Nessun
suono più dolce di quello della campanella di fine lezione
può deliziare le
orecchie stanche di uno studente.
Akane
lasciò cadere la penna sul banco e si stiracchiò
inarcando la schiena, grata di
poter finalmente liberarsi dal torpore conseguente ad otto ore
consecutive di
lezione. Mentre i suoi compagni si lanciavano uno dopo
l’altro oltre la soglia
della loro classe, ansiosi di concludere al più presto la
loro giornata in un
luogo che non facesse alcun riferimento alla parola
“scuola”, cominciò a radunare
tutto il suo materiale e a sistemarlo nella sua borsa.
Nel
momento in cui fece scattare la cinghia della sua cartella,
lanciò un’occhiata
distratta al suo fianco: stava aspettando che anche Ranma avesse
raccolto le
sue cose, così sarebbero potuti tornare a casa insieme.
Spalancò
gli occhi di scatto quando si rese conto che il banco accanto al suo
era vuoto.
Ma allora
era già andato via?
Non
l’aveva aspettata, ma di questo non le importava: non era la
prima volta che
avrebbero percorso il tragitto verso il dojo Tendo in due tempi
differenti.
Quello che
la stupiva era la velocità
con cui si
era volatilizzato.
Fino a due
minuti prima era rimasto accasciato sul banco, con le braccia
incrociate e la
testa appoggiata sopra di esse; sembrava assorto in una specie di
trance,
immobile e con lo sguardo vitreo, quasi fosse diventato una statua di
cera.
Akane aveva pensato che fosse semplicemente esausto, dopo la lunga
sessione di
studio del giorno prima e la notte passata in bianco; un vero straccio,
insomma.
Ma chi poteva biasimarlo?
Ad Akane
non era sfuggito il repentino cambiamento del suo fidanzato: non aveva
aperto
bocca da quella mattina, quando, appena superati i cancelli del liceo,
si era
chiuso in un silenzio di tomba e rifiutava categoricamente di parlare
con
chicchessia. La cosa positiva era stata la totale scomparsa dei suoi
sintomi da
“isteria da esame”, come l’aveva definita
sua sorella Nabiki prima di salutarli
all’ingresso dell’edificio per raggiungere la sua
classe; ma stare in compagnia
di un Ranma apatico, laconico e imbronciato era uno spettacolo di gran
lunga
più inquietante.
Akane
avrebbe voluto dirgli qualche parola di conforto prima che la
professoressa
Hinako facesse il suo ingresso – la sua ora era la penultima
della giornata – ma
il comportamento del ragazzo l’aveva completamente spiazzata,
privandola anche
di ogni minima idea che le era venuta in mente per raggiungere il suo
scopo;
non sapeva proprio che tipo di approccio usare per poterlo incoraggiare
e si
vide costretta a lasciar perdere.
Quando
finalmente l’insegnante d’inglese ebbe messo piede
al di là della soglia della
loro classe, brandendo un voluminoso fascicolo tra le braccia
– chiaramente
troppo pesante per la sua costituzione fisica, ma decisamente
minaccioso per
gli studenti, la ragazza sentì un forte schiocco e
sobbalzò per la sorpresa,
ritirando la mano che aveva premurosamente appoggiato sulla spalla di
Ranma.
Spostando
velocemente lo sguardo su quest’ultimo per chiedergli se
anche lui avesse
sentito quel fragore improvviso, si rese immediatamente conto con
orrore che la
fonte del rumore era più vicina di quanto credesse. Ranma
aveva gli occhi
sbarrati e la schiena rigida come un ciocco di legno; le sue dita,
contratte in
una strana posa, avevano appena spezzato di netto una matita, le cui
due metà
ora giacevano inermi sul piano del banco del ragazzo.
-
Ranma!
– aveva esclamato Akane senza pensarci, -
cos’è successo? –
Si rese
conto solo un secondo dopo che non poteva minimamente sperare
di ottenere una risposta da lui.
L’agitazione
che emanava il ragazzo era palpabile, quasi della stessa
entità dello spirito
combattivo che liberava di fronte ad un nemico particolarmente tenace.
Sospirando,
consapevole di non poter fare nulla per fagli cambiare atteggiamento in
quel
frangente, Akane lo lasciò al suo tormento interiore e
tornò a sedersi al suo
posto. Anche lei non si sentiva particolarmente rilassata davanti alla
prospettiva di dover sostenere un compito in classe, ovviamente, ma si
sentiva
in qualche modo tranquillizzata dal fatto che c’era comunque
qualcuno che stava
di gran lunga peggio di lei.
Si era
sentita subito in colpa per aver provato una cosa del genere.
È vero, Ranma
aveva le sue colpe e non aveva cominciato a studiare nei tempi utili al
raggiungimento della promozione, ma il giorno prima si era talmente
impegnato
che sarebbe stato un vero peccato se la professoressa Hinako
l’avesse bocciato.
No, non
poteva lasciare le cose così come stavano, doveva
dirgli qualcosa per farlo stare meglio!
Aveva
voltato per l’ennesima volta il viso verso di lui e, una
volta accettato il
fatto che non l’avrebbe degnata di uno sguardo nemmeno se gli
avesse sventolato
un gatto sotto il naso, si sforzò di mostrarsi il
più allegra possibile (c’era
sempre la coda dell’occhio a fare da
ambasciatore…) e cinguettò: - Coraggio,
Ranma! Fatti forza e vedrai che andrà tutto bene!
–
Contrariamente
alle sue aspettative, il ragazzo la degnò di una sorta di
risposta – non
verbale, naturalmente. Lo vide sussultare violentemente e schiantare di
colpo
la testa sul banco, afflosciandosi.
Akane storse
il naso e abbassò il pugno che aveva sollevato a
mezz’aria nel momento in cui
aveva pronunciato le parole “Fatti forza!”.
Onestamente non sapeva come
interpretare quella reazione, ma perlomeno lo aveva risvegliato dal
torpore in
cui era caduto.
Lo vide
tirarsi su di scatto quando uno dei loro compagni fece cadere tra le
sue
braccia il foglio con le domande della prova. L’aveva
afferrato al volo e
scorto con occhi avidi ancor prima che la distribuzione dei compiti
fosse
giunta al termine.
Il brusio
che serpeggiava tra la classe andò affievolendosi sempre di
più man mano che
tutti ebbero ricevuto la loro copia. L’insegnante si era
arrampicata sul piano
rialzato della cattedra e aveva assistito a tutta la scena gettando
occhiate
una volta alla classe, un’altra al fumetto che teneva tra le
mani. Quando il
capoclasse annunciò che ciascun alunno era pronto a
cominciare, Hinako si
ridestò dalla contemplazione di una vignetta particolarmente
divertente e
incenerì letteralmente lo sventurato ragazzo che aveva avuto
la cattiva idea di
interrompere la sua lettura.
-
Aaaah!!
Cretino, cretino! Mi stavo divertendo un mondo! – aveva
piagnucolato agitando
le braccia come una bambina capricciosa.
-
M-Ma
il compito… - aveva balbettato il capoclasse, stralunato.
Hinako
avrebbe sicuramente estratto di tasca una delle sue monete da 5 yen e
passata
all’attacco, se il pensiero del compito non
l’avesse spontaneamente
attraversata come una scarica elettrica.
-
Il
compito? Avete un compito, oggi? –
-
Ma
se ce li ha appena distribuiti!! – aveva sbraitato Hiroshi,
brandendo il suo
foglio sopra la testa.
Approfittare
della ghiotta occasione che la professoressa aveva servito su un piatto
d’argento, ovvero sfruttare la sua
“amnesia” per rimandare il compito in
classe, non era minimamente appagante quando davanti a te si parava
l’ottusa
signorina Ninomiya. Procedere con l’esame, a quel punto,
diventava quasi una
questione di principio. Senza contare, poi, che quella era
l’ultima possibilità
per tutti coloro che avrebbero rischiato di venire bocciati in inglese:
molto
meglio togliersi subito il pensiero, piuttosto che essere costretti a
dover
recuperare la materia prima dell’inizio del nuovo anno
scolastico o, peggio,
durante le vacanze estive.
Ranma non
aveva aperto bocca, apparentemente assorto nell’analisi di
ogni singola
domanda. Aveva mantenuto un’espressione concentrata, Akane
aveva notato, anche
durante tutta la discussione tra Hinako e gli studenti con
più sale in zucca di
lei.
Alla fine,
comunque, la professoressa Hinako si era ricordata
dell’enorme pacco di fogli
che aveva portato in classe con sé quella mattina ( -
Credevo che fossero i
miei fumetti! - ) e scrisse sulla lavagna l’ora di inizio e
di riconsegna
dell’elaborato prima di tornare a tuffare il naso nel suo
avvincente fumetto.
Ben presto
il grattare delle matite sui fogli aveva riempito l’aula,
insieme ai vari
mugugni di studenti che non sapevano dove mettersi le mani.
Akane
rispose senza troppe difficoltà ai quesiti che le venivano
rivolti e, tra una
riflessione e l’altra, gettava delle occhiate al suo fianco.
Ranma sembrava
profondamente assorto, mordicchiava l’estremità
della matita con fare nervoso e
una vena pulsava sulla sua tempia, ma per il resto appariva molto
più
tranquillo di prima. Sollevata, la ragazza tornò a
concentrarsi sul suo
documento e per la fine dell’ora l’aveva
consegnato, correttamente compilato,
alla professoressa Ninomiya.
Non appena
anche Ranma ebbe consegnato il suo (dovette rincorrere Hinako per tre
corridoi
prima che lei accettasse di prendere in custodia il compito che le
stava
venendo consegnato dopo il suono della campanella di fine ora), era
tornato in
classe e si era accasciato sul suo banco, stremato. Akane non fece in
tempo a
chiedergli come era andata, perché
all’insegnante-bambina si era immediatamente
sostituito il professore dell’ultima ora.
Ciò
che
non aveva potuto fare a meno di notare, comunque, è che
Ranma aveva mantenuto
la medesima posizione fino alla campanella che decretava la fine delle
lezioni.
Per questo
non poteva che sorprendersi della vitalità che aveva
dimostrato scappando via
dall’aula senza aspettarla.
Probabilmente
l’aveva repressa fino a quel momento: ovviamente non poteva
permettersi di
fuggire né prima, né durante il compito di
inglese.
Pazienza.
Gli avrebbe chiesto le sue impressioni quella sera a cena.
Si caricò
la cartella in spalla e si avviò a passi lenti verso i
cancelli del Liceo
Furinkan.
-
Sono
a casa! – annunciò la ragazza superando le porte
scorrevoli dell’abitazione dei
Tendo.
-
Oh,
Akane, bentornata! – la accolse Kasumi con un sorriso,
asciugandosi le mani sul
grembiule. – Com’è andato il compito?
–
-
Non
male, – rispose Akane con una scrollatine di spalle.
– Per fortuna erano
argomenti che avevo già studiato. –
-
Bene
– annuì la sorella, compiaciuta. – E
Ranma com’è andato? –
Akane la
guardò incredula.
-
Non
è ancora tornato?! – esclamò sbigottita.
-
Oh,
sì – rispose Kasumi, - ma quando
gliel’ho chiesto non ha voluto dirmi nulla… a
proposito, non siete tornati a casa insieme? –
La sorella
minore non riusciva a credere a quanti sforzi il suo fidanzato stesse
facendo
per evitare di toccare per la seconda volta l’argomento
“compito in classe”.
Doveva aver sottovalutato le sue preoccupazioni se non aveva nemmeno
l’intenzione di parlarne con Kasumi, che era la
tranquillità fatta persona.
-
Ehm…
avevo ancora qualcosa da fare a scuola – farfugliò
a mo di spiegazione per la
domanda di Kasumi. – Sai dov’è Ranma,
ora? –
-
Non
so, credo sia andato in palestra ad allenarsi… O forse a
riposare? Non aveva un
bell’aspetto quando è rientrato… -
mormorò l’altra portandosi una mano alla
guancia con fare materno.
La minore
delle Tendo dubitava fortemente che Ranma avrebbe potuto riposarsi a
dovere
fino al momento in cui gli esiti dell’esame sarebbero stati
resi noti.
Probabilmente
aveva fatto in modo di far perdere le sue tracce per non dover essere
costretto
a parlare con nessuno.
-
Vado
ad allenarmi un po’ in palestra anch’io –
proclamò infine Akane, procedendo di
gran carica in direzione delle scale che portavano al piano superiore.
Era molto
probabile che il suo fidanzato si trovasse nel dojo; sperava di poterlo
incontrare e verificare il suo stato d’animo attuale. Se
avesse mostrato ancora
segni di abbattimento avrebbe cercato di tirarlo su in qualche modo,
anche per
scusarsi di non essersi impegnata abbastanza nel farlo quando ce
n’era più
bisogno, cioè in classe.
Non
impiegò molto a sfilarsi la divisa scolastica e a
rimpiazzarla col gi. Durante il
tragitto che separava la
sua camera da letto dalla palestra, lasciò vagare i suoi
pensieri sull’arco di
tempo che si era appena concluso.
Il giorno
prima Ranma era approdato nella sua stanza implorandole di aiutarlo con
il
ripasso di inglese e lei, nonostante la sua riluttanza, aveva accettato
di dargli
qualche dritta. C’erano state un po’ di
complicazioni, è vero, ma in fin dei
conti alla fine della giornata era riuscita ad inculcare qualche
nozione utile
nella testa del codinato.
Ora, se
pensava all’eventuale bocciatura di Ranma, non poteva che
sentirsi addolorata… più
di quanto avrebbe dovuto, in effetti. In fondo non era lei
a rischiare il fallimento tanto temuto.
Sospirò
rassegnata e, suo malgrado, un sorrisetto le increspò appena
le labbra.
La
verità
è che si sentiva responsabile.
Era
una situazione talmente assurda… Era come se lei fosse la
mamma e lui il
figlioletto capriccioso a cui lo studio non va proprio giù,
e di conseguenza
era suo dovere preoccuparsi della
buona riuscita del proprio bambino.
Ora,
analogamente, sentiva l’esigenza di doverlo eventualmente
confortare se per
qualche motivo il compito non fosse andato come lui sperava.
Forse
crescere nello stesso ambiente di Kasumi e prendersi cura di P-Chan
aveva
involontariamente acutizzato il suo lato materno…
Che cosa
incredibile, provare un senso di protezione per quello stupido del suo
fidanzato.
Neanche
fossero stati loro due a decidere di iniziare un rapporto di coppia! Ma
ormai
il danno era fatto e lei era irrimediabilmente coinvolta in una
relazione che
ogni giorno non faceva che rivelarle delle sorprese e renderle la vita
decisamente più movimentata del normale.
Assorta
nei suoi pensieri, non si era resa conto di essere ormai giunta davanti
all’ingresso del dojo.
Rizzò le
orecchie e cercò di captare qualche rumore
dall’interno; apparentemente il
locale era vuoto, ma non poteva dare nulla per scontato.
Akane
sospirò profondamente, spinse la porta e fece capolino al di
là di essa.
-
Ran…
- esordì, ma non terminò neanche la frase che uno
squittio incredulo la fece
sussultare.
-
AGH!
–
La ragazza
vide chiaramente un’ombra muoversi a gran velocità
tra le pareti della
palestra.
-
Ranma!
– esclamò sorpresa, seguendo con gli occhi la
strana figura. – Sei tu? –
Non
ottenne risposta: la sagoma era già sparita al di
là di una piccola finestra
aperta, proprio sopra uno dei tanti stemmi che abbellivano i muri della
stanza.
Nonostante
la confusione e la repentinità degli eventi, tuttavia, Akane
non aveva alcun
dubbio: quello era Ranma.
Si
affrettò ad uscire dal dojo e a fare il giro
dell’edificio per cercare di
intercettare il ragazzo prima che svanisse nel nulla.
-
Ranma!
– tentò di richiamarlo, - piantala di scappare!
–
Il suo
tentativo di riacciuffarlo fu inutile: il ragazzo si era già
volatilizzato
senza lasciare traccia.
Abbandonato
l’inseguimento, Akane sbuffò pesantemente e si
portò le mani ai fianchi.
Quello stupido!
E va bene,
lei si stava preoccupando per lui, ma quando si comportava in quel modo
era
così seccante! Non riusciva a provare così
tanta compassione per chi si comportava in modo
così infantile e
irresponsabile.
Non
accettava l’aiuto di nessuno, neanche per faccende ordinarie
come quella!
Basta,
tanto non serviva a nulla: non l’avrebbe rincorso per mari e
monti e lui non
poteva nascondersi per sempre; c’erano un sacco di occasioni
per incrociarsi,
lei non sarebbe più andata a stanare quel codardo dalla sua
tana!
Carica di
irritazione, tornò difilato in palestra e
cominciò a tirare calci ad un
avversario immaginario.
Continuò
fino a quando sua sorella Nabiki non l’avvisò che
la vasca del bagno era colma
di acqua bollente e aspettava solo che lei vi si immergesse.
Il bagno
le fece bene: i suoi muscoli si sciolsero e avvertì tutta la
stanchezza –
fisica e mentale – abbandonare gradualmente il suo corpo fino
a che non fu
completamente svanita.
Una volta
essersi asciugata e rivestita, tornò nella sua camera e si
sedette alla
scrivania per completare degli esercizi di matematica che le erano
stati
assegnati per il giorno seguente.
Aveva
appena pescato la calcolatrice dal suo astuccio per verificare i
risultati di
un’equazione particolarmente ostica, quando qualcosa la
colpì delicatamente
sulla testa.
-
Hm?
– La ragazza sussultò dalla sorpresa e si
tastò la nuca: lì, nel punto in cui
aveva avvertito il buffetto, c’era qualcosa di lungo e
stretto che le si era
impigliato tra i capelli.
Si rese
conto solo in quel momento che aveva lasciato la porta socchiusa:
qualcuno
doveva essere appena passato di lì, ma con movimenti
talmente leggeri che non
si era accorta di nulla.
Liberò
l’oggetto misterioso e se lo portò davanti agli
occhi: era una delle freccette
a ventosa con cui lei e le sue sorelle si divertivano a giocare ogni
tanto.
…E
non servono solo a quello,
pensò Akane notando il foglietto
di carta accuratamente ripiegato che era stato legato attorno
all’asta della
freccia.
Ranma
aveva più volte usato quella tattica per inviare messaggi
nei momenti in cui le
parole fossero state troppo ardue da pronunciare; se sperava di poter
mantenere
l’anonimato anche in quel caso, bè… si
sbagliava di grosso.
Slegò
il
foglio, facendo attenzione a non strapparlo, e lo dispiegò.
Sulla superficie
cartacea erano riportate solo due parole:
“Sank you”.
La ragazza
lo contemplò a lungo, mentre un’appagante
soddisfazione la invadeva da capo a
piedi e sul suo viso si apriva un sorrisino malizioso.
Sicuramente
Akane aveva già letto il suo messaggio.
Sapeva di
non poter evitare ancora per molto un confronto diretto con lei,
ma… non era
ancora nelle condizioni giuste per poterlo fare, proprio no.
Allo
stesso tempo, però, non poteva rimandare ancora il momento
dei ringraziamenti;
aveva fatto così tanto per lui, il giorno prima, e lui non
l’aveva nemmeno
degnata di uno sguardo.
Non sapeva
nemmeno lui, a dire il vero, il motivo del totale stato di trance in
cui era
caduto; ricordava solamente di aver trascorso tutta la mattinata a
chiamare a
raccolta le nozioni che Akane gli aveva faticosamente fatto assimilare
durante
il loro pomeriggio di studio e, senza che se ne rendesse minimamente
conto, era
già arrivata l’ora di inglese.
Solo in
seguito si era accorto di non aver scambiato nemmeno una parola con i
suoi
compagni di classe. Il fatto è che… non sapeva
spiegarselo bene nemmeno lui, ma
era come se attorno al suo corpo si fosse creata un’enorme
bolla d’aria che non
faceva trapelare neanche un sussurro e gli impediva ogni contatto con
l’esterno.
Hiroshi e Daisuke gliel’avevano riferito una volta che le
lezioni furono
terminate, e lui ne fu così sorpreso che quasi non voleva
crederci.
Tsk…
come
diavolo si era ridotto. Lui, Ranma Saotome, grande esperto di arti
marziali che
non ha paura di niente, si era fatto mettere K.O. da un compito in
classe. Un compito in classe!
Ma che
diavolo gli era preso?!
Il tempo
era trascorso in un batter d’occhio e quando la professoressa
Hinako aveva
fatto il suo ingresso in classe… bè,
semplicemente era andato nel panico. La
sua vocetta stridula l’aveva risvegliato improvvisamente dal
suo torpore e,
senza rendersene conto, era stato ricatapultato nella realtà
così bruscamente
che il suo shock era stato violento quanto un calcio sui denti.
E poi,
bè…
il ricordo di quello che provò in quel frangente era ancora
fin troppo vivido
nella sua mente.
Era
convinto, convinto di non essere
ancora abbastanza pronto per sostenere la prova, nonostante fino a quel
momento
si fosse sforzato di ripetere tutti gli argomenti mentalmente
– oh, com’è
difficile farlo senza aprire bocca! Ma era inammissibile che si
mettesse a
ripetere il verbo “to be”
durante le
ore di lezioni estranee a quella di inglese, gli altri insegnanti non
gliel’avrebbero mai permesso.
Senza
contare che i suoi compagni di classe lo avrebbero preso per scemo. E
Akane
sarebbe stata la prima a ridere del suo comportamento così
inusuale.
Akane.
Lei,
più
di chiunque altro, era la principale responsabile di tutte quelle
terribili
sensazioni che aveva provato quella mattina. Era così
ansioso di dimostrarle
che avrebbe potuto farcela da solo anche in quella scomoda situazione
(le fonti
da cui poter accaparrarsi dei suggerimenti non erano poche, ma lui non
aveva
intenzione di cogliere nessuna delle occasioni che gli si fossero
presentate)
che l’aveva inconsciamente ignorata per tutto il tempo.
Mai, mai in tutta la sua carriera da studente
si era trovato a provare delle sensazioni così sgradevoli, e
si ripromise che
questo non sarebbe mai più accaduto fino al momento in cui
si sarebbe
diplomato.
E va bene,
la sua fidanzata l’aveva aiutato a prepararsi per il compito,
ma così facendo
non aveva fatto altro che fargli temere il confronto, dipingendo la
promozione
come un obiettivo quasi impossibile da raggiungere.
L’aveva
caricato di aspettative e questo
era
il risultato!
Morale
della storia: Akane aveva fatto il doppio gioco.
Di
conseguenza se avesse fallito sarebbe stata solo colpa sua e lui se ne
sarebbe
lavato le mani, giusto?
Giusto?
…
No, non era
giusto.
Non lo era
per niente!
Anzi,
era…era tutto il contrario!
Akane
l’aveva aiutato a ripassare, era rimasta sveglia con lui per
tutta la notte e aveva
fatto il possibile per non farlo stressare ulteriormente
nell’arco di tempo che
andava dal loro ingresso a scuola all’inizio
dell’esame.
Ma quali
aspettative?! Akane non avrebbe mai voluto caricarlo con niente del
genere! Non
era lei ad avere problemi con l’inglese, che vantaggi avrebbe
potuto ricavare
dal metterlo in difficoltà?
Era lui che doveva venire incontro alle sue
aspettative: non poteva deluderla, dopo tutti gli sforzi che aveva
fatto per
aiutare uno scemo come lui!
Detestava
darsi dello scemo – lungi dal sentirsi tale, ma nei casi
estremi era
necessario.
Quando
Akane aveva tentato di incoraggiarlo, prima che la professoressa
facesse
distribuire i fogli con le domande, si era quasi sentito un verme.
Aveva
sinceramente pensato che, se avesse fallito, l’avrebbe
rimpianto per tutta la
vita: non riusciva neanche ad immaginare lo sguardo compassionevole di
Akane
misto alla delusione, era qualcosa di incredibilmente insopportabile.
Poco
prima, quando l’aveva sorpreso in palestra, era fuggito come
un topo impaurito.
Non era riuscita a guardarla dritta negli occhi: se Akane avesse avuto
quello
sguardo… non sapeva come avrebbe potuto reagire.
Ma che
razza di maestro di arti marziali era, se non era nemmeno in grado di
affrontare le proprie paure?
Il suo
animo non era ancora abbastanza temprato dal rimanere indifferente di
fronte
all’espressione commiserevole di una ragazza come Akane.
Aveva
ancora tanto da imparare.
Si
ridestò
improvvisamente dalle sue riflessioni, colpito da un pensiero
improvviso.
Da quando
era diventato così saggio?
Sorrise
compiaciuto di fronte alla scoperta di un’altra delle sue
doti.
Meditare
sull’intera faccenda gli aveva fatto bene; aveva riacquistato
un po’ della sua
spavalderia e si sentiva già meno abbattuto. Non era ancora
dell’umore adatto
per affrontare il discorso “esame” con i membri
della famiglia (non intendeva
fare pronostici di alcun tipo, per evitare delusioni) e stava valutando
l’alternativa di scendere dal tetto su cui si era rifugiato e
spostarsi in
camera da letto saltando la cena, quando uno scricchiolio alle sue
spalle lo
fece sussultare.
Si
voltò
di scatto, giusto in tempo per vedere la testa di Akane che spuntava al
di là
delle tegole: si stava arrampicando su per la scala a pioli che i Tendo
tenevano
da sempre appoggiata a una delle pareti esterne della loro casa.
Ranma
avvertì il suo stomaco fare una capriola
all’indietro. Si sentiva di colpo
molto agitato: non credeva che il confronto
diretto sarebbe arrivato così presto –
anche se avrebbe dovuto aspettarselo,
dopo averle mandato quel messaggio di ringraziamento.
Distolse
lo sguardo da lei fino a quando non l’ebbe raggiunto e si fu
inginocchiata
accanto a lui. Sentiva montare il nervosismo, ma allo stesso tempo
avvertiva un
senso di trepidazione che non sarebbe stato in grado di reprimere
ancora per
molto.
Sbirciò
Akane con la coda dell’occhio: sembrava perfettamente a suo
agio, le mani
appoggiate in grembo e un’espressione neutrale dipinta sul
viso.
Non
sembrava arrabbiata… questo lo rincuorò.
Fece violenza
su se stesso per decidersi a sollevare il mento verso di lei. Si
sentiva
tremendamente imbarazzato per quello che aveva fatto in palestra e
vedere la
sua fidanzata mantenere un atteggiamento così compito non
faceva che rendergli
tutto più complicato del previsto. Oltretutto, pareva che
stesse aspettando
qualcosa.
Catturò
un
mutamento nei connotati della ragazza. A quel punto, incapace di
resistere
all’enorme flusso di sensazioni che andavano accavallandosi
nel suo spirito a
velocità sempre più sostenuta –
impazienza, curiosità, agitazione, puntò lo
sguardo verso di lei.
Si
sorprese quando realizzò che stava sorridendo. Un sorriso
appena accennato,
tranquillo e in qualche modo malizioso. I suoi tratti non erano altro
che
enigmatici.
Di colpo
Ranma avvertì tutto lo stress scivolare via dal proprio
corpo e, a sua volta,
ebbe l’impulso di aprirsi in un gran sorriso. Era una
necessità talmente forte
che non poteva controllarla, ma lasciò che i suoi muscoli
agissero per lui.
I due
giovani rimasero immobili a scrutarsi per qualche minuto, immersi in un
silenzio che nessuno dei due, e Ranma in particolare, sapeva come
interpretare.
Nonostante tutto, però, non c’era alcuna traccia
di rancore o rabbia nei loro
atteggiamenti.
Per questo
Ranma si stupì non poco quando la sua fidanzata, pur
mantenendo la stessa
identica espressione di poco prima, tirò fuori dal nulla un
martello di gomma e
lo usò per colpirlo sulla testa.
-
Ahio!
– si lamentò lui, incredulo, massaggiandosi il
punto in cui il martello lo
aveva toccato. – Ma che fai? –
-
Scemo
– rispose Akane riducendo gli occhi a due fessure.
Ranma la
guardò stralunato.
-
Cosa?!
–
-
Non
hai imparato nulla di quello che ti ho insegnato ieri? –
continuò lei, con
un’espressione di irritazione mista a divertimento.
Il ragazzo
non sapeva dove la ragazza volesse andare a parare.
Come sarebbe a
dire “non hai
imparato nulla”?!
Akane non aveva avuto alcun modo di leggere le risposte del suo compito
in
classe, non poteva sapere come fosse andato!
Forse era
andata a parlare con la professoressa Hinako alla fine delle lezioni,
quando
lui era già andato a casa?
Accidenti,
era scappato via apposta per non essere costretto a dover richiamare
alla mente
nulla che facesse riferimento all’inglese o alla sua
insegnante… e invece ci aveva
pensato Akane!
Mentalmente,
scosse la testa: no, Akane non avrebbe potuto fare una cosa del genere;
ricordò
a se stesso che la ragazza non aveva alcun motivo per gioire del suo
fallimento. Ma allora cosa significavano le sue parole?
Non aveva
fiducia in lui e nel suo operato? Oppure pensava che le domande
dell’esame
fossero talmente difficili che per lui non ci sarebbe stata alcuna
speranza di
superarlo, non importa quali risposte fossero state riportate negli
appositi
spazi?
Eppure, a
conti fatti, era quasi sicuro di
aver
risposto in maniera almeno accettabile
a più della metà delle domande…
La
consapevolezza di aver appena formulato qualcosa di molto simile a un pronostico lo fece sobbalzare.
Oh, accidenti! Aveva
promesso di non pensarci
più!
Che stupido!
Akane se
la stava godendo un mondo nell’assistere al tormento
interiore del suo
fidanzato: il suo viso passava a tratti da un’espressione
gioiosa, ad una
colpevole, ad una confusa.
Si era
aspettata una reazione del genere: anche lei era una studentessa e,
come dato
di fatto, sapeva fin troppo bene quanto potessero essere devastanti i
tempi che
precedevano e seguivano un esame – in particolar modo nei
riguardi di una
materia per la quale lo studio non bastava mai.
Soddisfatta
della piccola “punizione” psicologica che aveva
inflitto al suo fidanzato –
così la prossima volta ci avrebbe pensato due volte prima di
ridursi all’ultimo
minuto per studiare una materia così difficile! - ,
decretò che fosse giunto il
momento di farlo rilassare.
-
“Grazie”
non si scrive così! – disse portandosi le mani sui
fianchi, imitando il tono
autoritario che di solito usavano i loro professori a scuola.
Ranma si
risvegliò improvvisamente dal suo flusso di pensieri
pessimistici e la fissò
tra le fessure delle dita che si era portato davanti al viso.
-
Eh?
–
Akane gli
sventolò sotto il naso il foglietto che aveva allegato alla
freccia.
-
Credo
che qui servano delle correzioni immediate –
continuò lei.
Il ragazzo
guardò prima il foglietto, poi Akane, poi di nuovo il
foglietto.
-
Non…
Non è scritto bene? – farfugliò,
confuso.
-
Si
pronuncia “Sank
you”, ma si scrive “Thank
you” – spiegò Akane con fare
saccente. – Te l’ho detto ier… -
Non
riuscì
a concludere la frase che Ranma le era già piombato addosso
e l’aveva presa per
le spalle.
-
Dimmi…
Ti prego, dimmi che sul compito non
c’era NULLA che volesse la parola “Thank
you” come parte della risposta!! Ti
prego, DIMMELO! – rantolò lui scuotendola come un
sacco di patate. Aveva gli
occhi fuori dalle orbite e il volto paonazzo, sembrava uscito di senno.
-
Ehi,
Ran- PIANTALA! – si dimenò Akane, spaventata. Si
divincolò dalla sua presa
ferrea e gli sferrò un altro colpo di martello per smorzare
i suoi bollenti
spiriti.
Ma Ranma
non voleva saperne di calmarsi: si era alzato in piedi e stava
già percorrendo
tutto il perimetro del tetto a passi svelti e irregolari, mentre
entrambe le
mani erano state portate sotto il mento e si contorcevano a vicenda.
-
Lo
sapevo, lo sapevo che avrei
sbagliato
qualcosa! – boccheggiava, spostando nervosamente il peso da
un piede all’altro
e sudando copiosamente. – Come diavolo ho fatto?! Avevo
ripetuto tutto quanto
fino a due minuti pri… -
-
Ooh,
quindi il compito è andato bene? - mormorò
Akane in tono distratto, fingendosi disinteressata.
Aveva
toccato il tasto giusto: il codinato interruppe bruscamente la sua
scomposta
danza dell’autocommiserazione e scoccò una timida
occhiata alla ragazza, che
sembrava assorta nella contemplazione delle unghie della sua mano
sinistra.
-
Ehm…
- balbettò lui, in imbarazzo. Gli aveva appena rivolto la
domanda che si era
sforzato di evitare fino a quel momento.
-
Sì?
– lo incitò Akane, pur mantenendo un atteggiamento
distaccato.
-
Ecco…
-
-
Hmmm…?
–
-
Uhm…
-
Ranma
inspirò profondamente e spinse appena il petto
all’infuori nel tentativo di
chiamare a raccolta un po’ della sua innata audacia.
-
N…
Non l’ho consegnato in bianco se è questo che vuoi
sapere, ecco! – esalò alla
fine, strizzando gli occhi per il grande sforzo che era appena stato
costretto
a compiere.
Aveva
espresso il suo parere personale senza nemmeno riprendere fiato e,
conscio
della fatica e dello stress accumulato, si lasciò cadere in
ginocchio sulle
tegole a braccia aperte, stremato.
Ancora in
preda agli spasmi, non si accorse che Akane gli si era nuovamente
avvicinata e
gli aveva messo una mano sulla spalla.
-
Quindi…
mi stai dicendo che ti è piaciuto studiare con me, non
è così? – ridacchiò lei
tirandogli il codino in modo scherzoso.
Il ragazzo
poteva sentire il suo fiato sull’orecchio e
rabbrividì involontariamente, ma
non fu tanto per la vicinanza della ragazza. No… la causa di
ciò che aveva
risvegliato di colpo la sua agitazione risiedeva in qualcosa che era
appena
uscito dalle sue labbra.
Ti
è piaciuto studiare con me?
D’un
tratto nella sua mente si susseguirono, una dopo l’altra,
tutte le situazioni
imbarazzanti che era stato costretto a fronteggiare il giorno prima
mentre si
trovava in compagnia di Akane: tutti i suoi tentativi di salvare la
faccia di
fronte agli altri membri della famiglia, i momenti in cui aveva
rischiato di
sfiorare il corpo di Akane quanto più del necessario...
Aveva fatto il
possibile perché nessuno fraintendesse il tipo di rapporto
che c’era fra lui e
la ragazza, ma a quanto pare non aveva pensato proprio a tutto
ciò che avrebbe potuto porre rimedio a quel contesto
così
peculiare.
Deglutì
rumorosamente, lucidissimo e finalmente consapevole del pensiero che
gli si era
appena rivelato in tutta la sua maestosità.
E se fosse
stata proprio Akane ad
aver frainteso il suo comportamento?
In quale
altro modo si sarebbe potuta spiegare quella domanda così
ambigua?
Oh no, oh no! Non poteva essere
vero!
Non poteva
assolutamente lasciare le cose così come stavano, doveva
rimediare in qualche
modo!
Senza
neanche ripensare a quanto la testa di Akane si trovasse vicino alla
sua, Ranma
puntò le braccia a terra, fece perno sulle mani e si
tirò su di scatto,
rischiando una collisione tra la sua nuca e quella della fidanzata.
-
Ehi!
– sobbalzò lei allontanandosi di colpo.
– Ma che fai? –
-
Sta-Stammi
bene a sentire!! – rantolò lui puntandole un dito
contro con tono accusatorio,
senza darle il tempo di aggiungere altro. – Non pensare
minimamente che io sia
venuto a chiederti aiuto in inglese solo per stare in tua compagnia!!
Capito?!
–
Akane lo
fissò con lo sguardo di chi aveva scoperto che la Terra era
rotonda. Le ci
volle qualche secondo per realizzare ciò che il suo
fidanzato le aveva appena
detto – o meglio, gridato contro.
Lei era
una ragazza. E il comportamento di Ranma non lasciava alcun margine di
dubbio
alle riflessioni che la sua mente articolata le offriva.
Allora era
questo che lo preoccupava
così tanto?
Che scemo.
Ancora
ansimante, Ranma cozzò contro l’espressione
sinceramente confusa della giovane
Tendo e piombò nell’imbarazzo più
totale.
Sono forse
stato troppo frettoloso?
Si
maledì
per l’ennesima volta nel giro di poche ore.
Le sue
gote si tinsero di un’accesa tonalità di porpora
quando la sua fidanzata lo
guardò con tenerezza e stirò le labbra in un
sorriso luminoso.
-
Ma
io…non ho mai pensato nulla del genere! –
mormorò tranquilla, portandosi una
mano alla bocca per soffocare uno sbuffo divertito.
Il suo
viso dolce aveva irrimediabilmente sciolto le briglie che tenevano
ancorato il
cuore di Ranma, lasciandolo libero di galoppare spensierato
all’interno del suo
spirito.
Avvertì un
piacevole calore dilatarsi sempre di più attorno a collo ed
orecchie, mentre la
lingua gli si impastava e gli rendeva impossibile articolare
alcunché.
Con
un’ultima occhiata divertita, Akane si avviò a
passi lenti e tranquilli verso
la scala a pioli e, prima di sparire definitivamente al di
là del manto di
tegole, proruppe in una risata argentina la cui eco la
accompagnò fino a quando
non ebbe di nuovo appoggiato i piedi sulla terra fresca del cortile di
casa
Tendo.
Ranma
rimase immobile, lì nel punto in cui si era alzato di colpo
e aveva ammonito la
ragazza di non lasciarsi andare a fantasie senza fondamento. Il suono
cristallino della sua voce aveva dolcemente accarezzato i suoi
padiglioni
auricolari e aveva calato su di sé un velo di pacatezza e
serenità.
Non aveva
mai negato a se stesso quanto Akane fosse carina quando sorrideva.
O quando
credeva in lui.
O quando
lo incoraggiava con tutte le sue forze, indipendentemente dal tipo di
obiettivo
che si prefiggeva.
E
chissà…
forse un altro pomeriggio di studio in sua compagnia, una volta o
l’altra, non
gli avrebbe fatto poi così male.
THE END
Meglio
tardi che mai, ma finalmente ecco qui l’ultimo capitolo della
mia storia!
Gli
impegni che mi porta l’università sono molti e
ogni giorno ci sono un sacco di
cose da fare, ma non me la sentivo di rimandare ancora a lungo la fine
di
questa fic! Il mio è proprio un brutto vizio: comincio una
long-fic e poi la
porto avanti per giorni, mesi, ANNI! Speriamo che
l’ispirazione si rifaccia
viva al più presto anche per quanto riguarda tutte le mie
altre storie lasciate
in sospeso… xD
Ringrazio
di cuore tutti coloro che hanno letto, commentato o aggiunto la storia
ai
preferiti – quest’ultimo, in particolare, mi
riempie d’orgoglio! *__*
Grazie
ancora, e… speriamo alla prossima!
Un
bacione,
Alessandra