Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers
Segui la storia  |       
Autore: nes95    10/02/2010    7 recensioni
Quando la porta si aprì alzai gli occhi dal libro.
"Dove sei stato?" gli chiesi senza alzare la voce, lui mi guardò distrattamente poggiando le chiavi sul tavolino, senza rispondere alla mia domanda.
"Sono le tre del mattino te ne rendi conto?" chiesi nuovamente. (...)
Strinsi al petto Sophie che dormiva, gettai un ultimo sguardo alla casa e misi in moto l'auto.
Sequel di "This Is A Promise".
Questa storia è scritta a quattro mani con la mia BFF Julie (damned_girl)
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Amy e Nick <3'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ok, ok avete ragione, siamo sparite per una settimana intera, ma comunque penso si sia capito che cercheremo di aggiornare nel fine settimana quando la scuola da un po’ di tregua. Teniamo a ringraziare in maniera speciale le sette persone che hanno lasciato un commento nell’ultimo capitolo, e anche le sette del precedente. Purtroppo oggi non possiamo rispondervi ad una ad una (se no non aggiorneremmo più XD) ma ci rifaremo nel prossimo ^^

 

 

Come la corda sta all'arco, così la donna sta all'uomo; benché essa lo pieghi gli obbedisce, benché essa lo guidi lo segue: ciascuno inutile senza l'altro.
- H.W. Longfellow -


Guidai per non so quanto tempo cercando di riordinare i pensieri. non mi aspettavo che potesse andare così. Ok, poteva avere una reazione violenta, è un’artista ed è sensibile ma svenire cos non ha assolutamente senso.

Che poi quella terrorizzata dovrei essere io. E’ mai possibile che abbia diciotto anni da nemmeno quattro mesi e già sono (probabilmente) incinta? Vi dico io cos’è questa: sfiga.

Continuai a guidare, seguendo solo il mio istinto, forse mi sarei trovata in Canada, o a Cuba, dipendeva dalla direzione che avevo preso.

Come mi sentivo? Delusa, profondamente delusa dal comportamento di quello che si presume sia l’uomo della situazione. Uomo che è svenuto quando ha scoperto che probabilmente diventerà padre. Lasciamo stare.

Quando mi fermai era ormai notte inoltrata, ero in una spiaggia e quasi istintivamente sentii che quello era il nostro posto speciale, del nostro primo bacio, della nostra prima lite, della nostra … prima volta. Scesi dall’auto e senza chiuderla cominciai a camminare nella sabbia, liberandomi delle scarpe e rimanendo a piedi nudi.

Poco più in fondo c’era una casetta, di quelle che venivano usate dai bagnini d’estate. Era tutta bianca e completamente deserta. Bene, arrivai e mi sedetti, con la schiena appoggiata contro la parete li legno dipinta e le gambe vicine al petto, per cercare di battere il freddo dovuto alla mia intelligenza di aver lasciato la giacca a casa. Idiota che sono.

Rimasi a contemplare il mare, la borsa era da qualche parte, forse a casa, forse in auto, come il cellulare e qualsiasi altra forma di contatto con il resto del mondo.

Probabilmente quando si sarebbe svegliato (se mai si sarebbe svegliato, ovviamente) avrebbe potuto pensare che fossi lì e venire a cercarmi, ma io non avevo voglia di parlargli, di starlo a sentire e magari di perdonarlo anche. Volevo rimanere soltanto da sola, con i miei pensieri e le mie manie assassine.

Chiamare Alex? Nemmeno se ne parla, è notte fonda adesso e considerato il fuso … non se lo merita, è una così brava ragazza. chissà, magari ora sarà con Joe a sparare carinerie.

Poggiai la testa contro la parete e cercai di coprire i piedi, pentendomi per un istante di aver lasciato le scarpe, dovrei andare a riprenderle … Anzi no, chiusi gli occhi e cominciai a cantare una canzoncina, di quelle che mi cantava la tata quand’ero piccola per farmi calmare dopo una caduta o un rimprovero a scuola.

Dopo nemmeno dieci secondi riuscii a calmarmi, a non pensare ai cento uno modi per uccidere Nicholas, continuando a ripetermi che effettivamente era un bravo ragazzo, anche se era appena svenuto dopo aver saputo di suo figlio.

O figlia certo. E se fosse nato davvero? Una bella bambina, o un forte maschietto. Magari non sarebbe stato così male,

certo, nessuna famiglia del Mulino Bianco, ma nemmeno qualcosa da buttare. In fondo io il genitore non lo so fare ma nessuno nasce onnisciente.

Pensai alla prospettiva di vivere con un’altra persona, di avere una pancia di quelle astronomiche, di avere voglia di gelato al broccolo alle tre del mattino. Risi all’idea di Nicholas in gire per la città a cercarmelo.

Vidi nella mia testa l’immagine di un bambino, con i suoi occhi, o magari azzurri, come quelli dei miei genitori, chissà … Rimasi a contemplare il mio futuro, fino a quando non sentii un’auto fermarsi nel parcheggio, la portiera sbattere e …

Aprì gli occhi mentre una gradevole sensazione di calore invadeva il lato destro del mio corpo. Sorrisi fra me e me pensando che,forse, la scena che si era presentata ai miei occhi la sera precedente poteva semplicemente essere frutto della mia fervida immaginazione.

Pregai che la mia teoria fosse corretta e che il corpo che dormiva placidamente al mio fianco fosse quello di Alex. Rimasi in un certo qual modo deluso quando mi accorsi che il corpo poggiato al mio non era quello di Alex,bensì quello di Frankie.

Sorrisi dolcemente nonostante il sentimento di delusione e amarezza che mi pervase istantaneamente e accarezzai il capo del mio fratellino posandogli poi un dolcissimo bacio fra i capelli castani. Probabilmente il violento temporale della notte scorsa lo aveva spaventato e vedendomi perso nel mio sonno tormentato aveva pensato di dormire al mio fianco senza però svegliarmi.

Sorrisi inconsciamente,accarezzandogli la testolina e capendo quanto in realtà avesse continuamente bisogno di me e Nick pur essendo un ometto di ormai undici anni. Mi alzai e lo coprì dolcemente mentre la delusione,che per tutto il tempo della mia acuta riflessione sul mio fratellino sembrava essere svanita, si rimpossessava di me.

Detestavo ammetterlo ma Alex mi mancava. Nonostante il dolore che mi aveva provocato,mi mancava terribilmente in ogni suo più piccolo particolare e mi ritrovai a rimpiangere le nostre lunghe liti al telefono. Mi guardai allo specchio e mi chiesi se,effettivamente, come uomo valessi qualcosa. Questa domanda sorse spontanea nella mia testa e non riuscì a darmi risposta.

Infondo quale uomo viene abbandonato dalla sua donna dopo averla ricoperta di amore e di attenzioni? Fiori,regali, telefonate e un amore totalmente incondizionato nei suoi confronti non erano riusciti a tenerla lontano da un avvenente ragazzo del suo stesso college. Forse non ero un grand’uomo e nemmeno un ragazzo impeccabile ma di certo non potevo rimproverarmi nulla come fidanzato,soprattutto con Alex.

Ricordai la prima volta in cui le confessai i miei sentimenti,dicendole che l’amavo. La risposta che arrivò poco dopo fu a dir poco unica nel suo genere,dovetti ammetterlo. Un semplice grazie che mi aveva tormentato per giorni. Ecco cosa avevo sbagliato con lei,le avevo dato troppo e avevo ricevuto molto,molto meno.

Mi toccai con una mano i capelli relativamente lunghi e mossi che ad Alex piacevano tanto e decisi istintivamente che per sancire la nascita di una nuova e più costruttiva fase della mia vita un taglio radicale non avrebbe che potuto giovare al mio viso da adorabile mascalzone. Notai con mio enorme sdegno che gli addominali un tempo scolpiti erano stati sostituiti da una pancetta accennata che coprì subito ,nascondendola fra l’elastico dei corti calzoncini che portavo, dopo averla toccata più e più volte sotto la canotta rosa che indossavo,quasi come se non volessi realmente accettare lo stato pietoso in cui versavo.

Mi accorsi di essermi lasciato andare,trascurando la cura quasi reverenziale della mia persona che un tempo mi caratterizzava, solo perché mi ero stupidamente illuso che ad Alex bastasse la mia personalità. Avevo cominciato a lasciar perdere sempre di più i consigli in fatto di moda della ragazza che seguiva la nostra band perché sapevo che ad Alex non sarebbe importato il mio modo di vestirmi e notai che i miei gusti in fatto di moda erano radicalmente precipitati.

E come sempre dopo le mie saccenti riflessioni sulla mia idiozia, la rabbia prese il posto della delusione e sentì le vene del collo pulsarmi mentre riprendevo a scrutare lo stato pietoso in cui ormai versavo dopo la forte delusione che avevo subito. Non ero il tipo di persona che si lasciava abbattere da questo tipo di situazioni,anzi a dir la verità generalmente non mi lasciavo toccare più tanto dalle delusioni, riuscivo sempre a trovare la forza di andare avanti e di rinascere vincitore dalle mie sconfitte.

Ero riuscito a non annegare nell’abisso della sofferenza anche quando scoprimmo la grave patologia di Nick. Quello si che fu un vero colpo per me. Mi fu sbattuta in faccia la crudele realtà e mi ritrovai ad osservare il fragile corpicino di Nicholas,avvolto nelle lenzuola asettiche dell’ospedale, che leggeva sereno i suoi amati libri,pieno della sua consueta voglia di vivere, pensando che avrei preferito essere al suo posto pur di vederlo sempre felice e in ottima salute. Persino allora,dopo aver parlato con lui e dopo aver toccato con mano la sua serenità e la sua voglia di combattere, riuscì a sorridere nuovamente e a tornare in me.

Ma questa volta dovetti ammettere che era tutto diverso. L’amarezza e la sofferenza mi impedivano di ragionare lucidamente e preferivo crogiolarmi nel mio dolore piuttosto che affrontare la situazione da uomo. Dovevo tornare a ragionare e dovevo razionalizzare lucidamente sulla faccenda rendendo costruttiva questa sconfitta. Eh si,per me Alex era una sconfitta. Avrei dovuto smettere di correre dietro a tutte le ragazze carine che incontravo,iniziando a dar retta ai consigli di Nick. In un piccolo flash acquistai un po’ di lucidità e capì che,se non avessi incanalato la rabbia, molto presto mi sarei ritrovato completamente distrutto.

Si ma come incanalarla? Come renderla costruttiva ai fini del mio scopo? Rimasi un quarto d’ora buono a pensare e mi resi conto che cercare troppi piani e troppe soluzioni non mi avrebbe aiutato anzi,avrei come sempre mandato tutto a monte. Mi serviva un modo semplice e veloce per tonificare il mio corpo e temprare lo spirito. Incanalare la rabbia in qualche modo era assolutamente necessario per la sopravvivenza ma anche rendermi nuovamente attraente era necessario,sia per la mia immagine che per un mio tornaconto personale.

Pensai a come rendere costruttiva la mia rabbia migliorando anche il mio attuale stato fisico. Poco dopo un’idea mi fece sorridere e capì di aver trovato la soluzione perfetta. Un po’ di sana attività fisica era quello che ci voleva per tonificare il corpo e rasserenare lo spirito. Mi detti mentalmente del genio e lanciai un’altra occhiata a Frankie che continuava a dormire sereno nel mio letto.

Mi diressi nel bagno della mia stanza, cercando di non far rumore per non svegliare Frankie e mi lavai accuratamente,mi feci la barba e indossai dei pantaloncini corti e una canotta blu con sopra una pesante felpa grigia.

Per prima cosa decisi di dare un taglio netto,nel vero senso della parola, al mio dolore.

Mi diressi dal mio barbiere di fiducia e in men che non fu detto mi ritrovai con un nuovo taglio di capelli e un sorriso smagliante.

Dovetti ammettere che con i capelli così corti facevo proprio la mia bella figura.

Una volta pagato il mio taglio mi diressi tutto trionfante verso il centro ginnico più rinomato di Los Angeles.

 

Aveva indosso un paio di pantaloncini, di quelli che usava per andare in palestra o per stare a casa, e una felpa scura con il cappuccio.

Quando lo vidi ebbi l’idea di andare via, giudicandolo però poi uno stupido comportamento infantile. Effettivamente mi sarei comportata da vera bambina, decisi quindi di rimanere a godermi la bellezza della luna riflessa del mare, fingendo di non averlo visto.

Comportamento molto più maturo in effetti. Si sedette vicino a me e rimase a contemplare il mare, abbracciandomi e tenendomi stretta a se, io, continuando ad ignorarlo, mi accoccolai vicino a lui, bisognosa di sentire un po’ di calore.
“Mi dispiace” esordì senza guardarmi, feci finta che non avesse parlato, dandogli il tempo di rimettere in ordine le idee “so che può sembrare stupido il mio comportamento ma non so se sono davvero pronto a fare il genitore, voglio dire … Kevin sa fare il genitore, mio padre sa fare il genitore. Io gioco ai videogame fino a mezzogiorno e la sera vado a ballare, io non so fare il genitore” continuò infatti subito dopo. E certo, invece io ne ero capace no?

“Ma secondo te io non ne sono terrorizzata? Voglio dire … ho diciotto anni, ho cominciato il college, abito da sola con la mia migliore amica e mangiamo schifezze e usciamo a fare bordello una sera si e l’altra anche. Ma ormai ci siamo dentro” dissi, a metà tra lo sconsolato e il rassegnato. Lui mi guardò per un istante.

“Non so cosa succederà ok? Sono terrorizzato da quello che sta succedendo. Ma voglio che tu sappia una cosa: io ti amo, e staremo insieme in un modo e nell’altro” mi disse. Mi commossi, e finalmente mi decisi ad accarezzargli il prfilo della guancia, del tutto dimentica di quello che era successo poco tempo prima. Intanto il cielo aveva cominciato ad albeggiare e i colori che aveva assunto erano davvero bellissimi.


“Me lo prometti? Prometti che rimarremo sempre insieme?” chiesi a conferma, anche se in quel momento era quasi stupida come domanda. Nicholas mi guardò per un istante e frugò nella tasca.
“Te lo prometto” rispose tirando fuori un cerchietto d’oro bianco con un diamante incastonato sopra. Rimasi senza parole per un istante, incapace di ridere, piangere, parlare e respirare.

“Nick cosa …”

“Ascolta, non so cosa succederà” riprese “ma voglio stare sempre con me, voglio che diventiamo una cosa sola, voglio svegliarmi la mattina e sapere che sarai al mio fianco, voglio …”

“Nick?” lo richiamai, se fosse partito col soliloquio …

“Cosa?”

“Si, voglio sposarti” risposi, con una tranquillità che stupì anche me. Nicholas sorrise e mi diede un bacio a fior di labbra, infilandomi l’anello al dito. Poi si alzò in piedi e mi aiutò a fare lo stesso.

“Dai andiamo” mi disse cominciando a correre verso l’auto.

“Nick! Dove?” chiesi leggermente spaventata.

“Come dove? A sposarci!” esclamò ridendo e mettendo in moto.

“Cosa? NICK!” urlai, ma era troppo tardi, mise a tacere ogni mia lamentela con un bacio ben piazzato e mise in moto l’auto, pronto a partire.

 

 

 

Entrai con aria sicura e un’espressione goliardica sul viso e sorrisi sornione accorgendomi che una giovane segretaria mi scrutava interessata dietro al suo bancone. Spesso avevo utilizzato il mio fascino per ottenere privilegi che il mio nome spesso non riusciva ad ottenere. Questo era ancora un vantaggio dell’essere un Jonas Brothers,senza dubbio.

Mi diressi verso di lei con passo sicuro e con un sorriso da amabile mascalzone stampato sul volto.

-Buongiorno,signorina- dissi con voce calda –Potrebbe aiutarmi?- Le chiesi con aria indifesa per quel che poteva

trasparire dalla mia espressione spavalda.

-Dipende,cosa devo fare per lei?- mi rispose,con aria leggermente maliziosa.

-Dovrei iscrivermi e creare una scheda. Devo ridare tono ai miei addominali,pensa di potermi accontentare?-

chiesi sorridendo

-Ovviamente,signor…?- chiese fingendo palesemente di non sapere il mio nome.

-Jonas,Joseph Jonas ma se vuole può chiamarmi Joe- risposi sorridendo.

Lei ridacchiò brevemente e iniziò a digitare freneticamente sui tasti del suo computer

-Come le dicevo,signor Jonas, noi siamo il centro più rinomato di tutta Los Angeles,sicuramente riuscirà a soddisfare i suoi bisogni- disse ancora con una leggera nota di malizia nella voce.

-Oh,ti prego, chiamami Joe e dammi del tu…Erin- dissi con tono brillante. Lei parve stupirsi del fatto che conoscessi il suo nome. Lo avevo letto sul suo cartellino ma non era necessario dirglielo,giusto?

-Certo,Joe- sorrise e riprese a scrivere,concentrandosi sul suo operato. Dedussi dal suo sguardo attento che

stava scrivendo doveva essere la mia scheda.

A questo breve scambio di batutte seguì un rumore frenetico di tasti e dopo pochi minuti il rumore della stampante avvertì la giovane donna che il mio modulo era dunque pronto.

Erin mi porse il modulo e io pagai regolarmente il tutto,le sorrisi e mi diressi allo spogliatoio. Tolsi la felpa e il berretto scoprendo il mio nuovo taglio di capelli e sorridendo beffardo all’immagine ridente riflessa allo specchio.

Mi diressi verso la sala da box con un sorriso trionfante convinto che tirare un po’ di pugni ad un sacco da box mi avrebbe giovato sicuramente. Feci un po’ di corsa sul tapis roulant per una decina di minuti partendo da un livello molto basso,paragonabile ad una passeggiata per poi terminare con una vera e propria corsa. Mi diressi alla panca per gli addominali e i pesi e feci tre serie da quaranta per entrambe le cose,giusto per rinforzare un po’ le braccia e tonificare l’addome.

Ovviamente,quale attività se non la box,poteva aiutarmi a scaricare la rabbia? Indossai le fascette protettive per le mani e mi diressi con passo spedito,direi quasi ansioso, al sacco da box. Iniziai a colpirlo con una potente raffica di pugni ad effetto,colpendo con forza per scaricare tutta la rabbia che avevo in corpo. Continuai come se fossi stato una macchina instancabile, tirando pugni fortissimi uno dopo l’altro concentrandomi così tanto sul sacco di fronte a me, da non accorgermi del resto del mondo attorno a me.

Mi fermai solo quando avvertì un forte contraccolpo del sacco e un tonfo sordo mi distrasse,accompagnato dalle imprecazioni della voce di una ragazza. Mi sporsi al di la del sacco e vidi una figura femminile per terra che si massaggiava il sedere. Aveva lunghi capelli castani e due occhi dorati,chiarissimi. Le labbra morbide e il nasino piccolo e perfetto rendevano il suo viso angelico ma non infantile. Era alta e slanciata, proporzionata e magra quanto basta. Rimasi ammaliato e la fissai come un pesce lesso e lei in tutta risposta sollevò il viso piantonando i suoi enormi occhi nei miei.

-Ma sei matto?!- sbraitò –Ma che ti salta in testa? Sta un po’ attento quando tiri i pugni,cretino- concluse alzandosi agilmente.

Rimasi immediatamente colpito dalla spontaneità delle sue parole e fui stupito dal suo tono di voce. Niente moine o toni eccessivamente garbati per cercare di ingraziarsi la mia simpatia. Al contrario,non cercava minimamente di dissimulare la sua rabbia.

-Perdonami,comunque sono Joe – dissi senza pensarci troppo. Mi resi conto solo dopo qualche minuto di quanto la mia frase fosse stata stupida e inopportuna. Una grande mossa,da vero genio,pensai. Eppure i modi decisi e la bellezza semplice di quella ragazza mi avevano stordito.

-E a me non interessa visto che non te l’ho neppure chiesto,sta di fatto che mi hai buttata per terra. Dovresti stare attento o come minimo farti seguire da un tutor. I principianti non devono andare a zonzo da soli- E solo quando mi chiamò principiante,notai le fascette protettive sulle sue mani. Era una boxer anche lei.

-Scusa ancora,non era mia intenzione buttarti per terra. Potrei farmi perdonare in qualche modo? Magari a cena?- chiesi speranzoso. Addio buoni propositi sulle ragazze. Sentì pian piano la spavalderia di un tempo tornare lentamente a me.

-Non se ne parla proprio- mi liquidò così,sparendo dietro un omone alto e piazzato che si dirigeva verso la panca dei pesi.

Dovevo rivederla ad ogni costo anche se capì di non starle simpatico. Ricordai di aver letto sulla sua collanina il suo nome. Julie.

Tornai in reception e dopo un paio di sorrisi piuttosto eloquenti e maliziosi riuscì ad ottenere gli orari di Julie.

Mi diressi verso la saletta da box dove,secondo i suoi orari,avrei potuto trovarla intenta ad allenarsi. E così fu. I lunghi capelli erano raccolti in una coda disordinata e si muovevano leggeri insieme a lei che saltellava agilmente sul ring.

Azzardai un paio di passi e indossai anche io dei guantoni,salendo sul ring.

-Facciamo così,Julie – esordì spaventandola –Se ti batto in questo incontro di box verrai a cena con me altrimenti ti lascerò in pace.

Alzò gli occhi al cielo,esasperata poi sembrò rifletterci attentamente e in fine acconsentì con un gesto del capo. Ero certo della mia vittoria,infondo era una ragazza e non sembrava nemmeno tanto forzuta.

Iniziammo a combattere e dopo quelli che parvero essere appena dieci secondi mi ritrovai steso al suolo con il suo guantone da box che mi bloccava al suolo e una fitta all’altezza del petto. La guardai spaesato mentre lei si chinava su di me,tenendomi ancorato al suolo con il suo guantone.

-Hai perso,Joe. Buon proseguimento di serata- sussurrò con un falso sorriso cordiale,alzandosi e andando via.

E io rimasi li,immobile a toccarmi il punto in cui il suo guantone aveva sferrato quel potente colpo,mandandomi al tappeto.

Sentì rinascere in me una strana forza vanesia e un nuovo fuoco ardere nelle mie vene.

Conquistare quella ragazza era una sfida e sarei riuscito li dove molti prima di me si sarebbero arresi. Con questa frase mitologica che mi risuonava nel capo e un sorriso beffardo dipinto sul volto mi alzai,dirigendomi verso lo spogliatoio. Ora che conoscevo i suoi orari e i suoi allenamenti non avrebbe potuto sfuggirmi. Avrei vinto la sfida con me stesso ad ogni costo.

  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers / Vai alla pagina dell'autore: nes95