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Autore: kiku77    07/02/2010    8 recensioni
seguito di "ALLA RICERCA DELLA FELICITA'"
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Kumiko Sugimoto/Susie Spencer
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ciao… grazie infinite alle persone che commentano questa ff e a coloro che la stanno leggendo!

Miki87: come sempre, grazie per mandarmi un tuo pensiero sui cap! Penso che il cap di ieri sia stato veramente importante sotto tanti punti di vista, anche se la dolcezza di fondo, ha forse attutito il “colpo” ( Kumiko che dice “non possiamo sposarci…” è stata una bella botta per genzo..): grazie a Taro, Genzo e Kumiko si sono affrontati e lei ha dimostrato di non essere poi così arrendevole come sembrava… stiamo a vedere cosa succede …

Giusyna: grazie per la tua analisi così precisa della situazione…hai colto a pieno sia le emozioni di Kumiko che la condizione in cui si trova Genzo. Ora, come dici tu, lui è “alle strette”. Come si comporterà?

FlaR: grazie per quello che mi scrivi….e soprattutto sono felice che quella frase ti abbia colpito. Non sai quanto c’ho pensato! E’ difficile mettermi nei panni di Genzo e fargli dire qualcosa a suo modo….Lui è speciale e quando parla, dice sempre poco; in quel poco ci deve essere tanto….!E anch’io credo che in quella frase Genzo abbia provato a dirle che l’ama, l’ama da morire. Ma a quanto pare…a Kumiko non basta….

Marychan82: grazie mille per quello che hai scritto….le tue recensioni sono veramente profonde…grazie per quello che dici ( per l‘intensità con cui lo dici) e per gli aspetti che cogli nella storia. C’è verità nelle tue osservazioni: il rapporto con il cibo, che è uno di leit motif della storia (anche di quella precedente, vedi il cap Genzo di nuovo) per Taro, Kumiko e Genzo; il concetto di dare un nome alle cose, che tu hai razionalizzato e spiegato talmente bene che non c’è bisogno che aggiunga molto...! Sono felice che si riesca a sentire, che tutte queste idee ci sono, ma entrano nella storia in modo naturale. E’ qualcosa a cui tengo molto!Io…non mi stanco mai di leggerti..  grazie di cuore!

Sanae78: grazie mille per aver commentato il cap! Sono contenta delle percezioni che hai avuto e il fatto che si riescano ad assaporare le tante emozioni che hanno attraversato i prs mi rende felice…!grazie!

Vi lascio al cap…..

A presto

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L’indomani, mentre tutti erano in spiaggia, suonò il cellulare a Tsubasa.

Era una telefonata dalla Spagna e Kumiko non riusciva a capire niente: era molto felice di aver parlato con Genzo, anche se lui, “quella parola” non l’aveva detta. Aveva deciso di godersi gli ultimi tre giorni senza farsi troppe paranoie e stava cercando di preparare il bambino alla separazione dal padre. Una volta in Giappone, Genzo sarebbe rimasto ancora una settimana, ma poi con Tsubasa, Sanae e i bambini sarebbe rientrato a Barcellona. Per Taro era tutto nuovo e non si rendeva bene conto di cosa sarebbe accaduto: da un momento all’altro si aspettava che i suoi si sposassero e nelle sue fantasie non c’era spazio per altro se non per i giochi e per il pallone.

Kumiko vide che Sanae era diventata seria e sembrava anche triste. Lo stesso si poteva percepire dallo sguardo di Tsubasa.

“Ma cos’è successo?.... sta male qualcuno?” chiese lei.

Tsubasa con lo sguardo fissava il cellulare.

“Era il direttore amministrativo del Barcellona….la società sta richiamando i giocatori… dobbiamo rientrare: c’è stato un cambio  ai vertici e hanno deciso di iniziare prima la preparazione….”

Kumiko era rimasta in silenzio e cercava di mettere a fuoco ogni parola. Guardava Sanae e si vedeva chiaramente quanto questo la rendesse triste perchè significava non poter andare in Giappone.

“Sanae…” disse Tsubasa guardando lei e poi i bambini.

Lei sorrise, “Non fa niente….” disse per tranquillizzare suo marito.

“Se vuoi, puoi andare dai tuoi e raggiungermi tra un po’….” disse il capitano; ma si vedeva che non era sincero e non aveva piacere.

“No…non importa…torniamo tutti con te…i bambini non hanno la scuola…se non te li godi un po’ adesso, quando ci stai con loro?” disse Sanae.

Tsubasa le sorrise e poi andò da Genzo che stava costruendo una pista per le biglie ai bambini. Lo chiamò da parte; Kumiko memorizzò, quasi fossero fotogrammi, i cambi graduali di espressione che si dipingevano sul suo volto: dal sorriso luminoso e felice, ad uno un po’ più contenuto, poi più nervoso, fino a che il sorriso non c’era più e la bocca erano due labbra che si mordevano fra loro mentre la fronte si era corrugata e il pugno era stretto. Guardò Taro e poi lei.

Si fissarono un istante. Non c’era più tempo per prepararsi: avrebbero dovuto parlare subito al bambino.

Sanae corse in casa e si chiuse in bagno perché voleva piangere e stare da sola. Non era triste perché non avrebbe rivisto i suoi; piuttosto pensava a suo fratello che ora frequentava il conservatorio a Tokyo e avrebbe fatto la sua prima piccola tourné da solista. Pensava alla sua bella casa, alla sua terra che così tanto vedeva nei suoi sogni di notte, quando nessuno poteva chiamarla o interrompere il filo dei suoi pensieri. Pensava a tutto questo e non poteva fare altro che piangere.

Kumiko bussò e lei le aprì. Questa volta, dopo tanto tempo, fu lei a consolare la moglie del capitano, a sussurrarle filastrocche in giapponese e a parlarle delle preghiere sulla montagna, come per farla sentire meno lontana da casa.

Kumiko dal canto suo era sconcertata. Quando si rese conto che gli altri erano rientrati, capì che dovevano uscire dal bagno e che era tempo di cominciare a fare i bagagli.

Tsubasa chiamò per prenotare i posti nel primo volo disponibile.

“Kumiko…. naturalmente tu puoi restare quanto vuoi….” le disse Sanae.

“No…. No …noi torniamo a casa….” rispose lei.

Allora il capitano richiamò e prenotò due posti per il volo per Tokyo e da quel momento cominciò la confusione. I bambini avevano capito da un po’ ed erano saliti ( tranne il piccolo Ryo) di sopra a raccogliere i loro giochi.

Taro invece era tornato fuori a terminare la pista.

Genzo lo raggiunse.

“Taro… ascolta… dobbiamo andare via….”

Taro, in fondo aveva intuito che c’era qualcosa di strano e aveva un po’ di paura. Così fece finta di niente e continuò a lavorare la sabbia per fare un percorso.

“Hey… guarda che sto parlando con te….” disse lui “bussandogli” delicatamente su una spalla.

“Dove dobbiamo andare?” chiese lui.

“Devi tornare in Giappone con la mamma….”

“E tu? Perchè non vieni?” chiese ancora il bambino.

Genzo lo abbracciò e cominciò a baciarlo sulla faccia, mentre Taro provava a dimenarsi.

“Lasciami …” disse imbronciato.

Allora Genzo lo lasciò.

“Io..non posso venire con voi. Devo allenarmi. Devo tornare a Barcellona…”

Taro allora corse verso casa senza voltarsi.

Appena vide sua mamma, sentì che non poteva trattenere il pianto, ma era orgoglioso almeno quanto i suoi genitori e ingoiò le lacrime.

“Ma perchè il babbo non ti sposa mai?” le chiese.

Lei piuttosto che rispondere avrebbe di gran lunga preferito ripetere lo strazio del parto. Ma non era possibile.

“Perché ci vuole tempo…. Questo comunque non significa niente…. Noi ti vogliamo tanto bene anche se non ci sposiamo…” disse Kumiko con dolcezza.

“Ma io no!non vi voglio più bene!” gridò il bambino correndo di sopra come una lepre.

Kumiko voleva raggiungerlo , ma Genzo che intanto era rientrato e aveva sentito, la fermò.

“Lascialo un po’ da solo….è sconvolto….”

Allora Kumiko salì in camera sua e fece i bagagli: di fronte, dall’altra parte del letto c’era Genzo che faceva la sua.

Lei ogni tanto lo guardava e notava come gli si fossero gonfiati un po’ gli occhi, dalla tristezza. Continuava a riporre i panni dentro la borsa e la mente era tutta corrugata.

“Ce l’ha con me” pensò lei.

“Tutti e due adesso mi staranno odiando…” continuò a pensare.

Si sentì tremendamente in colpa e come sempre ebbe quella sensazione di malessere, un presentimento brutto. Ma non poteva sposare un uomo solo perché era il padre di suo figlio; non poteva sposare uno che non le aveva mai detto che l’amava.

Lei sentiva che lui era cambiato e che adesso lei aveva un posto nel suo cuore. Ma non le bastava. Avrebbe affrontato tutto, ma non l’umiliazione di ritrovarsi accanto a lui senza avere la certezza che il suo amore fosse ricambiato sul serio.

Per questo, proprio per questa convinzione di verità, che aveva dentro, non disse nulla.

Sapeva che lui si stava aspettando un suo ripensamento, ma Kumiko decise di non cedere. Era troppo rischioso e lei aveva sentito già abbastanza dolore.

Dopo un po’ si guardarono un’ultima volta da soli.

Genzo con la mente le attraversò i vestiti, le affondò dentro come aveva fatto di notte: senza riguardo, senza risparmiare un millesimo del suo corpo, della sua passione , del suo bene. E lei si lasciò attraversare senza opporre resistenza. L’istinto le diceva una cosa, ma la ragione un’altra.

Lei scelse la seconda via.

 

Taro, nel frattempo, si era calmato: Hayate e Daibu gli avevano detto che sarebbe andato tutto bene e che senz’altro si sarebbero visti presto. La sicurezza che non aveva trovato negli adulti, Taro la ricevette dai suoi amici e questo fu sufficiente perché si mettesse a raccogliere i suoi giochi e ad infilarli nel suo zainetto.

Quando Genzo entrò in camera, Taro gli andò incontro e questa volta, sapendo che per un po’ non si sarebbero visti, si fece abbracciare e coccolare.

Il piccolo non si staccò più dal padre per tutto il tempo che rimase.

All’aeroporto la scena che si presentava al passeggero solitario, distratto ma anche curioso, era intensa: da una parte la piccola Michiko accanto a Kumiko; Sanae seduta un po’ in disparte mentre Ryo le raccontava la storia di un pesce in un acquario; Tsubasa e i gemelli che silenziosi guardavano la vetrata del gate; molto più in là, lontani dal mondo, come a separarsi da tutto, Genzo seduto per terra, appoggiato alla parete, con Taro sullo scollo che lo abbracciava e poi si distaccava per fargli una domanda e di nuovo gli dava una carezza e un bacio e poi ancora gli diceva una parola.

Quando Michiko glielo concedeva, Kumiko con lo sguardo cercava Taro e Genzo, e le veniva da piangere: non riusciva ancora a credere che tra loro ci fosse una tale sintonia. Era come se si fossero conosciuti da sempre, dal primo giorno in cui il bambino era venuto al mondo. I sei anni in cui il portiere non c’era stato, si erano dissolti esattamente come le gocce più piccole della rugiada quando arriva il sole e i fiori cominciano ad aprirsi completamente.

Ora che entrambi avevano conosciuto quel genere di amore, l’amore che ti dà un genitore e quello che ti dà un figlio, il distacco sarebbe stato straziante. Quasi , per un momento, le venne da maledire il giorno in cui il destino li aveva fatti incontrare di nuovo, al refettorio. Fino a quel momento il fato era stato a guardare; in silenzio aveva fatto in modo che ognuno di loro schivasse l’altro e la vita, senza troppe emozioni, era “filata liscia”.

Ma non si può evitare il destino per sempre; la vita ti viene sempre a chiedere il resoconto di ciò che hai fatto; per spogliarti delle tue paure. Per condannarti. O per salvarti.

Nel suo caso, Kumiko non riusciva bene a distinguere la traiettoria del destino. Sapeva che il suo corpo era stato dato in dono a Genzo e che nessun altro l’avrebbe mai potuto corrompere. Ne aveva le prove, quindi su questo ormai non c’era molto da pensare. Il suo cuore, il suo cuore maledetto era un groviglio di fili spinosi, come gambi di rosa e petali di oleandro essiccati dal sole: c’era profumo, c’era molto spazio, ma non c’erano convinzioni, a parte l’amore assoluto per Taro.

Nella sua testa la frase “cosa giusta da fare” si scontrava incessantemente con “cosa sbagliata da  non fare”: era un continuo pensare e ripensare e non riusciva a fare chiarezza.

Aveva sperato che Genzo l’aiutasse: sarebbe stato sufficiente che lui si fosse aperto un po’ di più e lei avrebbe rinunciato a tutti i suoi dubbi e l’avrebbe seguito all’istante.

Ma lui era indomabile.

Le sembrò irrimediabilmente tutto inutile.

“Michiko, dai.. su dobbiamo andare…” disse Tsubasa richiamando tutti alla realtà.

Il volo per Barcellona era stato annunciato e si dovevano sbrigare.

Kumiko avrebbe dovuto aspettare ancora un paio d’ore e farsi mezzo aeroporto a piedi per andare al suo gate ( gli addetti della compagnia aerea, avevano fatto restare lei e il bambino a quell’uscita in via del tutto eccezionale).

“Ti telefono tutti i giorni, va bene? Quando in Spagna è mattino e in Giappone è sera, ti telefono così mi racconti quello che hai fatto e come stai….” disse Genzo, cercando di sembrare sereno, credibile e rassicurante (le tre cose che da sempre ,fra molte altre, gli venivano meno).

“E se si rompe il filo del telefono e  non mi puoi chiamare?” chiese Taro, tutto bagnato dal pianto in faccia.

Allora Genzo tirò fuori il suo cellulare.

“Ma io ti chiamo con questo… lo vedi? Non c‘è nessun filo… non si può rompere…”

I due si abbracciarono per l’ennesima volta.

“E… se un giorno ti stufi di chiamarmi?.....” chiese ancora.

Genzo si inginocchiò di fronte a lui e gli mise a posto i pantaloni.

“Io non mi stufo mai di telefonarti….io…. mi manchi già molto…..”

“Sicuro?” domandò il bambino.

“Sicurissimo….”

Genzo gli baciò una guancia e gli accarezzò la testa.

“Forza… vai dalla mamma…”

Kumiko aveva abbracciato i bambini e mentre piangeva aveva stretto a sè Tsubasa e Sanae, anche lei molto triste. Le due amiche si erano parlate a lungo in quei giorni, ritrovando quella complicità che per troppo avevano dovuto soffocare. Separarsi adesso, sembrava loro inaccettabile.

“Ragazze” disse Tsubasa…” cercate di essere forti….dai…”. Anche lui era molto provato emotivamente, anche se aveva cercato di nasconderlo perché non voleva che i bambini se ne accorgessero.

“Mi raccomando…” disse il capitano abbracciando e baciando Taro…” proteggi la mamma…..”

Anche Sane e i bambini andarono intorno a Taro e tutti lo salutarono con affetto.

Ryo mostrava per la duecentesima volta il suo album di figurine di animali a Taro e voleva raccontare anche a lui la storia del pesce in un acquario, ma Michiko gli diede un morso sull’ avambraccio e lui zittì subito. I gemelli scoppiarono a ridere e anche Taro accennò un sorriso.

Genzo fece qualche passo verso Kumiko. Lei teneva gli occhi a terra. Già sentiva quanto le sarebbe mancato.

“Ti prego…” disse lui” non mandare il bambino al Tokyo….anche se ti faranno pressione, non firmare nessun accordo… lascia che riprenda a giocare nella sua vecchia squadra…”

Kumiko lo guardò e non sapeva cosa pensare.

“credimi…. lo dico per il suo bene…..”

“ok… non preoccuparti….”

Nel frattempo Taro era arrivato da loro e si attaccò ad una gamba della madre.

Allora Kumiko si accovacciò per capire se fosse ancora molto arrabbiato con lei, ma nel suo sguardo di bambino, c’era solo bellezza e leggerezza.

“Mamma….mamma sei tanto bella..” disse lui nascondendo la faccia fra le sue cosce tirando la stoffa della gonna come piaceva a lui.

Kumiko sorrise.

Genzo la fissava e pensava esattamente la stessa cosa. Lo pensava, ma non fu capace di dire una parola.

   
 
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