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Autore: cartacciabianca    12/02/2010    2 recensioni
[ SOSPESA ]
Giocatori, siete nell'Anno del Signore 1232.
Luigi VIII, appena di ritorno sconfitto dall’Inghilterra, punta le lance in resta contro Tolosa, dimora di Raimondo VII. Impadronitosi di quelle terre ne coglie l’intera giurisdizione, affiliando nel 1226 definitivamente la Linguadoca alla Francia. Il Leone di Francia viene meno nell’inverno di quell’anno, e il potere succede così ad un piccolo Re, all’epoca solo dodicenne. Luigi IX, detto il Santo per la sua calorosa religiosità e collezione di reliquie, guidato dalla spavalderia degli uomini di cui è circondato, e appoggiato dalla madre Bianca, eccolo già in battaglia contro una nuova rivolta. Nel 1228 giunge ad un compromesso con Raimondo VII, e nel 1229 promette al conte la giurisdizione delle sue terre, in cambio della sua unica erede Giovanna promessa al fratello del Re, Alfonso di Poitiers, e la completa ammissione della regione nei domini Francesi. La Crociata Albigese si conclude definitivamente nel 1229.

A Phoenix e Châtel-Argent sono trascorsi 17 anni. Ian e Daniel varcano la soglia della quarantina e conti come Granpré stanno per raggiungerli. Non si sentono vecchi o stanchi, ma solo maturi, vissuti e cavalieri di Francia ogni giorno di più. Mettiamo alla prova il coraggio di una ragazzina e l’ambizione del suo migliore amico. Il risultato è una fan fiction esilarante che ce la metterà tutta pur di mostrarsi degno tributo alla trilogia di Cecilia Randall.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Nella reggia dei Sancerre,
qualche ora prima…

Eleonore de Sancerre si barricò in stanza anche quella mattina.
Aveva assistito dalla finestra della sua camera all’arrivo dei monsieurs de Grandpré e de Ponthieu, guardandoli entrare nel cortile della sua corte prima uno e poi l’altro a distanza di pochi giorni. Suo padre aveva organizzato l’amichevole caccia senza un vero motivo particolare, ma probabilmente per la sola gioia di circondarsi dei suoi vecchi e valorosi amici.
Louis de Sancerre era stato il primo ad abitare le stanze degli ospiti della corte di Séour, seguito da Henri qualche giorno dopo e successivamente dal Falco e il suo pulcino. Eleonore aveva sempre sospettato che dietro quell’amichevole riunione tra compagni d’arme ci fosse, da parte di suo padre, una sorta di grido d’aiuto. Jean ed Henri erano forse stati invitati a corte per sopprimere l’atmosfera di rivalità tra monsieur il giovane, avido conte de Sancerre, e suo padre?
Eleonore si appoggiava tutte le volte coi gomiti sul davanzale della finestra allungandosi verso l’esterno e, sbirciando il conte de Grandpré ad ogni occasione, cominciava a considerare quei gesti abituali addirittura un rito giornaliero.
Non si erano mai incontrati ufficialmente, lei e il conte, pur conoscendosi entrambi di fama. A cena le tre sorelle sedevano alla stessa tavola del cadetto loro padre, certo, ma l’attenzione degli ospiti era vacua quando non si discuteva di politica o altro che, in ogni caso, non interessava le donne.
E così Eleonore si ritrovava spesso sola nei suoi alloggi privati, a sbirciare di tanto in tanto nel cortile interno o nei giardini dietro la torre. Lo ammirava passeggiare tra il verde delle volte in compagnia di sua madre, madame Donna, delle altre di Etienne. Con entrambi, monsieur de Grandpré aveva un rapporto solare, giocoso e aperto, e suo padre era incredibilmente felice nel bearsi della sua compagnia.
L’aggiungersi di Jean e Marc aveva segnato, per l’indomani, la prima giornata di caccia.
Eleonore si era svegliata presto e, affacciandosi dalla finestra, aveva osservato i cavalieri lasciare la corte di buon mattino. I possenti palafreni erano scomparsi oltre le mura dell’alta corte e poi sullo sterrato che conduceva al bosco, mentre nell’aria fredda della mattina spiegava le sue ali un magnifico falco. Il gruppo non sarebbe rientrato prima del tardo pomeriggio.
Bonne fortune… (1.) aveva pensato la ragazza senza staccare gli occhi esclusivamente da uno dei cinque cavalli.
L’interesse per Henri non era nato da un episodio particolare, bensì spezzettato nella segretezza che c’era sempre stata nella vita della giovane dama. Di fatti, Eleonore de Sancerre era nota a corte come la “principessa fantasma”, perennemente chiusa nella sua stanza, e non solo quando Henri de Grandpré faceva loro visita. Essendo figlia maggiore di un cadetto di Francia si aspettava che suo padre l’avrebbe combinata in matrimonio da un momento all’altro, ma arrivata ai suoi sedici anni, Eleonore ringraziava il cielo ogni giorno di essere ancora libera e vergine. Sapeva perché monsieur de Grandpré non si era mai maritato, sapeva chi era Henri veramente e che cosa lo teneva lontano dalle donne. Ma Eleonore sapeva che una persona dolce e speciale come lui non poteva essere altro, e questo la faceva impazzire, impazzire da morire.

Verso le undici del mattino, dure ore dopo la partenza dei cavalieri, Eleonore sentì bussare alla porta della sua stanza, si voltò e vide sulla soglia un giovane soldato col vessillo dei Sancerre in petto. –Bonjour, madame (2.)- disse.
Eleonore lo riconobbe subito accogliendolo con un risolino. –Bon matin à vous, monsieur Stephèn (3.)- rispose cordiale.
Il ragazzo mosse un passo nella camera. -Devraient se préparer pour votre leçon d'équitation (4.)- suggerì quest’ultimo con un sorriso.
La ragazza annuì e cominciò a vestirsi non appena il soldato ebbe richiuso la porta. Indossò dei pantaloni da equitazione, degli stivali e una camicia bianca con le maniche lunghe e larghe. Mise i guanti e si raccolse i capelli. Quando fu pronta, uscì dalla sua stanza e si avvicinò a Stephèn che attendeva nel corridoio assieme ad altri due uomini dei Sancerre. Questi l’accolsero prima con un sorriso, poi scambiandosi un’occhiata complice.
-Je suis…-.
Non riuscì a terminare perché un quarto uomo alle sue spalle le strinse un fazzoletto umido davanti alla bocca e al naso, bloccandole il respiro. Eleonore sgranò gli occhi e l’ultima immagine che ebbe fu il sorriso amaro e soddisfatto del suo carissimo Stephèn.

Quel pomeriggio…

Etienne de Sancerre entrò di colpo nella stanza che condivideva con la sua sposa, non immaginando che Donna stesse riposando assieme alla piccola Alix. La dama, nel vederlo giungere in stanza tutt’altro che silenziosamente, gli scoccò un’occhiataccia di braci.
Etienne sobbalzò sul tappeto.
-Ce que tu veux?! (5.)- sibilò Donna coprendo con la mano l’orecchio della bambina, che dormiva rannicchiata accanto alla madre.
-Ti devo parlare. Ora- sottolineò Etienne con tono di voce altrettanto basso.
Donna gli fece cenno di avvicinarsi e il marito le s’inginocchio davanti, ai piedi del letto.
-Sii breve- si augurò la dama alludendo al sonno della bambina. –Finalmente è riuscita ad addormentarsi- mormorò carezzando la guancia di Alix con il palmo. La principessina de Sancerre aveva il pollice in bocca e le gote rosa. I capelli scuri le cadevano sul viso tondo da bambina in morbidi piccoli boccoli.
Etienne sorrise dolce, poi guardò la sposa. –Sono venuto a chiederti cosa ne pensi di Henri e la nostra Eleonore, insieme- sussurrò.
Donna inarcò un sopracciglio. –Ti sembra il momento?! Non potevi aspettare questa sera?!- eruppe.
Etienne scosse la testa. –Ricordi che ne avevamo già discusso, ma… le particolarità di monsieur Henri giocavano a sfavore?-.
Donna fu costretta ad annuire, pur scocciata dal fatto che suo marito non si desse pace su certe cose.
-Poco fa ho parlato con Jean della faccenda, ed entrambi pensiamo che sia non solo una necessita della famiglia di Henri, ma anche un’abile mossa politica per assicurare le sue terre al nostro casato, quando…-.
-Ma come sei funebre, Etienne! Henri non morirà certo domani, ha tempo per trovarsi qualcuna della sua età- disse Donna.
-Visto, nemmeno tu capisci…- borbottò Sancerre appoggiando il gomito sul ginocchio.
-No, io capisco benissimo invece. Capisco che sei diventato un avido arraffatore di terre tanto quanto tuo nipote! Tu…-.
Non poté terminare perché Alix si era definitivamente svegliata, mugolando una sorta di “père!” quando, riaprendo gli occhi, si vide il padre davanti.
-Bonjour, mon petit princesse!- gioì Etienne sollevando la bambina dal letto e caricandosela in braccio. –Fatto bei sogni?- le chiese prima che Donna, furiosa per l’accaduto, potesse azzardare una parola. La signora Sancerre si mise seduta sul letto. –Grazie- sbottò al marito.
Alix annuì, ed Etienne riuscì quasi a specchiarsi nei suoi grandi occhi verdi. -Suvvia, moglie, era già sveglia da prima che entrassi- provò a difendersi il cavaliere.
-Non ne dubito…- borbottò Donna alzandosi dal letto, si passò una mano tra i capelli e socchiuse gli occhi in modo stanco. Etienne, accorgendosi della spossatezza della moglie, richiamò l’attenzione delle balie nel corridoio. Una di queste entrò in stanza e prese Alix dalle braccia del cavaliere, che gliela lasciò con premura; l’altra ripiegò e stirò le lenzuola sprimacciate del letto.
-No, datela a me- fece per dire Donna, ma Etienne si frappose tra lei e la balia.
-Sei distrutta, amore mio, lascia che adesso se ne occupino loro- intervenne l’uomo mentre la dama, con dispiacere, vedeva portarsi via, fuori dalla camera, la sua bambina.
Una volta soli, Etienne le prese il viso tra le mani e la baciò dolcemente sulle labbra.
-Non dirmi che ora ti dispiace- bofonchiò Donna stanziandosi di qualche passo, ma, notando l’espressione confusa del marito, si apprestò ad aggiungere: -Averci svegliato, intendo, non dirmi che ora ti dispiace-.
-Certo che no,- arrise Etienne, -o non avrei potuto fare questo- aggiunse con malizia e, attirandola a sé, la baciò di nuovo con più passione e trasporto.
-Quindi, credi che si possa fare?- chiese Sancerre separando d’un tratto le labbra da quelle della moglie.
Donna lo guardò allungo perplessa. –Monsieur Henri lo sa già?-.
Etienne si strinse nelle spalle. –Ho incaricato Jean di farci due chiacchiere e cadere accidentalmente sull’argomento. Nel frattempo voglio dare la notizia a Eleonore. Allora, dov’è?- domandò sereno.
-Alla sua lezione di equitazione del sabato. Avec Stephèn- spiegò Donna con naturalezza.
-Questo non è possibile- eruppe Etienne aggrottando la fronte. –I soldati hanno visto Stephèn lasciare la corte sta mattina, ma era solo. Ho cercato Eleonore nella sua stanza e non c’è…- disse.
In quell’istante udirono bussare alla porta, e si voltarono entrambi ancora abbracciati verso l’ingresso della stanza. Sulla soglia era apparso un soldato semplice in divisa, aveva il fiato corto e il volto sudato sotto l’elmo. Sembrava venuto fino agli alti piani della torre di gran corsa. –Monsieur, nous ne pouvons pas trouver Stephen! Nous avons cherché partout… (6.)- spiegò ansimando.
Marito e moglie si irrigidirono scambiandosi un’occhiata allarmata. Per qualche istante regnò un tetro silenzio, poi scattarono entrambi di corsa fuori dalla stanza.
-Avvertite il mio tenente monsieur Fabien di battere tutte le strade e di bloccare ogni uscita dalla città. Se sono ancora qui, non andranno lontano- annunciò Etienne mentre traversavano assieme il corridoio a passi veloci.
-Io controllo nelle altre stanze e avverto le balie. Mon Dieu… - mormorò Donna spaventata.
Etienne la fermò improvvisamente afferrandola per le spalle. –Calmati, non può essere andata lontano, la troveremo-.
Donna scosse la testa. –Sapevo che era pericoloso lasciare che facesse lezione da sola- singhiozzò lei.
Sancerre la strinse forte a sé e sentì il suo cuore batterle impazzito nel petto, tanto quanto il suo.

-…marcondirondirondello. Ma che bel castello, marcondirondirondà- canticchiava Gabriel mentre camminavano lungo le mura esterne dell’alta corte.
Oddio, questo è andato…
-Puoi smetterla per cortesia?- Hellionor lo fulminò con un’occhiataccia.
-Dai, canta con me: ti scomparirà quel grugno dalla faccia e sicuramente ti sentirai meglio-.
-Io sto già benissimo. Sei tu che hai qualche rotella nel cervello da rimettere a posto, perciò smettila- brontolò la ragazza.
-Problema numero uno: ho fame- si lamentò Gabriel.
-No, il vero problema numero uno è tornare a casa!- eruppe Hellionor.
Facevano avanti e indietro per la cittadella di Sèour da ore, tenendosi stretti l’uno all’altra per mano e senza una meta precisa.
-Forse dovremmo chiedere aiuto- propose Gabriel fermandosi a guardare la torre dell’alta corte.
-Ah!- rise Hellionor istericamente. –E secondo te un conte francese del XIII secolo può prestarci il suo manuale d’istruzione di Hyperversum?!- digrignò continuando a camminare e trascinandolo con sé.
-Va bene, ma adesso calmati- mormorò il ragazzo.
Hellionor era troppo su di giri per stare calma.
Nella sua testa si agitavano mille pensieri senza un filo logico, suscitati solo dalle immagini che le apparivano a raffica davanti agli occhi. Continuava a ripetersi che poteva trattarsi solo di un sogno, che bastava trovare la forza e la volontà di svegliarsi, cosa probabilmente a loro mancante. Allo stesso tempo però, Hellionor temeva che qualcosa fosse davvero andato storto: aveva paura di credere che il gioco avesse aperto una sorta di passaggio spazio temporale verso il XIII secolo, e che il mondo attorno a lei fosse reale, pericoloso e insidioso come lo descrivevano i libri di storia. Questa concezione era certamente passata per la fronte anche a Gabriel, il quale sembrava aver accettato meglio (o peggio) la realtà. Il suo modo di reagire era tipico del sesso maschile: impulsivo, emotivo, ma soprattutto affamato.
-Una locanda- disse d’un tratto Gabriel fermandosi davanti ad un edificio basso e spoglio, sul cui ingresso pendeva l’insegna con un topo e una fetta di formaggio dipinti sopra.
-Genio, hai con te qualche moneta?- eruppe Hellionor.
Gabriel lasciò la mano della ragazza e si perquisì le tasche dei pantaloni. Quando rialzò gli occhi in quelli dell’amica, aveva in faccia un’espressione avvilita. –No…- borbottò.
-Bravo, e non pensarci nemmeno di rubarli!- sbottò lei incamminandosi. Gabriel le andò dietro sbuffando e con le spalle curve.
-C’est lui! Prenez-lui! (7.)-.
Un soldato a cavallo frenò il suo palafreno in mezzo alla folla e puntò la spada verso di loro. Hellionor e Gabriel si scambiarono uno sguardo agitato mutando totalmente colore di pelle. S’immobilizzarono nel mezzo della strada mentre attorno ai due si formava un semicerchio di gente spaventata. Assieme al cavaliere che aveva parlato, Hellionor riconobbe uno dei tre soldati a cavallo che lo circondavano: era lo stesso che qualche ora prima le aveva chiesto di un certo Stephèn, in quel vicolo.
La ragazza rabbrividì, pensando che avesse cambiato idea e avesse deciso di indagare più a fondo. Magari questo Stephèn, il personaggio che Gabriel impersonava nel gioco, era un ladro o un bandito e l’americano gli somigliava abbastanza da far trasparire ogni dubbio.
-Presto, scappa!- strillò lei.
Gabriel era fatto di cera.
-Dannazione, scappa! Ce l’hanno con te!- gridò la ragazza nel panico.
-Perché?!- gemé Gabriel terrorizzato.
-Non lo so, ma adesso scappa!- Hellionor lo spinse via con le cattive maniere e per poco Gabriel inciampò. Non appena ebbe compreso a pieno la situazione bene quanto l’amica, il ragazzo scattò di corsa dalla parte opposta alla posizione delle guardie, travolgendo la gente che incontrava sul suo cammino.
Il cavaliere ordinò ai tre uomini di inseguire il fuggitivo, e questi partirono alla carica spronando con ira i palafreni. L’uomo nel mezzo la raggiunse e fermò il cavallo davanti ad Hellionor che, d’un tratto, cominciò a temere anche per la propria vita. Ma poi il cavaliere fece un gesto del tutto inconsulto, smontando di sella, togliendosi l’elmo e scansando il mantello che gli intralciava il braccio.
-Mademoiselle Eleonore- s’inchinò con una riverenza.
Oh diamine… se Gabriel è un ricercato, io a chi assomiglio?! imprecò la ragazza. Si chiese inoltre se gli abiti che indossava potessero appartenere non ad una umile contadina, bensì ad una nobile donna di un certo rango. Di fatti Hellionor non vestiva di troppi stracci, anzi. La camicia era bianca e linda, la gonna lunga pulita e il corpetto di un rosso porpora acceso. Posso essere tutto, tranne una contadina! Pensò timorosa.
Il cavaliere davanti a lei fece per dire qualcosa, ma venne interrotto da una voce conosciuta che parlò fuori campo.
-Monsieur Fabien, Qu'est-ce qui passe ici? (8.)- eruppe in francese Henri de Grandpré.
Hellionor si voltò e vide lui e monsieur de Ponthieu venir loro incontro, quest’ultimo ad occhi sgranati, rigido come una statua e bianco in volto come un lenzuolo.

Poco prima…

Ian entrò nella stanza degli ospiti che le era stata offerta e sorprese Marc alla finestra, ammirando il paesaggio delle colline.
-Perché non fai compagnia a Eleonore?- chiese il Falco rivolto al pulcino.
Marc non si scollò dal davanzale. –E’ fuori per la sua lezione di equitazione- spiegò il ragazzo senza tono.
-Ah- ammise Ian cominciando a cambiarsi. Anche lui come Etienne,da quando erano tornati dalla caccia, non aveva avuto modo e tempo di vestirsi in modo più presentabile, cosa che suo figlio invece aveva già fatto.
Voltandosi, Marc si accorse che suo padre aveva preso con sé anche il mantello. –Dove vai?- volle chiedere.
-Devo scambiare due chiacchiere con monsieur Henri- spiegò apertamente.
-Perché?- s’incuriosì Marc, ma Ian gli scoccò un’occhiata eloquente. Il ragazzo sbuffò. –D’accordo, mi faccio i fatti miei…- brontolò tornando a guardare fuori dalla finestra.
Quando fu pronto, Ian si avvicinò a lui e gli baciò la testa. –Non annoiarti troppo mentre non ci sono, mi raccomando- scherzò.
Marc scrollò le spalle sbuffando.

Jean ed Henri lasciarono il castello dei Sancerre per avventurarsi alla volta delle caotiche strade cittadine. Il clima nel quale si immersero era quello del tardo pomeriggio, il sole calante e il cielo limpido. La gente si apprestava a concludere le ultime vendite al mercato, alcune bancarelle già chiudevano, le donne rientravano in casa per preparare la cena, e sulle strade non si vedeva più un bambino.
-Allora, di cosa volevate parlarmi, monsieur?- formulò Henri sereno.
Ian gli sorrise continuando a camminare con le mani giunte dietro la schiena. –Io e Sancerre abbiamo…-.
-Lo sapevo- ridacchiò Grandpré ancor prima che l’amico potesse concludere. Ian assunse un’espressione confusa, ed Henri si piegò meglio.
-Lo sapevo che dietro a tutto questo c’era lo zampino di Etienne- fece allegro.
-Quindi sai già cosa sto per dirti?-.
-Veramente no, anche se mi piacerebbe indovinare- giocò Henri.
Ian sorrise. –D’accordo. Mettiamo alla prova il tuo senso di Falco, e vediamo se è rimasto quello di una volta alla pari del mio-.
Grandpré ci pensò qualche istante. –Siccome monsieur de Sancerre è terribilmente preoccupato per la sua discendenza, la vostra conversazione non può non essere pesata sulla questione dell’eredità- rifletté vacuo.
Quest’uomo è un mostro! Peggio di me contando che io dalla mia parte ho ottocento anni di storia letta e riletta…
-Perciò posso dedurre che…- riprese Henri grattandosi il mento, -siate entrambi preoccupati per le mie terre-.
-Di’ la verità, stavi origliando!- Ian scoppiò in una fragorosa risata.
-Giuro, non lo farei mai- esultò Henri, altrettanto stupito. –Perché, ho indovinato?- chiese incredulo.
Ian fu costretto ad annuire. –Sì, temo proprio di sì- sospirò.
Da quel momento tacquero entrambi, lasciando trascorrere alcuni minuti di passeggio prima di riallacciare l’argomento. Si preparavano ad affrontare il discorso ognuno a proprio modo, conoscendo già, in un certo senso, l’uno i timori dell’altro.
-Sono pienamente a conoscenza della mia condizione, e apprezzo la vostra premura- Henri parlò per primo. –Ma se mi è concesso scegliere, non voglio unirmi ad una donna che non amerei e che lei, sapendo ciò che sono, molto probabilmente non amerebbe me. L’aiuto tuo e di Etienne l’ho già accolto in passato, assecondando il vostro giudizio su chi maritare alle mie sorelle, e per questo non sarò mai in grado di sdebitarmi. Pregare perché il giorno della mia morte la Francia si veda unita e senza guerre, sarà tutto quel che farò fino ad allora, perché le mie terre possano cadere nelle mani giuste senza coinvolgimenti esterni, forzati o ingiusti- dichiarò senza ombra di dubbio o ripensamento.
Ian rilassò le spalle riempiendosi d’aria i polmoni. –Ti sembrerà strano, ma al posto tuo farei la stessa cosa-.
Henri inarcò un sopracciglio. –Davvero?-.
Ian annuì. –Perché no? Certo, forse ci ripenserei se avessi l’opportunità di proteggere sotto il mio tetto la figlia del mio migliore amico- assentì vago.
Grandpré si fermò di colpo. –…Cosa?- mormorò sprovveduto.
Ian dovette tornare sui suoi passi per affiancarsi all’amico. –Siccome ho vissuto troppo allungo in mezzo ai giri di parole, te lo dirò in modo semplice e, speriamo, indolore: Etienne vorrebbe organizzare un matrimonio combinato tra te e sua figlia Eleonore, la maggiore-.
Henri indietreggiò, boccheggiando senza produrre suono. –Io… come… come gli è saltato in testa?!- eruppe poi.
Ecco, questo è proprio quello che non sarebbe dovuto succedere… pensò Ian passandosi la mano sul volto.
-Ho appena concluso di dire che non voglio legarmi ad una donna che finirebbe per disprezzarmi e tu ribalti la tovaglia offrendomi la mano della figlia di Sancerre?! Ma dov’è il Signore perché moderi la mente degli uomini malati come Etienne, quando serve?!- imprecò alzando gli occhi al cielo.
Ian tacque, pregando silenziosamente perché Dio moderasse Grandpré, piuttosto.
Dopo un minuto o due Henri parve riacquistare un minimo di lucidità, e l’americano colse l’occasione al volo.
-Perdonami, non intendevo ferirti-.
-No, tu non hai fatto nulla- dissentì il più giovane. –De Bar, pace all’anima sua, aveva ragione quando disse che senza di lui a ricordargli le buone maniere, Etienne sarebbe andato a ruota libera verso la follia, ogni giorno sempre peggio. Quel cavaliere è rimasto ragazzino anche a quarant’anni, non posso crederci… e come tale ci immagina tutti quanti: deve aver perso lo scorrere del tempo…- borbottò.
-Ma allora, cosa ne pensi?- chiese Ian, confuso dalle tante chiacchiere del compagno d’arme.
-Ci sto ancora pensando- eruppe Henri riprendendo il cammino.
-Guarda che tu ad Eleonore piaci- intervenne il cadetto Ponthieu.
Henri restò spiazzato anche da quell’affermazione. –Com’è possibile se non le ho mai rivolto la parola da quando sono qui al giorno della sua nascita?- chiese sbalordito.
-Questo dovresti chiederlo a lei, non a me- si difese Ian. –Io faccio solo da portavoce-.
-Allora sei caduto più in basso di quanto credessi- scherzò Grandpré, non senza una nota amara nella voce.
-Seriamente, Henri, credi di poter valutare la cosa? Etienne si è raccomandato di estorcerti una risposta definitiva prima di ‘sta sera, ma per me hai tutto il tempo che ti serve- sorrise affabile.
-Ti ringrazio- sospirò il conte. –Ciò significa, immagino, che non mi è concesso declinare l’offerta- ammise.
Ian sgranò gli occhi. –Non ho mica detto che sei costretto- assentì.
-Mi domando come una sedicenne possa provare tanto interesse per me! Non voglio che spacci la sua infatuazione fanciullesca per vero amore e poi si ritrovi a mani vuote…-.
-Lei lo sa- intervenne Ian con grande stupore dell’altro cavaliere. –Etienne mi ha garantito anche questo, oltre al fatto che ad Eleonore basterebbe starti accanto per essere felice-.
-Jean, se pensi che una ragazza di sedici anni sa cosa la renderà felice per il resto della sua vita, mi deludi- pronunciò serio.
-Henri, sappiamo bene entrambi che certe scelte non ci appartengono, e perciò non possiamo interferire con esse. Almeno per questa volta voglio essere imparziale, riferire ciò che Etienne mi ha detto di dirti, quindi non cercare il mio giudizio-.
-Eleonore è stata informata almeno di tale condizione?- domandò cupo Henri.
-Sancerre ha voluto fare tutto molto di fretta, non chiedermi perché- borbottò.
-È sicuramente qui che sbaglia. Te l’ho detto: Etienne è rimasto il bambino impulsivo di sempre- commentò Henri. -Quindi… ci penserai?- domandò Ian in definitiva.
Henri fece per riaprir bocca, ma il grido di un soldato e lo scalpitare di zoccoli proveniente dal fondo della strada attirò la loro attenzione.
Henri ed Ian si scambiarono un’occhiata allarmata e imbracciarono le spade che portavano al fianco, dirigendosi spediti in quella direzione.
Voltato l’angolo, Ian riuscì a scorgere un gruppo di cavalieri a cavallo allontanarsi tra la folla di corsa, mentre uno di loro smontava di sella e s’inchinava dinnanzi ad una giovane donna.
Henri andò avanti con la spada alla mano, mentre Ian, dietro di lui, era diventato una sorta di fantasma.
È la ragazza di ‘sta mattina… ma che cosa succede?! Gemé stringendo convulsamente la presa attorno all’impugnatura della lama.
-Monsieur Fabien, Qu'est-ce qui passe ici?- chiese Henri de Grandpré riconoscendo il cavaliere davanti alla ragazza.
-Monsieurs, Eleonore de Sancerre è stata rapita questa mattina, ma fortunatamente io e i miei uomini l’abbiamo ritrovata mettendoci sulle tracce del suo compagno- spiegò Fabien alludendo alla ragazza dietro di sé.
Eleonore? Rapita?! Ehi, aspetta un attimo! Ian sgranò gli occhi. Quella non è Eleonore!
Jean tentò di replicare alle parole del generale Fabien, ma Henri lo precedé.
-Eleonore? Vous êtes Eleonore?- domandò il conte de Grandpré, ingenuamente e con meraviglia.
La ragazza posò un istante la sua attenzione sul cavaliere che lo accompagnava, riconoscendolo subito come il leggendario Falco d’Argento. Quindi quei due cavalieri, si disse, erano gli stessi di quella mattina. Quando Henri de Grandpré le chiese effettivamente se il suo nome fosse Eleonore, lei annuì, perché la pronuncia francese di Hellionor doveva essere quella. Quindi quest’uomo mi conosce. Guardò Henri. Anzi, mi conoscono tutti… pensò, ma ogni suo ragionamento sfumò dietro il gesto fatto dal Falco subito dopo.
Jean Marc de Ponthieu si batté disperatamente una mano in fronte.



Il cavaliere Fabien l’aiutò a montare in groppa al suo cavallo come una principessa, ed Hellionor si irrigidì sulla sella non appena incrociò gli occhi del Falco d’Argento, il cui azzurro celestiale l’aveva congelata come una statua. Nel momento in cui Henri de Grandpré, Feudatario Maggiore di Francia le aveva rivolto un inchino, Hellionor si era sentita presa in giro, da Hyperversum in primis, ma in secondo luogo da quella situazione che le si ritorceva contro in modo sempre più assurdo.
Stringendo le mani sulle redini e rendendosi conto di ricordare abbastanza bene quelle nozioni di equitazione avute da sua madre fino ai dodici anni, Hellionor riuscì a sistemarsi dritta nonostante il mondo attorno che aveva occhi solo per lei.
-Madame, è un vero onore conoscervi di persona già così presto, e vedervi in salute mi riempie di gioia il cuore, nonostante il racconto della vostra disavventura-.
Hellionor si volse verso il conte de Grandpré e riuscì a decifrare una buona parte del suo discorso, ringraziando mentalmente i corsi pomeridiani della scuola e suo padre Daniel per le buone nozioni di francese.
Io? Rapita? Si stupì Hellionor guardando anche Fabien, il cavaliere semplice lì affianco che discuteva appartato ma a gran voce col Falco d’Argento. Sembrava una conversazione poco amichevole, perché quest’ultimo mostrava segni nervosi nell’atteggiamento e nel tono di voce adottato col cavaliere che, in tutti i modi più cordiali possibili, tentava di spiegare che Eleonore de Sancerre, prima genita di Etienne II, era stata data dispersa, e nel frattempo indicava Hellionor seduta in sella al cavallo.
Intanto, Henri de Grandpré si era fermato ai piedi della ragazza e la guardava dal basso con un’espressione in viso serena e pacifica. Le mani giunte dietro la schiena e i capelli castani pettinati ordinatamente. La barba ben fatta e gli occhi dolci e scuri come quelli di un cerbiatto. –L’avete proprio fatto penare vostro padre- sghignazzò il Feudatario Maggiore alludendo a monsieur Fabien e de Ponthieu che ancora discutevano sui dettagli dell’accaduto.
Hellionor tacque e, temendo che il suo accademico francese avrebbe rovinato quel che poteva rovinare, si limitò ad annuire chinando la testa.
Henri sembrò divertito dalla sua reazione. –Permettetemi di riaccompagnarvi a casa prima che Etienne, conoscendolo, decida di impiccare mezza città pur di scovare chi vi ha fatto questo- disse Grandpré ed Hellionor gli lasciò docilmente le redini così che il conte potesse guidare il cavallo direttamente da terra, camminandogli affianco.
-Monsieur, aspettate!-.
Il palafreno inchiodò quando Henri de Grandpré si voltò e vide Jean de Ponthieu venir lui incontro assieme all’ufficiale Fabien. –Aspettate, monsieur, lasciatela a me- suggerì d’un tratto il capo delle guardie di Séour, con grande stupore degli altri presenti, Hellionor compresa.
-Allora fate in fretta, dannazione, Etienne sarà disperato se quello che si dice è la realtà- pronunciò serio Henri porgendo le redini al cavaliere Fabien, che condusse l’animale su per la strada. Hellionor lanciò un’occhiata alle sue spalle: Henri e Jean le venivano dietro tenendosi a distanza dal cavallo, ma solo quest’ultimo guardava la ragazza con la solita scintilla di serietà negli occhi. Hellionor, dalla sella, si tese come una corda di violino. Quell’uomo col falco d’argento sul petto le infondeva un certo timore da quando l’aveva incontrato per la prima volta quella mattina in strada, per poi ritrovarselo accanto anche mentre tutti sembravano saperla lunga su chi fosse il personaggio che Hellionor impersonava in gioco.
Una figlia di Etienne II de Sancerre, forse? Si chiese.
Non solo i tre cavalieri di Séour a terra, ma la gente tutta la fissava con curiosità, stupore e interesse. Certamente, assistendo alla scena di poco prima, si erano domandati cosa stesse succedendo e perché metà dei cavalieri di Séour fosse sulle tracce di un loro stesso soldato. Hellionor cominciò a temere per Gabriel, domandandosi se gli uomini di Etienne II fossero riusciti a strapparlo dalla strada e sbatterlo in una cella per un crimine che non aveva fatto. Si rese conto di aver abbandonato l’amico nel bel mezzo di una contea francese del XIII secolo senza che sapesse dire nemmeno “buon giorno” o “buona sera” nella lingua parlata.
La ragazza si morse un labbro guardando nella direzione in cui il suo compagno di partita era sparito, scrutando tra volti e corpi estranei e pregando di vederlo riapparire da un momento all’altro.
Sforzandosi di mettere assieme qualche buona parola, Hellionor si rivolse così all’ufficiale: -Monsieur, il ragazzo che era con me, perché è ricercato dai vostri uomini?-.
Il capo delle guardie restò interdetto a quella domanda. –Madame, Stephèn è accusato di aver contribuito alla vostra cattura- disse grave.
-Ma siete sicuro che è stato lui?- insisté Hellionor.
L’uomo annuì ancor più confuso. –Madame, Stephèn è il vostro tutore e vostro amico…- mormorò flebile. –Ovvero l’uomo che vi trascorreva accanto più tempo, e il fatto che sia scappato di gran corsa è una prova inequivocabile-.
Tutore? Qualche parola le sfuggiva, ma il senso le era chiaro. Ma chi diavolo pensano che sia?! Si chiese Hellionor, ma almeno, se erano diretti verso la reggia di Etienne II, voleva dire vitto e alloggio abbastanza comodo. Il gioco le aveva offerto tutto su un piatto d’argento, ed Hellionor era curiosa di sapere fin dove si sarebbe spinto.
Ma la verità era che c’era ben poco per cui stare tranquilla. In cuor suo sapeva che non poteva trattarsi di un sogno o di un’allucinazione in alcun modo. Sapeva che l’idea del buco spazio-tempo era in sospeso nella sua testa e temeva di andare incontro alla verità ammettendo di essere davvero imprigionata nel medioevo. Obbiettivamente la paura cresceva ad ogni passo del cavallo, man a mano che il torrione dei Sancerre si faceva sempre più vicino, mentre alle sue spalle, Feudatari Maggiori e quant’altro, si sarebbero presto accorti di aver sbagliato persona.
Le possibilità plausibili erano due. Quella buona in cui sperava era che Hyperversum si fosse pappato il suo cervello e l’avesse intrappolata nel regno della fantasia nel quale ogni ubriaco o insano di mente si perde. Quella cattiva, era il naufragio nel medioevo, il passaggio spazio temporale dal quale suo padre aveva sempre cercato di proteggerla.
Ora è chiaro… Hellionor sgranò gli occhi e divenne un tutt’uno con la pietra della terra quando Fabien l’aiutò a scendere dal cavallo, una volta giunti nel cortile dell’alta corte.
La ragazza si reggeva a stento sulle gambe e cercò il sostegno del corpo che trovò più vicino. Sono nel medioevo… pensò col volto esangue rendendosi conto di essere artigliata alle vesti di qualcuno, che le circondò la vita con un braccio per sorreggerla.
Suoni, immagini, voci… divennero un insieme confuso e incolore che sfumò verso l’oscurità. Ciò che vide fu il suo viso preoccupato di Henri de Grandpré, prima di crollare svenuta tra le ali del Falco.
   
 
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