Prima
di leggere, immaginate che Logan non abbia mai visto Mistica trasformata
da umana: è il presupposto per questa one-shot.
Ovviamente,
i personaggi della Marvel non mi appartengono.
Alla MADrina, che c’è
sempre per la sua Pupilz.
Mi sembra sempre che faccio troppo poco per
ringraziarti, ma spero che questa piccola surprise ti
piaccia.
Grazie per tutto.
Sugarless
(honeysuckle, she's full of poison)
«Cazzo!» impreca
Logan, senza nemmeno tentare di contenere la voce.
Un paio di
signore in abiti da galà – scosciati e scollati, atti a mettere in mostra le
rotondità acquistate a suon di dollari – si girano verso di lui e, dopo averlo
squadrato, arricciano il naso e gli danno le spalle, sdegnate.
‘Fanculo,pensa inacidito, vecchie racchie.
Ma, mentre pensa, i suoi occhi si
fermano su una di loro, una donna sulla quarantina, con un paio di natiche alte
e sode, come piacciono a lui.
Sogghigna quando
la signora si gira dalla sua parte, approfittando di un attimo di distrazione delle altre comari, per scoccargli un’occhiata compiaciuta
che Logan non ha mancato di notare.
Grugnisce
ammiccando, e alza il bicchiere per renderle omaggio: il cristallo scintilla
sotto la luce dei lampadari e, sul fondo, l’unica goccia di vino rosso scivola
lungo un lato, lentamente. All’improvviso gli sovviene che, solo qualche attimo
prima, il cameriere smilzo, che aveva adocchiato da un po’ di minuti per un
rifornimento di liquidi, si era rifugiato nelle cucine senza avergli dato il
tempo di rubare un bicchierino di champagne (che non è come vero alcol, ma per
iniziare la serata è perfetto).
Soffoca malamente
una nuova imprecazione, e appoggia con violenza il calice sul tavolino alle sue
spalle, rompendo il sottile gambo di cristallo.
La donna con le
belle chiappe sobbalza e, crucciando le labbra un po’ troppo gonfie, scuote la
testa, civettando con le quattro galline del suo seguito.
«Ma che razza di troia.»
«Uhm, io direi che
razza di linguaggio…»
Magicamente, è
apparsa alla sua destra Tempesta, tutta argento e paranoie.
Indossa un po’
troppi gioielli, che la fanno sentire a disagio (ormai la conosce così bene che
lo sa semplicemente, senza osservare il tambureggiare leggero delle dita sul
braccio), e ha tirato i capelli voluminosi in una crocchia dietro la nuca.
Logan si chiede quanto resisteranno, dentro quella gabbia di forcine.
Sogghigna,
mettendo in mostra i canini un po’ troppo sviluppati.
«Ciao bellezza,
sei una favola!» Fischia a lungo, mangiandosela con gli occhi. «Devi mostrare
quella bella carrozzeria più spesso.»
«Ma falla finita,» lo tronca Tempesta, che però arrossisce. «Indosso sempre
uniformi aderenti, dove sarebbe la differenza?»
«L’abito»
risponde con ovvietà Logan. «L’abito fa la differenza.»
La mutante
incrocia le braccia al petto, e sbuffa via una ciocca che, dispettosa, le
ricade a lato del viso.
«Oh, sì, ceeerto, come se ti interessasse
qualcosa dell’abito… tu vorresti ogni donna nuda, Logan.»
«Però apprezzo
la carta e i fiocchi del regalo di Natale.»
Tempesta si
rilassa e si lascia scappare una piccola risata, nascosta graziosamente da una
mano – piccola, con le dita corte e le unghie perfettamente curate.
Logan l’osserva attentamente, accennando un sorriso malinconico:
in altri tempi, quando era riuscito ad ammorbidirla abbastanza, lei gli aveva
sorriso con malizia, gli aveva preso una mano e lo aveva condotto via, in un
angolo buio della Scuola, dove aveva assoporato il
suo alito fresco sulla pelle. Ma questi momenti sono
rinchiusi nel passato, frammenti incastrati fra il fidanzamento con Bestia e Jean.
Quasi secoli fa, si dice, cercando di
sminuire il suo fantasma personale.
Anche Tempesta
sembra indugiare nei ricordi: ha quell’aria pensosa che, con quei capelli, la
fa sembrare una Fata. La neve, che cade a fiocchi grossi e numerosi dietro la
finestra alle sue spalle, contribuisce a rendere la fantasia più vivida.
Alla fine, è lei
che spezza l’incanto, sorridendo ampiamente, mostrando un po’ le gengive rosa.
«Logan, sai sempre come farti
perdonare. Almeno, da me» si corregge, ridacchiando. «Ma ti ricordo che questa è la
serata in memoria del Professore, quindi esigo che sorga il gentiluomo che
nascondi sotto questo smoking, ok?»
Logan fa una
smorfia. «Non amo tutte queste cerimonie, è tutto così
inutile… e tu lo sai. Per non parlare di tutti gli
spocchiosi che hai invitato, sembrano Ciclope, è odio a pelle…
e di questo coso da pinguino? Vogliamo discuterne?»
Si passa l’indice sotto il colletto della camicia. «Mi
sta letteralmente uccidendo. Mille
volte combattere Magneto, piuttosto che sorbirmi
questi party, l’alta società non fa per me.»
«Trovo invece che questo abito ti dona» lo corregge pacata,
provando a chiudergli l’ultimo bottone della camicia, fallendo: il bottone si
rifiuta di chiudersi attorno al grosso collo. «E lo pensano anche tante
signore, che sarebbero un po’ più docili se mostrassi un po’ di buone maniere.»
Logan alza le
sopracciglia, ghignando sfacciatamente. «Chi dice che le voglio docili?»
Tempesta serra
le labbra improvvisamente, per impedirsi di ridere; alla fine rilascia un
sospiro, stanco e teatrale. «Ok, ho capito, rimarrai
il solito troglodita di sempre.»
«Io non sono–»
La piccola mano
fresca della ragazza si appoggia delicatamente sul suo braccio.
«Non c’è bisogno
di accalorarsi, Logan» gli sorride. «Ti chiedo solo un
favore, ok? Niente risse, niente rutti, niente battute ciniche e niente
palpatine alle signore presenti.»
«Mi sembrano più
di uno» le fa notare, con tono neutro.
Tempesta gli fa
l’occhiolino. «Ma, in cambio, io farò finta di non sapere chi ha rotto il
simulatore e, come bonus, ti lascio la stanza nell’ala Nord al piano terra,
quella vicino alle cantine… ma solo per stanotte.»
Solo una notte?
«Facciamo due
mesi.»
«Uno» Tempesta
allunga la mano verso di lui, decisa. «E non ne parliamo più.»
Lui la stringe
con vigore e la osserva mentre s’immerge nuovamente fra la folla, tutta sorridente,
convinta di aver vinto la trattativa.
Povera, piccola,
ingenua Tempesta. Gli ha offerto molto più di ciò che le aveva promesso e gli
aveva garantito la sua stanza preferita, vicino alle riserve di alcol, per il
resto del mese.
Jackpot.
Tanto più che il
profumo francese che aveva addosso la mutante gli ha fatto venire un leggero
mal di testa, già presente per colpa della noia, e se ne sarebbe andato
comunque – solo che, prima, sarebbe uscito mettendo in dubbio la virilità di
Ciclope.
Con un ghigno
pigro, Logan taglia il salone, evitando di dare spallate ai cloni di Ciclope
che lo popolano, e scompare per i corridoi della Scuola, dirigendosi verso la
propria stanza.
*
I fari di una
macchina gli feriscono gli occhi, e Logan borbotta qualcosa, mentre una
bottiglia di birra – parte della scorta recuperata nelle cantine prima di
chiudersi in camera – scivola dalle sue mani e si unisce, in una sinfonia di
vetri rotti, alle gemelle accatastate sul bordo del letto.
Logan è
vagamente consapevole del fatto che siano passate pochissime ore, da quando è
sceso.
Il mal di testa
ha cominciato a peggiorare e l’ammontare dell’alcol non è riuscito a placare il
pulsare continuo e fastidioso.
È come quando
pensa troppo, o deve stare fermo: ogni muscolo del suo corpo non riesce a
rilassarsi, frustrato, e la sua mente vacilla come un funambolo sopra ad un precipizio, formato da catene, acciaio, Jean e neve –
tanta, troppa neve.
Metà del suo mal
di testa è dovuto a quella schifosissima porcheria,
che continua a venire giù, ignorando le sue maledizioni – la neve va bene solo quando è Tempesta, solo quando è
lei che la porta sulle mani e gliele appoggia sulle braccia, dandogli un vago
sollievo.
Logan sospira, masticando
una bestemmia fra i denti impastati di saliva.
Ora
esco e picchio qualcuno.
Prende per
inerzia l’ennesima birra olandese (ti trattano sempre bene, alla Scuola) e
toglie la capocchia di latta con il pollice, facilmente.
La voglia di
rimangiarsi il patto fatto con Tempesta è forte, ma è forte anche la tentazione
di indugiare un po’ di più in quello stato di apatia – quel luppolo olandese è proprio
l’ottava meraviglia del mondo.
Poi – fra il
tanfo del proprio sudore, di birra e della neve – avverte un odore famigliare, appena
distinguibile, come di terra e metallo.
Scatta subito in
piedi, alza la finestra, annusa l’aria e lo percepisce ancora. Vicinissimo.
Dimenticandosi
la giacca e le scarpe, libero dallo smoking già da tempo,
Logan salta giù dalla finestra e corre lungo il perimetro della casa, la fronte
contratta in una smorfia feroce e i lunghi artigli di acciaio sguainati.
*
La traccia l’ha
portato sul retro della grande villa; dietro al turbinare della neve, sente il
chiacchiericcio e la musica soft del galà. D’un tratto, è contento che la festa
non sia ancora finita: non vuole nessuno fra i piedi, mentre stana il serpente
che ha cercato di mordergli la caviglia diverse volte.
Era una questione personale, che apparteneva unicamente a lui.
I grossi artigli
scintillano quando esce in una zona di luce, nel parcheggio, appena sotto un
lampione.
Si ferma, le
spalle incurvate e l’adrenalina che sale e sale,
mentre il suo cervello lavora freneticamente, immaginando il sangue viscoso di
quella vipera; la caccia è meglio di qualsiasi medicina contro il mal di testa.
È immobile,
aspetta un segnale.
L’odore è forte,
qui, è fresco, è vero.
Poi, un tonfo.
Logan scompare e
c’è Wolverine che comanda il gioco, senza maschera, ma la mascella contratta e
il ringhio sonoro che rimbomba nel semi-silenzio.
Si lancia in
avanti, supera una fila di macchine con pochi balzi e arriva in una piccola
zona libera.
Sulla neve,
giace un corpo di donna.
Gli artigli di
Wolverine, tuttavia, non l’azzannano e si incastrano
in aria; Logan si immobilizza, di nuovo, e osserva sospettoso quel corpo
statico.
È una donna
bellissima, quella che sta distesa nel manto bianco: l’abito corto è incastrato
fra le cosce, le spalline sono abbassate, e dalla scollatura Logan riesce a
intravedere l’aureola scura del seno.
Il mutante cerca
di deglutire, avvertendo la bocca improvvisamente secca; lentamente, gli
artigli si ritraggono e Logan rizza la schiena, avvicinandosi, cauto.
«Ehi, signorina,
tutto ok?»
Lo sta facendo
per Tempesta, per la promessa. Questa è la scusa.
In realtà, sono
bastati pochi secondi e il suo sangue si è surriscaldato alla vista della carne
pallida della ragazza, e la voglia di fare un po’ il cascamorto con lei e
portasela in camera, fra i cocci di bottiglia, è diventata una priorità.
La donna rivolge
verso di lui gli occhi, fino ad allora puntati fissi
al cielo, e il caschetto nero scivola pigramente lungo una guancia.
Il contrasto fra
la pelle esangue è quasi esagerato – c’è qualcosa di sbagliato in quei colori.
È… come se non fossero i suoi.
Stronzate.
«Ehi, mi senti?»
Si accuccia
accanto a lei e le sventola davanti una mano.
La ragazza
guarda il suo palmo aperto, e poi lui, e così una seconda volta.
«Sei scalzo» osserva piattamente.
Logan abbassa lo
sguardo e vede una piccola porzione dei calzini grigi inzuppati avanzare dalla
neve, e i jeans malridotti bagnati fino al ginocchio.
Emette un
ringhio sordo. «Parla la donna che se ne sta nella
neve. Vuoi congelare?»
«E se così
fosse?» gli chiede, serafica, mentre si puntella sui gomiti, spiazzandolo
quando gli punta addosso due occhi verdissimi e fermi.
«Che t’importa?»
«Mi frega che
qui non vogliamo suicidi» ribatte, dicendo una mezza-verità. «Dai, entra.»
La donna ributta
il capo nella neve, riprendendo a fissare il cielo. «Non voglio tornare alla
festa.»
«Aaaah, le donne!» geme esasperato Logan.
È quasi tentato
di lasciarla lì, che si arrangi,
pensa, ma la parte più umana di lui – quella che hanno visto
soltanto Jean, Rouge e raramente Tempesta – lo
costringe a fermarsi. E, forse,un buon motivo è anche l’impudenza di quella ragazza
seminuda.
«Ok, facciamo
così: entriamo, ti porto in una camera lontano dalla festa e ti do qualcosa per
scaldarti… come ti pare?»
Lei lo guarda,
senza espressione. Logan sente per la prima volta il freddo della neve addosso
e si chiede come ha fatto quella pazza a resistere a zero gradi, sotto il vento
freddo che proviene dalla costa poco distante.
«D’accordo.»
Il mutante
annuisce, inespressivo. «Ok… riesci a camminare?»
La ragazza si
guarda, fa una piccola smorfia (di dolore?, per
qualche attimo, gli era sembrato ribrezzo) e scuote il capo.
«Credo di avere
i muscoli atrofizzati.»
«Ho capito»
sospira Logan, prendendola fra le braccia forti e issandola da terra. «Sappi
che non sono un buon samaritano, esigo una paga io.»
Sfodera un
ghigno, e, per la prima volta, lei gli riserva un piccolo sorriso malizioso,
stringendo le spalle e appoggiando il capo bagnato sulla sua maglietta.
«Fa in fretta, ho freddo.»
Jackpot.
*
Mentre con un
braccio le circonda le gambe per sostenerla addosso a sé, Logan abbassa il
pomello della porta con la mano libera.
L’uscio della
stanza si apre con un rumore di vetri che rotolano sul pavimento e, entrando,
Logan si chiede perché non gli sia venuto in mente di portarla da qualunque
altra parte.
Accatastate in
un angolo ci sono due grandi casse di birra, e bottiglie vuote giacciono un po’
all’ingresso e un po’ attorno al letto. Sembra un campo minato o una bettola di
periferia, l’antitesi degli ambienti di una signorina dabbene.
Avverte le gambe
della sconosciuta tendersi e l’osserva mentre muove le
dita dei piedi, saggiandone le condizioni. Gli occhi verdi di lei, intanto,
ispezionano la stanza con cura.
«È la tua
camera?» gli domanda, neutra.
Logan esita
qualche istante. «Sì, ma il mio amico Ciclope l’ha scambiata per una discarica»
scherza, e le sue labbra si tirano in un mezzo-ghigno, pensando con orgoglio a
quella mezza-bugia improvvisata.
La donna
ridacchia: avverte la vibrazione delle risa sul petto. Abbassa il mento e vede
che lei lo sta già fissando, le labbra bianche e screpolate incurvate in un
sorriso tagliente.
Ricambia lo
sguardo e prova ad accarezzarle con delicatezza la schiena, per testare la sua
reazione. La sconosciuta non scansa il suo tocco, anzi, gli pare di vedere le
pupille dilatarsi leggermente e sparire, per qualche secondo, dietro le
palpebre socchiuse, mentre lei piega il capo all’indietro; lentamente i suoi
occhi seguono la linea aguzza della clavicola, spostandosi lungo il collo
latteo, quasi bluastro, probabilmente per via del freddo.
Si ferma sulla
carotide tesa, esposta e cianotica, e sul solletico sottile che gli procura il
caschetto lungo il braccio – trattiene un sospiro e, chiudendo gli occhi, una
veloce macchia blu gli balena davanti.
Logan avverte le
nocche delle mani prudergli e gli artigli graffiargli leggermente la pelle;
strizza gli occhi, cercando di focalizzare quell’immagine veloce che ha
risvegliato in lui un sentore di pericolo.
«Mi metteresti
giù?»
La voce della sconosciuta
cattura la sua attenzione; le spalle di Logan si rilassano impercettibilmente.
Annuendo, inclina
il braccio in modo che la ragazza scivoli sul pavimento, sostenendola con una
mano appoggiata sul fianco.
La seta bagnata
s’increspa sull’avambraccio peloso, e Logan sente distintamente la carne gelida
della donna su di sé. Stringe la mascella, cercando di apparire disinteressato.
Lei, intanto,
sorride di nascosto, mentre appoggia i piedi sul pavimento e prova a muoverli.
«Non ti sei del
tutto congelata, allora» ghigna sardonico, mentre lei gli tiene ancora il
braccio come supporto.
«A quanto pare no… come tu sei il responsabile di questo casino.» Indica con il capo il letto, con gli occhi che ridono
sotto la fitta cresta di ciglia.
Logan arcua un
sopracciglio.
«M’hai scoperto, che tragedia…!»
scimmiotta, imbronciato.
«È stato fin
troppo facile, puzzi ancora di birra.» Scivola via da
lui, spostandosi fra il disordine della stanza, in punta di piedi. «Mi faccio una doccia veloce per scaldarmi. È di là il bagno?» domanda, indicando l’altro uscio su cui è appeso un
asciugamano.
Logan grugnisce,
con sarcasmo: «Sì, sì, fai pure come se fosse casa tua!»
Appena la donna scomparve
dietro la porta del bagno, non prima di aver lasciato nella sua mente l’eco di
una risata di scherno, Logan sospira e si scrolla la neve di dosso con
un’energica scossa.
Poi si siede sul
materasso, e prende una buona boccata d’aria, ricordando con rabbia il suo riso
e, insieme, l’elettrificante sensazione di averla addosso.
Il ghigno che gli
taglia il volto scema non appena percepisce l’odore
nella stanza: birra, terra e ferro. Fortissimo.
*
Raven – così la chiamano
– chiude la porta con uno scatto e appoggia l’orecchio contro il legno,
decifrando i rumori al di là dell’uscio (qualche borbottio, il tintinnio dei
vetri, un paio di passi pesanti e il cigolio del materasso), i pugni stretti
fino a farle male appoggiati dietro la schiena.
Si porta una
mano fra i capelli, li tira indietro con stizza e si guarda intorno circospetta.
Incontra nello
specchio il suo riflesso: vede la pelle traslucida, azzurrognola, e il vago
sorriso stanco che è nato nell’immagine speculare svanisce quasi subito.
Si porta una
mano sugli occhi e spinge gli indici addosso alle palpebre. Sospira
pesantemente, e con un movimento lento fa scattare la serratura.
Apre i cassetti
del mobiletto del bagno, ma non trova altro che salviette, sapone da hotel e
spazzolino. Richiude tutto con stizza, ed emette un gemito frustrato, stirando
le labbra rabbiosamente.
Infine, prende in
mano un asciugamano, apre lo sportello di vetro ed entra nella doccia,
attivando il getto caldo; lo scroscio dell’acqua quieta il tambureggiare veloce
del cuore e la sua pelle si arrossa visibilmente al contatto.
Rabbrividendo, serra
gli occhi e, con l’amaro in bocca, si dice che Logan non è riuscito a scorgere
il suo riflesso – quell’essere antico che
non riusciva a evadere dal passato.
*
Quando sente la
serratura scattare, Logan stringe leggermente le spalle, obbligandosi a
rimanere sdraiato sul letto.
Ha nascosto le
mani dietro al capo, con le nocche che prudono dolorosamente, talmente tanto che
deve serrare la mascella.
Si gira verso
l’intrusa: i suoi occhi chiari sono insondabili mentre lo scruta come se lo stesse deridendo. I capelli, appiccicati sulle sue guance
e sulle orecchie, creano zampe di ragno sulla pelle arrossata. Nota con
irritazione che indossa solo la sua giacca di pelle – l’aveva lasciata in
bagno? – con la cerniera un po’ abbassata.
«Ti posso dare
una maglietta e un paio di boxer.»
La donna scuote
la testa, divertita. «Voglio una birra.»
Le volta le
spalle e, mentre si china a raccogliere una bottiglia, la sente avanzare e
sedersi accanto a lui. Il materasso s’inclina appena, e il suo fianco destro è
a contatto con la pelle. L’odore di lei, mischiato a
quello della sua giacca, gli punge il naso.
Grugnisce,
passandole con un gesto stizzito la bottiglia.
«Non ci siamo
presentati» commenta, in un sussurro.
Lei lo guarda
negli occhi, il viso immobile in un’espressione
neutra. «Mi chiamano Raven» esita, e poi aggiunge: «Ma
non amo questo nome.»
Prende un sorso
di birra fissando il pavimento, pensierosa.
«Tu invece?»
Logan ghigna. «Ti importa saperlo?»
Raven alza gli occhi verso di lui e
accenna ad un sorriso. «Non proprio.»
È sinuosa come
un serpente quando appoggia la bottiglia a terra e si china sopra di lui; gli
prendere le spalle e, mentre preme il petto contro la sua maglia, accarezza la
sua bocca con le labbra, respirandogli addosso.
Quando sente
Logan tremare, le scappa una risatina scialba.
«È solo un
ringraziamento anticipato…»
«Perché
anticipato?»
Il fantasma del
suo respiro s’incaglia fra la barba di tre giorni.
«Per quello che
succederà fra poco…»
Il tono con cui
gli parla è intimo, malizioso. A Logan pare una vera e propria promessa e,
insieme, una sfida.
Rapidamente le
artiglia la testa e schiaccia la bocca contro quella
di Raven; la sente mugolare quando le morde le labbra
e i loro denti cozzano in un bacio violento, rabbioso.
Con una spinta decisa, Logan inverte le posizioni, stendendola sotto
di sé; una mano corre a bloccarle i polsi sopra la testa. Dall’altra, stretta
in un pugno sopra la sua testa, appaiono i lunghi artigli.
Quando si stacca
dalla sua bocca, Raven posa lo sguardo sicuro sul suo
viso, contratto in una smorfia feroce, e poi sugli artigli. Si lecca appena le
labbra screpolate e tumide, e Logan è quasi sorpreso di non vedere una lingua
biforcuta.
«Mistica» ringhia, con voce gutturale,
bloccandole le gambe con le proprie, intrecciandole insieme.
«Non capisco»
balbetta Raven, con gli occhi spalancati. «Mistica?»
«Non fare la finta
tonta…» Le stringe i polsi con più forza, ficcando le
unghie nella sua pelle. Raven mugugna, inarcando
appena la schiena. «Sei sempre la solita puttana in calore.»
Lei ride,
buttando la testa indietro sul cuscino.
«È l’effetto che
fai alle donne, Logan.»
«Tu non sei una
donna» la corregge lui. «Sei una vipera.»
Per un attimo
gli pare di vedere gli occhi verdi di Raven
dilatarsi, e una scintilla di rabbia fulminarlo. «Ti stupirebbe scoprire che sono,
in fin dei conti, una donna?»
«Nessuno dei tuoi servizietti potrebbe farmi cambiare idea. Trasformati.»
Raven socchiude gli occhi. «Perché
dovrei?»
«Perché adoro il
rosso sulla tua pelle blu.»
Lei scoppia a
ridere. «Se potessi lo farei, credimi!» riesce a dire,
fra i singulti, che si placano dopo qualche minuto con un paio di colpi di
tosse.
Le sopracciglia
di Logan s’inarcano. «Che intendi dire?»
«Proprio niente»
Raven sbatte gli occhi, ammiccando. «Che c’è, ti fai
scrupoli ad uccidermi Logan? Magari alla fine ti sei
innamorato di me, nonostante abbia quasi ucciso i tuoi amici più di una volta…»
«Putt– »
La testata lo
coglie alla sprovvista e gli toglie un attimo si stabilità; Raven
ne approfitta per liberare le gambe e lo colpisce con una forte ginocchiata
nelle parti basse, che lo lascia boccheggiante sopra di lei.
La presa sui
suoi polsi, tuttavia, rimane solida, e mentre tenta di
riprende fiato, ululando per il dolore, lei gli stringe le gambe attorno
alla vita e gli affonda i denti dentro la spalla, trattenendo un gemito – le
sembra che i muscoli delle braccia si stiano spezzando, tanto li ha tirati.
Il pugno nudo di
Logan la colpisce dietro alla nuca, e le scappa un grido mentre atterra
nuovamente sul cuscino; stordita, avverte come un vago eco il
rumore dell’acciaio che scorre e, con la coda dell’occhio, vede lo scintillio
delle cinque sciabole di Logan.
Chiude gli occhi,
con un’espressione placida.
Sorride mentre
gli artigli fendono l’aria e, per un istante, le sembra che stiano ripetendo lo
stesso mantra mentale, lei e Logan – colpisci
dritto al petto, colpisci Raven
a morte!
Ma poi non sente niente: niente sangue, niente dolore,
niente carne lacerata. Gli artigli si sono incastrati nel materasso, e le hanno
fatto solo un piccolissimo taglio sul braccio.
Alza le
palpebre: Logan si è alzato a sedere e la fissa,
disgustato e furioso.
«Tu volevi che
ti uccidessi.»
È un’accusa in
piena regola.
Raven sente gli occhi pizzicarle in
maniera terribile e le labbra tremare – odia quel corpo così pieno di reazioni
ed emotivamente instabile, lo odia.
«Sì» ammette
quietamente. «E tu non mi hai uccisa. Hai forse
imparato l’arte del perdono?»
Lo beffa, ma lui
non casca nel suo tranello e rimane composto.
«Perché?»
Lei sbuffa,
scostando lo sguardo.
«Spararsi
sarebbe troppo noioso» si lascia scappare con un sorriso monco, e il tono
intriso di veleno e sarcarmo.
La fronte di
Logan si aggrotta. «Che intendi dire?»
«Il suicidio
sarebbe da Raven,
non da Mistica» spiega con tranquillità, osservando la tempesta di neve fuori
dalla finestra. «E io voglio morire in un modo degno
di Mistica: in battaglia o per mano di un mutante.»
Un
semidio, uno simile a me.
Logan storce la
bocca. «Tu sei pazza.»
«No» lo corregge
lei, con un ghigno. «Io sono Mistica.»
C’è stato un
grave silenzio, dopo quel piccolo dialogo: Logan l’ha guardata a lungo in viso,
e solo con l’espressione d’ira e disgusto che ha sempre riservato a Mistica.
In qualche modo,
tutto questo le dà sicurezza, perché finalmente le sembra di avvertire, da
qualche parte, il fremito – come un battere di ciglia – sulla pelle che
caratterizzava le sue trasformazioni. Mistica, in quella pelle nuova, risorge
per sfidare ancora una volta l’impulsivo Wolverine e la sua noiosa scala di ideali.
Le è mancato il contatto vivo con i suoi muscoli d’acciaio e il
modo brusco con cui le si rivolgeva; le è mancato anche sentirselo addosso, pesante
come la morte e irraggiungibile.
«E ora che farai, Logan?»
Le narici del
mutante si allargano, e Raven nota come i denti
stridano fra loro.
Una piccola
speranza le fa languire il petto, scaldandolo, mentre Logan le tocca una
caviglia e guida le sue gambe sotto di lui, staccandole dalla propria schiena.
«E ora» Logan si
alza dal letto. «Ti lascio andare.»
Raven lo
fissa allibita, la bocca semiaperta in un’espressione di stupore che è nata
spontanea. Tenta di deglutire, per bagnare la bocca asciutta, la mente in preda
ad un frenetico black-out.
Mi
sta lasciando andare, mi sta lasciando andare, mi sta –
Con uno scatto
rabbioso si alza in piedi e gli afferra il colletto della maglietta,
portandoselo vicino al volto. Potrebbe anche baciarlo, se ne avesse voglia; ma
in quel momento vorrebbe solo picchiarlo con tutte le sue forze.
«Sei uno
schifoso codardo» gli urla in faccia. «Stare alle dipendenze di quell’idealista
svampita di Tempesta ti ha reso debole, mio caro, una vera merda!»
Logan sogghigna.
«Continua pure così, Raven,
tanto non ti ucciderò… non farò mai un piacere a
Mistica.»
Raven sente le gambe farsi molli e
si morde il labbro inferiore, per trattenere un gemito.
«Ma...!»
Le mani di Logan
lavorano svelte sulla cerniera della giacca, e gliela sfilando con un movimento
veloce. Completamente nuda, Raven lo
fissa smarrita.
Logan le riserva
un sorriso odioso. «Non potevo farti uscire con la mia
giacca, vipera. Tanto non avrai problemi a metterti nei panni di qualcun altro,
non è vero?»
Lo schiaffo
prende in pieno viso Logan, e gli fa ruotare la testa dall’altro lato. Un «’fanculo» sussurrato è l’addio di Raven,
prima che sbatta dietro di sé la porta.
Logan prende un
respiro profondo, e sfiora con le dita la guancia dolorante.
«’Fanculo.»
Madrina, lo so che
non è nulla di chè: solo fangherleggiamenti e narrativa pesante, inutile e orribile.
Però qualcosa per te volevo farlo e, beh, che cosa è
meglio di Mistica e Wolverine? No, seriamente, sono magnifici – difficili da caratterizzare, ma magnifici.
Oltretutto doveva
essere molto più dark, ma non riesce con Logan né ben che meno con Mistica
qualcosa di piagnucoloso, loro sono… troppo
orgogliosi, per tutto questo. *smile*
Buon compleanno, Val! (:
Piccole
note a margine.
1) Raven è il nome dato a Mistica dopo la sua trasformazione
in umana. La Bestia è l’omone blu, che secondo wiki è
stato fidanzato con Tempesta.
2) La neve che
ricorda Logan è quella quando inizia la sua vita come Wolverine. Spero di non
sbagliarmi, ma ho in mente una scena in cui i suoi ricordi iniziano appunto in
un luogo pieno di neve. Se così non è, beh… ho
modificato un po’ la storia XD chiedo perdono!
3) Questa storia
partecipa all’iniziativa 2010: a year together! indetta dal forum Collection of Starlight, un’iniziativa
incredibilmente carina, con prompt davvero ispirosi, come il #32
SPARARSI SAREBBE TROPPO NOIOSO, quello usato da me in questa storia. Se volete
darne un’occhiata, potete visitare il forum a questo indirizzo: http://fanfictioncontest.forumcommunity.net/?t=34247954&st=225#lastpost .