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Autore: Kaho    07/02/2010    5 recensioni
Poi – fra il tanfo del proprio sudore, di birra e della neve – avverte un odore famigliare, appena distinguibile, come di terra e metallo.
[RavenLogan; accenni TempestaLogan]
Buon compleanno, Val! <3
Genere: Generale, Suspence, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Logan/Wolverine, Raven Darkholme/Mistica
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di leggere, immaginate che Logan non abbia mai visto Mistica trasformata da umana: è il presupposto per questa one-shot.

Ovviamente, i personaggi della Marvel non mi appartengono.

 

 

 

Alla MADrina, che c’è sempre per la sua Pupilz.

Mi sembra sempre che faccio troppo poco per ringraziarti, ma spero che questa piccola surprise ti piaccia.

Grazie per tutto.

 

 

 

 

Sugarless

(honeysuckle, she's full of poison)

 

 

 

 

 

«Cazzo!» impreca Logan, senza nemmeno tentare di contenere la voce.

Un paio di signore in abiti da galà – scosciati e scollati, atti a mettere in mostra le rotondità acquistate a suon di dollari – si girano verso di lui e, dopo averlo squadrato, arricciano il naso e gli danno le spalle, sdegnate.

Fanculo,pensa inacidito, vecchie racchie.

Ma, mentre pensa, i suoi occhi si fermano su una di loro, una donna sulla quarantina, con un paio di natiche alte e sode, come piacciono a lui.

Sogghigna quando la signora si gira dalla sua parte, approfittando di un attimo di distrazione delle altre comari, per scoccargli un’occhiata compiaciuta che Logan non ha mancato di notare.

Grugnisce ammiccando, e alza il bicchiere per renderle omaggio: il cristallo scintilla sotto la luce dei lampadari e, sul fondo, l’unica goccia di vino rosso scivola lungo un lato, lentamente. All’improvviso gli sovviene che, solo qualche attimo prima, il cameriere smilzo, che aveva adocchiato da un po’ di minuti per un rifornimento di liquidi, si era rifugiato nelle cucine senza avergli dato il tempo di rubare un bicchierino di champagne (che non è come vero alcol, ma per iniziare la serata è perfetto).

Soffoca malamente una nuova imprecazione, e appoggia con violenza il calice sul tavolino alle sue spalle, rompendo il sottile gambo di cristallo.

La donna con le belle chiappe sobbalza e, crucciando le labbra un po’ troppo gonfie, scuote la testa, civettando con le quattro galline del suo seguito.

«Ma che razza di troia.»

«Uhm, io direi che razza di linguaggio»

Magicamente, è apparsa alla sua destra Tempesta, tutta argento e paranoie.

Indossa un po’ troppi gioielli, che la fanno sentire a disagio (ormai la conosce così bene che lo sa semplicemente, senza osservare il tambureggiare leggero delle dita sul braccio), e ha tirato i capelli voluminosi in una crocchia dietro la nuca. Logan si chiede quanto resisteranno, dentro quella gabbia di forcine.

Sogghigna, mettendo in mostra i canini un po’ troppo sviluppati.

«Ciao bellezza, sei una favola!» Fischia a lungo, mangiandosela con gli occhi. «Devi mostrare quella bella carrozzeria più spesso.»

«Ma falla finita,» lo tronca Tempesta, che però arrossisce. «Indosso sempre uniformi aderenti, dove sarebbe la differenza?»

«L’abito» risponde con ovvietà Logan. «L’abito fa la differenza.»

La mutante incrocia le braccia al petto, e sbuffa via una ciocca che, dispettosa, le ricade a lato del viso.

«Oh, sì, ceeerto, come se ti interessasse qualcosa dell’abito… tu vorresti ogni donna nuda, Logan.»

«Però apprezzo la carta e i fiocchi del regalo di Natale.»

Tempesta si rilassa e si lascia scappare una piccola risata, nascosta graziosamente da una mano – piccola, con le dita corte e le unghie perfettamente curate.

Logan l’osserva attentamente, accennando un sorriso malinconico: in altri tempi, quando era riuscito ad ammorbidirla abbastanza, lei gli aveva sorriso con malizia, gli aveva preso una mano e lo aveva condotto via, in un angolo buio della Scuola, dove aveva assoporato il suo alito fresco sulla pelle. Ma questi momenti sono rinchiusi nel passato, frammenti incastrati fra il fidanzamento con Bestia e Jean. Quasi secoli fa, si dice, cercando di sminuire il suo fantasma personale.

Anche Tempesta sembra indugiare nei ricordi: ha quell’aria pensosa che, con quei capelli, la fa sembrare una Fata. La neve, che cade a fiocchi grossi e numerosi dietro la finestra alle sue spalle, contribuisce a rendere la fantasia più vivida.

Alla fine, è lei che spezza l’incanto, sorridendo ampiamente, mostrando un po’ le gengive rosa.

«Logan, sai sempre come farti perdonare. Almeno, da me» si corregge, ridacchiando. «Ma ti ricordo che questa è la serata in memoria del Professore, quindi esigo che sorga il gentiluomo che nascondi sotto questo smoking, ok?»

Logan fa una smorfia. «Non amo tutte queste cerimonie, è tutto così inutile… e tu lo sai. Per non parlare di tutti gli spocchiosi che hai invitato, sembrano Ciclope, è odio a pelle… e di questo coso da pinguino? Vogliamo discuterne?» Si passa l’indice sotto il colletto della camicia. «Mi sta letteralmente uccidendo. Mille volte combattere Magneto, piuttosto che sorbirmi questi party, l’alta società non fa per me.»

«Trovo invece che questo abito ti dona» lo corregge pacata, provando a chiudergli l’ultimo bottone della camicia, fallendo: il bottone si rifiuta di chiudersi attorno al grosso collo. «E lo pensano anche tante signore, che sarebbero un po’ più docili se mostrassi un po’ di buone maniere.»

Logan alza le sopracciglia, ghignando sfacciatamente. «Chi dice che le voglio docili

Tempesta serra le labbra improvvisamente, per impedirsi di ridere; alla fine rilascia un sospiro, stanco e teatrale. «Ok, ho capito, rimarrai il solito troglodita di sempre.»

«Io non sono–»

La piccola mano fresca della ragazza si appoggia delicatamente sul suo braccio.

«Non c’è bisogno di accalorarsi, Logan» gli sorride. «Ti chiedo solo un favore, ok? Niente risse, niente rutti, niente battute ciniche e niente palpatine alle signore presenti.»

«Mi sembrano più di uno» le fa notare, con tono neutro.

Tempesta gli fa l’occhiolino. «Ma, in cambio, io farò finta di non sapere chi ha rotto il simulatore e, come bonus, ti lascio la stanza nell’ala Nord al piano terra, quella vicino alle cantine… ma solo per stanotte.»

Solo una notte?

«Facciamo due mesi.»

«Uno» Tempesta allunga la mano verso di lui, decisa. «E non ne parliamo più.»

Lui la stringe con vigore e la osserva mentre s’immerge nuovamente fra la folla, tutta sorridente, convinta di aver vinto la trattativa.

Povera, piccola, ingenua Tempesta. Gli ha offerto molto più di ciò che le aveva promesso e gli aveva garantito la sua stanza preferita, vicino alle riserve di alcol, per il resto del mese.

Jackpot.

Tanto più che il profumo francese che aveva addosso la mutante gli ha fatto venire un leggero mal di testa, già presente per colpa della noia, e se ne sarebbe andato comunque – solo che, prima, sarebbe uscito mettendo in dubbio la virilità di Ciclope.

Con un ghigno pigro, Logan taglia il salone, evitando di dare spallate ai cloni di Ciclope che lo popolano, e scompare per i corridoi della Scuola, dirigendosi verso la propria stanza.

 

*

 

I fari di una macchina gli feriscono gli occhi, e Logan borbotta qualcosa, mentre una bottiglia di birra – parte della scorta recuperata nelle cantine prima di chiudersi in camera – scivola dalle sue mani e si unisce, in una sinfonia di vetri rotti, alle gemelle accatastate sul bordo del letto.

Logan è vagamente consapevole del fatto che siano passate pochissime ore, da quando è sceso.

Il mal di testa ha cominciato a peggiorare e l’ammontare dell’alcol non è riuscito a placare il pulsare continuo e fastidioso.

È come quando pensa troppo, o deve stare fermo: ogni muscolo del suo corpo non riesce a rilassarsi, frustrato, e la sua mente vacilla come un funambolo sopra ad un precipizio, formato da catene, acciaio, Jean e neve – tanta, troppa neve.

Metà del suo mal di testa è dovuto a quella schifosissima porcheria, che continua a venire giù, ignorando le sue maledizioni – la neve va bene solo quando è Tempesta, solo quando è lei che la porta sulle mani e gliele appoggia sulle braccia, dandogli un vago sollievo.

Logan sospira, masticando una bestemmia fra i denti impastati di saliva.

Ora esco e picchio qualcuno.

Prende per inerzia l’ennesima birra olandese (ti trattano sempre bene, alla Scuola) e toglie la capocchia di latta con il pollice, facilmente.

La voglia di rimangiarsi il patto fatto con Tempesta è forte, ma è forte anche la tentazione di indugiare un po’ di più in quello stato di apatia – quel luppolo olandese è proprio l’ottava meraviglia del mondo.

Poi – fra il tanfo del proprio sudore, di birra e della neve – avverte un odore famigliare, appena distinguibile, come di terra e metallo.

Scatta subito in piedi, alza la finestra, annusa l’aria e lo percepisce ancora. Vicinissimo.

Dimenticandosi la giacca e le scarpe, libero dallo smoking già da tempo, Logan salta giù dalla finestra e corre lungo il perimetro della casa, la fronte contratta in una smorfia feroce e i lunghi artigli di acciaio sguainati.

 

*

 

La traccia l’ha portato sul retro della grande villa; dietro al turbinare della neve, sente il chiacchiericcio e la musica soft del galà. D’un tratto, è contento che la festa non sia ancora finita: non vuole nessuno fra i piedi, mentre stana il serpente che ha cercato di mordergli la caviglia diverse volte. Era una questione personale, che apparteneva unicamente a lui.

I grossi artigli scintillano quando esce in una zona di luce, nel parcheggio, appena sotto un lampione.

Si ferma, le spalle incurvate e l’adrenalina che sale e sale, mentre il suo cervello lavora freneticamente, immaginando il sangue viscoso di quella vipera; la caccia è meglio di qualsiasi medicina contro il mal di testa.

È immobile, aspetta un segnale.

L’odore è forte, qui, è fresco, è vero.

Poi, un tonfo.

Logan scompare e c’è Wolverine che comanda il gioco, senza maschera, ma la mascella contratta e il ringhio sonoro che rimbomba nel semi-silenzio.

Si lancia in avanti, supera una fila di macchine con pochi balzi e arriva in una piccola zona libera.

Sulla neve, giace un corpo di donna.

Gli artigli di Wolverine, tuttavia, non l’azzannano e si incastrano in aria; Logan si immobilizza, di nuovo, e osserva sospettoso quel corpo statico.

È una donna bellissima, quella che sta distesa nel manto bianco: l’abito corto è incastrato fra le cosce, le spalline sono abbassate, e dalla scollatura Logan riesce a intravedere l’aureola scura del seno.

Il mutante cerca di deglutire, avvertendo la bocca improvvisamente secca; lentamente, gli artigli si ritraggono e Logan rizza la schiena, avvicinandosi, cauto.

«Ehi, signorina, tutto ok?»

Lo sta facendo per Tempesta, per la promessa. Questa è la scusa.

In realtà, sono bastati pochi secondi e il suo sangue si è surriscaldato alla vista della carne pallida della ragazza, e la voglia di fare un po’ il cascamorto con lei e portasela in camera, fra i cocci di bottiglia, è diventata una priorità.

La donna rivolge verso di lui gli occhi, fino ad allora puntati fissi al cielo, e il caschetto nero scivola pigramente lungo una guancia.

Il contrasto fra la pelle esangue è quasi esagerato – c’è qualcosa di sbagliato in quei colori.

È… come se non fossero i suoi.

Stronzate.

«Ehi, mi senti?»

Si accuccia accanto a lei e le sventola davanti una mano.

La ragazza guarda il suo palmo aperto, e poi lui, e così una seconda volta.

«Sei scalzo» osserva piattamente.

Logan abbassa lo sguardo e vede una piccola porzione dei calzini grigi inzuppati avanzare dalla neve, e i jeans malridotti bagnati fino al ginocchio.

Emette un ringhio sordo. «Parla la donna che se ne sta nella neve. Vuoi congelare?»

«E se così fosse?» gli chiede, serafica, mentre si puntella sui gomiti, spiazzandolo quando gli punta addosso due occhi verdissimi e fermi. «Che t’importa?»

«Mi frega che qui non vogliamo suicidi» ribatte, dicendo una mezza-verità. «Dai, entra.»

La donna ributta il capo nella neve, riprendendo a fissare il cielo. «Non voglio tornare alla festa.»

«Aaaah, le donne!» geme esasperato Logan.

È quasi tentato di lasciarla lì, che si arrangi, pensa, ma la parte più umana di lui – quella che hanno visto soltanto Jean, Rouge e raramente Tempesta – lo costringe a fermarsi. E, forse,un buon motivo è anche l’impudenza di quella ragazza seminuda.

«Ok, facciamo così: entriamo, ti porto in una camera lontano dalla festa e ti do qualcosa per scaldarti… come ti pare?»

Lei lo guarda, senza espressione. Logan sente per la prima volta il freddo della neve addosso e si chiede come ha fatto quella pazza a resistere a zero gradi, sotto il vento freddo che proviene dalla costa poco distante.

«D’accordo.»

Il mutante annuisce, inespressivo. «Ok… riesci a camminare?»

La ragazza si guarda, fa una piccola smorfia (di dolore?, per qualche attimo, gli era sembrato ribrezzo) e scuote il capo.

«Credo di avere i muscoli atrofizzati.»

«Ho capito» sospira Logan, prendendola fra le braccia forti e issandola da terra. «Sappi che non sono un buon samaritano, esigo una paga io.»

Sfodera un ghigno, e, per la prima volta, lei gli riserva un piccolo sorriso malizioso, stringendo le spalle e appoggiando il capo bagnato sulla sua maglietta.

«Fa in fretta, ho freddo.»

Jackpot.

 

*

 

Mentre con un braccio le circonda le gambe per sostenerla addosso a sé, Logan abbassa il pomello della porta con la mano libera.

L’uscio della stanza si apre con un rumore di vetri che rotolano sul pavimento e, entrando, Logan si chiede perché non gli sia venuto in mente di portarla da qualunque altra parte.

Accatastate in un angolo ci sono due grandi casse di birra, e bottiglie vuote giacciono un po’ all’ingresso e un po’ attorno al letto. Sembra un campo minato o una bettola di periferia, l’antitesi degli ambienti di una signorina dabbene.

Avverte le gambe della sconosciuta tendersi e l’osserva mentre muove le dita dei piedi, saggiandone le condizioni. Gli occhi verdi di lei, intanto, ispezionano la stanza con cura.

«È la tua camera?» gli domanda, neutra.

Logan esita qualche istante. «Sì, ma il mio amico Ciclope l’ha scambiata per una discarica» scherza, e le sue labbra si tirano in un mezzo-ghigno, pensando con orgoglio a quella mezza-bugia improvvisata.

La donna ridacchia: avverte la vibrazione delle risa sul petto. Abbassa il mento e vede che lei lo sta già fissando, le labbra bianche e screpolate incurvate in un sorriso tagliente.

Ricambia lo sguardo e prova ad accarezzarle con delicatezza la schiena, per testare la sua reazione. La sconosciuta non scansa il suo tocco, anzi, gli pare di vedere le pupille dilatarsi leggermente e sparire, per qualche secondo, dietro le palpebre socchiuse, mentre lei piega il capo all’indietro; lentamente i suoi occhi seguono la linea aguzza della clavicola, spostandosi lungo il collo latteo, quasi bluastro, probabilmente per via del freddo.

Si ferma sulla carotide tesa, esposta e cianotica, e sul solletico sottile che gli procura il caschetto lungo il braccio – trattiene un sospiro e, chiudendo gli occhi, una veloce macchia blu gli balena davanti.

Logan avverte le nocche delle mani prudergli e gli artigli graffiargli leggermente la pelle; strizza gli occhi, cercando di focalizzare quell’immagine veloce che ha risvegliato in lui un sentore di pericolo.

«Mi metteresti giù?»

La voce della sconosciuta cattura la sua attenzione; le spalle di Logan si rilassano impercettibilmente.

Annuendo, inclina il braccio in modo che la ragazza scivoli sul pavimento, sostenendola con una mano appoggiata sul fianco.

La seta bagnata s’increspa sull’avambraccio peloso, e Logan sente distintamente la carne gelida della donna su di sé. Stringe la mascella, cercando di apparire disinteressato.

Lei, intanto, sorride di nascosto, mentre appoggia i piedi sul pavimento e prova a muoverli.

«Non ti sei del tutto congelata, allora» ghigna sardonico, mentre lei gli tiene ancora il braccio come supporto.

«A quanto pare no… come tu sei il responsabile di questo casino.» Indica con il capo il letto, con gli occhi che ridono sotto la fitta cresta di ciglia.

Logan arcua un sopracciglio.  

«M’hai scoperto, che tragedia…!» scimmiotta, imbronciato.

«È stato fin troppo facile, puzzi ancora di birra.» Scivola via da lui, spostandosi fra il disordine della stanza, in punta di piedi. «Mi faccio una doccia veloce per scaldarmi. È di là il bagno?» domanda, indicando l’altro uscio su cui è appeso un asciugamano.

Logan grugnisce, con sarcasmo: «Sì, sì, fai pure come se fosse casa tua!»

Appena la donna scomparve dietro la porta del bagno, non prima di aver lasciato nella sua mente l’eco di una risata di scherno, Logan sospira e si scrolla la neve di dosso con un’energica scossa.

Poi si siede sul materasso, e prende una buona boccata d’aria, ricordando con rabbia il suo riso e, insieme, l’elettrificante sensazione di averla addosso.

Il ghigno che gli taglia il volto scema non appena percepisce l’odore nella stanza: birra, terra e ferro. Fortissimo.

 

*

 

Raven – così la chiamano – chiude la porta con uno scatto e appoggia l’orecchio contro il legno, decifrando i rumori al di là dell’uscio (qualche borbottio, il tintinnio dei vetri, un paio di passi pesanti e il cigolio del materasso), i pugni stretti fino a farle male appoggiati dietro la schiena.

Si porta una mano fra i capelli, li tira indietro con stizza e si guarda intorno circospetta.

Incontra nello specchio il suo riflesso: vede la pelle traslucida, azzurrognola, e il vago sorriso stanco che è nato nell’immagine speculare svanisce quasi subito.

Si porta una mano sugli occhi e spinge gli indici addosso alle palpebre. Sospira pesantemente, e con un movimento lento fa scattare la serratura.

Apre i cassetti del mobiletto del bagno, ma non trova altro che salviette, sapone da hotel e spazzolino. Richiude tutto con stizza, ed emette un gemito frustrato, stirando le labbra rabbiosamente.

Infine, prende in mano un asciugamano, apre lo sportello di vetro ed entra nella doccia, attivando il getto caldo; lo scroscio dell’acqua quieta il tambureggiare veloce del cuore e la sua pelle si arrossa visibilmente al contatto.

Rabbrividendo, serra gli occhi e, con l’amaro in bocca, si dice che Logan non è riuscito a scorgere il suo riflesso – quell’essere antico che non riusciva a evadere dal passato.

 

*

 

Quando sente la serratura scattare, Logan stringe leggermente le spalle, obbligandosi a rimanere sdraiato sul letto.

Ha nascosto le mani dietro al capo, con le nocche che prudono dolorosamente, talmente tanto che deve serrare la mascella.

Si gira verso l’intrusa: i suoi occhi chiari sono insondabili mentre lo scruta come se lo stesse deridendo. I capelli, appiccicati sulle sue guance e sulle orecchie, creano zampe di ragno sulla pelle arrossata. Nota con irritazione che indossa solo la sua giacca di pelle – l’aveva lasciata in bagno? – con la cerniera un po’ abbassata.

«Ti posso dare una maglietta e un paio di boxer.»

La donna scuote la testa, divertita. «Voglio una birra.»

Le volta le spalle e, mentre si china a raccogliere una bottiglia, la sente avanzare e sedersi accanto a lui. Il materasso s’inclina appena, e il suo fianco destro è a contatto con la pelle. L’odore di lei, mischiato a quello della sua giacca, gli punge il naso.

Grugnisce, passandole con un gesto stizzito la bottiglia.

«Non ci siamo presentati» commenta, in un sussurro.

Lei lo guarda negli occhi, il viso immobile in un’espressione neutra. «Mi chiamano Raven» esita, e poi aggiunge: «Ma non amo questo nome.»

Prende un sorso di birra fissando il pavimento, pensierosa.

«Tu invece?»

Logan ghigna. «Ti importa saperlo?»

Raven alza gli occhi verso di lui e accenna ad un sorriso. «Non proprio.»

È sinuosa come un serpente quando appoggia la bottiglia a terra e si china sopra di lui; gli prendere le spalle e, mentre preme il petto contro la sua maglia, accarezza la sua bocca con le labbra, respirandogli addosso.

Quando sente Logan tremare, le scappa una risatina scialba.

«È solo un ringraziamento anticipato…»

«Perché anticipato?»

Il fantasma del suo respiro s’incaglia fra la barba di tre giorni.

«Per quello che succederà fra poco…»

Il tono con cui gli parla è intimo, malizioso. A Logan pare una vera e propria promessa e, insieme, una sfida.

Rapidamente le artiglia la testa e schiaccia la bocca contro quella di Raven; la sente mugolare quando le morde le labbra e i loro denti cozzano in un bacio violento, rabbioso.

Con una spinta decisa, Logan inverte le posizioni, stendendola sotto di sé; una mano corre a bloccarle i polsi sopra la testa. Dall’altra, stretta in un pugno sopra la sua testa, appaiono i lunghi artigli.

Quando si stacca dalla sua bocca, Raven posa lo sguardo sicuro sul suo viso, contratto in una smorfia feroce, e poi sugli artigli. Si lecca appena le labbra screpolate e tumide, e Logan è quasi sorpreso di non vedere una lingua biforcuta.

«Mistica» ringhia, con voce gutturale, bloccandole le gambe con le proprie, intrecciandole insieme.

«Non capisco» balbetta Raven, con gli occhi spalancati. «Mistica?»

«Non fare la finta tonta…» Le stringe i polsi con più forza, ficcando le unghie nella sua pelle. Raven mugugna, inarcando appena la schiena. «Sei sempre la solita puttana in calore.»

Lei ride, buttando la testa indietro sul cuscino.

«È l’effetto che fai alle donne, Logan

«Tu non sei una donna» la corregge lui. «Sei una vipera

Per un attimo gli pare di vedere gli occhi verdi di Raven dilatarsi, e una scintilla di rabbia fulminarlo. «Ti stupirebbe scoprire che sono, in fin dei conti, una donna?»

«Nessuno dei tuoi servizietti potrebbe farmi cambiare idea. Trasformati.»

Raven socchiude gli occhi. «Perché dovrei?»

«Perché adoro il rosso sulla tua pelle blu.»

Lei scoppia a ridere. «Se potessi lo farei, credimi!» riesce a dire, fra i singulti, che si placano dopo qualche minuto con un paio di colpi di tosse.

Le sopracciglia di Logan s’inarcano. «Che intendi dire?»

«Proprio niente» Raven sbatte gli occhi, ammiccando. «Che c’è, ti fai scrupoli ad uccidermi Logan? Magari alla fine ti sei innamorato di me, nonostante abbia quasi ucciso i tuoi amici più di una volta…»

«Putt– »

La testata lo coglie alla sprovvista e gli toglie un attimo si stabilità; Raven ne approfitta per liberare le gambe e lo colpisce con una forte ginocchiata nelle parti basse, che lo lascia boccheggiante sopra di lei.

La presa sui suoi polsi, tuttavia, rimane solida, e mentre tenta di riprende fiato, ululando per il dolore, lei gli stringe le gambe attorno alla vita e gli affonda i denti dentro la spalla, trattenendo un gemito – le sembra che i muscoli delle braccia si stiano spezzando, tanto li ha tirati.

Il pugno nudo di Logan la colpisce dietro alla nuca, e le scappa un grido mentre atterra nuovamente sul cuscino; stordita, avverte come un vago eco il rumore dell’acciaio che scorre e, con la coda dell’occhio, vede lo scintillio delle cinque sciabole di Logan.

Chiude gli occhi, con un’espressione placida.

Sorride mentre gli artigli fendono l’aria e, per un istante, le sembra che stiano ripetendo lo stesso mantra mentale, lei e Logan – colpisci dritto al petto, colpisci Raven a morte!

Ma poi non sente niente: niente sangue, niente dolore, niente carne lacerata. Gli artigli si sono incastrati nel materasso, e le hanno fatto solo un piccolissimo taglio sul braccio.

Alza le palpebre: Logan si è alzato a sedere e la fissa, disgustato e furioso.

«Tu volevi che ti uccidessi.»

È un’accusa in piena regola.

Raven sente gli occhi pizzicarle in maniera terribile e le labbra tremare – odia quel corpo così pieno di reazioni ed emotivamente instabile, lo odia.

«Sì» ammette quietamente. «E tu non mi hai uccisa. Hai forse imparato l’arte del perdono?»

Lo beffa, ma lui non casca nel suo tranello e rimane composto.

«Perché?»

Lei sbuffa, scostando lo sguardo.

«Spararsi sarebbe troppo noioso» si lascia scappare con un sorriso monco, e il tono intriso di veleno e sarcarmo.

La fronte di Logan si aggrotta. «Che intendi dire?»

«Il suicidio sarebbe da Raven, non da Mistica» spiega con tranquillità, osservando la tempesta di neve fuori dalla finestra. «E io voglio morire in un modo degno di Mistica: in battaglia o per mano di un mutante.»

Un semidio, uno simile a me.

Logan storce la bocca. «Tu sei pazza

«No» lo corregge lei, con un ghigno. «Io sono Mistica

 

C’è stato un grave silenzio, dopo quel piccolo dialogo: Logan l’ha guardata a lungo in viso, e solo con l’espressione d’ira e disgusto che ha sempre riservato a Mistica.

In qualche modo, tutto questo le dà sicurezza, perché finalmente le sembra di avvertire, da qualche parte, il fremito – come un battere di ciglia – sulla pelle che caratterizzava le sue trasformazioni. Mistica, in quella pelle nuova, risorge per sfidare ancora una volta l’impulsivo Wolverine e la sua noiosa scala di ideali.

Le è mancato il contatto vivo con i suoi muscoli d’acciaio e il modo brusco con cui le si rivolgeva; le è mancato anche sentirselo addosso, pesante come la morte e irraggiungibile.

«E ora che farai, Logan?»

Le narici del mutante si allargano, e Raven nota come i denti stridano fra loro.

Una piccola speranza le fa languire il petto, scaldandolo, mentre Logan le tocca una caviglia e guida le sue gambe sotto di lui, staccandole dalla propria schiena.

«E ora» Logan si alza dal letto. «Ti lascio andare.»

Raven lo fissa allibita, la bocca semiaperta in un’espressione di stupore che è nata spontanea. Tenta di deglutire, per bagnare la bocca asciutta, la mente in preda ad un frenetico black-out.

Mi sta lasciando andare, mi sta lasciando andare, mi sta

Con uno scatto rabbioso si alza in piedi e gli afferra il colletto della maglietta, portandoselo vicino al volto. Potrebbe anche baciarlo, se ne avesse voglia; ma in quel momento vorrebbe solo picchiarlo con tutte le sue forze.

«Sei uno schifoso codardo» gli urla in faccia. «Stare alle dipendenze di quell’idealista svampita di Tempesta ti ha reso debole, mio caro, una vera merda!»

Logan sogghigna. «Continua pure così, Raven, tanto non ti ucciderò… non farò mai un piacere a Mistica.»

Raven sente le gambe farsi molli e si morde il labbro inferiore, per trattenere un gemito.

«Ma...!»

Le mani di Logan lavorano svelte sulla cerniera della giacca, e gliela sfilando con un movimento veloce. Completamente nuda, Raven lo fissa smarrita.

Logan le riserva un sorriso odioso. «Non potevo farti uscire con la mia giacca, vipera. Tanto non avrai problemi a metterti nei panni di qualcun altro, non è vero?»

Lo schiaffo prende in pieno viso Logan, e gli fa ruotare la testa dall’altro lato. Un «’fanculo» sussurrato è l’addio di Raven, prima che sbatta dietro di sé la porta.

Logan prende un respiro profondo, e sfiora con le dita la guancia dolorante.

«’Fanculo

 

 

 

 

 

 

 

Madrina, lo so che non è nulla di chè: solo fangherleggiamenti e narrativa pesante, inutile e orribile. Però qualcosa per te volevo farlo e, beh, che cosa è meglio di Mistica e Wolverine? No, seriamente, sono magnifici – difficili da caratterizzare, ma magnifici.

Oltretutto doveva essere molto più dark, ma non riesce con Logan né ben che meno con Mistica qualcosa di piagnucoloso, loro sono… troppo orgogliosi, per tutto questo. *smile*

Buon compleanno, Val! (:

 

 

 

 

 

 

Piccole note a margine.

1) Raven è il nome dato a Mistica dopo la sua trasformazione in umana. La Bestia è l’omone blu, che secondo wiki è stato fidanzato con Tempesta.

2) La neve che ricorda Logan è quella quando inizia la sua vita come Wolverine. Spero di non sbagliarmi, ma ho in mente una scena in cui i suoi ricordi iniziano appunto in un luogo pieno di neve. Se così non è, beh… ho modificato un po’ la storia XD chiedo perdono!

3) Questa storia partecipa all’iniziativa 2010: a year together! indetta dal forum Collection of Starlight, un’iniziativa incredibilmente carina, con prompt davvero ispirosi, come il #32 SPARARSI SAREBBE TROPPO NOIOSO, quello usato da me in questa storia. Se volete darne un’occhiata, potete visitare il forum a questo indirizzo: http://fanfictioncontest.forumcommunity.net/?t=34247954&st=225#lastpost  .

  
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