Dunque dunque... diamo inizio alle danze con il primo chappy della terza parte! Sono felicissima delle recensioni
ricevute, spero che questa fase di “riscaldamento” vi
piaccia^^
A fondo
pagina le mie risposte: grazie per il supporto e per i bellissimi complimenti! Mi
rende felice pensare che i miei personaggi regalino emozioni anche a voi^^
Purtroppo non
riesco ad aggiornare quanto vorrei, ma vi assicuro che faccio del mio meglio
per pubblicare solo quando sono veramente convinta... Buona lettura e fatemi sapere
cosa ne pensate!
17
Myriam
Il mondo sembrava rilucere in maniera opaca,
come dopo un’eclisse solare. O forse erano i miei occhi a variarne la
percezione? Figure scontornate, colori incerti. I miei piedi si trascinavano nella
polvere di quello che sembrava un deserto lunare.
Una voce in lontananza. Strizzai gli occhi,
facendomi ombra con la mano. Sentivo la testa ovattata e le gambe pesanti, come
nei sogni in cui vorresti correre per salvarti, per raggiungere una meta lontana,
eppure resti piantato a terra e senti il bisogno disperato di aggrapparti a
qualcosa per andare avanti.
Cercai di avanzare, lentamente. Gocce di
sudore mi imperlavano la fronte. Sentivo caldo, tanto caldo.
La voce chiamò nuovamente. Un suono
famigliare, gradevole.
Posso
farcela,
pensai caparbia.
Un piede dopo l’altro, con forza. Le gambe
sempre più pesanti.
Improvvisamente fui libera.
Buio intorno a me. La voce era scomparsa. Dove
mi trovavo? Boccheggiai, cercando di orientarmi nell’oscurità. Il panico
cominciò a prendere il sopravvento.
“Benji?” Chiamai. Un sussurro appena udibile.
Un istante dopo correvo alla cieca, senza
sapere dove, né perché.
“Benji” chiamai con più convinzione.
Il nulla mi circondava. Sentii una stretta
allo stomaco, mi fermai.
“Benji!” L’urlo mi morì in gola, non riuscivo
a respirare. Mi guardai intorno con frenesia crescente, come presa
in un vortice.
“Shhhh.” Una mano
sul braccio, rassicurante.
Mi voltai a fatica,
le palpebre restie ad obbedire. Tesi le mani in avanti, in cerca del contatto di
poco prima.
“Non mi lasciare” pregai in preda al terrore.
Mi sentii avvolgere in un caldo abbraccio. “E’
solo un sogno” sussurrò una voce rauca e familiare.
I miei occhi si aprirono nella penombra della camera
da letto. La prima cosa che capii è che non ero sola. Mi girai e affondai il
volto nel petto di Benji, sapendo che il profumo della sua pelle avrebbe
allontanato l’incubo meglio di qualunque altra cosa.
“Hai fatto un brutto sogno?” mormorò fra i
miei capelli.
“Sì” bofonchiai, sospirando soddisfatta mentre
le sue braccia si stringevano intorno a me.
“Vuoi raccontarmi?”
Non c’erano parole per descrivere il senso di
smarrimento che faticavo a scrollarmi di dosso. Passai una mano sul cotone
leggero della sua maglietta. Un guizzo appena percettibile dei suoi muscoli mi
fece capire che la carezza era gradita. Insinuai le dita tra il tessuto e la
sua pelle, alla scoperta del fisico atletico e asciutto che sempre mi toglieva
il fiato. Come poteva un ragazzo del genere voler sposare proprio me?
Deglutii a quel pensiero.
“Brancolavo nel buio, ricordo di averti
chiamato.”
Alzai leggermente il capo e i miei occhi
incrociarono quelli di lui.
“Non riesci a fare a meno di pensarmi, ti
capisco.” Mi punzecchiò.
Gli ero troppo vicina per prenderlo sul serio.
Mi accoccolai nell’incavo del suo braccio e lui appoggiò la guancia alla mia
fronte.
“Price, il tuo ego è tanto invadente che
quando dormiamo insieme faccio gli incubi.”
Per tutta risposta mi strinse a sé con forza
e, scivolandomi sopra, tracciò con un dito la curva della mia mascella. Non
riuscii a trattenere un brivido e la pelle d’oca mi tradì. “Ti ci dovrai
abituare,” mormorò soddisfatto accarezzandomi il
fianco con indolenza.
La mia risposta pronta fu coperta dal suo
bacio, leggero e fugace solo in apparenza. Senza che potessi allontanarlo, e
lungi dal volerlo, smisi di respirare mentre le sue labbra giocavano con le
mie, morbide e sensuali. Sentii la mente vacillare nel vuoto.
Due occhi allegri tornarono a fissarmi, mentre
cercavo di riordinare i pensieri senza riuscirci. Un silenzio carico di
emozioni calò tra di noi, e Benji sembrò travisare la mia assenza di reazione.
“Ho fatto qualcosa di sbagliato?”
Abbassai lo sguardo, sentendo un forte rossore
salirmi alle guance. Fortunatamente al buio non poteva vedermi. Deglutii
nuovamente. “No è che... mi fai impazzire.” Lo avevo detto. Ci ero riuscita.
Per tutta risposta ricevetti un sorriso
compiaciuto. “Davvero?”
Incorreggibile. Non sapevo se baciarlo o picchiarlo.
“Vuoi un applauso?” Domandai cercando di mantenere un minimo di contegno.
Benji rise allegramente. Una di
quelle risate che riempiono il cuore. Amavo quell’uomo, al solo pensiero dei
suoi occhi su di me sentivo lo stomaco riempirsi di farfalle e le gambe farsi
di burro.
“L’idea di farti impazzire mi basta” commentò
tornando serio. Mi
accarezzò la spalla nuda con il dorso della mano, mentre con l’altra scivolava
sotto la maglietta con movenze pigre solo in apparenza.
Avvicinò nuovamente il viso al mio e il lieve
respiro tra le sue labbra cancellò ogni mia razionalità residua. Inarcai la
schiena e, passandogli le mani intorno alla nuca, lo attirai a me con tutte le
mie forze.
“Ti amo Benjamin Price.”
Sentii i suoi muscoli irrigidirsi per un
attimo sotto al mio tocco. Senza pensare, mi ero dichiarata per la prima volta.
Avevo sì accettato la sua proposta di matrimonio, senza però pronunciare le due
paroline fatidiche. Un forte senso di libertà sembrò pervadermi, non diedi alla
paura il tempo di insinuarsi in me. Lo amavo.
Benji immerse i suoi occhi neri nei miei,
rimanendo a pochi centimetri da me. Rimase sospeso così a mezz’aria, per un
tempo che sembrò durare in eterno. “Anch’io ti amo piccola peste. Ti amo da
morire.”
Sorrisi. Benji posò dei lievi baci agli angoli
dei miei occhi che avevano tradito subito le mie emozioni. Scese sulle guance,
delicato come un elfo, e giù fino alla mia bocca. Ricambiai con passione, fino
a perdere cognizione di dove finiva il mio corpo e iniziava il suo.
* * *
“E’ davvero bellissimo.”
Sorrisi provando una punta di imbarazzo. Gli occhi di Tom
avevano un che di indefinito, non avrei saputo dire cosa gli passasse per la
testa. Nonostante avessimo trascorso il pomeriggio insieme era stato di poche
parole, cosa a dir poco strana per il chiacchierone a cui ero abituata.
Non riuscivo ad accettare l’idea di separarmi da lui, al
solo pensiero sentivo qualcosa incrinarsi dentro di me. Vederlo così silenzioso
rendeva tutto ancora più difficile. Non mi importava
cosa pensasse dell’anello, eppure non osavo chiedere altro.
“Grazie, so che hai contribuito alla scelta.”
Scosse il capo e un sorriso più convinto gli illuminò il
volto. Spuntò persino la fossetta alla quale mi ero tanto affezionata. Ce
l’aveva solo da un lato, e doveva aver fatto innamorare più di una ragazza.
“Il merito è di Patty. Ero indeciso quanto Benji, te lo
assicuro.”
Fu la mia volta di sorridere, ma i miei pensieri indisciplinati
volarono al trasloco in corso, al matrimonio che aspettava solo di accompagnarsi
a una data sul calendario. Ogni volta che mi assopivo, o più semplicemente
chiudevo gli occhi per qualche istante, temevo che ogni cosa intorno a me scomparisse,
lasciando il posto alla realtà che tanto più mi perseguitava quanto cercavo di
dimenticarla.
Avevo ripercorso le parole del misterioso vecchietto almeno
un milione di volte, alla ricerca di un qualunque indizio o sfumatura che
potesse guidarmi in quella dimensione.
Quando sarà giunto
il momento capirà da sola, aveva detto. Lo scoprirà a
tempo debito, aveva risposto alla mia domanda diretta su quanto stesse accadendo.
E ora che più avrei avuto bisogno di una bussola nel mare della mia confusione
ero sola, con un diamante da due carati al dito.
“Non è carino fingere di starmi accanto quando la tua
mente è chiaramente impegnata altrove.”
I miei occhi misero a fuoco il viso di Tom, a pochi
centimetri dal mio. Scoppiai a ridere, allontanandomi un poco. “Mi hai
spaventata!”
“Scusami, non era nelle mie intenzioni” rispose serio, anche se l’espressione birichina dei suoi occhi scuri
rivelava esattamente il contrario.
Tom aveva il raro potere di farmi stare bene anche in
situazioni assurde come quella che stavo vivendo. Abbassai lo sguardo per un
momento, un velato senso di colpa nella voce. “Hai ragione, non sono di grande
compagnia.”
Non rispose subito. Il sole era ormai prossimo al tramonto,
e il crepuscolo accarezzava il parco giochi di Fugisawa con i suoi morbidi
giochi di luce.
Tom sembrò assaporarne per un lungo istante il sapore. Alzò
le braccia stiracchiandosi, prima di tornare ad appoggiare la schiena alla panchina
sulla quale eravamo seduti da un po’. Alcuni bambini si stavano attardando e le
mamme facevano non poca fatica a trascinarseli dietro.
“Quanto era più semplice la nostra vita da piccoli?”
La domanda mi sfuggì dalle labbra prima ancora che la mia mente
potesse filtrarla. Non era giusto coinvolgere Tom in riflessioni senza senso
quando qualunque ragazza al mio posto si sarebbe candidata ai cento metri
ostacoli, tali i salti di gioia.
“Noi uomini siamo fortunati” rispose lui senza scomporsi,
ignorando il filo dei miei pensieri. “Ci facciamo meno problemi e affrontiamo
le cose come capitano. In alcuni casi ci basta un pallone per essere felici,” aggiunse facendomi l’occhiolino.
Gli rivolsi uno sguardo divertito. “Solo in alcuni casi?”
Incrociò le mani dietro la testa, tornando serio. “Alle
volte anche a noi capita di voler tornare bambini,”
mormorò fissando un punto lontano nei suoi ricordi. “Tornare ai tempi
dell’innocenza, a quando non vi era nulla che potesse dividere due amici.”
Accolsi quelle parole con un silenzio stupito, come se il
gelo della prima tramontana d’autunno fosse improvvisamente calato tra di noi.
Lo osservai mentre chiudeva gli occhi, perso in chissà
quali pensieri. Il mio Tom era triste per qualcosa che mi sfuggiva. Provai per
un attimo l’irrefrenabile desiderio di abbracciarlo ma rimasi dov’ero, schiacciata
dal peso delle bugie di cui avevo disseminato il mio cammino in quel mondo.
“Si è fatto tardi, è ora di rientrare” dissi infine,
fingendo una leggerezza che ero lungi dal provare.
Tom si passò una mano tra i capelli e tornò in sé, lanciandomi
un’occhiata allegra che mi fece dubitare di aver sognato tutto. “Hai ragione,
se vuoi ti do uno strappo a casa.”
I suoi occhi grandi e dolci mi fissavano, ma rifiutai con
un cenno del capo. “Grazie Tom, preferisco fare due passi.”
“Come vuoi” rispose prima di avvicinarsi e darmi un lieve
bacio sulla guancia. “A domani My.”
Lo seguii con lo sguardo mentre si allontanava,
raggiungendo con lunghe falcate la moto parcheggiata vicino al cancello del
parco. Agitai la mano in segno di saluto mentre si infilava il casco e
accendeva il motore.
Pochi istanti dopo non c’era più.
Alzai gli occhi al cielo e inspirai a fondo l’aria che si
era fatta più fresca. Lassù, tra le nuvole, qualche timida stella teneva
compagnia alla luna nascente.
Cosa avrà voluto
dire? Non potei
fare a meno di chiedermi mentre mi incamminavo verso casa. Con un lungo sospiro
accantonai quel pensiero e tirai su il bavero della giacca, affrettando il
passo.
“I have
nothing, nothing, if I don’t have you...” (16)
Impossibile resistere alla tentazione di canticchiare Whitney
Houston, nonostante il risultato fosse pessimo. Avevo acceso l’ipod per cercare di non pensare troppo e cantare mi aiutava
a svuotare la mente.
La notte era ormai alle porte e con essa le sue ombre, che
contribuivano ad appannare la mia visione del mondo. Villa Price era a poche
decine di metri eppure sembrava irraggiungibile. Mai come il primo giorno mi ero
sentita tanto estranea a quel mondo. Ferma da qualche
minuto sul marciapiede opposto, non avevo il coraggio di procedere.
Abbassai lo sguardo sulla mano sinistra e, senza quasi
pensarci, sfiorai con le dita della destra il ciondolo che portavo al collo. Quei
due gioielli potevano coesistere nella mia vita, nel mio cuore?
Chiusi gli occhi al pensiero di come avrebbe reagito Benji
quando gli avessi detto chi ero, da dove venivo. Inspirai profondamente,
cercando di trattenere le lacrime il cui peso mi soffocava da giorni. Prima o
poi, ne ero certa, avrebbero trovato la strada che negavo loro.
Ripresi a camminare, attraversando il viale deserto. Con
un cenno della mano salutai il custode e varcai il piccolo cancello pedonale.
“In mezzo alle pagine, di questo mio libro ci sei tu...” (17)
Accolsi la canzone successiva senza quasi pensare,
preferendo il sentiero tra gli alberi alla strada asfaltata. Sentii le parole
scorrere sulle labbra come se fossero mie. “Davvero difficile lasciare i
ricordi andare giù, quasi sicuramente tu mi dirai di no... Ti chiedo solo un
istante, ancora un po'...”
Le mie gambe si rifiutarono di procedere. Rimasi in piedi,
lo stomaco in subbuglio. Un forte senso di nausea mi assalì bloccandomi il
respiro, mi piegai in avanti per riprendere il controllo. Il castello di carte che
avevo eretto negli ultimi mesi sembrò crollarmi addosso in quell’istante
sospeso nel vuoto. Delicato equilibrio spezzato da una lieve folata di vento.
Sarei mai riuscita a guardare Tom negli occhi e dire anche
a lui ciò che meritava di sapere? Ripensai al suo sguardo triste e provai una
fitta al cuore.
Perché tutto questo?
Mi chiesi per la
milionesima volta, riprendendo a camminare. Poco dopo sentii la ghiaia
crepitare sotto le mie scarpe. Ero arrivata a casa.
Casa. Strinsi i pugni e, nel profondo del mio essere,
capii che dovevo lottare. Se mi era stata data anche solo una possibilità di
successo l’avrei colta. Un solo modo per sopravvivere, lo avrei trovato.
Cercai invano le chiavi in borsa, forse rimaste in
macchina il giorno prima. Suonai il campanello e attesi qualche istante, ma non
accadde nulla. Benji era sicuramente in camera ed Emma impegnata nei
preparativi della cena. Presi il cellulare ma non feci in tempo a digitare il
numero che la porta si aprì. Sollevai lo sguardo e rimasi pietrificata.
La ragazza più bella che avessi mai visto si trovava in
piedi di fronte a me, e trentadue denti candidi come neve mi abbagliarono mentre
il mio cervello cercava di riattivare le proprie sinapsi inceppate.
“Ciao, devi essere Myriam” mi salutò spostandosi di lato
per farmi entrare.
Appena udii il mio nome uscire dalla sua bocca capii di
essere nei guai. Chi era? Che ci faceva in casa?
“Sì, sono io. Ci conosciamo?”
Appena udii la domanda uscire dalla mia bocca, capii
quanto fossi gelosa.
“Sono Nathalie, una vecchia amica di Benjamin.”
Non potei non notare l’inflessione sulla parola amica. Qualcosa nel suo sguardo lasciò
intendere che erano stati qualcosa di più, molto di più. E quell’accento
francese? L’adrenalina cominciò a scorrermi nelle vene come un ottovolante
impazzito.
Avanzai di qualche passo, posando la borsa sulla consolle
in ingresso. I suoi occhi mi seguirono divertiti.
“Benjamin è al telefono.”
Perché continuava a chiamarlo in francese? E, soprattutto,
perché la cosa mi infastidiva tanto?
“Il tuo anello è molto bello” saltò di palo in frasca,
cogliendomi di sorpresa.
Istintivamente volsi lo sguardo verso il basso e provai un
brivido mentre, con delicatezza, sollevava la mia mano sinistra per metterla
alla luce. “Un diamante purissimo dal taglio perfetto.” Sorrise compiaciuta,
angelo fra i mortali, le ali celate per non essere scoperta.
“Bentornata” chiamò l’unica voce in grado di fermare i
battiti del mio cuore. Mi voltai di scatto e Benji mi circondò la vita con un
braccio, posando le labbra sulle mie in un gesto che mi lasciò senza parole.
Non mi baciava mai
di fronte ad altre persone.
Stooop! Riavvolgiamo
il nastro e ricominciamo per quelli seduti in fondo, pensai sbigottita. Se avessi
avuto il fermo immagine, quello sarebbe stato il momento di usarlo.
“Ciao” balbettai mentre Benji puntava il salotto senza
lasciarmi andare.
Con la coda dell’occhio vidi che Nathalie ci seguiva,
affatto sorpresa del comportamento atipico dell’amico.
Ci sedemmo tutti e tre sul grande divano in pelle, io al
centro. Mancava solo che entrasse la cameriera e il cast della commedia era
completo.
“Com’è andata la giornata, peste?”
Peste? In pubblico?
Potei sentire lo stupore dipingersi sul mio volto mentre vacillavo
sotto il suo sguardo. Se mi avesse strappato i vestiti di dosso e presa così,
senza dire altro, credo che non avrei saputo ribattere.
“Bene” risposi con un filo di voce.
“Hai conosciuto Nathalie” proseguì, come se fossimo soli
nella stanza.
Annuii con un gesto del capo, sempre più confusa. Mi
sentivo parte di un gioco di cui ero l’unica a ignorare le regole.
Accolsi con sollievo il lieve colpo di tosse
di Nathalie, mirato ad attirare l’attenzione su di sé. Finalmente Benji mi
liberò dalla forza del suo sguardo.
“Vorrei farti i miei complimenti Benjamin.”
Fece una pausa, mentre anch’io mi voltavo a guardarla. “Ad essere sincera non
so se a piacermi di più è la ragazza o l’anello.”
Il senso di sollievo si dissolse all’istante.
Benji aggrottò le sopracciglia e fissò le mie mani.
“In entrambi i casi hai dato prova di grande gusto” proseguì
Nathalie con tono pacato. “E’ stata lei a sceglierlo?”
Sentii Benji irrigidirsi impercettibilmente e mi sforzai
di rimanere in silenzio. Due titani si stavano confrontando e io ero il campo
di battaglia.
“No, ho chiesto consiglio a Tom e Patty.”
Semplice e conciso. Mi sarei aspettata un commento
provocatorio, non una risposta che sapeva di giustificazione.
L'espressione di lei non mutò di una virgola, mentre il
mio sguardo passava dall’uno all’altra come in una partita di tennis.
“Buon per te” si limitò a commentare, “e per lei.”
Senza aggiungere altro si alzò, prendendo il soprabito da
una poltrona poco distante. “Non disturbarti” fermò Benji con un gesto della
mano, vedendo che accennava ad alzarsi per accompagnarla. “Conosco la strada.”
Uscì dal salone con passo leggero e potei udire
distintamente la porta di ingresso chiudersi con un piccolo tonfo. Se non fosse
stato per la discreta scia di profumo che si era lasciata alle spalle, avrei
dubitato che fosse esistita davvero.
Benji sembrò finalmente rilassarsi e io recuperai l’uso
della parola.
“Chi era?” Mi sforzai di non suonare petulante.
Scrollò le spalle, guardandomi con una strana espressione
negli occhi. “Una vecchia amica.”
“Non so perché questa risposta non mi stupisce.”
Il mio apparente distacco fu tradito da una nota acuta che
non riuscii a trattenere e la cosa sembrò divertirlo.
“Eravamo fidanzati, circa una vita fa.”
Trattenni il fiato mentre il divano mi inghiottiva. “Fidanzata?”
Nella mia mente esplosero mille immagini di abbracci
infuocati tra Benji e la dea che, in jeans e maglioncino, mi aveva fatta
sentire il più brutto dei brutti anatroccoli.
La risata di Benji interruppe il corso dei miei pensieri, e non potei trattenermi dal lanciargli uno sguardo torvo. “La cosa ti fa ridere?”
“Un po’” ammise cercando di tornare serio. “Lo sai che sono
molto immaturo.”
Non potei fare a meno di sorridere. “Se la metti così
Price, io sono molto gelosa.”
“Davvero? Perché
dovresti?” Tornò ad abbracciarmi, percorrendo con il
naso la linea del collo, inspirando il mio profumo e lasciandomi senza parole. “Indubbiamente Nathalie è molto sexy” proseguì, le sue labbra sull’orecchio.
Mi allontanai quel tanto che bastava per assimilare il
concetto. “Molto sexy?”
Di nuovo quelle immagini. Benji e Nathalie
nudi, ansimanti, sudati. Scossi il capo cercando di visualizzare un
prato fiorito, un monastero di campagna, invano. “Scusami, devo andare a
vomitare.” Mi alzai di scatto e per poco non inciampai nel tappeto.
Benji mi afferrò al volo e scoppiò nuovamente a ridere.
Non risposi, limitandomi ad ascoltare il suono della sua
risata, imprimendola nella memoria. Un velo di tristezza mi calò sugli occhi, e
lui sembrò subito accorgersene.
“Peste perdonami, non volevo farti arrabbiare.”
Aveva frainteso, ovviamente.
“Si tratta di una storia che risale a diversi
anni fa, io e Nathalie ci siamo conosciuti a Parigi” spiegò mentre rimanevo in
silenzio, le parole bloccate in qualche remoto angolo della mia coscienza. “E’
un’amica di Gisèle, l’ex di Tom. Siamo stati insieme un paio d’anni, in un’altalena
continua che mi faceva impazzire. Ero molto giovane sai?”
Immaginai un Benji poco più che ventenne,
sedotto dal fascino di una città lontana anni luce da quella in cui era
cresciuto. Mi avvicinai lentamente e gli accarezzai la guancia con il dorso
della mano. Chiuse gli occhi e la strinse con la sua, posandovi una scia di piccoli
baci che accolsi con un brivido.
Tirò un profondo respiro e i suoi occhi
tornarono su di me. “Arrivai persino a chiederle di sposarmi.”
Trasalii, sentendo il cuore mancare un battito.
“Credevo di amarla, ma era solo un’illusione”
aggiunse notando il mio improvviso pallore. “L’ho capito grazie a te.”
Spalancai gli occhi e Benji mi attirò a sé,
cingendomi le spalle con un braccio. Gli posai la testa all’altezza del cuore, concentrandomi
sul suo respiro regolare.
“Ho capito il mio errore quando ti ho stretta
a me la prima volta.”
Sentii la sua guancia premere contro i miei capelli e mi resi conto che avevo gli occhi umidi. Lottai contro l’angoscia che si stava impossessando di me, inutilmente. Il mio conto alla rovescia era iniziato, e nulla avrei potuto fare per fermarlo.
Note:
(16) Non ho nulla, nulla, se non ho te (http://www.youtube.com/watch?v=736nor4ALeY&feature=fvst)
(17) “Lasciala andare”, bellissima
canzone di Irene Grandi, che potete ascoltare al seguente link: http://www.youtube.com/watch?v=BOwRdPstVR8
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