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Autore: Lele_91    08/02/2010    3 recensioni
Il ruolo di Hokage esige enormi responsabilità. Un buon Hokage non può redimersi dal partire quando la battaglia chiama, anche a costo di sacrificare qualcosa di molto importante.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa fanfic risale esattamente al 6/5/2009... la classificherei come una fanfiction piuttosto vecchiotta ordunque... ahi ahi... è da tanto che non scrivo su Naruto, ed è da ancora più tempo che non posto più nulla su efp, e dato che mi piange il cuore cancellarlo, tanto vale rinnovarlo, no?
Intanto ricomincio da qui, poi si vedrà.

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Make You Cry

97 morti.
203 feriti.
172 dispersi.
Il labiale lento, scandito, doloroso di Shikamaru colpì il cuore dell’Hokage come le sferzate di coltello. Gli lesse le labbra, perché i suoni non erano divenuti altro che fievoli echi sovrastati dal silenzio.
Il silenzio della guerra.
Che rende muti i guerrieri con il bavaglio della morte.
“Ci sono state troppe perdite anche in questa battaglia, Shikamaru.”
Sovvenne l’Hokage, alzandosi con triste risolutezza dalla sua sedia.
Il jonin l’osservò vacuo, come se fosse un modellino di uomo trasparente, di quelli di vetro, imponenti, ma fragili. Ne poteva vedere il cuore infranto.
“Cosa vuole fare?” Chiese con voce atona. La stanchezza toglie vigore al corpo e vita alla voce.
Gli occhi azzurri erano rivolti contro la finestra: si soffermarono sul villaggio giovane e provato, con una vena di nostalgica devozione, poi si tuffarono oltre, in un punto imprecisato dell’orizzonte e ancora più in là, come per trovare la risposta ad una domanda sospesa, o semplicemente, per scorgere lo spiraglio di qualche misterioso destino.
Sospirò.
“Partirò per la battaglia, stasera.”
“Questo non è possibile, signore. Lei è l’hokage, colui che ci guida, senza di lei siamo completamente allo sbaraglio. Il nostro compito è proteggere lei e il villaggio…”
Il jonin venne zittito con un gesto della mano.
“Non chiamarmi ‘signor Hokage’ Shikamaru. Sai che sono ancora Naruto.”
Si voltò piano, sorridendo, e si risistemò al suo tavolo.
“Conosci bene il codice dei jonin, ma forse dimentichi quali sono gli obblighi di un hokage. Sono io in realtà che dovrei proteggere voi e il villaggio. Ma non proteggerò un bel niente se me ne rimango seduto qui, a radicare dietro una scrivania mentre i miei uomini vanno a morire.”
Shikamaru Nara assottigliò gli occhi e crucciò le sopracciglia.
“Io non posso lasciarla andare… Naruto, è una follia. Finirai ucciso...”
“Quante persone sono già finite uccise? Quanti valorosi guerrieri si sono spesi per questo villaggio, ottenendo come riconoscimento un nome scolpito tra tanti su una roccia funebre?
Guarda là fuori, Shikamaru. Il mio volto è plasmato sulla pietra di una montagna. Come posso meritarmi questo onore se mentre loro combattono, io non muovo un dito? Ricordi bene quali grandi cose ha fatto mio padre.”
Shikamaru si guardò le scarpe sporche di sangue e fango, abbassando lo sguardo sconfitto.
Meditava.
Una cosa stava sfuggendo.
Un particolare. Troppo piccolo quanto troppo difficile da gestire.
Rialzò la testa, incrociando le iridi azzurre di Naruto.
E Sakura? Cosa pensi di dirle?
Nessuna risposta.
L’hokage si morse le labbra, nascose il viso dietro i palmi delle mani giunte, abbassò la testa, guardò altrove.
Ci aveva pensato. Ma non si aspettava una domanda così diretta. Non sapeva rispondere, in verità. Non era ancora riuscito a trovare una soluzione.
Sicuramente Sakura avrebbe capito.
O forse si sarebbe sentita abbandonata. Di nuovo.
“Portala qui. Ti prego.”
Nel tono sicuro della sua voce, l’orecchio allenato di Shikamaru percepì i suoni flebili di una supplica strozzata, come un bambino, che soffoca i singhiozzi per dimostrare di essere forte.
“D’accordo.”
La porta si richiuse dietro le spalle del jonin e l’hokage rimase solo con i suoi pensieri.
Pensieri su di lei, sui suoi occhi, i suoi sorrisi, le sue paranoie, i suoi schiamazzi. Tante piccole cose che gli sarebbero mancate, se mai avesse avuto l’opportunità di rivivere dopo la morte.
Sentiva i passi scanditi dai suoi tacchi lungo il corridoio. La sentiva avvicinare.
Aveva fatto presto, troppo presto.
Per un momento, sperò che non fosse lei la persona che bussò alla porta, desiderò che la figura longilinea e sottile sulla soglia non fosse la sua.
Vane speranze.
“Naruto… è successo qualcosa?”
Gli occhi smeraldini guizzarono per fissare i suoi. Aveva i capelli spettinati e lievemente arricciati per il sudore. I guanti e il camice bianco non ancora tolti erano sporchi di sangue. Era affannata. Era preoccupata. Era stanca.
I ninja medico non potevano concedersi tregua.
L’hokage si alzò dalla sedia, fece il giro del tavolo sul quale giacevano immobili innumerevoli scartoffie, ne raggiunse il lato opposto. Quivi si appoggiò con i palmi e le braccia tese.
Gli serviva qualcosa… un pretesto con cui cominciare.
“Che… che progetti avremmo stasera?”
Sakura smise di ansimare. Smise proprio di respirare per qualche secondo.
Lo guardò attonita con la bocca semichiusa, prima di urlargli contro con voce isterica.
“Idiota! Ho appena mollato il mio paziente ad un novizio per precipitarmi da te e tu… tu mi chiedi che cosa facciamo stasera?? Secondo te mi potrei permettere una cenetta romantica con tutto il lavoro che ho da fare?! Naruto… non è uno scherzo!”
La guardò attentamente, mentre scuoteva le braccia per la tensione e mostrava leggermente i denti gridandogli contro quelle parole. Una goccia di sudore le percorse la tempia, come lacrime di rugiada sgorgano dai petali di ciliegio in tempi di guerra. Era bellissima. Ma come tutte le cose più belle, era anche delicata… lo sapeva bene. Non solo per via di quel fisico magro e sottile, che talvolta temeva di stringere percependo la facilità con cui le sue braccia riuscivano ad avvolgerlo, ma per la stessa essenza della sua anima. Era una dura a fare a botte, ma era facile ferirla a gesti o parole. E farle del male era l’ultima cosa che desiderava. Anche questa volta Sakura Haruno era riuscita a metterlo in trappola.
L’uomo si scostò da questi pensieri, soppesò le parole, ripensò a quelle di lei.
No, non era un gioco.
Per questo faceva così male.
“Non sto scherzando infatti.”
“Dimmi Naruto, vuoi un pugno adesso o più tardi?”
“Sakura… qualunque impegno avremmo potuto avere stasera… sarebbe stato da disdire.”
Deglutì, cercando di mantenere la compostezza, ma non poté fare a meno di pensare a quanto sarebbe stato più bello… più giusto, fare l’amore con lei quella sera invece di partire.
Se la giustizia è un valore che esisteva davvero, non sarebbe stato nemmeno necessario, partire.
Lei arrestò l’assalto che stava per compiere nei suoi confronti.
Mai avrebbe detto che quelle parole fossero state pronunciate proprio da quella bocca. Non credeva che Naruto ne sarebbe mai stato capace.
L’hokage non scherzava. Rimpianse il fatto che così non fosse. C’era qualcosa di celato, ma terribilmente serio nei suoi occhi. Ne ebbe paura.
Naruto, scusami… non ti picchio più…
Questo pensiero rimbombava nella sua testa come l’eco di una canzoncina infantile.
“P-perché?”
Non era completamente sicura di volerlo sapere.
Naruto si morse le labbra e sospirò profondamente, guardando in alto e staccandosi con le mani dalla scrivania. Erano rimaste tracce di umida condensa sulla superficie del legno lucido. Ci sarebbe rimasto l’alone, forse. Un segno. Calore indelebile.
“Parto… per la battaglia.”
Si rimise a studiare i mutamenti del volto di lei: era pietrificato, con le labbra socchiuse e gli occhi fissi.
“Quando…?”
Non l’aveva presa bene. Era ovvio e non era stupida. Solo… non voleva capire. Pareva invece sull’orlo di una crisi isterica.
“Stasera.”
Rispose lui, paziente.
Le iridi verdi di lei si offuscarono, la testa si abbassò lentamente, rigida come quella di una marionetta, il volto così pallido da farla sembrare morta.
“Capisco…”
Il suo corpo magro ebbe un lieve sussulto, quasi impercettibile, ma che non sfuggì agli occhi esperti di lui. Non poteva aspettarsi una reazione diversa. Ma ciò che il cervello si attende non concede tregua al dolore nel petto.
Non voleva perderla… pensò mentre inarcava tristemente le sopracciglia, ma sapeva che se non fosse partito, tanti altri uomini e tante altre donne avrebbero vissuto lo stesso, doloroso momento. E lui non era nessuno rispetto a loro. Non valeva di più di un fornaio, di una madre o di un soldato. Lui era solo un semplice hokage. Capo, guida, eroe… no, era solo il mestiere che aveva scelto, desiderato da sempre, l’unica vera sua certezza.
Ma un’altra certezza era, che per lei, lui valeva davvero qualcosa, a prescindere da che tipo di scelta avesse fatto.
“Sakura-chan…”
“Naruto. Ho detto… che… ti capisco… solo… co-così presto… voglio venire con te.”
L’uomo piegò leggermente la testa a sinistra, rivolgendole un sorriso dolce e malinconico.
Piccola, testarda, coraggiosa.
“Sai che non è possibile.”
La donna si strinse forte entrambe le labbra tra i denti. Più forte. Così forte da farle sanguinare.
Gli occhi le bruciavano. Era sempre stata una lotta ardua per lei trattenere le lacrime.
Quella di Naruto non era la dichiarazione di un viaggio. Era un ultimo messaggio di addio.
E sarebbe rimasta sola… di nuovo.
“Ho… a malapena il tempo di salutarti…”
Aggiunse mesta, oscurandosi il volto con la frangia spettinata e abbracciandosi da sola con le esili braccia, come tentando di nascondere o fermare i piccoli sussulti del corpo, sempre più frequenti.
Gli si spezzò il cuore, a colui che guardava*. Gli parve di vedere un fiore, battuto dal vento della tempesta… avrebbe potuto vedere petali immaginari scendere dai suoi capelli, vorticare nell’aria e morire in silenzio sul pavimento. Ma che avesse pianto con lei o meno, le cose non sarebbero cambiate. L’unica cosa che gli rimaneva da fare era lasciarle qualcosa per cui credere e andare avanti. Che fosse stata anche solo un’illusione.
Sorrise.
“Sakura-chan!”
Si avvicinò e con una mano le tirò su, un po’ ruvidamente il viso, ancora contrito in una smorfia di lotta contro il pianto, mentre con le dita dell’altra le carezzò leggero la guancia, sfiorandone la morbidezza della pelle pallida.
“Puoi salutarmi tranquillamente adesso se vuoi. Cosa vuoi che sia! Tornerò al più presto!”
Bugiardo. Tanto non torni.
Sakura riabbassò la testa.
Quel nemico era forte, davvero troppo forte.
“Ehi, ehi! Ascoltami! Appena torno…” Mostrò uno dei suoi sorrisi più belli “… ti sposerò, Sakura-chan!”
La donna rialzò gli occhi spalancati e lo fissò sorpresa; le labbra arrossate, ma libere dalla morsa dei denti, erano nuovamente semichiuse. Non era una sorpresa spaventata. Era quel sentimento naturale che sorge spontaneo quando qualcuno dice qualcosa che non ci si aspetta. Una boccata di naturalezza in un universo di denti stretti e orbite vuote.
“C-cosa…?”
“Non fare la finta tonta! Sai benissimo cos’è il matrimonio! Anzi, era quello che volevi, no?”
Prima che iniziasse la guerra Sakura gli lanciava spesso frecciatine riguardo ad un certo “giorno speciale”, ma lui, che su alcune cose aveva un invidiabile fiuto, aveva sempre evitato l’argomento.
Cercò di trattenere le lacrime alla catena inevitabile di ricordi con lei che sfrecciavano nella sua mente. Doveva di nuovo indossare una maschera di normalità che non gli apparteneva ormai più.
Era una richiesta tragica, disperata, di coraggio e fiducia. Ma non lo pareva affatto. Era diventato davvero un bravo attore, Naruto.
“I-io… non so cosa… cosa dire…”
“Dimmi di sì, no? Coraggio, proprio adesso ti tiri indietro? Non essere timida, Sakura-chan… tanto sai che alla fine, a parte un anello al dito, non è che cambi poi molto… per essere andati a letto insieme, ci siamo già andati, e qui già una parte del rituale è fatto… al massimo, può capitarci un bamb…”
La frase venne interrotta da un pugno. Veloce, rapido, forte. In piena nuca. Fece male. Ma in fondo… anche un po’ bene.
“Imbecille!!!” Gridò lei inferocita.
Le sopracciglia sottili e incurvate, le oscuravano le palpebre, facendo brillare di luce omicida gli occhi verdi, dal taglio sempre terribilmente seducente.
“Come osi parlare con tanta leggerezza di una cosa così importante?! E in un momento come questo??! Non hai mai imparato neanche un pizzico di tatto!”
Sbuffò, incrociando le braccia sul petto e osservandolo truce.
“Uffa… mi tratti sempre male, Sakura-chan…” Si lagnò imbronciato lui, prima di guardarla semi-serio e mettersi a ridere. Nell’insieme, pareva davvero buffa.
Lei cercò di mantenere in volto un’espressione di rimprovero, ma le fu impossibile.
Il corpo le si mosse in lievi sussulti, le labbra piegate in un sorriso le crearono lievi fossette sulle gote, facendola sembrare una bambina. Dalla bocca si liberò una risata, dapprima incerta, poi contenuta, e via via sempre più ampia, sincera, cristallina. Le loro risa invasero la stanza, riempirono il silenzio.
Ma il silenzio è un contenitore forato: i suoni vi passano attraverso, sostando un poco, il tempo che basta per illudere un’anima ingenua che finalmente quella matassa di nulla è sparita.
Le risa si smorzarono. I suoni si dissolsero. E si ritrovarono ancora a guardarsi negli occhi, capendo qual’era la dura realtà.
“Non me l’hai promesso però…”
“E’ inutile prometterti qualcosa che non sono sicuro di poter mantenere…”
“E allora… perché l’hai fatto?”
“Sakura… l’ho fatto per guardarti ancora.”
La donna sembrò stranita.
“Ti sei sorpresa, ti sei arrabbiata, hai riso.
Forse ti ho veramente illusa…
Ma almeno… non ti ho vista piangere.”


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*La frase è volutamente sbagliata: tale figura di stile si chiama anacoluto.

  
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