Double, Chilling Trouble
3° Giorno – Sera
Dritta
come un fuso, le braccia incrociate, gli occhi gelidi che lo trapassavano
indagatori, attendeva una spiegazione, preferibilmente logica, del campo di
battaglia che si era ritrovata davanti.
Vika, si era ricordata improvvisamente di possedere un suo sorriso adulatore ed incantatore, ed era venuta in un primo momento in suo soccorso. Squittendo un “MAMMINAAA!!” le era corsa incontro, saltata in spalla e quasi stritolata in un abbraccio che assomigliava di più ad una mossa di aikido che un gesto d’affetto.
Alex si era prodigato in una delle sue solite scalate, cinguettando incessantemente “mamma mamma mamma mamma”
In realtà l’azione diversiva dei bambini gli si era ritorta ben presto contro: Nina aveva prima visto il bernoccolo con effige di Alex e poi il dito fasciato della bambina.
Così
lo sguardo perforante di sua moglie era ritornato su di lui, questa volta
tenendo entrambi i bambini in braccio.
Viktorija
aveva allora tentato un disperato quanto improbabile piano B: “Abbiamo chiesto al papà di farci uno schiuma party.”
“Con
fuoco e fiamme e l’ausilio di un estintore?” fu la sarcastica domanda di
rimando della madre.
“Beh,
sai com’è papà… si lascia sempre un po’ prendere
dalla mano e poi…”
“Viktorija, Aleksej, andate in
camera vostra, per favore. Devo parlare con
vostro padre.”
Alex
tentò un “mammina” inefficace.
Convinti
da un’altra, terribile occhiata materna, i bambini ripiegarono velocemente in
camera.
Uno
contro uno.
Un
duello.
Meglio
nascondere il ceppo dei coltelli.
“Quindi?”
“Un
incidente.”
“Di
che tipo?”
“E’
esploso il microonde.” Cercò di darsi un tono neutro e calmo, come se fosse una
cosa normale rendere la propria cucina
ad un campo di battaglia.
“
E le ferite sui bambini?”
“Il
bernoccolo è stato causato da un comune colpo ad un comodino – o un armadio.
Per il dito di Vika è una storia troppo lunga e
noiosa che…”
Con
apparente e studiata calma Nina rialzò
una delle sedie cadute durante il parapiglia di pochi minuti prima e vi si
sedette, appoggiandosi al tavolo e tamburellando le dita sulla superficie.
“Ho
tempo.”
Un gatto che gioca con il topo
prima di farlo fuori.
“Ha
infilato un dito nello spunta sigari di Volkov.”
“E
dov’era lo spunta sigari di Volkov?”
“Beh,
nel posto dove stanno tutti gli spunta sigari.”
“Cioè?”
“Sulla
scrivania del suo ufficio.”
Le
dita di Nina avevano smesso di tamburellare. “E che ci faceva mia figlia –o
devo immaginare entrambi i miei figli- nell’ufficio di Volkov,
che presumo sia nella sede della Spetsnaz?”
“Le
scuole sono chiuse al sabato.”
“Ma
va? Ma TU mi avevi promesso che saresti RESTATO A CASA con i bambini. Forse tu
intendevi lo stai a casa come non partire per il Kazakistan o altre missioni… Io
invece intendevo non andare in ufficio, anche. Hai ragione. Colpa mia che non
ho specificato bene.”
“A
proposito del Kazakistan…”
“Non
cambiare discorso!”
“Gli
eserciti non si fermano perché devo fare il Baby Sitter!!”
Nina
colpì il tavolo con un pugno. “BABY SITTER? TI HO CHIESTO DI
FARE IL PADRE, UNA BUONA VOLTA!” Urlò alzandosi di scatto. “Non mi pare di
averti chiesto chissà quale favore incredibile. Ti ho chiesto solo di badare ai
TUOI figli.”
“Ascolta:
non si era deciso che Tu saresti restata a casa a…”
“NO!
abbiamo deciso che mi sarei presa un attimo di pausa dal lavoro, considerato il
rischio che corro. Ma ora mi sembra passato abbastanza tempo.”
Nella
loro cameretta Viktorija era finalmente riuscita a
togliere una sbarra di legno dal lettino del fratello. Il piccolo si era
arrampicato all’interno e la guardava incuriosito, aspettando le sue
istruzioni.
Dalla
cucina provenivano urla poco rassicuranti.
“Allora,
Alex, il piano per farli smettere è questo: tu infili la testa tra le sbarre:
io rimetto a posto questa, così risulterai incastrato e chiamerò mamma e papà.
Per cercare di disincastrarti smetteranno finalmente di litigare e noi saremo
felici e contenti. Ok?”
Aleksej
annuì: si fidava della sorellona. Infilò la testa nel
punto indicato e la bambina rimise a posto la sbarra tolta, in modo che lui
rimanesse incastrato.
“Bene,
e ora…”
Il
bambini iniziò a piangere disperato, diventando ben presto paonazzo in volto.
“Perfetto
Alex, sei un fantastico attore!” si congratulò la sorella, sfregandosi le
mani. Poi si catapultò fuori dalla
stanza per fare la sua parte.
“MAMMA!!!
PAPA’!!! Alex si è incastrato con la testa nel lettino, non riesco più a
toglierlo!”
“Oh
caz…pita!”
Nina
cercava di tenergli sollevata la testa e di farlo inutilmente calmare, mentre Sergei trovava il modo per togliere una delle sbarre per
liberarlo: “Vorrei capire come ha fatto con quel testone ad infilarsi qui dentro, è fottutamente stretto!”
“Non
so se te ne sei accorto, ma i nostri figli riescono in imprese impossibili ai
comuni mortali.” Rispose la donna, accorgendosi che la faccia rossa del bambino
stava diventando troppo paonazza. “Non
respira bene, fai presto.”
Viktorija
spalancò gli occhi colpevolmente sorpresa, mentre il padre, con le sue solite buone maniere si era risoluto a rompere
direttamente la sbarra incriminata e a liberare il figlio minore.
Nina
lo prese in braccio per farlo calmare, mentre il bambino smetteva di
singhiozzare e riprendeva un colore normale, la testa tuffata nei capelli
materni.
“E’
decisamente troppo stretto per passarci con la testa.” Constatò l’uomo,
controllando il lieve segno di pressione sul collo del bambino. Si scambiò uno
sguardo con la moglie, prima di voltarsi entrambi verso Viktorija,
che manteneva il suo solito contegno falsamente tranquillo e innocente.
“Vika, ti farò solo una domanda, a cui mi dovrai rispondere sinceramente.” ora la falsa calma di
Nina era rivolta verso la bambina. “Hai infilato tu, non so come, la testa di
tuo fratello in mezzo alle sbarre?”
“No.
E mi offendono molto i vostri sospetti.”
“Viktorija…non mentire a mamma e a papà…
sennò finisci nei guai…”
La
bambina sostenne lo sguardo di ghiaccio della madre, con somma preoccupazione
di Sergei: se a sette anni quella piccola serpe
riusciva a far tanto, non osava pensare all’adolescenza. Forse era già il caso di iscriverla alla
scuola militare…
“Viktorija, tutti gli indizi sono contro di
te. Ti conviene confessare, e subito.”
Lei
scattò in piedi, sguardo fiero e braccia conserte: “Si, quindi? E’ stato un
piano studiato per farvi smettere di litigare. Un piano semplice ma
perfettamente riuscito, tra l’altro. Dovreste complimentarvi con me.”
Vincendo
lo stupore iniziale, gli occhi di Nina si incendiarono: “Hai rischiato di far
soffocare tuo fratello per questo! L’hai spaventato a morte e non respirava!”
“Ma
che dici! Lui recitava una parte nel piano!”
Sergei,
adirato, le fece notare che era semplicemente ridicolo che un bambino di un
anno e mezzo riuscisse a mettere in scena una commedia del genere. Voltandosi
verso la moglie, però, la vide studiare il faccino del piccolo. Era tornato del
suo colore naturale, e sbatteva gli occhi limpidi guardandosi attorno
soddisfatto. “Alex, è vero quello che dice tua sorella?”
I
due bambini si scambiarono uno sguardo, poi Aleksej
annuì sorridendo.
“Questo
si che è un gioco di squadra.” Commentò sbalordito l’uomo. Poi il piccolo
scivolò dalle braccia della mamma e andò dalla sorellina, che li fissava
diabolicamente vittoriosa. “E ora, se volete scusarci, i cartoni animati ci
attendono.” Disse uscendo dalla stanza con il piccolo per mano.
Nina
boccheggiò: “Abbiamo creato due piccoli mostri…
questi due sono molto peggio dei Mishima…”
Era
mezzanotte passata quando riuscirono a farli addormentare.
Sergei
entrò nella propria camera da letto con la consapevolezza che la discussione
interrotta dalla piccola coppia di demoni sarebbe ripresa non appena avrebbe
chiuso la porta.
Si
stupì non poco a trovare Nina a letto che fissava il vuoto con aria incredula.
“Con due pesti del genere, tornare al lavoro è fottutamente impossibile.”
Era
ciò che le orecchie dell’uomo volevano sentire. Aprì la bocca per cercare di
dare il colpo finale di convincimento, ma poi desistette nel vedere la sua
espressione delusa.
Avrebbe dovuto capirla: in fondo, non la reputava lui stesso la sua controparte femminile, così simile negli interessi?
Sapeva benissimo quanto lei adorasse combattere e che il ruolo di agente le calzava alla perfezione.
E allora, valeva ben un accordo. “Io credo che si possa fare.”
“E come? Non ho proprio voglia di rischiare di trovarmi davanti ad un olocausto nucleare ogni volta che torno a casa.” Fece un sospiro profondo. “Non va bene per i bambini, tra l’altro.” Sospirò nuovamente, appoggiandosi alla testiera del letto. Per la prima volta sembrava sconfitta. “Pensavo fosse più facile. Fare la mamma, intendo. Non mi fraintendere, è stupendo, però… a volte mi sento soffocare. Ho bisogno di un po’ d’aria, di un po’ d’azione. Ho voglia di tornare ad essere un agente. Sento il bisogno di combattere, di essere letale. Però ho anche bisogno dei miei figli, della mia famiglia. Che diavolo, è tutto così complicato!”
A Sergei venne quasi
da sorridere, a vederla così tormentata. Senza rendersene davvero conto prese
la sua mano, portandosela alle labbra. “Dobbiamo organizzarci. Cooperare.” La baciò.
“Essere una squadra. Solo così saremo alla pari con quelle due piccole serpi e
potremo fronteggiarli.”
“Dici che
potremmo riuscirci?”
“Le imprese
difficili sono sempre state il nostro forte, Williams. E poi siamo un ottimo
team, io e te.”
La vide
sorridere, rilassarsi. “Hai ragione, una coppia come noi due non si è mai vista
in giro.” Poi gli si avvicinò,
sfiorandolo con le labbra. “Noi abbiamo causato questo casino…
e noi lo risolveremo.” Sogghignò, baciandolo.
Si ritrovò
imprigionata tra le sue braccia a cingergli i fianchi con le gambe. Si fermò
improvvisamente, guardandolo interrogativa: “Cosa volevi dirmi sul Kazakistan?”
Dragunov, colto in
contropiede, fu abbastanza abile da dissimulare un reale imbarazzo: “oh, nulla
di che… possiamo parlarne domani, davvero. Nulla di
importante. Posso chiederti un equipaggiamento più consono alla situazione?”
Nina rise di
gusto, scivolando sensuale tra le sue braccia e alzandosi dal letto, diretta
all’armadio. “Ho giusto comprato uno splendido completino di pizzo nero… il tuo genere preferito…”
sussurrò con voce roca. “Oppure… la settimana scorsa
ho trovato nell’armadio un paio di shorts bianchi che ricordo ti erano piaciuti
tantissimo”
L’uomo fece per dare il suo assenso, ma poi si fermò di colpo: il risultato
dell’ultima volta che glieli aveva visti addosso dormiva nella camera a fianco.
“Bustino nero nuovo, Grazie.”
Tutto è bene
quel che finisce bene…
… e anche… Chi è causa del suo mal pianga sé stesso…
Trilioni,
fantastilioni di Grazie a voi che l’avete pietosamente recensita!
Il
‘povero’ Sergei ha ceduto…
eh, d’altronde come si fa a dire di No a Nina Williams (… senza subire
conseguenze fisiche, tra l’altro). Così ha firmato la sua condanna…
Spero
di rivederci presto con Certe notti…
Per
il momento vi saluto e vi sbaciucchio sbavosamente…
EC