunciare quelle due parole.
- Sono il fantasma
dell’amore.
-
[Non lo capisci, umano?
Sono quella che ti ha
ancorato alla tua miserabile vita.
Io sono quel desiderio
impagabile, io sono la
nostalgia assoluta.
Io sono la sete, sorella
della fame.
Io sono la voce dei tuoi
deliri.
Io sono il ricordo.
Io sono i rimpianti.
Io sono la lei che vorresti.]
Quante parole sussurra,
quante parole percepisci senza
davvero sentire.
Tenti di alzarti, per
raggiungerla.
Non ce la fai.
Le gambe non reggono nemmeno
il peso fragile del tuo ancor più
fragile corpo. Allora atterri sulle ginocchia, sfiorando le spine.
Eppure non
hai vestiti, non hai nulla. Hai solo la percezione del corpo e non di
cosa vi
sia sopra.
I capelli argentati ti
piovono sugli occhi, rubandoti parte
della sua immagine.
Lei si avvicina, tu protendi
una mano per toccarla, per sentire
quella pelle tanto simile alla sua.
E non la senti.
La tua mano, carne seppur
poca, passa per l’immateriale,
sfiorando l’essere, rendendoti una specie di demiurgo.
E, d’un tratto,
capisci.
Lei non esiste, non almeno
del senso stretto di esistere. Non è
un’entità fisica, non viaggia per il mondo.
E’ solo
lì, nella tua mente malata, è solo lì
il 14 febbraio, da
sola con te ed il giardino di spine.
- Tu… esisti
solo... -
- Nella tua mente. - Il
fantasma sorride, dolce, senza perdere quell’espressione di
calma e serenità
forse solo apparente.
Tenti di avanzare, verso
l’enormità immateriale, per
comprendere. Perché hai fame
ed
intuisci che quella potrebbe essere una cura. I muscoli si contraggono,
l’aria
entra a malapena. Persino parlare è uno sforzo paragonabile
a una maratona.
E fa
male.
[You are falling
Down and dirty]
Le
ginocchia avanzano,
vuoi fonderti con quella proiezione della tua mente.
Serri
i pugni, schiacci
le rose, le mani si feriscono con le spine, serri i denti, le
sopracciglia si
contraggono, il tuo volto esprime una sofferenza indicibile.
E,
dopo pochi istanti,
anche le ginocchia cedono in uno scatto malvagio.
[You’ll
be crawling
Lower than low…]
Gattonerai
più in basso
che in basso, striscerai. Anzi, no. Tu strisci già. Non te
ne fotte più nulla
della dignità: a questo ti ha portato la malattia. Tu vuoi
solo che questo
dolore finisca, tu vuoi abbracciare la pace, tu vuoi vivere, non vuoi
soccombere. In questo momento non pensi più, è
solo l’istinto animalesco che ti
porta a voler raggiungere l’immateriale fantasma,
è solo l’istinto che ti fa
cadere nella trappola delle sue invitanti malie.
Non
ti vuoi fermare.
[Umano,
non strisciare.
Io
sono la sete.
Io
sono l’immateriale
moria, non sono io la risposta.
Tu
cerchi la fame, la mia sorella materiale.
Sai
che giorno è oggi?]
Ma
sei costretto a
fermarti.
Il
fantasma ti guarda,
non sei nemmeno sicuro che abbia parlato davvero.
Allora,
tra i rantoli
le rispondi, la voce soffocata.
-
Oggi... è il 14
febbraio. - Non ce la fai a dire di più, anche se vorresti.
Tu tossisci,
la
vista si annebbia,
tossisci tanto che salgono le lacrime dallo sforzo. E ancora rantoli, e
il tuo
respiro lieve e sibilante riempie l’aria e lo spazio.
[Voi
sciocchi umani lo
chiamate San Valentino.
Che
nome stupido.
E’
solo un giorno come
gli altri.
Di
certo la morte non
si ferma, oggi.
Di
certo la vita non
cambia, oggi.
Eppure
vi ostinate a
festeggiarlo con caparbietà.
Oggi
stai morendo.
Ieri
stavi morendo.
Sono
due anni che stai
morendo.
Oggi
nulla cambierà in
meglio.]
Sorridi,
amaro.
E’
solo un giorno come
tanti altri. Il fantasma, la pazzia, ha ragione.
Cos’è cambiato mai nella tua
vita, il 14 febbraio? E’ sempre stato un giorno del cazzo, un
giorno in
compagnia dei rimorsi, del fumo e del lavoro. Anche da bambino.
Eppure,
ora, vorresti
averla accanto.
I
tuoi occhi rilucono,
oltre la patina lucida indotta dalla sofferenza.
Vuoi
qualcosa da quel
fantasma, non sai nemmeno cosa.
Tu,
umano, vuoi la
cura.
Te
ne frega che sia per
la sete o per la fame,
per l’immateriale o il materiale, vuoi solo finire di
annaspare.
[Avevi
la cura, umano.
Era
la sorella fame.
Era
LEI.]
You
are falling
Cruel and thoughtless
[Crudele.
Senza
pietà.
Le
parole scivolano.
Stai,
cadendo, nevvero
Kakashi?
Il
demiurgo cade.
Il
materiale e l’immateriale
con lui.
Senza
scrupoli.
Questo
è il mondo.
Rantola.]
Annaspi,
lo shock ti
blocca la respirazione, il diaframma rimane come bloccato. Tutto si
ferma, gli
occhi si sgranano, attoniti. Ti rannicchi su te stesso, cercando di
respirare.
Ma non ce la fai, è il corpo stesso che è
annichilito da tutto questo.
[Can you
sleep?
Can you breathe?
Puoi dormire, puoi
respirare?]
Non puoi respirare, ora. In
generale non puoi respirare da solo,
ti serve la mascherina d’ossigeno. Non puoi dormire, la
malattia,
Tossisci, rantoli, non dormi.
Perché se
dormissi tutta la macchina corpo si fermerebbe.
No, né ora
né mai puoi respirare o dormire.
[When
you know what you’ve done?
Tell me where will you run?]
E ora, ora che sai che hai
allontanato la cura, anche se per il
suo bene, ora che sai che era lei la cosa davvero importante, ora che
sai che
sei stato tu a condannarti in questo sogno parallelo… puoi
fare qualcosa di
diverso?
Puoi correre?
Figuriamoci, non sei manco
in grado di respirare.
La tua mente incalza. Suvvia,
respira!
Ma non puoi.
E’ come se tutto
si fosse bloccato, come se la fame non
esistesse manco più, ora che non esiste la
necessità di sfamarsi, è come se non
esistesse la necessita di vivere.
Rantoli, annaspi, gli occhi
escono fuori dalle orbite, il sudore
cola, le mani artigliano qualcosa che sa di carta.
Gli spasmi muscolari
attraversano il corpo.
Quasi ti contorci per il
dolore, per la mancanza d’aria.
Sono i secondi che preludono
l’arresto cardiaco.
Sono i secondi di puro
dolore.
Ma a te, a te paiono secoli
di agonia.
E il fantasma, ti guarda,
immobile.
Forse vorrebbe salvarti.
E tu, tu vorresti gridare di
non stare immobile a guardare.
Ma non ce la fai.
[I’m barely breathing
Can’t hold on
I’m dying
I must be bleeding
Won’t be long…]
Sai
che manca poco.
Non
puoi parlare.
Non
puoi sussurrare.
Non
puoi gridare.
Puoi
solo chiudere gli
occhi spalancati.
Puoi
solo lasciare il
corpo rilassarsi.
Puoi
solo smettere di
tossire sangue.
Puoi
solo lasciarti
andare.
Stai
morendo.
E
fa male.
Senti
il cuore che non
batte più.
Senti
la fame vincere e lasciarti vuoto.
Le mani mollano la carta.
Le palpebre si rilassano, le
ciglia argentee ti rubano la
visuale, ti rubano l’ultimo scorcio di luce prima del buio.
E la vedi.
Per l’ultimo
secondo il fantasma dell’amore ti guarda, senza
batter ciglio.
Una lacrima le cola per le
guance, o forse lo credi soltanto.
Le ciglia cadono, le palpebre scivolano sulle pupille, rubando la vista delle tue iridi perfette al mondo.
- Carica a 300, libera! -
Il torace viene sollevato
dalla violenza della scarica del
defibrillatore.
L’infermiera ti
inserisce l’aria nei polmoni tramite un AMBU.
- Carica a 350, libera! -
Ennesima scossa, il dottore
pare non sentire le infermiere
affermare che è tutto finito.
Ennesima scarica.
Il dolore percorre il tuo
corpo.
Un dolore atroce.
Apri gli occhi di scatto,
vorresti gridare.
Ma non ce la fai.
Sei troppo debole.
Gli occhi si sgranano, nel
vedere chi sia il dottore.
Il fantasma…
No.
E’ lei.
Non è possibile.
Tu l’hai scacciata!
Non è lei il tuo
dottore…
[Sicuro?
Umano, è
l’incantesimo nei recessi della tua mente.]
Ti guarda, con quegli occhi
verdi che paiono sondare l’anima.
E’ lei,
è sempre la stessa.
Negli occhi
c’è forse un ombra di consapevolezza in
più, null’altro.
E la fame,
la fame c’è
ancora, sedata da un palloncino
AMBU e da una tracheotomia.
Lei ti guarda, quasi
raggiante, uno sguardo ai monitor.
Un paio di ordini urlati,
che non senti nemmeno.
Sei troppo debole per
continuare a guardarla, ma non puoi
staccarti da quell’immagine.
Lei ti fissa.
Stringe
all’improvviso una tua mano pallida e magra.
Qualcosa ti scivola tra le
dita, qualcosa di suo.
Sei troppo debole per girare
il collo e capire cosa sia.
- Non me ne
andrò, razza di idiota. Non me ne andrò manco se
mi
scaccerai di nuovo. Io ho una volontà. Io ho un desiderio,
devi rispettarlo. Non
mi interessa che pensi, non mi interessa se ti consideri vecchio. Io ti
amo, ti
amo da far schifo. Non mi interessa se la gente penserà che
sono una troia che
se la fa col suo superiore. Io posso andare avanti, nonostante tutto.
Ma non
posso tollerare di perderti, come stava per succedere poco fa, non
posso
tollerare che tu ti lasci morire. Tu sei il mio ossigeno, tu sei la mia
aria.
Tu sei quello che mi fa andare oltre. -
Tu la guardi, sorridi di
quell’innocenza, la stessa che vorresti
avere tu.
Eppure la fame non
c’è più.
Non c’è
il disperato bisogno d’aria.
Non c’è
più la lotta per la sopravvivenza.
Ti eri illuso che non ti
amasse, sbagliavi.
Come sbagliavi riguardo alla
tosse, come sbagliavi nel credere
che fosse solo una cazzata che sarebbe andata
a posto da sola.
Ti sentivi invulnerabile.
L’immateriale non
ti sfiorava.
Sbagliavi.
Ora lo sai, ora che fissi
quegli occhi verdi al limite delle
lacrime.
Ora che il corpo fa tanto
male da urlare.
Ora che le ferite in
missione paiono una cazzata.
Ora.
Allora sorridi, per quanto
ti sia possibile con quel tubicino in
bocca, gli occhi si piegano in una smorfia dolce, il sudore scivola per
il
collo.
Rantolerai ancora, lo sai.
La tua agonia
sarà ancora straziante.
Ma andrai oltre, ti lascerai
tutto alle spalle.
Chiudi gli occhi, allora, ti
godi il contatto con quella mano.
Il corpo fa male.
Il cuore batte per inerzia.
I polmoni stanno per
collassare.
Eppure, in qualche modo, sai
che sopravvivrai.
Il 14 febbraio è
una data come tante.
Per te, ora, è
importante.
Chi se ne frega di San
Valentino, è solo una festa.
Questo è il
giorno della tua rinascita.
Questo è il
giorno in cui le tue mani hanno serrato queste
lenzuola con disperazione e hanno lottato strenuamente.
Non importa, il dolore
resterà.
Le medicine,
l’ossigeno, lo schifoso puzzo d’ospedale.
La schifosa lotta per
l’ossigeno.
Il letto.
Il guardare con invidia
quello che c’è fuori.
Ma un giorno tornerai a
lottare per una vita diversa, per
missioni, per sangue e dolore.
Un giorno tornerai alla tua
vita di prima.
Lo sai, è una
certezza.
Tu ce la farai.
Potrai fare di nuovo
l’amore.
Potrai semplicemente
respirare con naturalezza, senza urlare dal
dolore.
Allora chiudi gli occhi e ti
abbandoni al sonno.
Perché lo sai.
In un modo o
nell’altro…
Risorgerai da queste ceneri.
E di questo… non
rimarrà che il fantasma.
Eternamente
immateriale.
E questo, non fa mai male.
[
E’ solo un incantesimo. ]