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Autore: Ceci Princessofbooks    09/02/2010    2 recensioni
Prima classificata al contest "Remarkable" indetto da Bebbe5 e Bellis.
Quando lo avevo visto caracollare barcollando oltre la soglia del soggiorno, con le spalle scosse da tremolanti respiri e il volto incupito dal sangue, avevo sicuramente perduto in un solo istante dieci anni di vita; certo, le sue ferite si erano rivelate più che altro lacerazioni superficiali, ma la sua apparizione mi aveva ferocemente atterrito. Ricordavo l'angoscia che mi aveva artigliato il petto quando mi si era accasciato tra le braccia, l'orrore furioso e assoluto, il terrore accecante, intenso e tangibile come una pulsione ancestrale che la vita di Holmes potesse spezzarsi da un momento all'altro e precipitare via dal mondo.
Shonen-ai ad interpretazione.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti, abitanti di EFP! Non sapete quanto mi siano mancate queste introduzioni  (e questi miei improbabili slanci...), ma la mia pigrizia e i ritmi convulsi della scuola mi hanno crudelmente impedito di godere nuovamente di una simile soddisfazione. Ritorno dunque a voi con il mio primo racconto completo dedicato al mio adorato, ineguagliabile Sherlock Holmes: l'eccentrico e inestimabile investigatore di Baker Street mi ha conquistato in seconda media, ed è stato il mio primo, grande innamorato letterario; il mio spirito e le mie parole gli devono molto, perché davvero, se mi si permette una stucchevole citazione degli Stilnovisti, il sentimento d'amore nobilita l'anima di chi lo prova. Così gli dedico questa storia, questo lampo di velluti vittoriani e piccoli gesti d'affetto, sperando che possa recare piacere anche a voi.

Ciaociao da Ceci, e alla prossima!



Device's repairing

Il riparatore del congegno

 

– Watson, avete finito? –.

Seguitando a tamponargli delicatamente la fronte con il mio batuffolo, sollevai uno sguardo esasperato al nostro soffitto – Holmes, vi scongiuro, state fermo. – lo pregai, intingendo distrattamente il cotone nell'alcool – non posso lavorare con la celerità che mi chiedete se continuate a muovervi così –. Il mio amico rimase immobile ancora per un istante, teso dalla stessa affilata, selvatica tensione che pervade i segugi lanciati su una pista e le sue iridi sfolgoranti dardeggiarono con vago dispetto verso le mie; scorgendo solo il mio garbato, implacabile sguardo da medico, si afflosciò infine contro lo schienale di velluto della sua poltrona, esalando uno sbuffo di artificiosa condiscendenza. – E va bene, mio caro Boswell: stavolta eseguirò i vostri ordini – assicurò, rivolgendomi uno di quei sorrisi obliqui e sfuggenti che concedeva a pochi. – Molto onorato dalla vostra magnanimità – replicai con ostentata riconoscenza, riprendendo a disinfettare i piani pallidi delle sue gote.

– Comunque ritengo ancora che non sia necessaria tutta questa scrupolosità, amico mio – dichiarò nuovamente il mio coinquilino, rivolgendomi da sotto le palpebre diafane la sua proverbiale espressione di sostenuta disinvoltura- in fondo si tratta solo di qualche innocuo graffietto –. Malgrado le mie pretese di professionalità, non potei evitare di irrigidire repentinamente le spalle; scostandomi appena dalla sua figura, lo osservai nuovamente: il viso, dall'ossatura sottile e severa, era deturpato da umide striature vermiglie, tracciate su gran parte delle guance e delle tempie e paurosamente nitide contro la pelle nivea. Una vistosa ferita, slabbrata e piuttosto profonda, solcava una buona porzione della fronte, sfiorando il sopracciglio: quando lo avevo visto caracollare barcollando oltre la soglia del soggiorno, con le spalle scosse da tremolanti respiri e il volto incupito dal sangue, avevo sicuramente perduto in un solo istante dieci anni di vita; certo, le sue ferite si erano rivelate più che altro lacerazioni superficiali, ma la sua apparizione mi aveva ferocemente atterrito. Ricordavo l'angoscia che mi aveva artigliato il petto quando mi si era accasciato tra le braccia, l'orrore furioso e assoluto, il terrore accecante, intenso e tangibile come una pulsione ancestrale che la vita di Holmes potesse spezzarsi da un momento all'altro e precipitare via dal mondo. Davanti alle bende linde e bianche che avevano sostituito sul suo viso quegli spaventevoli rivoli scarlatti, non potei impedirmi di rabbrividire. – Forse ha ragione,vecchio mio, ma non può negare di avermi causato un notevole spavento con la sua entrata – ribattei, riprendendo la mia occupazione.

Cogliendo il seppur sommesso tremolio della mia voce, il detective inclinò appena il volto, lasciando che un impercettibile tepore ingentilisse l'irrequieta armonia dei suoi tratti – Di questo mi dispiaccio davvero, amico mio, e so come il mio aspetto non fosse particolarmente rassicurante quando sono tornato: ma in fondo l'inseguimento, eccezion fatta per il mio trascurabile incidente, si è risolto in modo piuttosto soddisfacente, con Barrymore in arresto e nuovo prestigio per l'incommensurabile Ispettore Lestrade. –

– Già, è stata una vera fortuna che quel sinistro assassino fosse anche un pessimo lottatore – commentai distrattamente, ignorando con palese intenzione il sarcasmo ben poco velato nelle parole del mio coinquilino; per più di un mese il consulente investigativo più brillante d'Inghilterra aveva pervicacemente inseguito Andrew Barrymore, lo sfuggente e spietato omicida che stava atterrendo Londra con i suoi atroci delitti: la notte precedente, infine, Holmes aveva dedotto l'ubicazione del nascondiglio del criminale e, colto da uno dei suoi proverbiali slanci di lucida frenesia, vi aveva repentinamente trascinato uno stordito Lestrade e un manipolo dei suoi uomini, non trovando il tempo, almeno secondo il suo racconto, di avvertirmi in qualche modo. Quando finalmente avevano acciuffato l'omicida, Barrymore aveva tentato di salvarsi colpendo il mio amico con il suo stiletto e coinvolgendolo in un furioso duello.  A quanto pareva, però, aveva di molto sottovalutato l'abilità nel pugilato del detective, che era comunque uscito dallo scontro abbastanza provato da destare in me un tale allarme.

– Già, è stata certamente una vera fortuna – sussurrai meccanicamente, sospinto da un'urgenza repentina ed estranea.

Fu in quel momento, mentre tamponavo attentamente la fronte del mio amico e godevo di quel silenzio tiepido e familiare come una tazza di tè della Signora Hudson, che lo compresi davvero: il turbamento che mi aveva colto alla sua vista, quel gelo assordante e spietato che aveva ghermito il mio cuore, non era solo il timore di perdere lo spirito più vicino al mio, e con lui un brandello della mia anima; era anche una repentina, desta consapevolezza, la sensazione limpida e splendente di star venendo meno ad un compito. E in un istante, conobbi quale fosse. Per me Holmes era un congegno fragile e prezioso, un rigoroso, delicato miracolo di vetro e metallo, che irradiava una bellezza disincarnata ed elettrica e risuonava nelle sue mobili, implacabili geometrie del tintinnio sottile e nitido di un diapason d'ottone. E io sentivo, forse sin dal nostro primo incontro, che era mio compito custodire quello strumento prodigioso, restaurandone le finiture, proteggendone i complessi, meravigliosi meccanismi: perché nessun uomo avrebbe potuto conoscere meglio i suoi segreti ingranaggi, celati al mondo da una crisalide di inviolabile alabastro, e perché a nessuno sarebbe mai stato concesso di spingervi così profondamente le dita, fino a sfiorare il fulcro splendente ed umano che lo animava.

Stordito dalla mia improvvisa, inequivocabile realizzazione, mi irrigidii, abbassando lo sguardo sull'oggetto delle mie riflessioni; un fiotto di gioia, di silenzioso, soverchiante orgoglio mi soffuse le gote del mio antico rossore, e mi schiuse le labbra in un discreto sorriso di soddisfazione.  

Holmes, mentre lasciava con domestica benevolenza che il mio cotone gli disinfettasse il viso, non parve notarlo: adagiato nella poltrona, con le sopracciglia inarcate in un assorto, austero cipiglio e le fini labbra serrate, era sprofondato in quell'immoto, ombroso raccoglimento che in lui denotava sempre grandi riflessioni. – Eppure... – mugolò, riducendo le iridi a due inarrestabili, guizzanti fessure – ...eppure, mio caro Watson, in questo caso vi è ancora qualcosa che non ritorna: un dettaglio, un particolare che ancora stride... – con un fiotto di ostinato dispetto, si abbandonò contro il solido velluto dello schienale, lasciando che i bagliori del camino colmassero i suoi occhi.

Aggrottai appena la fronte, riponendo finalmente le pinze sul telo candido drappeggiato sul tavolino – Non so davvero cosa possa essere, amico mio: insomma, l'unico dettaglio di cui potrebbe dispiacersi è di non aver catturato anche quella terribile donna che era scappata con Barrymore... Ecco fatto, Holmes, ho terminato: potete muovermi, ma con attenzione, mi raccoman... –

Le mie parole vennero brutalmente troncate dal repentino sussulto del detective, che scattò in piedi e cominciò a percorrere il tappeto ad ampie, agili falcate prima ancora di permettermi di comprendere cosa mi fosse frullato accanto – Ma certo,Watson, la donna! Mio carissimo Boswell, ancora una volta vi siete rivelato assolutamente inestimabile: senza di voi, non avrei prestato attenzione a un elemento tanto importante ancora per chissà quanto tempo! – esclamò un istante dopo, dimenando febbrilmente le lunghe dita sottili e parlando con il tono frenetico e leggermente stridulo che lo coglieva nei suoi slanci di limpida, fiammeggiante esaltazione. – La padrona di casa, Mrs.Lovett, è sempre apparsa sulla scena dei crimini con precisione assolutamente sospetta, e già dal nostro primo incontro mi è sembrato davvero bizzarro il modo in cui si comportava con Barrymore, come se intendesse suggerirgli un qualche messaggio... – I suoi passi fluidi e concitati avvolgevano il salotto, schioccando tra le pareti di damasco scarlatto – ...in questi giorni sono stato preso dall'eccitazione e non vi ho prestato attenzione, ma adesso mi rendo conto di aver ignorato delle incongruenze,Watson, degli indizi che portano certamente a quella donna!... E ora è fuggita, sgusciando indisturbata mentre noi ci accapigliavamo con quel suo bellicoso compagno! Devo andare da Lestrade e strappargli due dei suoi uomini, e poi mi recherò alla magione di quella gentile signora per vedere se ci ha graziosamente lasciato qualche utile informazione... –.

Non potei evitare di ribellarmi energicamente – Holmes, non può gettarsi in una spedizione del genere! Devo forse ricordarle che meno di un'ora fa mi si è accasciato tra le braccia, sanguinante e semi cosciente? – replicai con veemenza, rivolgendogli il mio più imperioso sguardo da medico.

Il consulente investigativo evitò agilmente la mia figura, ignorandomi deliberatamente – Lo so, mio caro Watson, lo so: ma ho compiuto un errore, e se agirò abbastanza in fretta potrò porvi rimedio prima che gli ultimi lembi di verità mi sfuggano dalle dita: i segmenti degli eventi sono riposti nella mia mente, i fatti possono ancora parlarmi, e i segreti attendono ancora che qualcuno li riveli. – 

Il mio amico si voltò di scatto, sollevando il mento con un moto di inquieta, inebriata eccitazione: le iridi grandi e affilate, di un grigio fluido e luminoso, sfavillavano di un'austera, ardente fierezza, riverberando come fiamme argentee; una frenesia audace e implacabile, così aliena e così vicina alla sua impietosa ragione, soffondeva le sue membra, conferendo alle sue gote scarne e al suo profilo severo l'ascetica nobiltà dei santi di marmo di una cappella medievale. – La partita è aperta! –.

Per un attimo rimasi immobile, ritto davanti alla figura vibrante e luminosa del detective:il mio sguardo sfiorò i nastri di garza che gli velavano la fronte, il fioco livore che ancora soffondeva le sue tempie; ma poi scivolò sulla curva elastica e tesa della schiena, simile al collo di un cigno appena prima di spiccare il volo, colse il barbaglio vivo e sfolgorante delle iridi; e infine, mi indusse ad arrendermi – E sia,amico mio: ma sappia che, se non dovessi completare il giro di visite, non si potrebbe certamente liberare di me in questo suo nuovo, discutibile proposito! – sospirai, ostentando un cipiglio palesemente e totalmente fasullo.

Holmes si concesse un istante per rispondere al mio involontario sorriso, con quella naturalezza rara e segreta che tanto mi onorava, prima di catapultarsi con un guizzo verso l'attaccapanni

– Vi assicuro che sarebbe solo un piacere per me avervi accanto  –.

Invaso da un silenzioso fiotto di tepore, mi voltai osservando i suoi gesti celeri ed efficienti mentre richiudeva la fibbia del cappotto da viaggio e cercava nel caotico nugolo di cappelli il suo berretto a visiera. Non mi premurai di ringraziarlo per il suo commento, perché non amava che la sua intima delicatezza venisse troppo palesata, e perché, dopo tanti anni, non ve n'era più alcun bisogno tra di noi.

– Bene, è ora di andare – mormorò sovrappensiero, aggiustando sulle lunghe dita da musicista i guanti di camoscio  – Ad ogni minuto aumentano le possibilità che quella mandria di bufali in divisa, da alcuni coraggiosamente definita polizia, annienti con la sua sconvolgente efficienza ogni barlume di prova. – Sottolineando le sue parole con un frettoloso gesticolio della mano, il mio amico si avviò verso la porta, schiudendola con quell'esuberanza fanciullesca che accompagnava ogni nuovo caso. Rimasi un istante a fissarlo, tamponandomi le braccia con il piccolo asciugamano di tela, immerso nel rassicurante trapestio del suo congedo: sapevo che avrebbe potuto non ritornare, smarrendosi nei baratri bestiali che ostinatamente, pervicacemente combatteva; e sapevo che, nel caso avesse trionfato, sfavillando di fama e del suo caduco, disinteressato appagamento, sarebbe precipitato di nuovo tra i baratri siderali della sua mente vertiginosa, giungendo a scorgere angosce remote, inumane, polari. Ma ero anche certo che io sarei stato lì, pronto a raccogliere i frammenti di vetro del suo spirito, e a riparare ancora una volta quel bizzarro, inestimabile congegno.

– Holmes – lo richiamai, sfiorandogli la spalla e attirando il baluginio acceso del suo sguardo

– Stasera vi sarà un concerto di musica tedesca; mi accompagnerà? –.

Il mio amico sorrise, e il suo voltò avvampò un momento di una segreta gentilezza, una tacita promessa.

– Con piacere,Watson –. 

   
 
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